Voci e volti della nonviolenza. 341



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 341 del 13 giugno 2009

In questo numero:
Alcuni estratti da "Acqua e comunita'" di Colin Ward

LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "ACQUA E COMUNITA'" DI COLIN WARD
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Colin Ward, Acqua e comunita'. Crisi idrica e responsabilita' sociale,
Eleuthera, Milano 2003 (ed. orig.: Reflected in Water, A Crisis of Social
Responsibility, 1997)]

Indice del volume
Presentazione dell'edizione italiana, di Teresa Isenburg; Al lettore
italiano; Prefazione; I. La condivisione di un bene comune; II. La "tragedia
dei beni comuni"; III. Societa' idrauliche e speranze regionali; IV. Il
fascino della diga; V. Zuffe per l'acqua; VI. Piccolo e locale; VII. Donne
al pozzo; VIII. L'acqua mercificata; IX. L'ineguale mondo dell'acqua; X.
Acqua sporca; XI. Crisi confluenti; XII. I piaceri dell'acqua; Suggerimenti
bibliografici, a cura di Teresa Isenburg.
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Da pagina 19
Prefazione
"C'e' qualcosa che lega tutti gli uomini e le donne del mondo in modo tanto
stretto e intimo che ogni differenza di colore, religione e cultura diventa,
di fronte a esso, insignificante... composto per il 55 per cento di acqua,
il flusso vitale del sangue che scorre nelle vene di ogni membro della
specie umana dimostra che la famiglia umana e' una realta'. Migliaia di anni
fa, l'essere umano ha scoperto che questo fluido gli era indispensabile e
prezioso oltre ogni prezzo" (Richard M. Titmuss, The Gift Relationship)
Richard Titmuss scriveva non dell'acqua ma del sangue. Studiava la
trasfusione di sangue e le sue implicazioni, mettendo a confronto il mercato
commerciale, dove il sangue viene acquistato, con la donazione volontaria.
Aveva rilevato che il carattere dominante del sistema americano delle banche
del sangue era una redistribuzione dei prodotti ematici dai ceti poveri a
quelli ricchi, poiche' le persone che vendono il proprio sangue, non avendo
nient'altro da vendere, sono tendenzialmente quelle senza specializzazione e
senza lavoro appartenenti ai "gruppi a basso reddito, oggetto di
sfruttamento". Aveva anche osservato come in Gran Bretagna i donatori
volontari di sangue, interrogati circa le loro motivazioni, fornissero
indicazioni la cui "vivacita', individualita' e diversita' davano vita e
senso comunitario alle generalita' statistiche", tanto che l'80 per cento
delle risposte "suggeriva sentimenti di responsabilita' sociale verso gli
altri membri della societa'".
La sua conclusione era che il mercato commerciale del sangue fosse negativo,
per quattro ragioni non etiche e verificabili: "Sotto il profilo
dell'efficienza economica, provoca un grande spreco di sangue; il rapporto
tra domanda e disponibilita' e' caratterizzato da una scarsita', cronica e
acuta, che rende illusoria ogni idea di equilibrio. E' amministrativamente
inefficiente, poiche' genera un aumento delle pratiche burocratiche e ancor
piu' dei costi fissi di gestione, computo e registrazione. In Gran Bretagna,
il prezzo che il paziente (o consumatore) deve pagare per unita' di sangue
e' da cinque a quindici volte superiore a quello del sistema volontario.
Infine, per quanto riguarda la qualita', nella distribuzione commerciale e'
piu' facile che possa circolare sangue contaminato".
Titmuss e' morto nel 1974, e quindi non e' vissuto abbastanza da assistere
in Gran Bretagna al passaggio dell'ideologia mercantile da teoria economica
a dogma politico. E non ha nemmeno potuto vedere il disastro che ha colpito
i pazienti emofiliaci, pesantemente dipendenti dagli emoderivati, in
conseguenza dell'importazione di sangue contaminato. Cio' che lo spingeva
era semplicemente la volonta' di contestare "la resurrezione rozzamente
materialistica dell'homo oeconomicus nella politica sociale".
Il sangue, come si dice, e' piu' denso dell'acqua. Il sangue e' una
proprieta' individuale, l'acqua e' una necessita' collettiva. Eppure le due
sostanze hanno qualcosa in comune, poiche' e' l'acqua a tenere insieme i
costituenti del sangue ed e' altrettanto indispensabile per la
sopravvivenza. Come dice Michael Allaby: "Un essere umano adulto deve
assumere almeno 1,75 pinte [un litro circa] di acqua al giorno, bevendola
direttamente o come ingrediente degli alimenti. Senz'acqua una persona non
puo' sopravvivere per piu' di sei giorni circa, e appena due o tre nei climi
caldi. Al contrario, una persona in buona salute puo' resistere diverse
settimane senza cibo solido".
L'acqua e' vitale al pari del sangue, e pertanto anch'essa, come diceva
Titmuss, e' preziosa oltre ogni prezzo. Questa consapevolezza spiega la
nostra indignazione quando sentiamo di famiglie inglesi cui l'acqua e'
venuta a mancare per non aver pagato le tariffe imposte dalle compagnie
private, alle quali il governo ha venduto quella che e' una risorsa
collettiva. A maggior ragione dovremmo provare angoscia a sapere che un
terzo della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua potabile sicura, e
che un terzo di tutti i decessi che si verificano ogni giorno nel mondo sono
la conseguenza di malattie di origine idrica.
Qualcuno deve riaffermare il fatto di per se' evidente che l'acqua, risorsa
continuamente rinnovata ma non inesauribile, appartiene a tutti e non a un
particolare gruppo che ha scelto di controllarne la disponibilita'. Il che
non significa che chi la distribuisce non debba essere compensato. Il
venditore di acqua rientra in un'antica attivita' di servizio. Nel
Bangladesh vi sono contadini senza terra che si guadagnano da vivere in
imprese cooperative per la fornitura di acqua, che viene portata mediante
dispositivi mobili agli agricoltori la cui proprieta' e' troppo dispersa per
l'irrigazione meccanica.
Ma l'acqua e' anche essenziale per produrre tutto cio' che mangiamo, beviamo
e usiamo, per tutte le produzioni industriali e per ogni tipo di pulizia e
comfort. Come il sangue, e' troppo preziosa per essere considerata una
merce. Ed e' anche strumento di gioia umana infinita, come ben sappiamo dal
piacere che traiamo da fiumi, torrenti, laghi e mari, come dimostrano le
fontane e le piscine che si trovano in ogni citta' o paese.
Questo libro non e' il tentativo di ripetere per l'acqua lo studio che
Titmuss ha fatto per il sangue, visto come trasferimento di risorse dal
povero al ricco o come un dono da parte dei piu' fortunati ai meno
fortunati. Esso intende semplicemente fornire un breve resoconto delle
gigantesche implicazioni sociali, a livello tanto locale quanto globale,
generate dall'universale bisogno di acqua e dalle varie crisi idriche che si
prospettano al mondo.
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Da pagina 33
Quando nel 1979 e' entrato in carica il nuovo governo conservatore, nessuno
immaginava che tra le sue realizzazioni ci sarebbe stata quella di cambiare
la natura dell'acqua da bene comune a merce. Eppure, dieci anni piu' tardi,
l'acqua e' stata venduta, insieme ad altri beni di proprieta' pubblica, ai
consumatori che gia' la possedevano collettivamente. Gli storici di un'altra
industria ci ricordano che la privatizzazione della fornitura idrica non e'
stata facile. I politici responsabili sono "stati sconfitti nella Camera dei
Lord e hanno corso il rischio di essere incriminati dall'Unione Europea per
gli standard qualitativi dell'acqua. Sono stati contestati dai gruppi
ambientalisti per il medesimo motivo e per le massicce occupazioni di
territorio da parte delle amministrazioni idriche". Ciononostante, la
vendita delle azioni, nel novembre 1989, ha avuto successo al punto che la
domanda ha superato di 5,7 volte l'offerta. Tuttavia, il guadagno netto
dell'operazione e' risultato negativo per il governo. A fronte di un incasso
dalla vendita pari a 5,3 miliardi di sterline, c'era da coprire un passivo
di 5 miliardi, piu' un'iniezione di liquido di 1,6 miliardi per finanziare
le amministrazioni e 100 milioni di spese di vendita. Cosi', l'affare si e'
concluso con una perdita di 1,4 miliardi di sterline per il governo.
Il popolo dei consumatori d'acqua (il che significa tutte le famiglie della
nazione) non si e' probabilmente reso conto che il bene inestimabile che
gia' possedeva era stato venduto in perdita sulla spinta di una transitoria
ideologia governativa. Ma si e' ben presto reso conto delle conseguenze.
Ogni gruppo familiare ha constatato un incremento medio delle tariffe del 67
per cento tra il 1989-90 e il 1994-95, mentre i profitti delle compagnie
erano aumentati in media del 20 per cento all'anno tra il 1989-90 e il
1992-93, e i margini di profitto erano saliti dal 28,7 al 35,6 per cento. Il
malumore per i prezzi dell'acqua e' andato crescendo man mano che si veniva
a conoscenza dei ricchi stipendi e delle partecipazioni agli utili che la
dirigenza delle compagnie idriche si era attribuita, del fatto che le
operazioni di diversificazione finanziaria effettuate al di fuori
dell'industria idrica erano state disastrose, e del fatto che per
l'adeguamento di impianti e installazioni era stato speso assai meno di
quanto si fosse fatto credere pubblicamente.
Possiamo anche ritenere tutto cio' un aspetto scontato dell'economia
imprenditoriale. Ma e' la situazione dei ceti poveri che mi interessa. Nel
rapporto sul prezzo dell'acqua del National Consumer Council si legge che
nel distretto idrico dove le tariffe sono piu' elevate, cioe' quello
denominato South West Water, "la bolletta media assorbe il 4,9 per cento del
reddito di una famiglia di due adulti e due bambini, il 7,6 per cento di
quello di un genitore single con un unico figlio, e il 9,1 per cento nel
caso di un pensionato che vive da solo". Il rapporto commenta che "queste
percentuali costituiscono un peso finanziario cospicuo per le famiglie con
inferiore capacita' di far fronte all'aumento di prezzo dei servizi
essenziali".
Dove vivo, gli affittuari delle case di proprieta' pubblica pagavano
settimanalmente una somma modesta per questo servizio, che era controllato
dall'autorita' comunale. Questa, oggi, si rifiuta di fungere da esattore per
conto di una compagnia privata, e la bolletta dell'acqua, maggiorata e da
pagare in anticipo, e' diventata un altro dei costi fissi della vita che i
ceti meno abbienti devono in qualche modo far rientrare nel proprio
bilancio. Fino al 1988, chi aveva diritto ai "benefici supplementari"
governativi era esentato dalle spese di fornitura idrica. Oggi tale
esenzione e' stata soppressa e costoro devono pagare quei soldi di tasca
propria. La privatizzazione dell'acqua ha fatto conoscere ai consumatori
piu' poveri un nuovo approccio aggressivamente commerciale, tant'e' che
migliaia di famiglie si sono viste interrompere la fornitura. Ritenevo che
tale azione fosse illegale, come lo e' in Scozia e in Irlanda del Nord, ma
mi sbagliavo. Nel 1992 il rappresentante della societa' Thames Water ha
dichiarato alla stampa: "Siamo troppo concilianti, ed e' per questo che le
interruzioni della fornitura dovranno aumentare". Un manipolo di
parlamentari, guidato da Helen Jackson, ha tentato di far approvare una
legge che imponesse alle compagnie idriche di recuperare le morosita' per
via legale, come ogni altro creditore, e non tramite l'interruzione del
servizio. Non hanno avuto successo, nonostante la cospicua documentazione di
un numero infinito di casi in cui persone in difficolta' erano state
penalizzate dalla politica spietata delle compagnie idriche.
A un meeting indetto dalla Jackson nel 1993, John Middleton, direttore
sanitario della Sandwell Health Authority nel West Midlands, ha fatto notare
come il senso di moralita' pubblica sia andato progressivamente decadendo
dalle campagne sanitarie di centocinquanta anni fa, rammentando che "in
epoca vittoriana veniva almeno riconosciuta la necessita' che a tutti,
ricchi e poveri, fosse garantita una provvista d'acqua igienicamente sicura.
Le interruzioni della fornitura sono qualcosa che non dovrebbe essere
tollerato in una societa' civile". E ha aggiunto che durante il 1992 e il
1993, anni in cui si e' verificato un sensibile incremento delle sospensioni
nella sua zona, dove piu' di 1.400 famiglie sono rimaste senz'acqua, "i casi
di dissenteria ed epatite sono aumentati di dieci volte". La British Medical
Association, intervenendo sul medesimo argomento, ha rilevato che esisteva
un numero elevato di gruppi sociali vulnerabili per i quali la garanzia
della disponibilita' idrica era vitale. Erano le persone in condizioni di
salute tali da richiedere l'uso di quantitativi suppletivi di acqua, per
l'igiene personale, per fare il bucato, per lavare i bambini e gli anziani.
Il Policy Studies Institute ha condotto uno studio rigoroso sul fenomeno
della morosita' e delle conseguenti sospensioni di fornitura, dal quale e'
emerso che "solo i consumatori piu' anziani sembrano essere meno a rischio
di morosita' e quindi di sospensione". Nel medesimo studio e' detto anche
che "durante il 1994 circa 2 milioni di famiglie hanno avuto problemi di
morosita' e per 12.500 di esse cio' si e' risolto nella sospensione della
fornitura idrica".
Personalmente, al di la' di ogni considerazione medica, non posso immaginare
una situazione in cui sia possibile vivere senz'acqua, ne' certamente lo
possono i miei lettori. Abbiamo tutti bisogno di bere e di mangiare, tutti
produciamo feci e urina di cui ci dobbiamo liberare, tutti abbiamo bisogno
di lavarci. Negare a chiunque di noi l'accesso all'acqua ci mette nella
condizione di quella donna di Preston che prima ho citato, portata in
tribunale e condannata per furto d'acqua.
Quello avveniva centocinquanta anni fa, ed e' sconvolgente rendersi conto
che nella nostra civile Britannia le fantasie degli opulenti sostenitori
della logica di mercato ci vorrebbero ridurre alla brutalita' di quel tipo
di atteggiamento. L'equivalente moderno di Elizabeth Stubbs e' in certo
senso in una situazione ben peggiore della sua. Perche' un secolo fa, come
abbiamo visto, ogni paese aveva la sua pompa comunale, frutto di uno sforzo
comunitario o di un'iniziativa filantropica, accessibile a tutti. C'e' una
fontana di acqua potabile, ora asciutta, nella East Street di Colchester che
reca l'iscrizione "Con gioia trarrai quest'acqua", e tutti i londinesi di
una certa eta' ricorderanno gli innumerevoli punti per l'abbeveraggio umano
o animale messi a disposizione dalla Metropolitan Drinking Fountain e dalla
Cattle Trough Association. L'acqua era allora riconosciuta come un diritto
umano universale e non come una merce.
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Da pagina 128
Abbiamo visto nel capitolo I che se in epoca vittoriana, malgrado la fiducia
riposta nel sistema di mercato, era riconosciuto come "dovere morale
vincolante" assicurare a ogni famiglia l'accesso all'acqua potabile,
indipendentemente dalla possibilita' di pagare, nel 1994 12.500 famiglie
inglesi si sono viste tagliare la fornitura per morosita'.
Nel 1887 l'anarchico Petr Kropotkin riteneva che "la crescente tendenza a
fornire l'acqua alle abitazioni private senza tener conto dell'esatto
ammontare usato da ciascun individuo" fosse uno dei sintomi - insieme
all'uso pubblico e gratuito di biblioteche, scuole, parchi e strade
pavimentate e illuminate - della tendenza verso una societa' dove "chi
contribuisce al bene comune con tutte le sue capacita' riceve dal comune
fondo sociale i mezzi per soddisfare al meglio i propri bisogni".
Un secolo dopo, questa interpretazione sembrerebbe decisamente ottimistica
per due ragioni. La prima e' stata la rinascita del culto del mercato e
della privatizzazione dei beni pubblici a ogni costo. La seconda, la
crescita della coscienza ecologica e la consapevolezza che tutte le risorse
sono limitate. Ad esempio, Sandra Postel, una riconosciuta autorita' sul
problema della scarsita' idrica, fa notare che "sorprendentemente, il costo
dell'acqua nella maggior parte delle famiglie britanniche e' legato al
valore della casa e non ha niente a che vedere con il consumo reale... Prove
fatte in Gran Bretagna hanno dimostrato che con i contatori il consumo
dell'acqua nelle famiglie puo' calare del 10-15 per cento".
Nel 1995, con il rapporto Water Conservation: Government Action (Interventi
governativi per la tutela idrica), il governo britannico ha dato grande
rilevanza alla necessita' di far pagare l'acqua in base al consumo. Un
portavoce dell'opposizione ha anzi lamentato che "ventinove dei settantuno
paragrafi di questo documento trattano della misurazione del consumo idrico.
I Conservatori vogliono obbligare tutti a mettersi in casa un contatore
dell'acqua". E aggiungeva che i dati dell'industria idrica dimostravano che
le perdite giornaliere lungo le tubature della rete ammontavano a un valore
complessivo di 826 milioni di galloni d'acqua [3 miliardi e 350 milioni di
litri circa], su cui il controllo dei consumi non avrebbe avuto alcuna
influenza.
Il governo stesso ammette che l'installazione dei contatori potrebbe costare
fino a 200 sterline per famiglia. Il che significherebbe una spesa
complessiva da 4 a 5 miliardi a carico dei consumatori. E le spese di
esercizio dei contatori ammonterebbero fino a 500 milioni all'anno.
La tutela idrica e' un problema vitale tanto nei Paesi ricchi che in quelli
poveri, ma viene di fatto banalizzato applicando a entrambi lo stesso
meccanismo mercantile. Commenta Jean Robert: "I governi che intendono
regolare i consumi idrici attraverso il mercato dovrebbero tenere a mente
che solo se l'acqua e' un bene comune, gratuitamente accessibile ai ceti
poveri, e' possibile contenere l'eccesso di consumo dei ceti ricchi per
mezzo di prezzi elevati, senza provocare la rovina dei poveri. A Lima, ad
esempio, dove il governo tenta di gestire il consumo idrico con questi
sistemi, i prezzi sono troppo elevati per i poveri, che non hanno l'acqua in
casa e la comprano in bidoni per strada, e troppo bassi per i ricchi, che
corrompono gli autisti delle autocisterne che dovrebbero servire i quartieri
poveri e usano quell'acqua per lavare le proprie automobili".
[...] In Gran Bretagna la privatizzazione della fornitura idrica non e'
stata inibita da alcuna opposizione efficace, all'epoca, e le sue
conseguenze non sono state notate pubblicamente se non molti anni piu'
tardi. I dettagli amministrativi sull'industria idrica britannica, dati nel
capitolo I, sono importanti per due ragioni. La prima e' che le riforme del
1974 hanno portato la fornitura e lo smaltimento dell'acqua per la prima
volta sotto il controllo diretto del governo centrale, e il ministero del
Tesoro, sia con i Conservatori sia con i Laburisti, ha costantemente ridotto
la spesa a favore delle Authority idriche tra il 1974 e il 1986. Nel 1982 la
somma messa a disposizione dell'industria idrica dal governo era la meta' di
quella prevista come investimento di capitale nel 1974. La seconda ragione
e' che il riassetto dell'industria idrica da parte del governo ha permesso
di metterla insieme alle altre strutture pubbliche che nel 1980 sono state
offerte in vendita a una cittadinanza che gia' le possedeva collettivamente.
Le isole britanniche sono ricche d'acqua, con precipitazioni cospicue,
eppure vanno incontro occasionalmente a periodi di scarsita' idrica. E'
affascinante paragonare l'atteggiamento pubblico durante la siccita' del
1995 con quello dei sedici mesi di asciutta tra il maggio 1975 e l'agosto
1976. Nel 1976 le famiglie britanniche non avevano ancora maturato alcun
mutamento di percezione di fronte all'acqua trasformata da bene comune in
prodotto commerciale. Fred Pearce, corrispondente per i problemi idrici del
"New Scientist", riferisce che fino ad allora i responsabili della
pianificazione avevano considerato "qualunque forma di restrizione della
fornitura, anche un semplice hosepipe ban (divieto di uso non domestico
dell'acqua) come un'ammissione di fallimento. Si rendevano conto che era
privo di senso spendere milioni di sterline per ridurre la frequenza degli
hosepipe bans da un anno su cinque a un anno su dieci". Ma Pearce sottolinea
anche gli sforzi delle Authority, allora regionali, per agevolare l'accesso
alle fonti d'approvvigionamento e i progetti a lungo termine come quello
della conduttura anulare di Londra o il sistema per ricaricare le falde con
le acque invernali dei fiumi. La reazione pubblica era stata piu' che mai
interessante. Il National Water Council infatti rilevava che "la
disponibilita' a risparmiare volontariamente l'acqua durante la siccita' era
molto diffusa tra la popolazione e le industrie. La campagna per invitare al
risparmio durante la siccita' aveva ridotto la domanda d'acqua perfino del
30 per cento in certe zone... e ulteriori interventi come la verifica delle
perdite impreviste e la riduzione della pressione nelle tubature avevano
prodotto risparmi di un altro 10 per cento".
Il 90 per cento della popolazione aveva risposto all'invito a ridurre i
consumi per il bagno e piu' dell'80 per cento aveva dichiarato di aver fatto
attenzione a mettere il tappo al lavandino, anche se solo il 9 per cento
aveva detto di aver messo un blocco nello sciacquone del WC. Nel 1976 c'era
dunque stata un'intensa cooperazione tra le varie amministrazioni idriche,
tanto che Fred Pearce nota che "nel peggior caso di siccita' in
duecentocinquant'anni, i tecnici sono riusciti a non interrompere
l'erogazione dell'acqua", e c'era stata cooperazione anche da parte degli
utenti per ridurre i consumi. Nessuna recriminazione: semplicemente il
desiderio di trarre insegnamento dall'esperienza. Durante la siccita' del
1995, il clima e' cambiato. La gente ha dato la colpa alle compagnie idriche
e queste hanno dato la colpa alla gente. Il ministro dell'Ambiente, John
Gummer, ha avvertito la popolazione di attenersi ai precetti del 1976, di
riciclare nell'orto l'acqua usata per lavare e di mettere un blocco nello
sciacquone. Il giornale locale della mia citta', che difficilmente potrebbe
essere definito di sinistra, ha sottolineato in un articolo di fondo la
differenza fondamentale tra allora e adesso: "Allora l'acqua era proprieta'
pubblica, e il pubblico aveva interesse a conservarla. Ma poi e' arrivato Mr
Gummer con i suoi colleghi e ci ha detto che dovevamo cambiare idea, che
l'acqua non era una risorsa naturale ma un prodotto capitalistico come gli
altri".
Le compagnie idriche appena privatizzate hanno cercato di giustificare i
loro profitti esorbitanti spiegandoci quali grandi miglioramenti stavano
apportando al servizio. Si sono auto-compensate con enormi aumenti "di
incentivazione". Non dovremmo allora aspettarci, se paghiamo la bolletta, di
poter usare tutta l'acqua che vogliamo? E che importa alle compagnie, che
mirano al loro profitto, se la usiamo per innaffiare l'orto o per lo scarico
del gabinetto? Forse che, come qualunque acquirente, non abbiamo il diritto
di usare come vogliamo il bene che abbiamo comprato, al pari di qualunque
prodotto commerciale?
E' vero che tali atteggiamenti non vanno troppo d'accordo con il risparmio
idrico, ma se questo fosse stato tenuto nella giusta considerazione a suo
tempo, forse la privatizzazione non sarebbe apparsa un'idea tanto buona.
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Da pagina 150
I disastri prodotti dalla concentrazione della produzione agricola sulle
colture da reddito per l'esportazione voluta dall'alto non si esauriscono
con le frustrazioni finanziarie. Ovunque nel mondo i contadini si sono
basati sulla coltivazione di prodotti di sussistenza per il consumo locale
adattando le loro tecniche alla disponibilita' d'acqua e di fertilizzanti.
Ben diversamente, le piu' importanti colture da esportazione non solo
richiedono superiori apporti nutritivi (con il ricorso a costosi prodotti
agro-chimici di importazione, che a loro volta possono provocare
l'inquinamento delle falde idriche), ma anche quantitativi d'acqua superiori
a quelli delle coltivazioni alimentari locali. Per secoli, la richiesta di
cotone da parte dei Paesi piu' ricchi ha prodotto disastri umani. Nelle
parole dei redattori della rivista "The Ecologist": "Le ripercussioni del
commercio del cotone sono state catastrofiche e hanno colpito popolazioni
praticamente di ogni colore e clima. Negli Stati Uniti, circa 90.000 indiani
Cherokee sono stati scacciati dalle loro terre per far posto alle
piantagioni di cotone, e 30.000 di essi sono morti nella famosa marcia verso
ovest. Il periodo tra il 1784 e il 1860 ha visto il numero degli schiavi
negli Stati del sud aumentare di otto volte, specificamente per le
piantagioni di cotone, un aumento che e' sfociato nel piu' sanguinoso
conflitto del secolo XIX".
Il processo non riguarda solo la storia passata. Come abbiamo visto, era il
desiderio di produrre piu' cotone che stava dietro ai tentativi di
imbrigliare il Nilo, scatenando infiniti problemi politici e sociali per
l'Egitto e gli Stati confinanti. E lo stesso vale per la distruzione del
lago d'Aral, risultato della politica dell'ex-Unione Sovietica. "The
Ecologist" riporta la storia ai giorni nostri: "Durante il terzo Piano
quinquennale dell'Etiopia, il 60 per cento dei terreni messi a coltura nella
fertile valle di Awash e' stato dedicato alla produzione di cotone. I
pastori Afar del luogo sono stati allontanati dai loro pascoli tradizionali
e spinti verso i fragili territori piu' in alto, contribuendo a quella
deforestazione che in parte e' responsabile della crisi ecologica
dell'Etiopia".
Le fortune ammassate per secoli dall'industria cotoniera mai, in alcun
continente, sono andate a beneficio di chi e' stato impiegate per piantare,
curare e raccogliere il cotone, uomini donne e bambini cui l'acqua e' stata
sottratta per irrigare la coltura. Contadini di sussistenza e pastori sono
spinti via per far posto alle necessita' di uno stracolmo mercato mondiale.
Joan Davidson riporta l'esperienza di altri Paesi africani, come Burkina
Faso, Ciad e Mali: "Nella parte del Mali detta Koutiala, lo sviluppo della
produzione cotoniera ha accelerato i problemi di degrado ambientale, con
l'abbattimento di aree boscate e la progressiva occupazione di terreni prima
usati per le colture alimentari. Il risultato di una simile pressione sulle
risorse naturali e' stata la scarsita' di terra per i piccoli agricoltori e
quindi il collasso del sistema agricolo tradizionale basato sul riposo
periodico dei terreni. A causa del disboscamento, c'e' poca legna da ardere
e gli abitanti dei villaggi devono usare come combustibile deiezioni bovine
e stocchi di cotone, che altrimenti potrebbero essere impiegati per
ripristinare la fertilita' del suolo in un'area gia' vulnerabile per la
siccita' e l'erosione".
L'imperialismo vecchia maniera e' morto, ma e' stato sostituito da un ben
piu' efficiente imperialismo economico, che obbliga i Paesi poveri a
distruggere la loro precaria economia e il loro ambiente a beneficio
dell'economia consumistica del mondo industrializzato. L'acqua che potrebbe
essere gestita in modo da garantire la vita locale viene dissipata a favore
dell'esportazione, in un mercato altamente competitivo, o dell'industria
turistica. E come sempre le vittime dell'economia del mercato globale sono
le popolazioni locali, private della loro dotazione di acqua per l'esclusivo
vantaggio di estranei lontani. A organizzazioni solidaristiche non ufficiali
come Oxfam e' lasciato il compito di ribadire il principio elementare
secondo cui l'acqua deve essere usata per le necessita' umane, magari poca
per tutti, ma non tutta per pochi.
*
Da pagina 158
Un quarto di secolo dopo, lo scenario e' cambiato. Non solo le industrie di
approvvigionamento idrico e scarico sono state privatizzate, ma adesso e'
anche presente una lobby ambientalista che si preoccupa degli aspetti
economici dell'approvvigionamento idrico e dei problemi ecologici connessi
con lo smaltimento degli scarichi fognari. E siamo tutti diventati
consapevoli del fatto assurdo che il 32 per cento dell'impiego domestico di
un prodotto sottoposto a costosa depurazione e' per lo scarico dei
gabinetti.
Un altro cambiamento deriva dall'impegno del governo britannico a
conformarsi agli standard stabiliti dagli accordi internazionali. L'Unione
Europea, quando ancora si chiamava Comunita' Europea, ha emesso una lunga
serie di standard idrici che sono serviti soprattutto a fornire argomenti
per le campagne delle organizzazioni non ufficiali. Ad esempio, ha emesso
direttive sulla qualita' delle acque di balneazione, dal punto di vista
fisico, chimico e microbiologico, in base alle quali la Marine Conservation
Society e la Coastal Anti-Pollution League pubblicano una loro "Guida alle
buone spiagge", mentre il Tidy Britain Group gestisce il sistema di
valutazione "Bandiera azzurra". I tentativi del governo britannico di
diluire l'efficacia di queste valutazioni vengono definiti da David
Kinnersley, un'autorita' in materia di qualita' idrica, come "clamorose
mistificazioni".
Un effetto salutare simile hanno avuto le direttive europee in materia di
controllo dell'inquinamento fluviale e qualita' dell'acqua potabile.
Kinnersley nota l'ironia del fatto che, da quando l'acqua di rete e' stata
sottoposta a controlli analitici indipendenti, "gli inglesi si sono rivolti
al consumo di acqua in bottiglia in misura difficilmente immaginabile prima.
Quest'acqua viene acquistata nei supermarket a un prezzo per litro piu' di
mille volte superiore a quello dell'acqua di rubinetto". E' stato anche
detto, nel 1996, che alberghi e ristoranti vendono acqua imbottigliata
prodotta semplicemente filtrando la normale acqua di rete, con un profitto
superiore al 1000 per cento. Sono le follie di una societa' ricca, dove
nessuno si preoccupa di separare l'acqua da bere da quella usata per gli
scarichi igienici o per lavare la macchina. Reti idriche separate sono di
improbabile realizzazione, ma molto si potrebbe fare anche solo riducendo la
quantita' complessivamente consumata e usando meno acqua per lo scarico dei
gabinetti.
*
Da pagina 160
La situazione britannica e' meno clamorosa, ma anche qui e' ovvia la scarsa
volonta' di applicare "tecniche di risanamento". L'ente di controllo
dell'industria idrica, l'Ofwat, nel novembre 1995 ha appurato che "quasi un
quarto dell'acqua teoricamente potabile dell'Inghilterra e del Galles e' al
di sopra dei limiti per il contenuto in pesticidi". Ed esiste anche una
lunga serie di rapporti che dimostra come l'aumento delle tariffe venga
giustificato con la necessita' di ridurre l'inquinamento, mentre poi non
viene fatto alcunche' al riguardo. Ad esempio, nel 1993 e' stato scritto che
"le compagnie idriche ingannano i consumatori perche' li costringono a
pagare per il disinquinamento dei pesticidi, mentre i responsabili sono gli
agricoltori e l'industria chimica". Due anni piu' tardi, un documento
governativo riservato filtrato all'esterno ha rivelato che "gli impianti di
trattamento per disinquinare spiagge e corsi fluviali sono stati posticipati
nonostante un incremento delle tariffe apparentemente finalizzato a pagare
quegli impianti".
Le direttive europee sulla qualita' delle spiagge sono state disattese
poiche' il governo britannico ha sostenuto che la definizione di spiaggia
"deve essere applicata solo a luoghi dove almeno 500 bagnanti siano
effettivamente presenti in acqua, o dove siano piu' di 1.500 per miglio
lineare di spiaggia". Tale definizione esclude non solo tutte le spiagge
gallesi, ma anche Blackpool, la spiaggia piu' conosciuta di tutta la Gran
Bretagna.
Un'altra direttiva dell'Unione Europea, accettata dal governo britannico nel
1991, stabiliva i limiti di riferimento per lo smaltimento dei reflui urbani
nei corsi d'acqua superficiali. Una scappatoia nel testo della direttiva
imponeva limiti meno severi per le "aree a elevata dispersione naturale",
cioe' dove il mare potrebbe allontanare rapidamente gli scarichi. Nel 1994
il ministro per l'ambiente, John Gummer, ha realizzato "una bizzarra
manipolazione geografica per consentire alla privatizzata Yorkshire Water
Company di evitare l'obbligo di costruire un nuovo impianto da 100 milioni
di sterline per il trattamento degli scarichi inquinanti [di Hull]". Costui
ha dichiarato mare aperto piu' di 30 miglia [48 chilometri] del fiume
Humber, cosicche' potesse continuare a ricevere gli scarichi fognari non
trattati della citta' di Hull. L'inghippo e' stato ripetuto adottando un
provvedimento simile per Bristol e il fiume Severn. In entrambe le citta'
l'amministrazione civica ha fatto opposizione e nel 1996 l'Alta Corte ha
stabilito che tale tentativo di evadere la legislazione sull'ambiente era
"illegittimo".
Questa manipolazione governativa della geografia e' esattamente il tipo di
risposta ai tentativi di controllare lo smaltimento dei reflui civili e
industriali che induce le industrie manifatturiere a spostare i loro
impianti dai Paesi ricchi dotati di legislazione ambientale alle nazioni
povere, dove normative simili mancano o non vengono fatte rispettare. Da
questo punto di vista, aveva ragione Jean Robert a dichiarare la nostra
manifesta incapacita' a disattivare la bomba a orologeria epidemiologica ed
ecologica: i leader politici non vogliono accettare le conseguenze delle
leggi che sono stati costretti a promulgare.
Cosi' come le compagnie idriche non intendono affrontare il costo di
impianti e condutture separate per fornire acqua costosamente purificata per
bere e fare da mangiare e acqua meno trattata destinata agli altri usi che
formano la gran parte del consumo domestico e industriale, anche le aziende
che si occupano dello smaltimento dei reflui non sono disposte ad affrontare
i costi per tenere separati quelli civili da quelli industriali.
*
Da pagina 173
Ai britannici viene fatto credere che la Francia sia la nazione piu'
centralizzata dell'Europa, ma un tale dubbio onore e' invece piu' meritato
dalla Gran Bretagna. E' impossibile pensare che una qualunque citta'
britannica possa recuperare la propria capacita' di controllo sulla sua
fornitura idrica, quantomeno nell'attuale clima politico. Ma la disastrosa
conclusione che dobbiamo trarre dal dibattito che ha avuto luogo in Gran
Bretagna e' che la crisi di responsabilita' sociale e' stata ridotta al
problema di "acquistare dove costa di meno". Centocinquant'anni prima del
dibattito parlamentare sull'introduzione della concorrenza nell'industria
idrica, come e' stato sottolineato nel capitolo d'apertura di questo libro,
era evidente che "l'acqua e' indispensabile alla salute e al benessere
dell'umanita' come l'aria che respiriamo, e quando gli esseri umani si
radunano in masse conteggiabili a decine di migliaia, e' essenziale per la
salute pubblica che sia disponibile nella misura piu' abbondante possibile".
Questo antico concetto e' andato perduto tanto nei Paesi ricchi che in
quelli poveri. Le decisioni sulla disponibilita' di acqua potabile sono
prese su basi economiche invece che sociali, tranne i vari casi in cui
intervengono istituzioni non governative ad aiutare gli attivisti locali. Se
e' il meccanismo dei prezzi a determinare la distribuzione dell'acqua, i
ceti poveri muoiono di sete; se e' in base a esso che si stabilisce quali
coltivazioni devono essere irrigate per l'immissione sul mercato, i ceti
poveri muoiono di fame; se e' sempre questo a decidere la convenienza
finanziaria a controllare l'inquinamento, i ceti poveri si avvelenano; e se
sono i prezzi a determinare la disponibilita' idrica per l'igiene personale,
un gran numero di bambini del mondo non industrializzato muore prima dei
cinque anni per malanni banali come la diarrea.
In occasione del discorso tenuto da Christiaan Barnard, pioniere della
chirurgia a cuore aperto, di fronte a migliaia di persone in uno stadio
sudamericano, Ivan Illich ha sottolineato la probabilita' statistica che una
rilevante percentuale degli astanti soffrisse di parassitosi intestinali.
Il problema dell'acqua, un bene limitato ma rinnovabile all'infinito, e' un
problema globale. Esistono grandi soluzioni tecnologiche che generalmente
penalizzano le popolazioni locali e vanno a profitto di imprenditori
stranieri e metropolitani. Il che, a sua volta, acuisce le dispute
internazionali, combattute con armamenti di gran lunga piu' sofisticati
delle semplici tecniche di gestione idrica. Il messaggio di questo libro e'
che se le comunita' umane potessero realmente ottenere il controllo e la
gestione dell'acqua che a loro serve, opererebbero con equita' e senso di
responsabilita', riconoscendo le necessita' di tutti, comprese quelle di
chi, accanto a loro, fa uso della medesima risorsa.
La tragedia della crisi idrica mondiale e' che questo e' l'ultimo approccio
che chi controlla l'economia dell'acqua a livello globale intende prendere
in considerazione. L'uso responsabile dell'acqua non dipende
dall'imposizione di prezzi esorbitanti ai ceti poveri, estromettendoli cosi'
dal mercato, ma dall'accettazione del principio elementare di un equo
accesso per tutti, un concetto che ogni bambino impara fin dall'infanzia
finche' il realismo politico non gli insegna che cio' che conta e' il
potere. Se in una situazione di scarsita' il prezzo dell'acqua venisse
lasciato all'azione del mercato, i ceti poveri morirebbero di malnutrizione
e malattia, come gia' accade in molte parti del mondo, mentre le classi
agiate pagherebbero senza problemi, appunto perche' sono agiate.
*
Da pagina 183
Esiste davvero un parallelismo tra il nostro comune godimento dell'acqua
pubblica, che non appartiene a nessuno ed e' condivisa da tutti, e il nostro
bisogno individuale di acqua domestica idonea e sicura. Mari, fiumi, laghi e
fontane non sono strutture private, anche se puo' esserlo l'accesso a essi.
La pioggia non appartiene a nessuno, ma purificarla e portarla fino alla
nostra cucina o stanza da bagno e' un servizio vitale, per il quale paghiamo
individualmente o collettivamente. L'esperienza dimostra che per il bene
della societa' nel suo complesso ogni famiglia deve avere la sua quota, per
quanto modesto sia il suo contributo economico. Prima che cio' fosse capito,
nel 1844 Elizabeth Stubbs (vedi capitolo I) e' stata multata per aver tratto
acqua dalla bocchetta della Preston Water Company senza contratto che la
autorizzasse a farlo. E' assai deprimente leggere che centocinquant'anni
dopo Rachel e Steve, cui l'acqua era stata tagliata, abbiano dovuto
confessare che "giriamo dietro la casa dei vicini e riempiamo la vasca da
bagno con il loro tubo di gomma per innaffiare, e quella e' l'acqua che
usiamo per lavare, per il gabinetto, per far da mangiare e tutto il resto".
In teoria, sono colpevoli del medesimo reato.
Il fatto che una simile situazione sarebbe stata inconcepibile in una citta'
britannica del XX secolo fino agli anni Ottanta ci rammenta che in Gran
Bretagna i dogmi dell'economia di mercato sono stati assorbiti con la forza
incontenibile di un risveglio religioso. Hanno cambiato il linguaggio di noi
tutti, convertiti o eretici, con il risultato che chi usa l'acqua, come il
passeggero delle ferrovie, viene oggi descritto come "utente". Un
corrispondente del "New Statesman" ci invita, a mio parere correttamente, a
"riconoscere che gli 'studi economici' che attualmente ci vengono proposti
sono il piu' efficace programma di propaganda politica mai intrapreso in
questo Paese". Il medesimo assunto ha dominato per anni la politica delle
istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale, nel loro approccio al problema dell'approvvigionamento
idrico nei Paesi non industrializzati.
A ognuna di queste ondate evangeliche segue una reazione che riconferma gli
antichi valori. E' per questo che nella prefazione ho citato il pensiero di
Richard Titmuss, che mette a confronto il sistema della donazione di sangue
(basato sul senso di solidarieta' e responsabilita' sociale verso gli altri,
membri sconosciuti della societa') e il mercato commerciale del sangue, che
e' risultato essere essenzialmente una redistribuzione dai ceti poveri a
quelli ricchi. E ho suggerito che ci fossero somiglianze, ma anche
differenze, tra la distribuzione di queste due sostanze ugualmente
necessarie alla vita. Nel corso del libro ho anche mostrato che, nel
fondamentale dovere sociale di preservare l'acqua, l'esperienza britannica
indica l'esistenza di un diverso atteggiamento popolare a seconda che questa
sia fornita come bene pubblico o come il risultato di una transazione
commerciale.
Anni prima, Titmuss sosteneva che "e' probabile che nei prossimi
cinquant'anni, in Gran Bretagna, le idee sociali saranno importanti quanto
l'innovazione tecnica". La maggior parte di quei cinquant'anni e' trascorsa,
e tutto quello che abbiamo potuto vedere nel campo delle idee sociali e'
stato cio' che Titmuss condannava come "l'ipocrita resurrezione dell'uomo
economico nella politica sociale".
Eppure, questo libro ha anche dimostrato che in tutto il mondo una varieta'
di societa' umane ha messo a punto sofisticati sistemi di distribuzione
idrica che combinano la conservazione dell'acqua con un automatico rispetto
per l'equita' e la reciprocita'. Il problema idrico non e' un problema di
natura tecnica, ma una crisi di responsabilita' sociale.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 341 del 13 giugno 2009

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