Minime. 844



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 844 del 7 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Nel blu dipinto di blu
2. Contro il razzismo e contro la guerra
3. Amico Dolci: L'amicizia, la musica, il fare alternativo
4. Ida Dominijanni: Il discorso di Obama e la liberta' delle donne
5. Ali Rashid: Il cammino
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Giobbe Santabarbara: La metamorfosi
8. Giorgio Mangini: Ricordato Pier Carlo Masini a Bergamo
9. Giordano Montecchi: Joseph Haydn
10. Marina Montesano presenta "Il potere del papa" di Agostino Paravicini
Bagliani
11. Riedizioni: Publio Ovidio Nasone, L'amore
12. Riedizioni: Plinio il Giovane, Lettere
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NEL BLU DIPINTO DI BLU

Votare occorre.
Contro il berlusconismo berlusconiano (ed anche contro quello senza o
post-Berlusconi).
Contro il colpo di stato totalitario e razzista in corso.
Contro il regime della corruzione, della devastazione e della guerra.
Contro i poteri criminali ed i complici loro.
*
Votare occorre.
In difesa della legalita'.
In difesa della democrazia.
In difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
In difesa della biosfera.
*
Votare occorre.
E votare le candidate donne impegnate nei movimenti delle donne, unica
possibile e indispensabile rappresentanza nelle istituzioni della lotta piu'
urgente e necessaria: contro il maschilismo.
*
Votare occorre, e continuare la lotta.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. LE ULTIME COSE. CONTRO IL RAZZISMO E CONTRO LA GUERRA

Ogni iniziativa democratica e nonviolenta contro il razzismo e contro la
guerra e' benedetta.
Una e' l'umanita'.
Ogni essere umano agisca sentendosi responsabile dell'umanita' intera.

3. RIFLESSIONE. AMICO DOLCI: L'AMICIZIA, LA MUSICA, IL FARE ALTERNATIVO
[Ringraziamo Amico Dolci (per contatti: tel. 3289415105 e 3807933253,
e-mail: amicodolci at libero.it e anche centrodanilodolci at libero.it) per questa
lettera]

Carissimi amici,
gia' da diverse settimane questo fine-anno scolastico si e' rivelato, per
tanti di noi, come uno dei piu' carichi di impegni: tra questi molti
consueti, ma anche tante novita'.
Personalmente ho avuto ancora varie occasioni, insieme ad altri amici e
collaboratori dei nostri gruppi di volontariato, di incontrare nuove
splendide persone, operanti nei piu' diversi campi del sociale e che ci
incoraggiano nel non perdere di vista alcune nostre esigenze fondamentali:
prima tra tutte, contribuire ad istaurare tra le persone (adulti e bambini)
rapporti di reciproca fiducia e valorizzazione.
Poi anche tanto altro, ma non di questo volevo dirvi, in questa breve
lettera pre-estiva: piuttosto, parteciparvi alcune riflessioni sul fatto che
tutte queste esperienze sono, secondo me, tra loro molto collegate.
Ogni volta che partecipo, con voi, a qualche iniziativa (su una tematica o
un'altra, attraverso la musica o altri laboratori, in un luogo noto o ancora
sconosciuto), ritrovo alcune costanti:
- sereno rapporto umano, di amicizia, di solidarieta';
- attenzione alla qualita' del lavoro proposto e svolto;
- gioia di comprendersi, trovare affinita', pur scoprendo cose nuove;
- ampliamento delle prospettive sulla base delle esperienze.
Quando mi trovo in un gruppo che si interroga circa il significato e la
qualita' delle nostre relazioni (personali, sociali, nei confronti della
natura); quando insieme si cerca intensamente di approfondire una
problematica; quando si comunica sulla base della creativita', non posso mai
fare a meno di pensare, riferirmi, anche al meglio dell'esperienza musicale:
che e' un insieme di fantasia, disciplina, desiderio, impegno, ascolto,
proposta, studio, gioia, fatica, invenzione... individuale e di gruppo.
Quando ascolto, o suono, o parlo di musica (con colleghi piu' o meno
giovani) trovo fondamentale che ci sia anche un'attenzione (e quindi una
ricaduta) sulla qualita' delle relazioni nel fare musica (per fare musica),
come anche sui significati che essa puo' esprimere oltre se'.
L'ascolto e' una forma di rispetto, essenziale in musica; indispensabile
anche all'espressione.
L'ascolto di se' e' altrettanto importante. Non solo in musica.
La musica e' (puo' essere) un potente mezzo di conoscenza, crescita,
scoperta, individuale e di gruppo: come non desiderare (per quanto faticoso,
talvolta controcorrente) che questa esperienza si sviluppi e venga messa a
disposizione di quanti ancora non ne conoscono le modalita' e i risultati
possibili?
La musica va fatta bene, prima di tutto: ma dal di dentro di ciascuno di
noi... solo cosi' diventa una conquista e insieme mezzo qualificato di
confronto e collaborazione. E questo fare bene (non solo in musica)
individuale si moltiplica nel fare bene insieme: non e' semplice, ne' e'
automatico, ma la qualita' e' l'unica condizione perche' si passi da un
piacevole passatempo (che potrebbe essere superfluo, effimero) a qualcosa
che possa caricarsi di significati che incidano sul nostro modo di esistere
(diventando cosi' una necessita').
La musica fatta male, specie quando lo e' deliberatamente, sporca e inquina;
sia l'anima individuale che i rapporti tra coloro che ne vengano coinvolti.
Lo stesso vale per cio' che esiste a seguito di menzogne, violenze e ogni
tipo di impedimento nei confronti del prossimo: molti di noi si vergognano
profondamente di quanto ci succede attorno, sempre piu'.
Ripensando a tutti voi che ho avuto la fortuna di incontrare, sono proprio
felice che gli incontri, i laboratori, i momenti pubblici, le prove musicali
e i concerti siano andati molto bene: mostrando il frutto dell'impegno di
ciascuno, grandi e piccoli, musicisti e non; adesso ci tocca, secondo me,
valorizzare tutto cio' che e' stato fatto trasformandolo in una o piu'
pubblicazioni (abbiamo foto, video, programmi etc.) che informi su quanto e'
esistito sinora, ma soprattutto ci apra al futuro che desideriamo. Certo, ci
sono tante altre cose da fare, per ognuno di noi, ma su alcune dovremmo
veramente soffermarci.
Vi ringrazio ancora tutti per la bellezza di queste iniziative, invitandovi
ad approfondire il discorso in qualsiasi forma possa interessarvi.
E adesso, agli amici musicisti: "in bocca al lupo" per questa sera al
Politeama.
Un grande abbraccio a ciascuno, a presto,
Amico
*
P.s. Ho inteso questa lettera come un saluto e ringraziamento alle
tantissime persone impegnate in un intenso fare alternativo; poiche' per
ciascuno e' difficile rimanere costantemente in contatto con tutti, senza
togliere tempo prezioso ad altre attivita', o essere presenti a tutte le
iniziative esistenti, ho pensato di riunire dentro di me queste bellissime
persone inviando loro una sintesi di quanto di riflesso mi e' venuto in
mente attraverso gli incontri piu' recenti: a cominciare dai ragazzi e i
genitori del "Divertimento primo", naturalmente, poi tutti gli amici
dell'associazione "Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci", il Cesie
con tutta l'attivita' internazionale collegata, il Gaas di Foggia, il gruppo
di Acireale, la Casa per la pace di Palmi, il gruppo di Reggio Calabria, i
giovani amici di Trappeto, i responsabili del Centro educativo di Mirto, e
tantissimi altri, individualmente o in gruppo, che per "leggerezza di mail"
non cito nemmeno, ma a cui sono altrettanto affettuosamente legato.
Ora ricominciamo: ai prossimi lavori, ciao.
Amico Dolci

4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL DISCORSO DI OBAMA E LA LIBERTA' DELLE
DONNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 giugno 2009 col titolo "Con e senza
velo. Come si archivia un lessico politico"]

Tre citazioni dal Corano, dal Talmud e dalla Bibbia chiudono il discorso di
Obama al Cairo e archiviano l'epoca senza grazia dello "scontro di
civilta'", che altro non e' mai stato che uno scontro interno ai tre
monoteismi. "A new beginning", un nuovo inizio, puo' cominciare, e comincia,
nello stesso stile del discorso di insediamento del presidente a Washington,
col richiamo a tenere a mente il cuore vivo della tradizione. Li' sta la
fonte sorgiva del futuro anteriore, che e' il tempo della rivoluzione. Nel
tempo di adesso, che ancora una volta per Obama e' quello della
responsabilita', c'e' il compito di liberarsi del passato prossimo e del suo
vocabolario politico devastato e devastante. Storico per l'apertura politica
e geopolitica, il discorso di Obama non lo e' di meno per la nitidezza
culturale con cui archivia certe parole e altre ne impone.
E' una diversa percezione del mondo globale che irrompe dalla voce del
presidente afroamericano cristiano venuto da padre kenyota e famiglia
musulmana. Non piu' "noi" e "loro", il fantasma dell'Occidente e quello dei
barbari, ma la realta' postcoloniale di un mescolamento gia' avvenuto:
"l'Islam e' parte della storia americana", la abita da decenni e da secoli
nutre la cultura occidentale. Nella "new age" globale, "interdipendenza" e'
la parola chiave, la stessa che l'America ferita dall'attacco dell'11
settembre non volle prendere in considerazione. E se interdipendenza e' la
parola chiave, se la posta in gioco non e' questa o quella nazione bensi' la
"comune umanita'", bisogna ripartire dai "principi comuni" - giustizia,
progresso, tolleranza, dignita' umana - che Islam e America condividono.
Tutto il resto, nell'operazione di archiviazione del vocabolario politico e
sentimentale dell'epoca dello scontro di civilta', consegue da qui.
"Sospetto, discordia, paura, scetticismo, diffidenza" devono cessare e
lasciare il posto al senso di reciproca obbligazione, al dialogo
interreligioso, alla "fiducia nell'altro". Gli stereotipi devono cadere, ma
da tutte e due le parti: nella percezione americana dell'Islam, ma anche
nella percezione islamica dell'America, giacche' "noi americani", l'impero
di oggi, "siamo nati da una rivoluzione contro un impero". La violenza deve
finire, da tutte e due le parti, fra America e estremismo islamico e fra
Israele e Palestina, perche' e' la storia dei neri americani, degli
immigrati negli Usa dal Sud Africa, dal Sud Asia, dall'Europa dell'Est a
dire "una semplice verita': che la violenza e' una strada senza uscita".
Ma e' quando arriva nel territorio della religione occidentale per
eccellenza, quello della democrazia, che l'operazione di ripulitura del
vocabolario politico rende al meglio, perche' e' stato esattamente sul senso
della democrazia, sulla sua "esportazione" all'esterno e sulla sua
sfigurazione all'interno, che quel vocabolario e' impazzito, dopo l'11
settembre, negli Stati Uniti nonche' in Europa. Qui Obama non si limita a
dire che "nessun sistema di governo puo' o deve essere imposto a una nazione
da un'altra", cosi' archiviando le dichiarazioni di guerra fatte in nome di
questo nobile scopo. Aggiunge il richiamo allo stato di diritto, rivendica
la fine della tortura e la chiusura di Guantanamo.
E fa di piu', inoltrandosi nel campo della liberta' femminile e
dell'uguaglianza fra i sessi, consapevole che in materia "c'e' un dibattito
sano" e complesso, ma che il punto e' ineludibile e cruciale, vera e propria
cartina di tornasole della tenuta o del tracollo del discorso democratico di
fronte alla sfida della differenza fra i sessi, le culture, le religioni.
Non per caso la legittimazione delle guerre in Afghanistan e in Iraq era
passata anche e non secondariamente sotto la bandiera della "liberazione"
delle donne dal patriarcato islamico, una liberazione che sottintendeva
l'equazione - indebita - fra liberta' femminile e liberta' occidentale; e
non per caso il dibattito sulla liceita' dell'uso del velo da parte delle
immigrate islamiche nelle democrazie occidentali e' stato negli ultimi anni
il versante "pacifico" di questa ideologia, in Europa piu' che negli Usa.
Anche qui, Obama fa ordine come meglio non si potrebbe. "Non condivido
l'opinione di alcuni in Occidente che una donna che sceglie di coprirsi i
capelli sia meno uguale delle altre, ma credo che a una donna a cui e'
negata l'istruzione e' negata l'uguaglianza". Ma d'altra parte, "Non credo
che le donne debbano fare le stesse scelte degli uomini per essere uguali,
ma deve essere loro la scelta". I diritti di uguaglianza sono nelle mani dei
governi, ma la liberta' femminile e' nelle mani delle donne, e non sempre
passa per l'uguaglianza, o non solo. A ovest e a est, la credibilita' della
democrazia passa anche da qua.

5. RIFLESSIONE. ALI RASHID: IL CAMMINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 giugno 2009 col titolo "Palestina. La
Casa bianca riprende il cammino"]

Il discorso di Obama al Cairo, con la sua forza e articolazione, annuncia
l'inizio di un processo finora impensabile. Lo sa anche lui che un discorso
non cambia il mondo, ma sa anche che, oltre ai suoi interlocutori formali,
esiste un'ampia platea nella regione, alla quale piu' di una volta si e'
rivolto, fatta di donne e uomini, di laici e religiosi, di popoli sotto
occupazione e dittatura, gente bisognosa di sicurezza e di pace che oggi si
sente non piu' smarrita ed ha un punto di riferimento. Oggi possiamo parlare
di inizio della fine della guerra di religione e dello scontro tra civilta'.
Le parole pronunciate al Cairo, non sono indirizzate a un governo o a un
capo stato, perche' i governi del Medio Oriente, sono parti del problema,
hanno lucrato dal conflitto. Obama lo ha fatto intendere quando ha parlato
di democrazia, dei diritti delle donne, del dolore causato dalle guerre e
della priorita' della saggezza che lui intende privilegiare sull'uso della
forza. Lo ha fatto riferendosi alla strumentalizzazione della drammaticita'
della questione palestinese fatta spesso per distogliere l'attenzione dei
popoli della regione dai loro diritti. Queste parole rivolte dal Cairo alla
gente che coltiva in modo pacifico la propria fede, assumono un valore
particolare.
Come era sperabile, la parte centrale del suo discorso era dedicata alla
questione della Palestina. Il presidente americano ha usato tutta la sua
capacita' oratoria, in modo coinvolgente, per descrivere le immani
sofferenza del popolo ebraico a causa della discriminazione e persecuzione
nei lager nazisti, e la sua aspirazione a vivere in sicurezza in un suo
stato. Ma ha parlato anche con altrettanta convinzione di cio' che questo ha
comportato per il popolo palestinese in sessanta anni di esilio, di vita nei
campi profughi, di umiliazione quotidiana.
E' un presidente che conosce la storia, come lui stesso afferma, e che si e'
circondato di esperti autentici e non di rappresentanti di lobbies come
avveniva in passato. Per lui non e' difficile capire che la colonizzazione
ebraica dei territori palestinesi e' incompatibile con la pace e per questo
e' determinato a fermarla. Che la soluzione necessariamente deve comprendere
due stati che vivano in sicurezza ed in grado di rispondere ai bisogni
fondamentali dei due popoli.
Da una parte Obama riconferma il rapporto forte e particolare con lo stato
di Israele, e dall'altra si impegna a non abbandonare le legittime
aspirazioni nazionali del popolo palestinese. Nel suo discorso si e' rivolto
a tutti, non ha escluso nessuno, il riferimento a Hamas, riconoscendo il suo
ruolo ed il suo peso senza criminalizzarlo dimostra una prassi consolidata.
Quella di non escludere nessuno che abbia un ruolo naturale a condizione di
rispettare le regole stabilite. Un significato particolare assumono le sue
parole quando afferma che tutte le parti "sanno molto bene cosa devono
fare". Da anni infatti si discute in Medio Oriente, ma i vari governi
israeliani hanno fatto il contrario di quello che erano obbligati a fare per
gli impegni presi nelle sedi internazionali. Con Obama dunque il concetto di
comunita' internazionale torna ad inverarsi.

6. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. LE ULTIME COSE. GIOBBE SANTABARBARA: LA METAMORFOSI

Quei partiti, quelle associazioni, quei prominenti, quei funzionari e quei
carrieristi, che una volta dicevano di essere contro la guerra, e basto' che
andassero al governo loro o i loro protettori ed alla guerra si convertirono
e prostituirono - e agli omicidi di cui la guerra consiste.
Quei partiti, quelle associazioni, quei prominenti, quei funzionari e quei
carrieristi, che della guerra sono restati complici ancor oggi, che pur da
due anni al governo non sono piu' ne loro ne' i loro patroni poiche' con il
loro scellerato agire han favorito il ritorno dei fascisti al governo
medesimo. Della guerra afgana, nulla facendo per denunciarla, nulla facendo
per contrastarla, nulla facendo per farla cessare, sono restati complici
ancor oggi - e degli omicidi di cui la guerra consiste.
Per tutti costoro provo disgusto e orrore, e una pena infinita e
un'inestinguibile indignazione; non pieta'. La pieta' la provo per le
persone che anche loro hanno fatto e lasciano ogni giorno assassinare,
mutilare, ridurre agli stenti piu' estremi in Afghanistan.
Chi prova pieta' per le vittime non si fa complice dei carnefici, i
carnefici li combatte fino a disarmarli e a trarli in giudizio per i crimini
loro. Con la forza della verita', con la forza della nonviolenza.

8. MEMORIA. GIORGIO MANGINI: RICORDATO PIER CARLO MASINI A BERGAMO
[Da "A. rivista anarchica", anno 39, n. 344, maggio 2009]

Il 14 gennaio e' stato presentato a Bergamo (Sala Tassiana, biblioteca "A.
Mai") il volume Pier Carlo Masini. Impegno civile e ricerca storica tra
anarchismo, socialismo e democrazia, terzo dei "Quaderni" della "Rivista
Storica dell'Anarchismo" curato da Franco Bertolucci e Giorgio Mangini,
uscito nel 2008. Sono intervenuti Maurizio Antonioli (Universita' di
Milano), Paolo Finzi ("A. rivista anarchica") e Giuseppe Mazzoleni (Centro
culturale nuovo progetto, Bergamo).
Antonioli ha parlato della centralita' dei lavori di Masini per il
rinnovamento degli studi di storia dell'anarchismo in Italia, riconoscendo
una duplice eredita' masiniana nell'esperienza della "Rivista Storica
dell'Anarchismo", alla cui fondazione Masini ha collaborato, e in quella del
Dizionario biografico degli anarchici italiani.
Finzi ha delineato alcuni tratti della personalita' culturale e politica di
Masini, sullo sfondo del suo itinerario ideologico: dopo l'esperienza del
confino politico come antifascista di area liberalsocialista e la breve
militanza nel Pci, alla fine della guerra Masini aderisce all'anarchismo e,
dopo la convulsa fase degli anni Cinquanta legata all'esperienza dei Gaap,
si accosta al socialismo riformista. Questo percorso, che ha suscitato nei
confronti di Masini accuse di opportunismo, e' pero' l'espressione esteriore
della coerenza di un uomo fedele a se stesso e alle istanze di un pensiero
sempre orientato agli ideali libertari, spesso in anticipo sui tempi e, per
questo, facilmente incompreso: se non era sempre possibile condividere le
scelte politiche di Masini, ha ricordato Finzi, era impossibile sottrarsi al
fascino culturale e al rigore intellettuale delle sue argomentazioni. Il
fascino di Masini stava anche nella sua straordinaria capacita' di
comprendere in profondita' la dimensione umana e psicologica dei suoi
interlocutori e dei personaggi oggetto dei suoi studi. In questo Finzi ha
ravvisato una suggestiva analogia con la sensibilita' umana di Fabrizio De
Andre'. Finzi ha anche ricordato il ruolo svolto da Masini per gli studi di
Misato Toda, studiosa giapponese di Malatesta.
Ha concluso Mazzoleni, che era giovane studente quando ha conosciuto Masini
a Bergamo, agli inizi degli anni Sessanta, nell'ambito delle iniziative del
locale "Centro Salvemini". Le conferenze di Masini, viceprovveditore agli
studi, sono state occasione di formazione politica e culturale per una
generazione di socialisti bergamaschi, che grazie a Masini hanno scoperto
figure a loro sconosciute (Ghisleri, gli Internazionalisti). Per giovani
come Mazzoleni il successivo impegno nelle varie e concitate fasi del
movimento socialista alla fine degli anni Sessanta, e' in larga misura da
ascrivere al ruolo di Masini come punto di riferimento.

9. MEMORIA. GIORDANO MONTECCHI: JOSEPH HAYDN
[Dal quotidiano "L'Unita'" del primo giugno 2009 col titolo "Joseph Haydn,
il 'papa' che conquisto' la borghesia" e il sommario "Il 31 maggio 1809
moriva il compositore che dette le ali a Mozart e Beethoven. Inseguiva l'eco
del Paradiso perduto: il che, dal Romanticismo in poi, divenne un peccato"]

Chi dice Haydn dice Mozart, e automaticamente condanna il primo a un gradino
piu' basso. Non e' giusto, ma cosi' in genere va il mondo: Dante col suo
Petrarca, Bach col suo Haendel, Coppi col suo Bartali. Se poi sfogliamo
certi polverosi manuali di storia della musica ecco venirci incontro Haydn,
Mozart e Beethoven, la trimurti del classicismo viennese, dove a Haydn tocca
il ruolo del precursore che prepara il terreno e apre la strada al trionfo
del genio e della perfezione insuperabili. Haydn: il padre della sinfonia e
della forma sonata, l'eminenza grigia che ha dato idealmente le ali a
Wolfgang e Ludwig, i due supereroi destinati a surclassarlo nelle spietate
classifiche della storia, rubandogli il favore dei posteri e oscurandone in
gran parte la fisionomia.
Gli anniversari, queste rimembranze a orologeria, hanno sempre in se'
qualcosa di sottilmente ipocrita. Ma la mediocrazia non perdona, lo show
globale rotola inesorabile come uno schiacciasassi e allora, spesso, un
anniversario diventa l'unico salvagente cui aggrapparsi per salvare certi
artisti da un'indifferenza e da un oblio che sentiamo profondamente
ingiusti.
Haydn mori' il 31 maggio 1809 a Vienna. Senza la rotondita' del numero, 200
anni da allora, un'intera pagina su di lui sarebbe stata impensabile, cosi'
come il florilegio di manifestazioni in suo onore nel 2009. Papa Haydn, come
gia' lo chiamavano, aveva allora 77 anni: un grande vecchio che tutta
l'Europa musicale ammirava e venerava come l'artefice di una nuova epoca e
di un nuovo stile e che pero' si preparava a ridimensionarlo nella
prospettiva di uno storicismo che lo avrebbe trasformato nel "prologo"
dell'eta' della musica per antonomasia: il Classicismo.
*
Un romantico del paradiso
Ci sono moltissime buone ragioni per ricordarci di Haydn e della sua musica
cosi' incantevole nella sua tornitura e nei suoi guizzi, nella naturalezza
di un eloquio che piu' nessuno mai ha potuto eguagliare, neppure i suoi
"figli d'arte" i quali, forti della sua lezione, hanno spinto la musica agli
estremi del sublime e dell'abisso. Se diamo retta a un celebre scritto di
E.T.A. Hoffmann pubblicato nel 1813, Haydn "concepisce romanticamente cio'
che vi e' di umano nella vita umana; e' piu' commensurabile, piu'
comprensibile per il pubblico". Mozart invece "si rivolge a cio' che di
sovrumano, di meraviglioso vi e' nell'intimo dello spirito", mentre
Beethoven "muove la leva del terrore, (...)del dolore, e suscita appunto
quel desiderio nostalgico e infinito che e' l'essenza del romanticismo". In
altre parole, dopo Haydn e' come se la musica avesse conosciuto un nuovo
peccato originale, perdendo l'innocenza e la pienezza del sentirsi in
armonia col proprio tempo e coi propri simili.
In un'epoca ferita e drogata dal romanticismo e dai suoi postumi, Haydn e'
risuonato troppo rose e fiori, come l'eco di un paradiso perduto (e guarda
caso fu proprio The Lost Paradise di Milton a ispirargli l'oratorio Die
Schoepfung, "La creazione", gigantesco capolavoro dei suoi ultimi anni). Ma
riascoltarlo oggi: i suoi quartetti davanti ai quali tutti si sono
inginocchiati, le sue sinfonie cosi' miracolose nel condurci per mano, e
senza mai un passo falso, dal tono piu' severo e meditativo alla vitalita'
piu' irresistibile e screanzata, mentre una timbrica nuova sboccia, ancora
vergine e rugiadosa.
Per trent'anni Haydn fu al servizio di una delle piu' potenti e musicofile
casate dell'Impero, i principi di Eszterhazy. Sgobbo', sperimento', trionfo'
e a poco a poco la sua fama si sparse in tutta Europa. Finche' nel 1791 e
poi ancora nel 1794 lo vollero a Londra per comporre e dirigere le sue
entusiasmanti sinfonie di fronte al pubblico piu' emancipato del pianeta.
Haydn ando', annuso' quel pubblico e lo mando' in visibilio con dodici
abbaglianti sinfonie. Avrebbe voluto con se' il suo migliore amico, quel
Wolfgang Amadeus che da lui molto aveva imparato e che a sua volta molto gli
aveva insegnato. Ma Mozart, del quale Haydn non cessava di tessere le lodi
come il piu' grande compositore vivente, non ando' e poco dopo mori', solo e
dimenticato.
*
Fine della penitenza
Anche per questo Haydn e' unico. In molti hanno appreso la sua lingua,
spingendola verso esiti che egli stesso non avrebbe potuto concepire. Ma
nessuno ha potuto godere la sua condizione di chi, smessa la livrea
dell'artista di corte, puo' avventurarsi nel nuovo mondo della borghesia e
degli affari mietendovi successi e allori ancor piu' eclatanti: incarnazione
perfetta e scintillante di cio' che di meglio l'Illuminismo poteva
augurarsi. Dopo aver deliziato il principe, Haydn l'illuminista colse al
volo il momento magico in cui sembro' che il rapporto col nuovo pubblico
borghese sarebbe stato ancora migliore. Non fu cosi'. L'800 e i suoi eredi
elaborarono l'arte della sofferenza e via via Haydn impallidi' nel ricordo.
Ma oggi che la misura e' stracolma, riascoltare Haydn e' come mettere fine
alla penitenza.

10. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "IL POTERE DEL PAPA" DI AGOSTINO
PARAVICINI BAGLIANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2009 col titolo "Medioevo. Da
Paravicini Bagliani uno studio sulle origini del potere pontificio"]

Agostino Paravicini Bagliani, Il potere del papa, Edizioni del Galluzzo, pp.
412, euro 67.
*
L'Europa occidentale era uscita nel V secolo dalla compagine imperiale. In
seguito, nell'VIII-IX secolo con Carlomagno e fra il X e l'XI secolo con la
dinastia dei duchi di Sassonia divenuti re di Germania, il mondo
romano-germanico fedele alla Chiesa romana aveva riorganizzato un suo
impero, che si sarebbe poi denominato "sacro" e "romano". L'imperatore era
il capo della societa' civile. Sovrano in temporalibus, cioe' delle cose
terrene, non apparteneva pero' propriamente al laicato. Con l'incoronazione,
riceveva l'unzione col crisma vescovile e il rango diaconale nel clero. Era
detto "immagine del Cristo" e "unto del Signore", e i suoi arredi (corona,
spada, scettro, sfera imperiale) erano sacri al pari di reliquie. Tuttavia,
nel corso dell'XI secolo, il vescovo di Roma, cui gia' da molto tempo si
riconosceva una particolare preminenza nella cristianita', comincio' ad
accrescere il proprio potere in diretta concorrenza con l'impero. Le vicende
di tale percorso sono note e hanno condizionato fortemente le vicende della
storia europea, ed extraeuropea, dei secoli successivi; meno esplorato e'
invece l'apparato di riti, simboli, immagini di cui il papato si doto' per
contrastare l'impero, servendosi di un linguaggio per certi versi molto
simile a quello adottato dagli imperatori, nonche' per trasmettere alla
cristianita' un messaggio circa le proprie rinnovate ambizioni.
Se il linguaggio simbolico utilizzato doveva esser chiaro ai contemporanei,
lo e' assai meno oggi, e una decrittazione si rende quindi necessaria.
Agostino Paravicini Bagliani e' da tempo un'autorita' nel campo, avendo
concentrato molti studi sull'analisi del complesso apparato simbolico che il
papato creo' a partire dal secolo XI e soprattutto nel suo "periodo d'oro",
tra il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) e quello di Bonifacio VIII
(1294-1303). Nel suo nuovo libro Il potere del papa. Corporeita',
autorappresentazione, simboli, che riunisce, con opportune modifiche,
numerosi saggi usciti in precedenza, Paravicini Bagliani indaga alcuni temi
a lui cari: nella prima sezione si parla del modo in cui l'apparato
pontificio presentava alla cristianita' la corporeita' del pontefice (un
tema cui l'autore ha dedicato in passato un saggio, Il corpo del papa);
nella seconda l'attenzione si sofferma sulla figura di Bonifacio VIII - gia'
oggetto di una densa biografia di Paravicini Bagliani - e sul suo ruolo di
creatore di nuove rappresentazioni atte a descrivere il potere del papa.
L'opera si chiude con una sezione su spazi e riti del potere papale, che
esce dall'arco cronologico consueto per recuperare i prodromi del discorso
pontificio, ampliandoli oltre il papato di Bonifacio, sino al soggiorno
avignonese.
Alla luce di queste ricerche e' evidente come nessun altro sovrano,
medievale o post-medievale, e neppure l'imperatore abbiano elaborato una
ritualita' nel campo simbolico pari a quella del papato, che condusse i
pontefici dell'epoca in questione ad avvicinare la propria figura a quella
del Cristo e a farne cosi' l'incarnazione della cristianita' tutta: e'
questo il significato del motto del teologo Egidio Romano, il quale nel 1300
poteva affermare che il "Papa potest dici Ecclesia", dove per Ecclesia si
intende, appunto, la Chiesa come istituzione nella sua interezza, nonche'
l'intero corpo dei fedeli. Per il lettore si tratta di un percorso
affascinante non solo perche' permette di conoscere un momento storico
fondamentale per la formazione dell'Europa, quanto perche' consente la
scoperta di un apparato simbolico complesso, per tanti versi a noi estraneo,
ma ancora percepibile nei luoghi e nelle rappresentazioni del potere
pontificio.

11. RIEDIZIONI. PUBLIO OVIDIO NASONE: L'AMORE
Publio Ovidio Nasone, L'amore, Rizzoli, Mlano 1958, Rcs, Milano 2009, pp.
498, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). In un unico volume
gli Amores e l'Ars amatoria di Ovidio, con testo latino a fronte, traduzioni
di Ettore Barelli e Luca Canali, note di Barelli e Riccardo Scarcia,
introduzione di Simone Beta. L'ho gia' detto tante volte: della latina
poesia a me piace infinitamente Lucrezio e poco altro; cosicche' Ovidio per
molti anni l'ho letto solo per dovere e con insofferenza; ora che sono
vecchio ne colgo le grazie che mi sembrano non piu' solo futili e leziose;
ne colgo una profondita' e una finezza che non so quanto siano frutto della
cooperazione di un'infinita tradizione di lettori sottili e sicari; e in
questa poesia amorosa che a me pare perlopiu' scialba e banale, recitata ed
esibizionistica, trovo talora crudo un presagio, folgorante e ima
un'anticipazione della catastrofe che sopravverra' nella sua vita e che
dara' luogo alla poesia dell'esilio, che continuo a sentire come la sua
maggiore (per quanto ancora sovente querula e puerile, da eterno giocoliere
e contorsionista), sebbene sia probabile che avesse invece ragione Dante e
il tempo suo, e che l'Ovidio che conta e' quello delle Metamorfosi, chissa'.
Invecchio, e divento sentimentale, e indulgente, e bonaccione. E la cosa mi
irrita non poco. Cosi' mi diceva iersera Annibale Scarpone mentre
all'osteria ricordavamo i tempi in cui nelle cantine di Spagna ascoltavamo
Giuseppe Fanelli predicar l'universale fratellanza e la rivoluzione sociale
di cui si era levata a splendere la fiaccola, ed era l'ottobre del 1868.

12. RIEDIZIONI. PLINIO IL GIOVANE: LETTERE
Plinio il Giovane, Lettere, Rizzoli, Mlano 1961, Rcs, Milano 2009, pp. 786,
euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Testo latino a fronte,
traduzione di Luigi Rusca, introduzione e commento di Giovanni Lenaz. Nuoce
alla fama del secondo Plinio che vi sia stato a precederlo nell'esercizio
letterario quello zio autore della Naturalis Historia, che l'opera del
Giovane ha reso Plinio il Vecchio. E nuoce altresi' alla sua fama non solo
l'epoca che gli tocco' da vivere (e nessuno si sceglie da se' quando e dove
nascere: qualcuno dovrebbe pur dirlo all'attuale ministro dell'interno), e
che pure e' altresi' l'epoca di Tacito; ma anche la sua stessa mediocritas e
bonomia, beninteso di soddisfatto privilegiato che percorre passo passo il
cursus honorum fino a divenir governatore della Bitinia; talche' queste
lettere sono forse opera assai piu' vivida e acuta di quel che le
rimembranze ginnasiali rievochino a chi vi si accosto' fuggevolmente e poi
passo' ad altre, piu' impegnative e penose faccende. Confessiamolo dunque:
vi sono pagine deliziose, chiacchiericcio garbato, gustosi quadretti,
ragionevoli sentenze, l'incrociarsi delle lievi e minute storie con la
storia grande e crudele, il brulicare di un mondo perduto per sempre ed
eterno. Un esempio a caso: la lettera 29 del libro VI, a Quadrato. E' una
buona lettura per chi vuol apprendere, discutere e meditare. Ma si potrebbe
altresi' allegare che ogni libro scritto decentemente da persone non prive
d'ingegno, e d'animo non empio, e' una buona lettura. E' la lettura che, di
solito, e' cosa buona.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 844 del 7 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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