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Minime. 834
- Subject: Minime. 834
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 May 2009 00:56:25 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 834 del 28 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Le mani 2. Lorenzo Prencipe: Xenofobia 3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 4. Alcuni estratti da "Shock Economy" di Naomi Klein (parte prima) 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LE MANI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Italia, quanto in basso puoi scendere ancora? Ogni giorno i tuoi operai muoiono asfissiati, schiacciati, triturati, schiantati in fabbriche e cantieri, e tu applaudi chi dice che le leggi sulla sicurezza del lavoro non servono. Ogni giorno c'e' una bambina violentata, una madre o una moglie uccisa, un ragazzino che accoltella il compagno di scuola, uno sciagurato che ammazza per un parcheggio, e tu, Italia, applaudi divette scalcagnate, satiri rugosi e bulli e "machi" di ogni sorta, e strilli "successo!" davanti ad un seno rifatto e capelli trapiantati. Ogni giorno i disperati che raggiungono le tue coste vengono da te respinti con odio, muoiono della tua paura e della tua ferocia, e tu applaudi, applaudi, applaudi chi dice che bisogna sparare sui barconi. Ogni giorno, Italia, contribuisci ad un massacro piccolo o grande grazie ai tuoi soldati dispiegati in "guerre umanitarie" alla faccia della tua stessa Costituzione: non dev'essere facile applaudire con le mani sporche di sangue, ma sembra che tu ce la faccia benissimo. Italia, qui dalle mie parti si sono ammazzate tre persone in una settimana, perche' la crisi economica le aveva messe all'angolo, ma tu continui ad applaudire chi dice che la crisi non c'e'. Italia, il 13 maggio scorso un mio anziano vicino di casa si e' lanciato dal settimo piano nel parcheggio. C'e' chi dice che doveva operarsi e aveva paura, c'e' chi dice che ha perso la testa per altri problemi, e io ti dico, Italia, che lo abbiamo lasciato solo, e che da solo e' morto. Italia, quando riguadagnerai un po' di dignita' e di lucidita'? Quando smetterai di applaudire e ti accorgerai che le tue mani, oltre che lorde di sangue, sono vuote? 2. UNA SOLA UMANITA'. LORENZO PRENCIPE: XENOFOBIA [Dal sito www.roma-intercultura.it riprendiamo il seguente intervento del 16 maggio 2009 dal titolo "Sicurezza e xenofobia: non solo retorica pubblica, ma anche tanta sostanza". Lorenzo Prencipe, scalabriniano, e' presidente del Centro studi emigrazione di Roma (Cser)] Nel giorno in cui la camera dei Deputati italiana ha approvato i tre emendamenti al disegno di legge sulla sicurezza, introducendo il reato di clandestinita', il pagamento da 80 a 200 euro per il permesso di soggiorno e di 200 euro per ottenere la cittadinanza, l'allungamento, fino a sei mesi, del trattenimento degli stranieri nei centri di identificazione ed espulsione e, dulcis in fundo, la costituzione delle ronde di cittadini per il controllo del territorio, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha affermato: "Si diffonde una retorica pubblica che non esita, anche in Italia, a incorporare accenti di intolleranza e xenofobia". Come se si trattasse di una fastidiosa interferenza, il monito del capo dello Stato viene immediatamente rimandato al mittente dal premier Berlusconi che dice: "Siamo da sempre contro la xenofobia" e soprattutto dal leader della Lega Nord e ministro per il Federalismo, Umberto Bossi, che replica: "Napolitano? Io ascolto la gente". Tale processo di autoassoluzione da parte dei due principali responsabili della politica migratoria italiana non elimina, comunque, la sensazione che la retorica della sicurezza si nutre anche di atti concreti che sconfinano spesso nella xenofobia. Infatti, alla vigilia di una nuova campagna elettorale (il vero dramma degli immigrati e' che l'Italia e' sempre in campagna elettorale!) per guadagnare voti e consensi il governo italiano ed i partiti che compongono la sua maggioranza hanno voluto strumentalizzare, ancora una volta, l'immigrazione e si sono nuovamente allineati ai diktat della Lega e del Ministro dell'Interno. Questo ennesimo fuoco di sbarramento contro gli immigrati e' stato preceduto dalla divulgazione da parte del Ministero dell'Interno dei dati sugli sbarchi d'immigrati che hanno riguardato 36.952 persone nel 2008 (governo Berlusconi) contro i 20.445 del 2007 (governo Prodi). Tali cifre rivelano chiaramente la contraddizione tra quanto annunciato dal governo e dalla Lega ("con il centrodestra al governo non entrera' piu' nessun clandestino") e la complessa realta' del fenomeno migratorio. Il ministro dell'Interno annuncia, allora, una nuova ricetta per eliminare i migranti "clandestini" (vale a dire quelle persone che alla luce del sole cercano di arrivare in Italia sulle carrette del mare e che, molte volte, non potrebbe farlo senza l'aiuto, sempre alla luce del sole, di pescatori e marinai italiani che li salvano dal naufragio). Il titolare del Viminale ha cosi' dichiarato: "Vengono perche' e' facile arrivare. Nessuno li caccia. Abbiamo deciso di cambiare musica. Basta bonta', saremo cattivi contro i clandestini". Nonostante la reazione dell'ex ministro dell'Interno Beppe Pisanu che ha accusato la Lega "di fare discorsi da osteria padana" ed ha invitato Berlusconi a "non subire gli slogan del Carroccio", alla prima occasione il ministro Maroni ingaggia, sulla pelle degli stremati immigrati raccolti dalla nave Pinar, un'indecente contesa con Malta per stabilire a quale dei due paesi toccava l'onere di raccogliere e accogliere quei migranti. Dopo una decina di giorni i migranti vengono portati in Italia. E' il colmo per il "cattivo" Maroni: accettare immigrati contro il suo volere. Ma non demorde e trova immediatamente il rimedio: basta non riconoscere piu' il diritto d'asilo. Infatti, se piu' del 70% delle 31.200 domande d'asilo presentate nel 2008 in Italia provengono da persone sbarcate sulle coste meridionali del Paese; se circa il 75% dei 36.952 migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2008 ha presentato domanda d'asilo; se il tasso di riconoscimento di protezione (status di rifugiato o protezione sussidiaria/umanitaria) delle persone arrivate via mare e' stato di circa il 50%; se nel 2008 la maggior parte delle persone arrivate via mare che ha ottenuto protezione proviene da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Costa d'Avorio, per eliminare tutto questo e' sufficiente non farle piu' arrivare in Italia, bloccarle nelle acque internazionali e deportarle in Libia (presunto paese di partenza), dove se vogliono possono chiedere l'asilo. Maroni e Berlusconi (che si e' affrettato a sottolineare che la politica del governo la fa lui!) dichiarano che i respingimenti sono l'unico modo per togliere clandestini dall'Italia e che se l'Unione europea, l'Onu, l'Unhcr, la Chiesa, le organizzazioni umanitarie non sono contenti si diano da fare per risolvere il problema portandosi i clandestini a casa loro. Ora, il vero problema e' che queste misure si pongono in contrasto con il principio del non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (sottoscritta dall'Italia) e contenuto anche nella normativa europea e nell'ordinamento giuridico italiano, che trova applicazione anche in acque internazionali, senza alcuna limitazione geografica. E se si possono discutere modalita', strumenti da adottare, responsabilita' europee, non si deve, in alcun modo, impedire o limitare il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro a quanti fuggono da guerre e persecuzioni. Cosi' facendo l'Italia viola la Convenzione di Ginevra. Questo giro di vite sull'immigrazione, voluto dal governo Lega-Berlusconi, vuole comunque assecondare e/o esasperare gli umori profondi del Paese che, in maniera schiacciante, sostiene tali scelte anti-immigrati. Si tratta, infatti, di un malessere generalizzato che, silenziosamente e gradualmente, trasforma la tolleranza in un istinto di rifiuto dell'altro, alimentato dalla paura della criminalita' e della crisi economica. Quanto lontane, ma sempre provocanti, risuonano cosi' le parole di Martin Luther King: "Ogni uomo deve scegliere se camminera' nella luce dell'altruismo creativo o nel buio dell'egoismo distruttivo. Questa e' la decisione. La piu' insistente e urgente domanda della vita e': cosa fate voi per gli altri?". 3. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "SHOCK ECONOMY" DI NAOMI KLEIN (PARTE PRIMA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Naomi Klein, Shock Economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, Milano 2007 (ed. originale: The Shock Doctrine, 2007)] Indice del volume Introduzione; Parte I: Due dottor shock. Ricerca e sviluppo. 1. La camera di tortura. Ewen Cameron, la Cia e il maniacale sforzo di cancellare e rifare la mente umana; 2. L'altro dottor Shock. Milton Friedman e la ricerca di un laboratorio laissez-faire; Parte II: Il primo test. Le doglie del parto. 3. Stati di shock. La sanguinaria nascita della controrivoluzione; 4. Colpo di spugna. Il terrore al lavoro; 5. "Assolutamente non correlate". Come un'ideologia e' stata ripulita dai suoi crimini; Parte III: Sopravvivere alla democrazia. Bombe fatte di leggi. 6. Salvati da una guerra. Il thatcherismo e i suoi utili nemici; 7. Il nuovo dottor Shock. La guerra economica rimpiazza la dittatura; 8. La crisi funziona. L'immagine pubblica della shockterapia; Parte IV: Lost in transition. Mentre piangevamo, mentre tremavamo, mentre danzavamo. 9. Sbattere la porta in faccia alla storia. Una crisi in Polonia, un massacro in Cina; 10. Democrazia nata in catene. La liberta' vigilata del Sudafrica; 11. Falo' di una giovane democrazia. La Russia sceglie "l'opzione Pinochet"; 12. L'identita' capitalista. La Russia e la nuova era del mercato barbaro; 13. Lascia che bruci. Il saccheggio dell'Asia e "la caduta di un secondo muro di Berlino"; Parte V: Tempi scioccanti. Ascesa del capitalismo dei disastri. 14. La shockterapia negli Stati Uniti. La bolla della sicurezza interna; 15. Uno Stato corporativo. Dal governo alle aziende; Parte VI: Iraq, al punto di partenza. Ipershock. 16. Cancellare l'Iraq. In cerca di un "modello" per il Medioriente; 17. Ritorno di fiamma ideologico. Un disastro molto capitalista; 18. Al punto di partenza. Dalla tabula rasa alla terra bruciata; Parte VII: La Zona verde mobile. Zone cuscinetto e mura antiesplosione. 19. Tabula rasa in spiaggia. "Il secondo tsunami"; 20. Apartheid del disastro. Un mondo di zone verdi e zone rosse; 21. Perdere l'incentivo alla pace. Israele come monito; Conclusione; Ringraziamenti; Note; Indice dei nomi. * Da pagina 9 Introduzione Il fascino della tabula rasa. Tre decenni passati a cancellare e rifare il mondo "Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardo' la terra ed ecco essa era corrotta, perche' ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noe': 'E' venuta per me la fine di ogni uomo, perche' la terra, per causa loro, e' piena di violenza; ecco io li distruggero' insieme con la terra" (Genesi 6, 11) "Shock e sgomento" [Shock and Awe] sono azioni che generano paure, pericoli e distruzione incomprensibili per la popolazione, per elementi/settori specifici della societa' che pone la minaccia, o per i leader. La natura, sotto forma di tornado, uragani, terremoti, inondazioni, incendi incontrollati, carestie ed epidemie, puo' generare "Shock and Awe". Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance [Shock e sgomento. Come ottenere rapidamente il predominio], la dottrina militare per la guerra americana in Iraq. Ho conosciuto Jamar Perry nel settembre 2005, al grande centro d'accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Baton Rouge, Louisiana. Era in fila per la cena, distribuita con parsimonia da giovani e sorridenti adepti di Scientology. Ero appena stata fermata per aver parlato agli sfollati senza essere scortata da qualcuno dell'ufficio stampa, e ora stavo facendo del mio meglio per confondermi nella folla: una canadese bianca in un mare di afroamericani del Sud. Mi infilai nella coda per la cena, dietro Perry, e gli chiesi di parlarmi come se fossi una vecchia amica, cosa che lui fece di buon grado. Nato e cresciuto a New Orleans, era fuggito dalla citta' inondata una settimana prima. Dimostrava circa diciassette anni, ma mi disse di averne ventitre. Lui e la sua famiglia avevano atteso a lungo gli autobus per l'evacuazione; non vedendoli arrivare, si erano messi in marcia sotto il sole cocente. Infine si erano ritrovati li', in un enorme centro congressi, un tempo teatro di convention farmaceutiche e "Carneficina nella Capitale: Il Meglio del Wrestling", ma che ora era invaso da duemila letti da campo e una folla di gente arrabbiata ed esausta, guardata a vista da nervosi soldati della Guardia nazionale appena tornati dall'Iraq. La notizia che quel giorno stava facendo il giro del centro d'accoglienza era che Richard Baker, un importante membro repubblicano del Congresso nonche' loro concittadino, aveva detto a un gruppo di lobbisti: "Siamo finalmente riusciti a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Noi non sapevamo come fare, ma Dio l'ha fatto per noi". Joseph Canizaro, uno dei piu' ricchi costruttori di New Orleans, aveva da poco espresso sentimenti analoghi: "Credo che abbiamo di fronte una tabula rasa da cui ripartire. E grazie a questa tabula rasa abbiamo grandi opportunita'". Per tutta quella settimana l'Assemblea legislativa statale della Louisiana a Baton Rouge aveva brulicato di lobbisti aziendali intenti ad assicurarsi quelle grandi opportunita': meno tasse, meno regole, manodopera meno costosa e "una citta' piu' piccola e piu' sicura" - che in pratica valeva a dire radere al suolo le case popolari e sostituirle con condomini. A sentire tutti i discorsi su "nuovi inizi" e "tabula rasa", si rischiava di dimenticare il brodo tossico di macerie, rifiuti chimici e resti umani che distava solo qualche miglio di autostrada. Jamar non riusciva a pensare ad altro. "A me non sembra davvero un modo per ripulire la citta'. Quel che vedo io e' che nelle zone povere sono morte un sacco di persone. Persone che non avrebbero dovuto morire". Parlava a voce bassa, ma un uomo piu' anziano in fila davanti a noi lo senti' e si volto' di scatto. "Ma cosa diavolo crede quella gente a Baton Rouge? Questa non e' un'opportunita'. E' una stramaledetta tragedia. Sono ciechi?". Una madre con due bambini intervenne: "No, non sono ciechi, sono cattivi. Ci vedono benissimo". Tra coloro che videro opportunita' nelle acque che sommersero New Orleans ci fu Milton Friedman, grande guru del movimento per il capitalismo sfrenato, nonche' l'uomo cui dobbiamo la bibbia dell'economia globale contemporanea basata su un'estrema mobilita'. Benche' novantatreenne e piuttosto cagionevole di salute, "zio Miltie" - cosi' lo chiamavano i suoi seguaci - trovo' le energie per scrivere un editoriale per il "Wall Street Journal" tre mesi dopo la rottura degli argini. "La maggior parte delle scuole di New Orleans e' in rovina", osservo' Friedman, "come lo sono le case dei bambini che le frequentavano. Quei bambini ora sono sparsi per il Paese. Questa e' una tragedia. Ma e' anche un'opportunita' per riformare radicalmente il sistema educativo". L'idea di Friedman era che, invece di spendere parte dei miliardi di dollari destinati alla ricostruzione per ripristinare, migliorandolo, il preesistente sistema delle scuole pubbliche a New Orleans, il governo avrebbe dovuto fornire alle famiglie dei buoni spesa, da usare presso istituzioni private, molte delle quali a scopo di lucro, sovvenzionate dallo Stato. Era essenziale, scriveva Friedman, che questo mutamento epocale del sistema scolastico non fosse una misura provvisoria, d'emergenza, ma piuttosto "una riforma permanente". Una rete di think tanks conservatori si getto' sulla proposta di Friedman e calo' sulla citta' dopo l'uragano. L'amministrazione di George W. Bush appoggio' i loro piani con decine di milioni di dollari per convertire le scuole di New Orleans in "scuole charter", ovvero scuole pubbliche gestite da enti privati secondo le proprie regole. Le scuole charter sono fonte di profonde diseguaglianze negli Stati Uniti, e in particolare a New Orleans, dove vengono viste da molti genitori afroamericani come un modo di ribaltare le conquiste del movimento per i diritti civili, che garantiva a tutti i bambini lo stesso standard educativo. Per Milton Friedman, d'altro canto, l'intero concetto di sistema scolastico statale puzzava di socialismo. A suo parere, la funzione dello Stato era quella di "proteggere la nostra liberta' sia dai nemici esterni sia dai nostri concittadini: mantenere la legalita' e l'ordine, conferire forza operativa ai contratti privati, salvaguardare la competitivita' di mercato". In altre parole, garantire il servizio di polizia e l'esercito; ogni altra cosa, ivi compresa l'istruzione gratuita, costituiva un'indebita ingerenza nel mercato. In stridente contrasto con la lentezza geologica nella riparazione degli argini e nel ripristino della rete elettrica, la vendita all'asta del sistema scolastico di New Orleans si svolse con rapidita' e precisione militari. Nel giro di diciannove mesi, quando la maggior parte dei cittadini poveri era ancora in esilio, il sistema delle scuole pubbliche di New Orleans era stato quasi completamente rimpiazzato da scuole charter gestite da privati. Prima dell'uragano Katrina, il comitato dei direttori d'istituto gestiva 123 scuole pubbliche; ora solo quattro. Prima di quell'uragano, c'erano state sette scuole charter private in citta'; ora ce n'erano trentuno. Gli insegnanti di New Orleans erano stati rappresentati da un sindacato forte; ora il contratto sindacale era stato stracciato, e tutti i suoi 4.700 membri erano stati licenziati. Alcuni insegnanti, tra i piu' giovani, furono riassunti dalle scuole charter, con salari ridotti; ma tutti gli altri no. New Orleans era adesso, secondo il "New York Times", "il principale laboratorio nazionale per l'uso su larga scala delle scuole charter", mentre l'American Enterprise Institute, un think tank friedmaniano, esclamava raggiante che "Katrina ha ottenuto in un giorno [...] cio' che i riformatori scolastici della Louisiana non erano riusciti a ottenere in anni di tentativi". Gli insegnanti delle scuole statali, intanto, mentre vedevano i soldi destinati alle vittime dell'inondazione impiegati per cancellare un sistema pubblico e sostituirlo con uno privato, chiamavano il progetto di Friedman "un esproprio educativo". Definisco "capitalismo dei disastri" questi raid orchestrati contro la sfera pubblica in seguito a eventi catastrofici, legati a una visione dei disastri come splendide opportunita' di mercato. L'editoriale su New Orleans si rivelo' l'ultimo suggerimento pubblicamente espresso da Friedman; meno di un anno dopo, il 16 novembre 2006, mori' all'eta' di novantaquattro anni. Privatizzare il sistema scolastico di una citta' americana di media grandezza potra' sembrare un'impresa modesta per l'uomo osannato come il piu' influente economista dell'ultimo mezzo secolo, un uomo che contava tra i suoi discepoli parecchi presidenti degli Stati Uniti, primi ministri britannici, oligarchi russi, ministri delle finanze polacchi, dittatori del Terzo mondo, segretari del partito comunista cinese, direttori del Fondo monetario internazionale e gli ultimi tre direttori della Federal Reserve americana. Eppure, la sua determinazione a sfruttare la crisi di New Orleans per affermare una versione fondamentalista del capitalismo fu anche un commiato particolarmente appropriato per questo professore alto un metro e sessanta e pieno di energie, che all'apice della carriera si era descritto come "un predicatore all'antica che declama il sermone domenicale". Per piu' di trent'anni, Friedman e i suoi potenti seguaci avevano perfezionato proprio questa strategia: attendere il verificarsi di una grande crisi o di un grande shock, quindi sfruttare le risorse dello Stato per ottenere un guadagno personale mentre gli abitanti sono ancora disorientati, e poi agire rapidamente per rendere "permanenti" le riforme. In uno dei suoi saggi piu' influenti, Friedman formulo' la panacea tattica che costituisce il nucleo del capitalismo contemporaneo, e che io definisco "dottrina dello shock". Osservava che "soltanto una crisi - reale o percepita - produce vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano. Questa, io credo, e' la nostra funzione principale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle in vita e disponibili finche' il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile". Alcune persone accumulano cibo in scatola e acqua in previsione di grandi disastri; i friedmaniani accumulano idee per il libero mercato. E quando la crisi colpisce - ne era convinto il professore dell'Universita' di Chicago - e' fondamentale agire in fretta, imporre un mutamento rapido e irreversibile prima che la societa' tormentata dalla crisi torni a rifugiarsi nella "tirannia dello status quo". Friedman stimava che "una nuova amministrazione dispone di un periodo di sei-nove mesi in cui realizzare i principali cambiamenti; se non coglie l'opportunita' di agire incisivamente in quel periodo, non avra' un'altra occasione del genere". Variazione sul tema del consiglio di Machiavelli per cui i danni andavano inflitti tutti assieme, questa si sarebbe dimostrata una delle eredita' strategiche di Friedman piu' durature. Friedman imparo' a sfruttare uno shock o una crisi su larga scala verso la meta' degli anni Settanta, quando fece da consigliere al dittatore cileno, il generale Augusto Pinochet. Non solo i cileni erano in stato di shock dopo il violento colpo di Stato di Pinochet, ma il Paese era anche traumatizzato da una grave iperinflazione. Friedman consiglio' a Pinochet di imporre una trasformazione fulminea dell'economia: tagli fiscali, libero scambio, privatizzazione dei servizi, tagli alla spesa sociale e deregulation. Alla fine, anche i cileni videro le loro scuole pubbliche rimpiazzate da istituti privati sovvenzionati mediante buoni spesa. Era la piu' estrema trasformazione in senso capitalistico mai tentata sino ad allora, e divenne famosa come la "Rivoluzione della Scuola di Chicago", dato che molti degli economisti di Pinochet avevano studiato con Friedman presso quella universita'. Friedman predisse che la velocita', la subitaneita' e la portata dei mutamenti economici avrebbero provocato reazioni psicologiche nell'opinione pubblica tali da "facilitare l'adattamento". Conio' un'espressione per indicare questa tattica dolorosa: "trattamento shock" economico. Negli anni che seguirono, ogni volta che i governi hanno imposto radicali programmi di libero mercato, il trattamento shock, o "shockterapia", e' stato il metodo favorito. Pinochet facilito' l'adattamento anche attraverso le sue personali shockterapie: quelle applicate nelle tante camere di tortura del regime, inflitte sui corpi agonizzanti di chi era considerato un potenziale ostacolo sulla strada della trasformazione capitalistica. Molti, in America Latina, vedevano un legame diretto tra gli shock economici che impoverivano milioni di persone e l'ampia diffusione della tortura che puniva le centinaia di migliaia di persone che credevano in un diverso tipo di societa'. Come disse lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: "Come salvare detta disuguaglianza se non a colpi di tortura con l'elettricita'?". Esattamente trent'anni dopo che queste tre distinte forme di shock erano calate sul Cile, la stessa formula e' riemersa, con molta piu' violenza, in Iraq. Prima e' venuta la guerra, con lo scopo - secondo gli autori della dottrina militare Shock and Awe (Shock e sgomento) - di "controllare la volonta' dell'avversario, le sue percezioni e il suo intelletto, e renderlo letteralmente incapace di agire o reagire". Poi e' venuta la shockterapia economica, imposta, in un Paese ancora in fiamme, da L. Paul Bremer, il governatore dell'Iraq nominato dagli Stati Uniti: privatizzazione selvaggia, completa liberta' di scambio, un'aliquota d'imposta unica al 15 per cento, un governo di proporzioni ridottissime. Il ministro iracheno del Commercio ad interim, Ali Abdul-Amir Allawi, disse all'epoca che i suoi connazionali erano "stufi di essere cavie per esperimenti. Ci sono gia' stati abbastanza shock al sistema, non ci serve questa shockterapia economica". Quando gli iracheni opposero resistenza, furono rastrellati e portati in prigioni dove avrebbero subito fisicamente e psicologicamente altri shock, decisamente meno metaforici. Ho iniziato a studiare il fenomeno della dipendenza del libero mercato dal potere dello shock quattro anni fa, nei primi giorni di occupazione dell'Iraq. Dopo aver fatto la corrispondente da Baghdad, dove avevo raccontato dei falliti tentativi di Washington di far seguire alla dottrina Shock and Awe la shockterapia, sono andata in Sri Lanka, diversi mesi dopo il catastrofico tsunami del 2004, e li' ho assistito a un'altra versione della stessa manovra: gli investitori stranieri e i prestatori internazionali si erano uniti allo scopo di sfruttare l'atmosfera di panico per consegnare l'intero litorale a imprenditori che vi costruirono grandi villaggi turistici, impedendo a centinaia di migliaia di pescatori di ricostruire le loro case vicino al mare. "Con un crudele rovescio di fortuna, la natura ha offerto allo Sri Lanka un'opportunita' unica, e da questa grande tragedia sorgera' un importante polo del turismo internazionale", annuncio' il governo dello Sri Lanka. Quando poi l'uragano Katrina colpi' New Orleans, e la pletora di politici conservatori, think tanks e imprenditori edili iniziarono a parlare di tabula rasa e fantastiche opportunita', fu chiaro che il metodo privilegiato per imporre gli obiettivi delle grandi imprese, adesso, era quello di usare i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica. La maggior parte dei sopravvissuti a un disastro devastante vuole ben altro che una tabula rasa: vogliono salvare il salvabile e iniziare a riparare cio' che non e' stato distrutto, vogliono riaffermare il proprio legame con i luoghi in cui sono cresciuti. "Mentre ricostruisco la citta' mi sembra di ricostruire me stessa", diceva Cassandra Andrews, residente della Lower Ninth Ward, una delle zone piu' colpite di New Orleans, mentre spazzava via i detriti. Ma i fautori del capitalismo dei disastri non hanno interesse a restaurare cio' che era prima. In Iraq, nello Sri Lanka e a New Orleans, la "ricostruzione" inizio' portando a compimento il lavoro svolto dal disastro, spazzando via cioe' quanto rimaneva della sfera pubblica, per poi rimpiazzarlo in tutta fretta con una specie di Nuova Gerusalemme aziendale: il tutto prima che le vittime del disastro naturale fossero in grado di coalizzarsi e reclamare cio' che spettava loro di diritto. Mike Battles l'ha espresso nel modo migliore: "Per noi, la paura e il disordine offrivano promesse concrete". Il trentaquattrenne ex agente segreto della Cia parlava di come il caos nell'Iraq post-invasione avesse aiutato la sua sconosciuta agenzia di sicurezza privata, la Custer Battles, a ricevere circa cento milioni di dollari in contratti governativi. Le sue parole potrebbero fungere da slogan per il capitalismo contemporaneo: paura e disordine sono i catalizzatori per ogni nuovo balzo in avanti. Quando ho iniziato questa ricerca sull'intersezione tra superprofitti e megadisastri, pensavo di essere di fronte a una mutazione fondamentale del modo in cui la spinta a "liberare" i mercati si faceva strada in tutto il mondo. Sono stata parte attiva del movimento no global che fece il suo debutto mondiale a Seattle nel 1999, e quindi ero abituata a vedere questo genere di politiche, imposte facendo pressioni ai summit dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), o come clausole dei prestiti del Fondo monetario internazionale (Fmi). Le tre richieste tipiche - privatizzazione, deregulation e sostanziosi tagli alla spesa sociale - erano di solito molto malviste dai cittadini; ma quando si firmavano gli accordi c'era almeno il pretesto di un'intesa tra i governi che gestivano i negoziati, oltre al consenso tra i presunti esperti. Ora, lo stesso programma ideologico veniva imposto con i mezzi piu' apertamente coercitivi: sotto un'occupazione militare straniera in seguito a un'invasione, o subito dopo un cataclisma naturale. L'11 settembre sembra aver concesso a Washington il via libera per smettere di chiedere ai Paesi se desiderano la versione americana di "economia di mercato e democrazia" e iniziare a imporla con la forza militare dello Shock and Awe. Approfondendo la storia della diffusione su scala planetaria di questo modello di mercato, tuttavia, mi sono resa conto che l'idea di sfruttare crisi e disastri era stato fin dall'inizio il modus operandi del movimento promossa da Milton Friedman: il fondamentalismo capitalista ha sempre avuto bisogno dei disastri per imporsi. Certo, i disastri stessi erano sempre piu' grandi e scioccanti; ma cio' che stava accadendo in Iraq e a New Orleans non era un'invenzione nuova, post-11 settembre. Piuttosto questi esperimenti di sfruttamento delle crisi costituivano il culmine di tre decenni di stretta osservanza della dottrina dello shock. Visti attraverso la lente di questa dottrina, gli ultimi trentacinque anni hanno un aspetto molto diverso. Alcune delle piu' drammatiche violazioni dei diritti umani nella nostra epoca, usualmente considerate semplici atti di sadismo compiuti da regimi antidemocratici, in realta' sono state commesse con l'intento deliberato di terrorizzare l'opinione pubblica allo scopo di preparare il terreno per l'introduzione di "riforme" radicali in senso liberista. In Argentina negli anni Settanta, la "sparizione" di trentamila persone - molte delle quali attivisti di sinistra - a opera della junta fu un passo essenziale per l'imposizione di politiche ispirate alla Scuola di Chicago, esattamente come il terrore era stato complice della stessa metamorfosi in Cile. In Cina nel 1989, lo shock del massacro di piazza Tienanmen, e gli arresti di decine di migliaia di persone che seguirono, permisero al partito comunista di trasformare gran parte del Paese in una tentacolare zona di libera esportazione, popolato da lavoratori troppo spaventati per rivendicare i loro diritti. In Russia nel 1993, Boris Eltsin decise di inviare carri armati per appiccare il fuoco agli edifici del Parlamento e di chiudere in carcere i leader dell'opposizione: fu questo a spianare la strada per la privatizzazione a prezzi di saldo che fece nascere i famigerati oligarchi di quel Paese. La guerra delle Falkland nel 1982 servi' a uno scopo simile per Margaret Thatcher in Gran Bretagna: il disordine e il fervore nazionalista scaturiti dalla guerra le consentirono di usare una straordinaria durezza per sconfiggere i minatori in sciopero e accendere la prima frenesia di privatizzazioni in una democrazia occidentale. L'attacco Nato a Belgrado nel 1999 creo' le condizioni per repentine privatizzazioni nell'ex Jugoslavia: un obiettivo che risaliva a prima della guerra. Il fattore economico ovviamente non fu l'unica causa di queste guerre ma, in ciascuno di questi casi, un grande shock collettivo fu sfruttato per preparare il terreno alla shockterapia economica. Gli episodi traumatici che hanno assolto questa funzione di indebolimento non sono sempre stati apertamente violenti. In America Latina e in Africa negli anni Ottanta, fu una crisi di indebitamento a obbligare i Paesi alla scelta tra "privatizzazione o morte", per usare le parole di un funzionario del Fmi. Messi in ginocchio dall'iperinflazione, e solitamente troppo indebitati per opporsi alle pretese che accompagnavano i prestiti stranieri, i governi accettarono un trattamento shock con la promessa che cio' li avrebbe salvati da un disastro ben peggiore. In Asia, fu la crisi finanziaria del 1997-98 - paragonabile, per gli effetti devastanti, alla Grande depressione - a trasformare, aprendo a forza i loro mercati, le cosiddette Tigri asiatiche in quella che il "New York Times" ha definito "la svendita per cessata attivita' piu' grande del mondo". Molti di questi Paesi erano democrazie, ma le radicali trasformazioni economiche non sono state imposte democraticamente. Al contrario: come Friedman aveva ben compreso, l'atmosfera generale di crisi forniva il necessario pretesto per ignorare i desideri espressi dagli elettori e consegnare il Paese a economisti "tecnocrati". Naturalmente, ci sono stati casi in cui l'adozione di politiche liberiste ha avuto luogo in modo democratico: si sono visti politici vincere le elezioni con programmi intransigenti, e gli Stati Uniti di Ronald Reagan ne sono l'esempio migliore; un caso piu' recente e' quello dell'elezione di Nicolas Sarkozy in Francia. In questi casi, tuttavia, i crociati del libero mercato hanno incontrato la pressione dell'opinione pubblica e sono stati obbligati a temperare e modificare i loro piani economici radicali, accettando cambiamenti parziali al posto di una conversione totale. Il punto cruciale e' che il modello economico di Friedman puo' essere parzialmente imposto in una democrazia, ma per attuarlo in tutta la sua portata ideale sono richieste condizioni di natura autoritaria. Perche' la shockterapia economica potesse essere applicata senza vincoli - come lo fu in Cile negli anni Settanta, in Cina negli Ottanta, in Russia nei Novanta e negli Stati Uniti dopo l'11 settembre 2001 - e' sempre stato necessario un qualche ulteriore grosso trauma collettivo che sospenda temporaneamente o sopprima completamente le consuetudini democratiche. Questa crociata ideologica ha visto la luce nei regimi autoritari del Sudamerica, e nei suoi piu' ampi territori di ultima conquista - Russia e Cina - coesiste ancora oggi, in tutta serenita' e generando grandi profitti, con una leadership dal pugno di ferro. (Parte prima - segue) 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 834 del 28 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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