La domenica della nonviolenza. 219



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 219 del 7 giugno 2009

In questo numero:
1. Raniero La Valle: Una nuova possibilita'
2. Barack Obama: Discorso del 4 giugno 2009 all'Universita' del Cairo

1. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: UNA NUOVA POSSIBILITA'
[Ringraziamo Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscali.it) per
l'invio del testo integrale del discorso di Barack Obama al Cairo, e per
questo intervento di presentazione]

Cari amici,
vi invio il testo integrale del discorso di ieri 4 giugno di Obama al Cairo
(quello pubblicato su "Repubblica" non e' integrale), perche' lo ritengo un
documento fondativo di una nuova possibilita' per la politica, per le
relazioni internazionali, per l'Europa e anche per la sinistra cristiana. E'
un discorso che cerca di misurarsi con la verita', e di dire sui tetti cio'
che spesso e' detto in segreto. Percio' e' un documento di alta cultura e
anche, mi sembra, una rara se non unica enunciazione di una politica - di
una grande potenza - non piu' nel solco machiavelliano. Un discorso non
machiavellico, per una politica non finalizzata al potere del Principe. Una
pagina nuova anche nel rapporto tra Islam e Occidente, alternativo allo
scontro di civilta'; e un totale rovesciamento della funesta "strategia
della sicurezza nazionale americana" di Bush, che esplicitamente rivendicava
un imperio mondiale e la riduzione di tutto il XXI secolo a un nuovo "secolo
americano"; una politica contro la quale per tanti anni abbiamo lottato, e
che ha prodotto immensi dolori.

2. DOCUMENTI. BARACK OBAMA: DISCORSO DEL 4 GIUGNO 2009 ALL'UNIVERSITA' DEL
CAIRO
[Riportiamo il testo integrale del discorso tenuto dal presidente degli Usa
Barack Obama il 4 giugno 2009 all'Universita' del Cairo. La traduzione e' di
Anna Bissanti. E ovvio che esso contiene anche molte opinioni non
condivisibili, ma contiene altresi' - ed e' quel che piu' conta - molte
affermazioni e proposte d'impegno condivisibili, e su cui comunque
riflettere (p. s.)]

Sono onorato di trovarmi qui al Cairo, in questa citta' eterna, e di essere
ospite di due importantissime istituzioni. Da oltre mille anni Al-Azhar
rappresenta il faro della cultura islamica e da oltre un secolo
l'Universita' del Cairo e' la culla del progresso dell'Egitto. Insieme,
queste due istituzioni rappresentano il connubio di tradizione e progresso.
Sono grato di questa ospitalita' e dell'accoglienza che il popolo egiziano
mi ha riservato. Sono altresi' orgoglioso di portare con me in questo
viaggio le buone intenzioni del popolo americano, e di portarvi il saluto di
pace delle comunita' musulmane del mio Paese: assalaamu alaykum.
*
Ci incontriamo qui in un periodo di forte tensione tra gli Stati Uniti e i
musulmani in tutto il mondo, tensione che ha le sue radici nelle forze
storiche che prescindono da qualsiasi attuale dibattito politico. Il
rapporto tra Islam e Occidente ha alle spalle secoli di coesistenza e
cooperazione, ma anche di conflitto e di guerre di religione. In tempi piu'
recenti, questa tensione e' stata alimentata dal colonialismo, che ha negato
diritti e opportunita' a molti musulmani, e da una Guerra fredda nella quale
i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come Paesi
che agivano per procura, senza tener conto delle loro legittime aspirazioni.
Oltretutto, i cambiamenti radicali prodotti dal processo di modernizzazione
e dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare
l'Occidente ostile nei confronti delle tradizioni dell'Islam.
Violenti estremisti hanno saputo sfruttare queste tensioni in una minoranza,
esigua ma forte, di musulmani. Gli attentati dell'11 settembre 2001 e gli
sforzi continui di questi estremisti volti a perpetrare atti di violenza
contro civili inermi hanno di conseguenza indotto alcune persone nel mio
Paese a considerare l'Islam come inevitabilmente ostile non soltanto nei
confronti dell'America e dei Paesi occidentali in genere, ma anche dei
diritti umani. Tutto cio' ha comportato maggiori paure, maggiori diffidenze.
Fino a quando i nostri rapporti saranno definiti dalle nostre differenze,
daremo maggior potere a coloro che perseguono l'odio invece della pace,
coloro che si adoperano per lo scontro invece che per la collaborazione che
potrebbe aiutare tutti i nostri popoli a ottenere giustizia e a raggiungere
il benessere. Adesso occorre porre fine a questo circolo vizioso di sospetti
e discordia.
*
Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati
Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l'inizio di un rapporto che si basi
sull'interesse reciproco e sul mutuo rispetto; un rapporto che si basi su
una verita' precisa, ovvero che America e Islam non si escludono a vicenda,
non devono necessariamente essere in competizione tra loro. Al contrario,
America e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il
senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignita' dell'uomo.
Sono qui consapevole che questo cambiamento non potra' avvenire nell'arco di
una sola notte. Nessun discorso o proclama potra' mai sradicare
completamente una diffidenza pluriennale. Ne' io saro' in grado, nel tempo
che ho a disposizione, di porre rimedio e dare soluzione a tutte le
complesse questioni che ci hanno condotti a questo punto. Sono pero'
convinto che per poter andare avanti dobbiamo dire apertamente cio' che
abbiamo nel cuore, e che troppo spesso viene detto soltanto a porte chiuse.
Dobbiamo promuovere uno sforzo sostenuto nel tempo per ascoltarci, per
imparare l'uno dall'altro, per rispettarci, per cercare un terreno comune di
intesa. Il Sacro Corano dice: "Siate consapevoli di Dio e dite sempre la
verita'". Questo e' quanto cerchero' di fare: dire la verita' nel miglior
modo possibile, con un atteggiamento umile per l'importante compito che devo
affrontare, fermamente convinto che gli interessi che condividiamo in quanto
appartenenti a un unico genere umano siano molto piu' potenti ed efficaci
delle forze che ci allontanano in direzioni opposte.
In parte le mie convinzioni si basano sulla mia stessa esperienza: sono
cristiano, ma mio padre era originario di una famiglia del Kenya della quale
hanno fatto parte generazioni intere di musulmani. Da bambino ho trascorso
svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del sole e al calare
delle tenebre la chiamata dell'azaan. Quando ero ragazzo, ho prestato
servizio nelle comunita' di Chicago presso le quali molti trovavano dignita'
e pace nella loro fede musulmana.
Ho studiato la storia e ho imparato quanto la civilta' sia debitrice nei
confronti dell'Islam. Fu l'Islam infatti - in istituzioni come l'Universita'
Al-Azhar - a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, preparando
la strada al Rinascimento europeo e all'Illuminismo. Fu l'innovazione presso
le comunita' musulmane a sviluppare scienze come l'algebra, a inventare la
bussola magnetica, vari strumenti per la navigazione; a far progredire la
maestria nello scrivere e nella stampa; la nostra comprensione di come si
diffondono le malattie e come e' possibile curarle. La cultura islamica ci
ha regalato maestosi archi e cuspidi elevate; poesia immortale e musica
eccelsa; calligrafia elegante e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il
corso della sua storia, l'Islam ha dimostrato con le parole e le azioni la
possibilita' di praticare la tolleranza religiosa e l'eguaglianza tra le
razze.
So anche che l'Islam ha avuto una parte importante nella storia americana.
La prima nazione a riconoscere il mio Paese e' stato il Marocco. Firmando il
Trattato di Tripoli nel 1796, il nostro secondo presidente, John Adams,
scrisse: "Gli Stati Uniti non hanno a priori alcun motivo di inimicizia nei
confronti delle leggi, della religione o dell'ordine dei musulmani". Sin
dalla fondazione degli Stati Uniti, i musulmani americani hanno arricchito
il mio Paese: hanno combattuto nelle nostre guerre, hanno prestato servizio
al governo, si sono battuti per i diritti civili, hanno avviato aziende e
attivita', hanno insegnato nelle nostre universita', hanno eccelso in
molteplici sport, hanno vinto premi Nobel, hanno costruito i nostri edifici
piu' alti e acceso la torcia olimpica. E quando di recente il primo
musulmano americano e' stato eletto come rappresentante al Congresso degli
Stati Uniti, egli ha giurato di difendere la nostra Costituzione utilizzando
lo stesso Sacro Corano che uno dei nostri Padri Fondatori - Thomas
Jefferson - custodiva nella sua biblioteca personale.
Ho pertanto conosciuto l'Islam in tre continenti, prima di venire in questa
regione nella quale esso fu rivelato agli uomini per la prima volta. Questa
esperienza illumina e guida la mia convinzione che una partnership tra
America e Islam debba basarsi su cio' che l'Islam e', non su cio' che non
e'. Ritengo che rientri negli obblighi e nelle mie responsabilita' di
presidente degli Stati Uniti lottare contro qualsiasi stereotipo negativo
dell'Islam, ovunque esso possa affiorare.
*
Ma questo medesimo principio deve applicarsi alla percezione dell'America da
parte dei musulmani. Proprio come i musulmani non ricadono in un
approssimativo e grossolano stereotipo, cosi' l'America non corrisponde a
quell'approssimativo e grossolano stereotipo di un impero interessato al suo
solo tornaconto. Gli Stati Uniti sono stati una delle piu' importanti culle
del progresso che il mondo abbia mai conosciuto. Sono nati dalla rivoluzione
contro un impero. Sono stati fondati sull'ideale che tutti gli esseri umani
nascono uguali e per dare significato a queste parole essi hanno versato
sangue e lottato per secoli, fuori dai loro confini, in ogni parte del
mondo. Sono stati plasmati da ogni cultura, proveniente da ogni remoto
angolo della Terra, e si ispirano a un unico ideale: E pluribus unum. "Da
molti, uno solo".
Si sono dette molte cose e si e' speculato alquanto sul fatto che un
afroamericano di nome Barack Hussein Obama potesse essere eletto presidente,
ma la mia storia personale non e' cosi' unica come sembra. Il sogno della
realizzazione personale non si e' concretizzato per tutti in America, ma
quel sogno, quella promessa, e' tuttora valido per chiunque approdi alle
nostre sponde, e cio' vale anche per quasi sette milioni di musulmani
americani che oggi nel nostro Paese godono di istruzione e stipendi piu'
alti della media.
E ancora: la liberta' in America e' tutt'uno con la liberta' di professare
la propria religione. Ecco perche' in ogni Stato americano c'e' almeno una
moschea, e complessivamente se ne contano oltre 1.200 all'interno dei nostri
confini. Ecco perche' il governo degli Stati Uniti si e' rivolto ai
tribunali per tutelare il diritto delle donne e delle giovani ragazze a
indossare l'hijab e a punire coloro che vorrebbero impedirglielo.
Non c'e' dubbio alcuno, pertanto: l'Islam e' parte integrante dell'America.
E io credo che l'America custodisca al proprio interno la verita' che,
indipendentemente da razza, religione, posizione sociale nella propria vita,
tutti noi condividiamo aspirazioni comuni, come quella di vivere in pace e
sicurezza, quella di volerci istruire e avere un lavoro dignitoso, quella di
amare le nostre famiglie, le nostre comunita' e il nostro Dio. Queste sono
le cose che abbiamo in comune. Queste sono le speranze e le ambizioni di
tutto il genere umano.
*
Naturalmente, riconoscere la nostra comune appartenenza a un unico genere
umano e' soltanto l'inizio del nostro compito: le parole da sole non possono
dare risposte concrete ai bisogni dei nostri popoli. Questi bisogni potranno
essere soddisfatti soltanto se negli anni a venire sapremo agire con
audacia, se capiremo che le sfide che dovremo affrontare sono le medesime e
che se falliremo e non riusciremo ad avere la meglio su di esse ne subiremo
tutti le conseguenze.
Abbiamo infatti appreso di recente che quando un sistema finanziario si
indebolisce in un Paese, e' la prosperita' di tutti a patirne. Quando una
nuova malattia infetta un essere umano, tutti sono a rischio. Quando una naz
ione vuole dotarsi di un'arma nucleare, il rischio di attacchi nucleari
aumenta per tutte le nazioni. Quando violenti estremisti operano in una
remota zona di montagna, i popoli sono a rischio anche al di la' degli
oceani. E quando innocenti inermi sono massacrati in Bosnia e in Darfur, e'
la coscienza di tutti a uscirne macchiata e infangata. Ecco che cosa
significa nel XXI secolo abitare uno stesso pianeta: questa e' la
responsabilita' che ciascuno di noi ha in quanto essere umano.
Si tratta sicuramente di una responsabilita' ardua di cui farsi carico. La
storia umana e' spesso stata un susseguirsi di nazioni e di tribu' che si
assoggettavano l'un l'altra per servire i loro interessi. Nondimeno, in
questa nuova epoca, un simile atteggiamento sarebbe autodistruttivo.
Considerato quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri, qualsiasi
ordine mondiale che dovesse elevare una nazione o un gruppo di individui al
di sopra degli altri sarebbe inevitabilmente destinato all'insuccesso.
Indipendentemente da tutto cio' che pensiamo del passato, non dobbiamo
esserne prigionieri. I nostri problemi devono essere affrontati
collaborando, diventando partner, condividendo tutti insieme il progresso.
Cio' non significa che dovremmo ignorare i motivi di tensione. Significa
anzi esattamente il contrario: dobbiamo far fronte a queste tensioni senza
indugio e con determinazione. Ed e' quindi con questo spirito che vi chiedo
di potervi parlare quanto piu' chiaramente e semplicemente mi sara'
possibile di alcune questioni particolari che credo fermamente che dovremo
in definitiva affrontare insieme.
*
Il primo problema che dobbiamo affrontare insieme e' la violenza estremista
in tutte le sue forme. Ad Ankara ho detto chiaramente che l'America non e' -
e non sara' mai - in guerra con l'Islam. In ogni caso, pero', noi non daremo
mai tregua agli estremisti violenti che costituiscono una grave minaccia per
la nostra sicurezza. E questo perche' anche noi disapproviamo cio' che le
persone di tutte le confessioni religiose disapprovano: l'uccisione di
uomini, donne e bambini innocenti. Il mio primo dovere in quanto presidente
e' quello di proteggere il popolo americano.
La situazione in Afghanistan dimostra quali siano gli obiettivi
dell'America, e la nostra necessita' di lavorare insieme. Oltre sette anni
fa gli Stati Uniti dettero la caccia ad Al Qaeda e ai Taliban con un vasto
sostegno internazionale. Non andammo per scelta, ma per necessita'. Sono
consapevole che alcuni mettono in dubbio o giustificano gli eventi dell'11
settembre. Cerchiamo pero' di essere chiari: quel giorno Al Qaeda uccise
circa 3.000 persone. Le vittime furono uomini, donne, bambini innocenti,
americani e di molte altre nazioni, che non avevano commesso nulla di male
nei confronti di nessuno. Eppure Al Qaeda scelse deliberatamente di
massacrare quelle persone, rivendicando gli attentati, e ancora adesso
proclama la propria intenzione di continuare a perpetrare stragi di massa.
Al Qaeda ha affiliati in molti Paesi e sta cercando di espandere il proprio
raggio di azione. Queste non sono opinioni sulle quali polemizzare: sono
dati di fatto da affrontare concretamente.
Non lasciatevi trarre in errore: noi non vogliamo che le nostre truppe
restino in Afghanistan. Non abbiamo intenzione di impiantarvi basi militari
stabili. E' lacerante per l'America continuare a perdere giovani uomini e
giovani donne. Portare avanti quel conflitto e' difficile, oneroso e
politicamente arduo. Saremmo ben lieti di riportare a casa anche l'ultimo
dei nostri soldati se solo potessimo essere fiduciosi che in Afghanistan e
in Pakistan non ci sono estremisti violenti che si prefiggono di massacrare
quanti piu' americani possibile. Ma non e' ancora cosi'.
Questo e' il motivo per cui siamo parte di una coalizione di 46 Paesi.
Malgrado le spese e gli oneri che cio' comporta, l'impegno dell'America non
e' mai venuto e mai verra' meno. In realta', nessuno di noi dovrebbe
tollerare questi estremisti: essi hanno colpito e ucciso in molti Paesi.
Hanno assassinato persone di ogni fede religiosa. Piu' di altri, hanno
massacrato musulmani. Le loro azioni sono inconciliabili con i diritti
umani, il progresso delle nazioni, l'Islam stesso.
Il Sacro Corano predica che chiunque uccida un innocente e' come se
uccidesse tutto il genere umano. E chiunque salva un solo individuo, in
realta' salva tutto il genere umano. La fede profonda di oltre un miliardo
di persone e' infinitamente piu' forte del miserabile odio che nutrono
alcuni. L'Islam non e' parte del problema nella lotta all'estremismo
violento: e' anzi una parte importante nella promozione della pace.
Sappiamo anche che la sola potenza militare non risolvera' i problemi in
Afghanistan e in Pakistan: per questo motivo stiamo pianificando di
investire fino a 1,5 miliardi di dollari l'anno per i prossimi cinque anni
per aiutare i pachistani a costruire scuole e ospedali, strade e aziende, e
centinaia di milioni di dollari per aiutare gli sfollati. Per questo stesso
motivo stiamo per offrire 2,8 miliardi di dollari agli afgani per fare
altrettanto, affinche' sviluppino la loro economia e assicurino i servizi di
base dai quali dipende la popolazione.
*
Permettetemi ora di affrontare la questione dell'Iraq: a differenza di
quella in Afghanistan, la guerra in Iraq e' stata voluta, ed e' una scelta
che ha provocato molti forti dissidi nel mio Paese e in tutto il mondo.
Anche se sono convinto che in definitiva il popolo iracheno oggi viva molto
meglio senza la tirannia di Saddam Hussein, credo anche che quanto accaduto
in Iraq sia servito all'America per comprendere meglio l'uso delle risorse
diplomatiche e l'utilita' di un consenso internazionale per risolvere,
ogniqualvolta cio' sia possibile, i nostri problemi. A questo proposito
potrei citare le parole di Thomas Jefferson che disse: "Io auspico che la
nostra saggezza cresca in misura proporzionale alla nostra potenza e ci
insegni che quanto meno faremo ricorso alla potenza tanto piu' saggi
saremo".
Oggi l'America ha una duplice responsabilita': aiutare l'Iraq a plasmare un
miglior futuro per se stesso e lasciare l'Iraq agli iracheni. Ho gia' detto
chiaramente al popolo iracheno che l'America non intende avere alcuna base
sul territorio iracheno, e non ha alcuna pretesa o rivendicazione sul suo
territorio o sulle sue risorse. La sovranita' dell'Iraq e' esclusivamente
sua. Per questo ho dato ordine alle nostre brigate combattenti di ritirarsi
entro il prossimo mese di agosto. Noi onoreremo la nostra promessa e
l'accordo preso con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare
il contingente combattente dalle citta' irachene entro luglio e tutti i
nostri uomini dall'Iraq entro il 2012. Aiuteremo l'Iraq ad addestrare gli
uomini delle sue forze di sicurezza, e a sviluppare la sua economia. Ma
daremo sostegno a un Iraq sicuro e unito da partner, non da dominatori.
*
E infine, proprio come l'America non puo' tollerare in alcun modo la
violenza perpetrata dagli estremisti, essa non puo' in alcun modo abiurare
ai propri principi. L'11 settembre e' stato un trauma immenso per il nostro
Paese. La paura e la rabbia che quegli attentati hanno scatenato sono state
comprensibili, ma in alcuni casi ci hanno spinto ad agire in modo contrario
ai nostri stessi ideali. Ci stiamo adoperando concretamente per cambiare
linea d'azione. Ho personalmente proibito in modo inequivocabile il ricorso
alla tortura da parte degli Stati Uniti, e ho dato l'ordine che il carcere
di Guantanamo Bay sia chiuso entro i primi mesi dell'anno venturo.
L'America, in definitiva, si difendera' rispettando la sovranita' altrui e
la legalita' delle altre nazioni. Lo fara' in partenariato con le comunita'
musulmane, anch'esse minacciate. Quanto prima gli estremisti saranno isolati
e si sentiranno respinti dalle comunita' musulmane, tanto prima saremo tutti
piu' al sicuro.
*
La seconda piu' importante causa di tensione della quale dobbiamo discutere
e' la situazione tra israeliani, palestinesi e mondo arabo. Sono ben noti i
solidi rapporti che legano Israele e Stati Uniti. Si tratta di un vincolo
infrangibile, che ha radici in legami culturali che risalgono indietro nel
tempo, nel riconoscimento che l'aspirazione a una patria ebraica e'
legittimo e ha anch'esso radici in una storia tragica, innegabile.
Nel mondo il popolo ebraico e' stato perseguitato per secoli e
l'antisemitismo in Europa e' culminato nell'Olocausto, uno sterminio senza
precedenti. Domani mi rechero' a Buchenwald, uno dei molti campi nei quali
gli ebrei furono resi schiavi, torturati, uccisi a colpi di arma da fuoco o
con il gas dal Terzo Reich. Sei milioni di ebrei furono cosi' massacrati, un
numero superiore all'intera popolazione odierna di Israele.
Confutare questa realta' e' immotivato, da ignoranti, alimenta l'odio.
Minacciare Israele di distruzione - o ripetere vili stereotipi sugli ebrei -
e' profondamente sbagliato, e serve soltanto a evocare nella mente degli
israeliani il ricordo piu' doloroso della loro storia, precludendo la pace
che il popolo di quella regione merita.
D'altra parte e' innegabile che il popolo palestinese - formato da cristiani
e musulmani - ha sofferto anch'esso nel tentativo di avere una propria
patria. Da oltre 60 anni affronta tutto cio' che di doloroso e' connesso
all'essere sfollati. Molti vivono nell'attesa, nei campi profughi della
Cisgiordania, di Gaza, dei Paesi vicini, aspettando una vita fatta di pace e
sicurezza che non hanno mai potuto assaporare finora. Giorno dopo giorno i
palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si
accompagnano all'occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa:
la situazione per il popolo palestinese e' insostenibile. L'America non
voltera' le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla
dignita', alle pari opportunita', a uno Stato proprio.
Da decenni tutto e' fermo, in uno stallo senza soluzione: due popoli con
legittime aspirazioni, ciascuno con una storia dolorosa alle spalle che
rende il compromesso quanto mai difficile da raggiungere. E' facile puntare
il dito: e' facile per i palestinesi addossare alla fondazione di Israele la
colpa del loro essere profughi. E' facile per gli israeliani addossare la
colpa alla costante ostilita' e agli attentati che hanno costellato tutta la
loro storia all'interno dei confini e oltre. Ma se noi insisteremo a voler
considerare questo conflitto da una parte piuttosto che dall'altra,
rimarremo ciechi e non riusciremo a vedere la verita': l'unica soluzione
possibile per le aspirazioni di entrambe le parti e' quella dei due Stati,
dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e in sicurezza.
Questa soluzione e' nell'interesse di Israele, nell'interesse della
Palestina, nell'interesse dell'America e nell'interesse del mondo intero. E'
a cio' che io alludo espressamente quando dico di voler perseguire
personalmente questo risultato con tutta la pazienza e l'impegno che questo
importante obiettivo richiede. Gli obblighi per le parti che hanno
sottoscritto la Road Map sono chiari e inequivocabili. Per arrivare alla
pace, e' necessario ed e' ora che loro - e noi tutti con loro - facciamo
finalmente fronte alle rispettive responsabilita'.
I palestinesi devono abbandonare la violenza. Resistere con la violenza e le
stragi e' sbagliato e non porta ad alcun risultato. Per secoli i neri in
America hanno subito i colpi di frusta, quando erano schiavi, e hanno patito
l'umiliazione della segregazione. Ma non e' stata certo la violenza a far
loro ottenere pieni ed eguali diritti come il resto della popolazione: e'
stata la pacifica e determinata insistenza sugli ideali al cuore della
fondazione dell'America. La stessa cosa vale per altri popoli, dal Sudafrica
all'Asia meridionale, dall'Europa dell'Est all'Indonesia. Questa storia ha
un'unica semplice verita' di fondo: la violenza e' una strada senza vie di
uscita. Tirare razzi a bambini addormentati o far saltare in aria anziane
donne a bordo di un autobus non e' segno di coraggio ne' di forza. Non e' in
questo modo che si afferma l'autorita' morale: questo e' il modo col quale
l'autorita' morale al contrario cede e capitola definitivamente.
E' giunto il momento per i palestinesi di concentrarsi su quello che possono
costruire. L'Autorita' Palestinese deve sviluppare la capacita' di
governare, con istituzioni che siano effettivamente al servizio delle
necessita' della sua gente. Hamas gode di sostegno tra alcuni palestinesi,
ma ha anche delle responsabilita'. Per rivestire un ruolo determinante nelle
aspirazioni dei palestinesi, per unire il popolo palestinese, Hamas deve
porre fine alla violenza, deve riconoscere gli accordi intercorsi, deve
riconoscere il diritto di Israele a esistere.
Allo stesso tempo, gli israeliani devono riconoscere che proprio come il
diritto a esistere di Israele non puo' essere in alcun modo messo in
discussione, cosi' e' per la Palestina. Gli Stati Uniti non ammettono la
legittimita' dei continui insediamenti israeliani, che violano i precedenti
accordi e minano gli sforzi volti a perseguire la pace. E' ora che questi
insediamenti si fermino.
Israele deve dimostrare di mantenere le proprie promesse e assicurare che i
palestinesi possano effettivamente vivere, lavorare, sviluppare la loro
societa'. Proprio come devasta le famiglie palestinesi, l'incessante crisi
umanitaria a Gaza non e' di giovamento alcuno alla sicurezza di Israele. Ne'
e' di giovamento per alcuno la costante mancanza di opportunita' di
qualsiasi genere in Cisgiordania. Il progresso nella vita quotidiana del
popolo palestinese deve essere parte integrante della strada verso la pace e
Israele deve intraprendere i passi necessari a rendere possibile questo
progresso.
Infine, gli Stati arabi devono riconoscere che l'Arab Peace Initiative e'
stato si' un inizio importante, ma che non pone fine alle loro
responsabilita' individuali. Il conflitto israelo-palestinese non dovrebbe
piu' essere sfruttato per distogliere l'attenzione dei popoli delle nazioni
arabe da altri problemi. Esso, al contrario, deve essere di incitamento ad
agire per aiutare il popolo palestinese a sviluppare le istituzioni che
costituiranno il sostegno e la premessa del loro Stato; per riconoscere la
legittimita' di Israele; per scegliere il progresso invece che l'incessante
e autodistruttiva attenzione per il passato.
L'America allineera' le proprie politiche mettendole in sintonia con coloro
che vogliono la pace e per essa si adoperano, e dira' ufficialmente cio' che
dira' in privato agli israeliani, ai palestinesi e agli arabi. Noi non
possiamo imporre la pace. In forma riservata, tuttavia, molti musulmani
riconoscono che Israele non potra' scomparire. Allo stesso modo, molti
israeliani ammettono che uno Stato palestinese e' necessario. E' dunque
giunto il momento di agire in direzione di cio' che tutti sanno essere vero
e inconfutabile.
Troppe sono le lacrime versate; troppo e' il sangue sparso inutilmente. Noi
tutti condividiamo la responsabilita' di dover lavorare per il giorno in cui
le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere
insieme senza paura; in cui la Terra Santa delle tre grandi religioni
diverra' quel luogo di pace che Dio voleva che fosse; in cui Gerusalemme
sara' la casa sicura ed eterna di ebrei, cristiani e musulmani insieme, la
citta' di pace nella quale tutti i figli di Abramo vivranno insieme in modo
pacifico come nella storia di Isra, allorche' Mose', Gesu' e Muhammad (la
pace sia con loro) si unirono in preghiera.
*
Terza causa di tensione e' il nostro comune interesse nei diritti e nelle
responsabilita' delle nazioni nei confronti delle armi nucleari. Questo
argomento e' stato fonte di grande preoccupazione tra gli Stati Uniti e la
Repubblica islamica iraniana. Da molti anni l'Iran si distingue per la
propria ostilita' nei confronti del mio Paese e in effetti tra i nostri
popoli ci sono stati episodi storici violenti. Nel bel mezzo della Guerra
fredda, gli Stati Uniti hanno avuto parte nel rovesciamento di un governo
iraniano democraticamente eletto. Dalla Rivoluzione islamica, l'Iran ha
rivestito un ruolo preciso nella cattura di ostaggi e in episodi di violenza
contro i soldati e i civili statunitensi. Tutto cio' e' ben noto. Invece di
rimanere intrappolati nel passato, ho detto chiaramente alla leadership
iraniana e al popolo iraniano che il mio Paese e' pronto ad andare avanti.
La questione, adesso, non e' capire contro cosa sia l'Iran, ma piuttosto
quale futuro intenda costruire.
Sara' sicuramente difficile superare decenni di diffidenza, ma procederemo
ugualmente, con coraggio, con onesta' e con determinazione. Ci saranno molti
argomenti dei quali discutere tra i nostri due Paesi, ma noi siamo disposti
ad andare avanti in ogni caso, senza preconcetti, sulla base del rispetto
reciproco. E' chiaro tuttavia a tutte le persone coinvolte che riguardo alle
armi nucleari abbiamo raggiunto un momento decisivo. Non e' unicamente
nell'interesse dell'America affrontare il tema: si tratta qui di evitare una
corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente, che potrebbe portare questa
regione e il mondo intero verso una china molto pericolosa.
Capisco le ragioni di chi protesta perche' alcuni Paesi hanno armi che altri
non hanno. Nessuna nazione dovrebbe scegliere e decidere quali nazioni
debbano avere armi nucleari. E' per questo motivo che io ho ribadito con
forza l'impegno americano a puntare verso un futuro nel quale nessuna
nazione abbia armi nucleari. Tutte le nazioni - Iran incluso - dovrebbero
avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici se rispettano i loro
obblighi e le loro responsabilita' previste dal Trattato di Non
Proliferazione. Questo e' il nocciolo, il cuore stesso del Trattato e deve
essere rispettato da tutti coloro che lo hanno sottoscritto. Spero pertanto
che tutti i Paesi nella regione possano condividere questo obiettivo.
*
Il quarto argomento di cui intendo parlarvi e' la democrazia. Sono
consapevole che negli ultimi anni ci sono state controversie su come vada
incentivata la democrazia e molte di queste discussioni sono riconducibili
alla guerra in Iraq. Permettetemi di essere chiaro: nessun sistema di
governo puo' o deve essere imposto da una nazione a un'altra.
Questo non significa, naturalmente, che il mio impegno in favore di governi
che riflettono il volere dei loro popoli, ne esce diminuito. Ciascuna
nazione da' vita e concretizza questo principio a modo suo, sulla base delle
tradizioni della sua gente. L'America non ha la pretesa di conoscere che
cosa sia meglio per ciascuna nazione, cosi' come noi non presumeremmo mai di
scegliere il risultato in pacifiche consultazioni elettorali. Ma io sono
profondamente e irremovibilmente convinto che tutti i popoli aspirano a
determinate cose: la possibilita' di esprimersi liberamente e decidere in
che modo vogliono essere governati; la fiducia nella legalita' e in un'equa
amministrazione della giustizia; un governo che sia trasparente e non si
approfitti del popolo; la liberta' di vivere come si sceglie di voler
vivere. Questi non sono ideali solo americani: sono diritti umani, ed e' per
questo che noi li sosterremo ovunque.
La strada per realizzare questa promessa non e' rettilinea. Ma una cosa e'
chiara e palese: i governi che proteggono e tutelano i diritti sono in
definitiva i piu' stabili, quelli di maggior successo, i piu' sicuri.
Soffocare gli ideali non e' mai servito a farli sparire per sempre.
L'America rispetta il diritto di tutte le voci pacifiche e rispettose della
legalita' a farsi sentire nel mondo, anche qualora fosse in disaccordo con
esse. E noi accetteremo tutti i governi pacificamente eletti, purche'
governino rispettando i loro stessi popoli.
Quest'ultimo punto e' estremamente importante, perche' ci sono persone che
auspicano la democrazia soltanto quando non sono al potere: poi, una volta
al potere, sono spietati nel sopprimere i diritti altrui. Non importa chi e'
al potere: e' il governo del popolo ed eletto dal popolo a fissare l'unico
parametro per tutti coloro che sono al potere. Occorre restare al potere
solo col consenso, non con la coercizione; occorre rispettare i diritti
delle minoranze e partecipare con uno spirito di tolleranza e di
compromesso; occorre mettere gli interessi del popolo e il legittimo
sviluppo del processo politico al di sopra dei propri interessi e del
proprio partito. Senza questi elementi fondamentali, le elezioni da sole non
creano una vera democrazia.
*
Il quinto argomento del quale dobbiamo occuparci tutti insieme e' la
liberta' religiosa. L'Islam ha una fiera tradizione di tolleranza: lo
vediamo nella storia dell'Andalusia e di Cordoba durante l'Inquisizione. Con
i miei stessi occhi da bambino in Indonesia ho visto che i cristiani erano
liberi di professare la loro fede in un Paese a stragrande maggioranza
musulmana. Questo e' lo spirito che ci serve oggi. I popoli di ogni Paese
devono essere liberi di scegliere e praticare la loro fede sulla sola base
delle loro convinzioni personali, la loro predisposizione mentale, la loro
anima, il loro cuore. Questa tolleranza e' essenziale perche' la religione
possa prosperare, ma purtroppo essa e' minacciata in molteplici modi.
Tra alcuni musulmani predomina un'inquietante tendenza a misurare la propria
fede in misura proporzionale al rigetto delle altre. La ricchezza della
diversita' religiosa deve essere sostenuta, invece, che si tratti dei
maroniti in Libano o dei copti in Egitto. E anche le linee di demarcazione
tra le varie confessioni devono essere annullate tra gli stessi musulmani,
considerato che le divisioni di sunniti e sciiti hanno portato a episodi di
particolare violenza, specialmente in Iraq.
La liberta' di religione e' fondamentale per la capacita' dei popoli di
convivere. Dobbiamo sempre esaminare le modalita' con le quali la
proteggiamo. Per esempio, negli Stati Uniti le norme previste per le
donazioni agli enti di beneficienza hanno reso piu' difficile per i
musulmani ottemperare ai loro obblighi religiosi. Per questo motivo mi sono
impegnato a lavorare con i musulmani americani per far si' che possano
obbedire al loro precetto dello zakat.
Analogamente, e' importante che i Paesi occidentali evitino di impedire ai
cittadini musulmani di praticare la religione come loro ritengono piu'
opportuno, per esempio legiferando quali indumenti debba o non debba
indossare una donna musulmana. Noi non possiamo camuffare l'ostilita' nei
confronti di una religione qualsiasi con la pretesa del liberalismo.
E' vero il contrario: la fede dovrebbe avvicinarci. Ecco perche' stiamo
mettendo a punto dei progetti di servizio in America che vedano coinvolti
insieme cristiani, musulmani ed ebrei. Ecco perche' accogliamo positivamente
gli sforzi come il dialogo interreligioso del re Abdullah dell'Arabia
Saudita e la leadership turca nell'Alliance of Civilizations. In tutto il
mondo, possiamo trasformare il dialogo in un servizio interreligioso, cosi'
che i ponti tra i popoli portino all'azione e a interventi concreti, come
combattere la malaria in Africa o portare aiuto e conforto dopo un disastro
naturale.
*
Il sesto problema di cui vorrei che ci occupassimo insieme sono i diritti
delle donne. So che si discute molto di questo e respingo l'opinione di chi
in Occidente crede che se una donna sceglie di coprirsi la testa e i capelli
e' in qualche modo "meno uguale". So pero' che negare l'istruzione alle
donne equivale sicuramente a privare le donne di uguaglianza. E non e' certo
una coincidenza che i Paesi nei quali le donne possono studiare e sono
istruite hanno maggiori probabilita' di essere prosperi.
Vorrei essere chiaro su questo punto: la questione dell'eguaglianza delle
donne non riguarda in alcun modo l'Islam. In Turchia, in Pakistan, in
Bangladesh e in Indonesia, abbiamo visto Paesi a maggioranza musulmana
eleggere al governo una donna. Nel frattempo la battaglia per la parita' dei
diritti per le donne continua in molti aspetti della vita americana e anche
in altri Paesi di tutto il mondo.
Le nostre figlie possono dare un contributo alle nostre societa' pari a
quello dei nostri figli, e la nostra comune prosperita' trarra' vantaggio e
beneficio consentendo a tutti gli esseri umani - uomini e donne - di
realizzare a pieno il loro potenziale umano. Non credo che una donna debba
prendere le medesime decisioni di un uomo, per essere considerata uguale a
lui, e rispetto le donne che scelgono di vivere le loro vite assolvendo ai
loro ruoli tradizionali. Ma questa dovrebbe essere in ogni caso una loro
scelta. Ecco perche' gli Stati Uniti saranno partner di qualsiasi Paese a
maggioranza musulmana che voglia sostenere il diritto delle bambine ad
accedere all'istruzione, e voglia aiutare le giovani donne a cercare
un'occupazione tramite il microcredito che aiuta tutti a concretizzare i
propri sogni.
*
Infine, vorrei parlare con voi di sviluppo economico e di opportunita'. So
che agli occhi di molti il volto della globalizzazione e' contraddittorio.
Internet e la televisione possono portare conoscenza e informazione, ma
anche forme offensive di sessualita' e di violenza fine a se stessa. I
commerci possono portare ricchezza e opportunita', ma anche grossi problemi
e cambiamenti per le comunita' locali. In tutte le nazioni - compresa la
mia - questo cambiamento implica paura. Paura che a causa della modernita'
noi si possa perdere il controllo sulle nostre scelte economiche, le nostre
politiche, e cosa ancora piu' importante, le nostre identita', ovvero le
cose che ci sono piu' care per cio' che concerne le nostre comunita', le
nostre famiglie, le nostre tradizioni e la nostra religione.
So anche, pero', che il progresso umano non si puo' fermare. Non ci deve
essere contraddizione tra sviluppo e tradizione. In Paesi come Giappone e
Corea del Sud l'economia cresce mentre le tradizioni culturali sono
invariate. Lo stesso vale per lo straordinario progresso di Paesi a
maggioranza musulmana come Kuala Lumpur e Dubai. Nei tempi antichi come ai
nostri giorni, le comunita' musulmane sono sempre state all'avanguardia
nell'innovazione e nell'istruzione.
Quanto ho detto e' importante perche' nessuna strategia di sviluppo puo'
basarsi soltanto su cio' che nasce dalla terra, ne' puo' essere sostenibile
se molti giovani sono disoccupati. Molti Stati del Golfo Persico hanno
conosciuto un'enorme ricchezza dovuta al petrolio, e alcuni stanno iniziando
a programmare seriamente uno sviluppo a piu' ampio raggio. Ma dobbiamo tutti
riconoscere che l'istruzione e l'innovazione saranno la valuta del XXI
secolo, e in troppe comunita' musulmane continuano a esserci investimenti
insufficienti in questi settori. Sto dando grande rilievo a investimenti di
questo tipo nel mio Paese. Mentre l'America in passato si e' concentrata sul
petrolio e sul gas di questa regione del mondo, adesso intende perseguire
qualcosa di completamente diverso.
Dal punto di vista dell'istruzione, allargheremo i nostri programmi di
scambi culturali, aumenteremo le borse di studio, come quella che consenti'
a mio padre di andare a studiare in America, incoraggiando un numero
maggiore di americani a studiare nelle comunita' musulmane. Procureremo agli
studenti musulmani piu' promettenti programmi di internship in America;
investiremo sull'insegnamento a distanza per insegnanti e studenti di tutto
il mondo; creeremo un nuovo network online, cosi' che un adolescente in
Kansas possa scambiare istantaneamente informazioni con un adolescente al
Cairo.
Per quanto concerne lo sviluppo economico, creeremo un nuovo corpo di
volontari aziendali che lavori con i partner in Paesi a maggioranza
musulmana. Organizzero' quest'anno un summit sull'imprenditoria per
identificare in che modo stringere piu' stretti rapporti di collaborazione
con i leader aziendali, le fondazioni, le grandi societa', gli imprenditori
degli Stati Uniti e delle comunita' musulmane sparse nel mondo.
Dal punto di vista della scienza e della tecnologia, lanceremo un nuovo
fondo per sostenere lo sviluppo tecnologico nei Paesi a maggioranza
musulmana, e per aiutare a tradurre in realta' di mercato le idee, cosi' da
creare nuovi posti di lavoro. Apriremo centri di eccellenza scientifica in
Africa, in Medio Oriente e nel Sudest asiatico; nomineremo nuovi inviati per
la scienza per collaborare a programmi che sviluppino nuove fonti di
energia, per creare posti di lavoro "verdi", monitorare i successi, l'acqua
pulita e coltivare nuove specie. Oggi annuncio anche un nuovo sforzo globale
con l'Organizzazione della Conferenza Islamica mirante a sradicare la
poliomielite. Espanderemo inoltre le forme di collaborazione con le
comunita' musulmane per favorire e promuovere la salute infantile e delle
puerpere.
Tutte queste cose devono essere fatte insieme. Gli americani sono pronti a
unirsi ai governi e ai cittadini di tutto il mondo, le organizzazioni
comunitarie, gli esponenti religiosi, le aziende delle comunita' musulmane
di tutto il mondo per permettere ai nostri popoli di vivere una vita
migliore.
*
I problemi che vi ho illustrato non sono facilmente risolvibili, ma abbiamo
tutti la responsabilita' di unirci per il bene e il futuro del mondo che
vogliamo, un mondo nel quale gli estremisti non possano piu' minacciare i
nostri popoli e nel quale i soldati americani possano tornare alle loro
case; un mondo nel quale gli israeliani e i palestinesi siano sicuri nei
loro rispettivi Stati e l'energia nucleare sia utilizzata soltanto a fini
pacifici; un mondo nel quale i governi siano al servizio dei loro cittadini
e i diritti di tutti i figli di Dio siano rispettati. Questi sono interessi
reciproci e condivisi. Questo e' il mondo che vogliamo. Ma potremo arrivarci
soltanto insieme.
So che molte persone - musulmane e non musulmane - mettono in dubbio la
possibilita' di dar vita a questo nuovo inizio. Alcuni sono impazienti di
alimentare la fiamma delle divisioni, e di intralciare in ogni modo il
progresso. Alcuni lasciano intendere che il gioco non valga la candela, che
siamo predestinati a non andare d'accordo, e che le civilta' siano avviate a
scontrarsi. Molti altri sono semplicemente scettici e dubitano fortemente
che un cambiamento possa esserci. E poi ci sono la paura e la diffidenza. Se
sceglieremo di rimanere ancorati al passato, non faremo mai passi avanti. E
vorrei dirlo con particolare chiarezza ai giovani di ogni fede e di ogni
Paese: "Voi, piu' di chiunque altro, avete la possibilita' di cambiare
questo mondo".
Tutti noi condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante nel tempo.
La domanda che dobbiamo porci e' se intendiamo trascorrere questo brevissimo
momento a concentrarci su cio' che ci divide o se vogliamo impegnarci
insieme per uno sforzo - un lungo e impegnativo sforzo - per trovare un
comune terreno di intesa, per puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo
dare ai nostri figli, e per rispettare la dignita' di tutti gli esseri
umani.
E' piu' facile dare inizio a una guerra che porle fine. E' piu' facile
accusare gli altri invece che guardarsi dentro. E' piu' facile tener conto
delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma
nostro dovere e' scegliere il cammino giusto, non quello piu' facile. C'e'
un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri
quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verita'
trascende nazioni e popoli, e' un principio, un valore non certo nuovo. Non
e' nero, non e' bianco, non e' marrone. Non e' cristiano, musulmano, ebreo.
E' un principio che si e' andato affermando nella culla della civilta', e
che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. E' la fiducia nel
prossimo, e' la fiducia negli altri, ed e' cio' che mi ha condotto qui oggi.
Noi abbiamo la possibilita' di creare il mondo che vogliamo, ma soltanto se
avremo il coraggio di dare il via a un nuovo inizio, tenendo in mente cio'
che e' stato scritto. Il Sacro Corano dice: "Oh umanita'! Sei stata creata
maschio e femmina. E ti abbiamo fatta in nazioni e tribu', cosi' che voi
poteste conoscervi meglio gli uni gli altri". Nel Talmud si legge: "La Torah
nel suo insieme ha per scopo la promozione della pace". E la Sacra Bibbia
dice: "Beati siano coloro che portano la pace, perche' saranno chiamati
figli di Dio".
Si', i popoli della Terra possono convivere in pace. Noi sappiamo che questo
e' il volere di Dio. E questo e' il nostro dovere su questa Terra. Grazie, e
che la pace di Dio sia con voi.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 219 del 7 giugno 2009

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