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Nonviolenza. Femminile plurale. 251
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 251
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 May 2009 09:15:05 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 251 del 28 maggio 2009 In questo numero: 1. Per Aung San Suu Kyi 2. Giovanna Providenti: Liberta' 3. Jayati Ghosh: La crisi, i consumi 4. Alice Miller: Il bambino e il dittatore 5. Michelangelo Cocco intervista Leila Shahid 6. Marinella Correggia: Biodiversita' 7. Marina Forti: Terre 8. Donatella Bassanesi: Tra filosofia e politica 1. APPELLI. PER AUNG SAN SUU KYI Ogni giorno far sentire la propria voce per la liberazione di Aung San Suu Kyi, voce e volto della nonviolenza, costruttrice di pace e di giustizia, lottatrice per i diritti umani di tutti gli esseri umani. 2. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: LIBERTA' [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Liberta' o retorica?"] Guardando in televisione il premier Berlusconi circondato da ministri, che aprendo le braccia esultante esclama "viva la liberta'", mi sono ricordata di una nota dichiarazione di Rosa Luxemburg: "liberta' e' sempre soltanto la liberta' per chi la pensa in modo diverso". Ma in Italia, dove domina un partito che fa della liberta' il proprio vessillo, presente anche nel nome, e' un'altra l'idea di liberta'. Per i nostri governanti chi la pensa in modo diverso dalla maggioranza sta con la morte e non con la vita e chi bussa alle porte per cercare liberta' viene bollato come clandestino da rispedire indietro. Nel nostro belpaese liberta' e' sinonimo di privilegio e permissivismo dentro una trincea di mattoni che diventera' sempre piu' fitta grazie a condoni e proprieta' estendibili. Il successo dell'attuale coalizione al governo, che si prepara a vincere anche le elezioni europee, si fonda sul presupposto (purtroppo rinforzato dai fatti) che a giudicare l'operato governativo non siano dei cittadini in grado di capire che cosa stia succedendo intorno a loro, ma degli utenti-consumatori da corteggiare con proposte allettanti e facendo loro credere di stare dalla parte dei vincenti. Di essere dei privilegiati: nei confronti degli sfigati di sinistra, di tutti coloro che non possiedono nemmeno una piccola proprieta', degli immigrati clandestini a cui negare persino il diritto di curarsi, e, addirittura, nei confronti di tutti gli abitanti del mondo, che subirebbero le conseguenze della crisi internazionale in maniera molto piu' grave che in Italia. Questa idea di liberta' come privilegio e' molto lontana dalla concezione di Rosa Luxemburg e delle molte donne e uomini che nella storia hanno combattuto per la liberta' di tutti anche a costo della vita. Liberta' non e' chiusura, ma apertura alle e verso le diversita'. E per aprire la porta all'altro da se' e' prima necessario aprirla all'altro dentro di se', dato che in ognuno di noi alberga sia Mr Hyde che il dottor Jekyll. Il guaio e' se si permette solo a uno dei due di essere cittadino, inebetendolo di privilegi, e si relega l'altro in cantina non permettendogli di sviluppare le sue migliori potenzialita'. Il limite della prospettiva dell'autore de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, tendente a identificarsi piu' con Jekyll che con Hyde (considerato un male interiore che finisce per distruggere l'equilibrio della sua anima) e' l'atteggiamento di rifiuto nei confronti dell'alter ego Mr Hyde, giudicato malvagio perche' trasgredisce la sua visione ordinata del mondo. Ma la trasgressione di Hyde e' direttamente proporzionale alla repressione subita da parte di Jekyll, il quale, non riuscendo a cogliere la propria natura duale, si identifica solo con il se' rappresentato dal dottore socialmente vincente, "buono" e bravo, che si ritrova ad essere "invaso" da un clandestino indesiderato, che non e' altri che lui stesso, diventato criminale in reazione al divieto di esistere. Jekyll non comprende che il suo problema non e' Hyde, ma la propria visione riduttiva e bipolare del mondo, che, definendo cosa e' bene e cosa e' male, crea il mostro cattivo. L'abitudine a pensare in maniera bipolare e' oggi responsabile di alcune "ipersoluzioni" con cui le istituzioni politiche pensano di risolvere le questioni sociali, non basandosi sulla conoscenza reale di cio' che succede nel quotidiano di cittadini e cittadine e dei loro reali bisogni, ma sulla base di concetti astratti: il bene che deve dominare sul male, la verita' che deve trionfare. In Italia oggi stiamo assistendo a una serie di tali "ipersoluzioni": la questione "testamento biologico" risolta con una legge poco rispettosa dei diritti umani dell'individuo; il "pacchetto sicurezza", rivolto a mettere a norma i campi nomadi e combattere la clandestinita', che prevede cose come la segnalazione da parte dei medici e i campi di concentramento per gli immigrati; il problema della violenza contro le donne affrontato fomentando la paura dell'estraneo e dello straniero, cercando capri espiatori e garantendo branchi di ronde contro ipotetici branchi di violentatori, ottenendo il risultato di aumentare l'insicurezza delle donne invece di incoraggiarle a rafforzarsi. I problemi di singole persone e/o di collettivita' non si risolvono con "ipersoluzioni", ma vanno affrontati caso per caso, rinunciando agli slogan e imbrattandosi le mani a contatto con la realta' concreta. Oggi, e' soprattutto nella pratica quotidiana dei singoli che molte questioni vengono affrontate. Ad esempio la questione del razzismo, in moltissime persone e' superata a partire da se': nel percepire se stessi personalita' plurime o nomadi. La crisi economica e' ben affrontata da reti del terzo settore, da cittadini che si auto-organizzano in gruppi di acquisto, che trovano strategie per ridurre gli sprechi o che si rivolgono allo sviluppo dell'agricoltura di prossimita', come avviene nel Parco Sud di Milano; da stili di consumo, di imprenditorialita', di management e persino di finanza che danno piu' valore alla solidarieta' e alla costruzione di relazioni e legami sociali che all'accumulo di capitale. Non e' forse un caso che Banca Etica, in totale controtendenza alla crisi, ha chiuso il 2008 con un utile netto superiore al 25% rispetto al precedente anno. Qualsiasi crisi, sia personale che collettiva, sia politica, finanziaria che di identita', si affronta meglio rafforzando autonomia e fiducia nelle proprie capacita' piuttosto che affidandosi al semplicistico ottimismo di chi offre privilegi a scapito di qualcun altro. Una persona autonoma e' in grado di individuare la bugia nascosta dietro promesse seduttive, di decodificare i progetti di chi sa sfruttare le debolezze individuali: si accorge di essere vittima delle suggestioni che vanno a nutrire la parte di se' a cui piace sentirsi privilegiata e capisce di essere piu' libera quando e' padrona di se stessa, anche se non possiede piccole proprieta' di immobili estendibili. Una persona davvero libera non si barrica in false certezze e, invece di morire lentamente per conformarsi ai valori dominanti, rinasce giorno per giorno, affrontando a piccole dosi, con coraggio e curiosita', le novita' che la vita puo' offrire. Per questo non teme tutto cio' che e' differente da se' ed auspica una liberta' che comprenda anche chi la pensi in modo diverso. Non teme di scoprire cosa puo' esserci dietro uno qualsiasi dei sintomi di malessere che attanagliano individui e societa' al giorno d'oggi: per questo fa diagnosi precise e dettagliate. Invece spesso, sia in politica che in medicina, si trova la cura prima di comprendere la malattia, trascurando l'ipotesi che un sintomo o una crisi prima di essere un male che distrugge l'equilibrio, e' un segnale di un cambiamento che bussa alle porte: che sarebbe meglio ascoltare e comprendere prima che si decida a sfondare tutto, pur di attraversare la soglia. Nel passaggio verso il futuro nuovo e inaspettato faremmo bene a lasciare le porte aperte, o anche solo socchiuse, a tutto cio' che e' altro rispetto alle nostre identita' privilegiate. Ed anche a imparare a stare nei paradossi, a riderne, accogliendo sia le pluralita' dentro di noi che le pluralita' intorno a noi. Camminando lentamente, come funamboli in precario equilibrio, nei continui processi di rinascita che producono cambiamenti lenti e profondi, che vale la pena scoprire prima di trovare nuove catastrofiche "ipersoluzioni". Forse dietro la tanto temuta rottura di equilibri economici, politici, societari e identitari ci sta la nascita di qualcosa di migliore. Speriamo anche una rivoluzione simbolica in cui parole come liberta', giustizia, parita' e solidarieta' perdano ogni retorica e assumano significati autentici e pregni di vita vera. 3. RIFLESSIONE. JAYATI GHOSH: LA CRISI, I CONSUMI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 2009 col titolo "I consumi di Cindia" e il sommario "L'Occidente teme il benessere di Cina e India, che 'brucia' risorse che considerava sue"] Una visita in Europa occidentale lo scorso marzo mi ha offerto una visione lievemente diversa, e un po' inquietante, circa lo svolgersi degli avvenimenti economici e delle loro coordinate. Quando una crisi si sviluppa, in ogni parte del mondo ci si interroga sulle attuali istituzioni economiche - e naturalmente paure, insicurezze e preoccupazioni incidono pesantemente sulla visione del futuro. Le principali domande riguardano le entrate economiche e la distribuzione delle risorse (non succede sempre cosi'?), ma in questi tempi di crisi globale le argomentazioni possono diventare piu' taglienti e perfino laceranti. Due sono gli argomenti piu' usati pubblicamente. Il primo consiste in un'animosita', appena o per niente dissimulata, nei riguardi di Cina e India (inevitabilmente associate, nonostante le enormi differenze), indicate come beneficiarie della globalizzazione e voraci divoratrici di risorse globali. Il secondo rivela una generale incapacita' di concepire una via di uscita dalla crisi attuale che non sia semplicemente replicare il passato, persino quando cio' risulti chiaramente insostenibile. L'atteggiamento europeo nei confronti dell'Asia e' stato a lungo caratterizzato da una combinazione variabile di paura e fascinazione, rispetto e repulsione, competizione e colonialismo - come gli studi sull'orientalismo hanno reso fin troppo evidente. Ma le percezioni piu' diffuse oggi sono in qualche modo differenti; nutrite da media sensazionalistici che non hanno tempo o spazio da perdere per dedicarsi alle complessita', si muovono come un pendolo passando dall'idea di un'Asia popolosa terreno di crescita per poverta' e terrorismo, a quello di un export aggressivo che grazie al basso costo della mano d'opera portera' alla crescita del livello di vita di una futura classe media di due miliardi di persone, che fagocitera' insostenibilmente le risorse mondiali. La pura ignoranza puo' spiegare molte cose. In Europa, persino nei settori piu' informati dell'opinione pubblica, quasi non ci si rende conto di quanto la globalizzazione abbia inciso negativamente sulle condizioni di vita e sull'occupazione della maggior parte delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, compresi i paesi asiatici a forte crescita. La crisi agraria e' considerata storia passata, ormai superata dalla crescita dei prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale tra il 2002 e la prima parte del 2008, sebbene le entrate degli agricoltori non siano cresciute e le coltivazioni siano sempre meno accessibili nella gran parte dei paesi in via di sviluppo. A causa del volume dell'esportazione di manufatti asiatici, c'e' ancora una diffusa percezione del dirottamento del lavoro manifatturiero dal Nord al Sud - benche' l'occupazione manifatturiera sia diminuita nella totalita' dei paesi in via di sviluppo, sia a malapena cresciuta nella maggior parte dei paesi asiatici, e sia diminuita dal 1997 in quella che e' in genere considerata l'officina del mondo, la Cina. A Londra, durante un dibattito pubblico, uno dei partecipanti si e' chiesto se Cina e India, recentemente arricchitesi per avere sfruttato i processi di globalizzazione, sarebbero in grado di usare la crisi corrente come opportunita' per cavalcare questo tsunami economico che rischia di sommergere tutti i paesi, e riemergere piu' forti di Europa e Usa. Un anziano e distinto gentiluomo, all'apparenza eminente, nel corso di un'affollata conferenza a Berlino, e' stato ancora piu' perentorio: "Cina e India hanno tratto profitto della crisi economica che ha colpito l'Asia nel 1997-1998, e ora beneficeranno di questa crisi globale alle spese dei loro vicini". Un altro partecipante ha espresso piu' o meno lo stesso concetto: "Quei paesi (Cina e India) non sono poveri, sono pieni di miliardari, quattro tra le prime dieci persone piu' ricche del mondo vengono da la', e nonostante tutto si lamentano di noi e nello stesso tempo ci domandano assistenza". Queste non sono ovviamente posizioni politicamente corrette, ne' rappresentano la maggioranza delle opinioni, e tra l'altro sono state contestate da altri partecipanti alle conferenze in questione. Nella loro assoluta franchezza pero' danno un'idea di quanto siano diffuse e sotterranee queste percezioni. Non si tratta solo di spostamenti nell'equilibrio economico e geopolitico. Persino tra le persone piu' progressiste in Europa esiste una paura palpabile, alcune volte inespressa o espressa solo in argomentazioni molto sottili e sofisticate, che la crescita dei consumi tra quella larga fetta delle popolazioni del mondo esercitera' una pressione insostenibile sulle risorse globali e di conseguenza non va assolutamente favorita. C'e' una parte di verita' in questo: non c'e' dubbio che gli attuali standard di vita del nord del mondo non sarebbero sostenibili se dovessero diventare accessibili a ogni abitante di questo pianeta. Cio' implica che la crescita futura dei paesi in via di sviluppo debba seguire un percorso di produzione e consumo piu' equo e cosciente. Ma cio' si scontra duramente con il problema di fondo. Perche' anche se le elites e la classe media nei paesi in via di sviluppo, in particolare Cina e India, cessassero d'improvviso di aumentare i loro consumi e si limitassero a portare la maggior parte delle popolazioni a qualcosa di simile a un accettabile standard di vita minimo, cio' implicherebbe un uso estensivo di risorse globali, e sarebbe inevitabile un maggior uso di risorse naturali e l'aumento delle emissioni inquinanti. Dunque la dura realta' e' che il mondo sviluppato deve, nella sua totalita', consumare meno risorse naturali e ridurre il suo contributo al riscaldamento globale. Cio' a sua volta ha effetto sulle entrate economiche. Non e' assolutamente chiaro come mai dei paesi in calo demografico debbano incrementare il loro prodotto interno lordo; perche' non dovrebbero orientarsi invece verso la redistribuzione interna e il cambiamento degli stili di vita, cose che potrebbero di fatto migliorare la qualita' della vita di tutti i cittadini. La crisi corrente e' un'eccellente, forse unica, opportunita' per portare a un cambiamento nelle aspirazioni socialmente indotte e nei bisogni materiali, e riorganizzare la vita economica dei paesi sviluppati in modo meno rapace e piu' sostenibile. Purtroppo questo tipo di messaggio non ha avuto ascolto, almeno tra i decisori politici dei principali paesi capitalistici. Negli Stati Uniti, perfino la blandamente ecologista amministrazione Obama parla solo di promuovere "tecnologie piu' pulite e piu' rispettose dell'ambiente" invece di far cessare assurdi sprechi e dispendiosissimi ordini di consumo. Ad esempio le strategie di trasporto restano fondate sull'eccessivo affidamento all'auto privata piuttosto che su un piu' estensivo ed efficiente trasporto pubblico. Anche in Europa l'interesse si rivolge verso la rivitalizzazione di vecchie e superate maniere di consumare. In Italia Silvio Berlusconi ha appena esortato la popolazione a non cambiare i propri stili di vita a causa della crisi, in quanto cio' ridurrebbe immediatamente l'attivita' economica! Altrimenti detto, questo implica che lo spreco e l'eccessivo consumo sono socialmente desiderabili in quanto quella e' l'unica via per preservare l'occupazione. Anche a livello globale, i politici stanno dimostrando la stessa sorprendente mancanza di immaginazione. Tutti gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti e sulle misure di salvataggio di Obama in quanto, direttamente o indirettamente, la dipendenza dalle esportazioni verso gli Usa e' cosi' grande che per la maggior parte dei paesi e' vista come l'unica maniera di salvarsi economicamente. Ma gli Usa, molto semplicemente, non possono piu' essere il motore della crescita mondiale a causa del loro enorme debito estero e dell'attuale deficit, e non e' nemmeno desiderabile che continuino a esserlo. Questo crea per le altre economie il bisogno inevitabile e urgente di ridirezionare il proprio commercio e i propri investimenti. Inoltre questo crea una opportunita' per gli altri paesi di concepire forme di consumo differenti, piu' sostenibili e possibilmente piu' desiderabili. Perche' oggi cosi' poche persone, specialmente tra coloro che sono in posizione di influenzare le politiche economiche, sollevano queste questioni piuttosto ovvie? Quello che non sembriamo realizzare e' che, a meno che questi problemi basilari non vengano risolti, non solo marceremo tutti disperatamente verso il mare con l'urgenza dei lemmings, ma continueremo a batterci e perfino ucciderci l'un l'altro per avere il privilegio di arrivarci per primi. * Postilla. Jayati Ghosh Economista, professoressa alla Jawaharlal Nehru University di New Delhi e associata alle Universita' di Tufts e di Cambridge (Gran Bretagna), e' la cofondatrice della Economic Research Foundation, New Delhi. I suoi articoli sono disponibili sulle pagine di Macroscan, sito web della fondazione, e su www.networkideas.org, rete di economisti critici del paradigma neoliberista. E' l'autrice di Crisis as conquest: Learning from East Asia (2001, con C. P. Chandrasekhar) e di The Market that Failed: A Decade of Neoliberal Economic Reforms in India (2002). 4. LIBRI. ALICE MILLER: IL BAMBINO E IL DITTATORE [Dal quotidiano "L'Unita'" del 13 maggio 2009 col titolo "Il bambino spaventato che dorme alle radici del male" e il sommario "Riprendersi la vita. Esce il nuovo saggio di Alice Miller sull'origine dell'orrore. In ogni terrorista o dittatore, come Hitler, si cela un'infanzia gravemente umiliata. Da oggi e' in libreria per Bollati Boringhieri un nuovo saggio di Alice Miller, la psicoanalista che ha dedicato la sua vita allo studio delle conseguenze di violenza e anaffettivita' sui bambini. Ne anticipiamo un brano"] In ogni dittatore, sterminatore o terrorista, per terribile che esso sia, si cela sempre e comunque un bambino che un tempo e' stato gravemente umiliato e che e' sopravvissuto solo grazie alla totale negazione dei propri sentimenti di assoluta impotenza. Tuttavia questa completa negazione della sofferenza subita produce uno svuotamento interiore, e assai spesso blocca lo sviluppo della capacita' innata di provare compassione per gli altri. Queste persone non hanno difficolta' a distruggere altre vite umane, persino la propria stessa vita vuota di senso. Oggi siamo in grado di vedere sullo schermo del computer le lesioni cerebrali che si producono nei bambini che hanno subito percosse o che sono stati abbandonati. Ne riferiscono numerosi articoli di ricercatori di neurobiologia, in particolare di Bruce D. Perry, che e' anche psichiatra infantile. Dal mio punto di vista e sulla base delle mie ricerche sull'infanzia dei dittatori piu' efferati, come Hitler, Stalin, Mao e Ceausescu, vivo il terrorismo e gli ultimi attentati terroristici come la macabra, ma precisa dimostrazione di cio' che accade a milioni e milioni di bambini di tutto il mondo dietro il pretesto dell'educazione, e che purtroppo viene ignorato dalla societa'. Tutti noi in quanto adulti abbiamo dovuto conoscere cio' che molti bambini vivono nella loro quotidianita'. Se ne stanno impotenti, muti e tremanti davanti all'imprevedibile, incomprensibile, brutale e indescrivibile violenza dei loro genitori che vendicano sui figli le sofferenze della propria infanzia, non rielaborate perche' negate. Dobbiamo solo ricordarci dei sentimenti che abbiamo provato l'11 settembre per immaginare la portata di una simile sofferenza: siamo rimasti tutti sopraffatti dall'orrore, dal raccapriccio e dal terrore. E tuttavia i rapporti esistenti tra vicende dell'infanzia e terrorismo continuano a essere minimizzati. E' tempo di prendere sul serio il linguaggio dei fatti. * Primo, non picchiare In base alle statistiche, piu' del novanta per cento della popolazione mondiale e' fermamente convinta che i bambini vadano picchiati per il loro bene. Poiche' quasi tutti noi abbiamo sperimentato l'umiliazione derivante da tale mentalita', la sua crudelta' non ci risulta affatto evidente. Ma ora il terrorismo mostra - come in precedenza e' accaduto per l'Olocausto e per altre forme di barbarie - quali siano le conseguenze del sistema punitivo in cui siamo cresciuti. Ciascuno di noi puo' osservare sullo schermo televisivo gli orrori del terrorismo, mentre quelli in cui crescono i bambini vengono raramente mostrati dai media, poiche' noi tutti abbiamo imparato gia' nella prima infanzia a reprimere il dolore, a far finta di non vedere la verita' e a negare l'assoluta impotenza di un bambino umiliato. Noi non veniamo al mondo - come si credeva un tempo - con un cervello gia' completamente formato; esso si sviluppa solo nei primi anni di vita. Cio' che il bambino ha vissuto in quel periodo lascia spesso dietro di se' tracce sia del bene sia del male che durano tutta la vita. Il nostro cervello conserva infatti la completa memoria fisica ed emotiva, anche se non quella mentale, di cio' che ci e' successo. * Secondo, soccorrere Senza la presenza di un testimone soccorrevole il bambino impara a esaltare quello che ha incontrato: crudelta', brutalita', ipocrisia e ignoranza. Ogni bambino infatti impara solo dall'imitazione e non dalle belle parole che si cerca di propinargli. Se, piu' tardi, quel bambino cresciuto senza la presenza di un testimone soccorrevole arrivera' a posizioni di potere, potra' essere uno sterminatore, un serial killer, un boss mafioso o un dittatore, e infliggera' allora a molte altre persone, o addirittura a intere popolazioni, lo stesso terrore che ha sperimentato nella propria infanzia sulla propria pelle. Se poi non ha un potere diretto, aiutera' i potenti a esercitare il terrore. Purtroppo la maggioranza di noi non vuol vedere queste correlazioni. Cosi' rimane ferma alla strategia dell'infanzia, alla negazione. Ma il proliferare della cieca violenza in ogni parte del mondo dimostra che non possiamo proseguire in un simile atteggiamento, che non possiamo piu' permetterci di essere ciechi. Dobbiamo uscire dal sistema tradizionale che si orientava sulla punizione e la vendetta, che voleva combattere il male presente nell'altro. Ovviamente non dobbiamo trascurare la nostra protezione. Ma non ci resta quasi altra alternativa: occorre andare alla ricerca di altre forme di comunicazione, diverse da quelle apprese nella nostra educazione, e provare a metterle in pratica, forme di comunicazione basate sul rispetto, che non portino a nuove umiliazioni. E' ormai tempo di destarsi da un lungo torpore. Da adulti non corriamo piu' il pericolo di morte che nell'infanzia ha realmente minacciato molti di noi e che ci faceva agghiacciare dalla paura. Solo da bambini eravamo costretti a negare per sopravvivere. Da adulti possiamo imparare a non ignorare piu' il sapere del nostro corpo. Puo' infatti rivelarsi pericoloso non cogliere i veri moventi del nostro agire e non riuscire a comprenderli. Intanto la conoscenza della nostra storia ci puo' liberare dall'impiego di strategie inservibili e dalla cecita' rispetto alle nostre emozioni. Oggi abbiamo la possibilita' di guardarci intorno, di apprendere dall'esperienza e di cercare nuove soluzioni creative per i conflitti. L'umiliazione dell'altro non produrra' mai una vera e durevole soluzione, ma sia nell'educazione che in politica creera' nuovi focolai di violenza. Anche se da bambini non abbiamo potuto apprendere ad aver fiducia in una comunicazione rispettosa, non e' mai troppo tardi per impararla. Questo processo di apprendimento mi pare una significativa e promettente alternativa all'autoinganno fondato sull'esercizio del potere. (...) Se la Bibbia e il Corano avessero proibito a chiare lettere di picchiare i bambini potremmo guardare al futuro con maggiori speranze. Le autorita' spirituali che ci fanno da guida si rifiutano purtroppo pervicacemente di accogliere nella loro coscienza nuove informazioni di vitale importanza sui danni che le percosse possono produrre al cervello infantile. Non pensano minimamente a impegnarsi affinche' i bambini vengano trattati con rispetto e a favore di un migliore futuro dell'umanita', perche' tutti quanti, come bambini completamente terrorizzati, e come un tempo Martin Lutero, Calvino e anche numerosi filosofi, badano soprattutto a proteggere e a onorare l'immagine immacolata della propria madre. Si tratta dell'immagine idealizzata della madre, che si vuol credere avesse agito bene, quando castigava senza pieta' i propri figli. Mentre si scrivono tante belle parole sull'amore, ci si rifiuta di vedere come la capacita' di amare venga distrutta quando si e' ancora bambini. 5. RIFLESSIONE. MICHELANGELO COCCO INTERVISTA LEILA SHAHID [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 2009 col titolo "Leila Shahid: Europa ipocrita, lasci morire Gaza"] Leila Shahid e' la combattiva rappresentante dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) presso l'Unione Europea. Nata in esilio in Libano nel 1949 (durante la Nakba palestinese), abbiamo incontrato Shahid a Roma, a margine del convegno "C'e' un giudice per Gaza?", organizzato dalla Fondazione Basso. * - Michelangelo Cocco: Alla conferenza di Sharm el Sheik i donatori internazionali hanno promesso 4,5 miliardi di dollari per ricostruire Gaza, ma finora nemmeno un centesimo hh raggiunto la Striscia. - Leila Shahid: Non c'e' da sorprendersi. L'Unione Europea sa che tutte le porte di Gaza (spazio aereo, marittimo e terrestre) sono sigillate, piu' ermeticamente di quanto lo fossero prima della guerra contro Gaza. L'aeroporto (finanziato anche con fondi Ue) fu distrutto dagli israeliani nel 2000, il valico di Rafah tra Egitto e Gaza, dove gli europei erano i controllori ufficiali del passaggio, e' chiuso ormai da due anni. Secondo le Nazioni Unite, la popolazione necessita di 800 camion di merci al giorno, ma ne passano mediamente 120. Come possono gli europei immaginare che questi aiuti filtrino, se hanno permesso a Israele, dopo i massacri di "Piombo fuso" (1.417 palestinesi uccisi tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 - ndr) di assediare completamente la Striscia? Quello dell'Europa e' un atteggiamento ipocrita: non ha nemmeno chiesto un'indagine su quanto accaduto durante "Piombo fuso" e ora e' complice dell'assedio. Israele e' stato trattato per 41 anni dall'Europa come un bambino viziato. Ora, dopo decenni di violazioni nei confronti dei palestinesi quel bambino (parlo dei governi d'Israele, non del suo popolo in generale) e' diventato un mostro. * - Michelangelo Cocco: Ma recentemente l'Ue ha congelato il rafforzamento delle relazioni con lo Stato ebraico. - Leila Shahid: Nel dicembre scorso, durante la presidenza francese dell'Unione, il presidente Sarkozy sosteneva che rafforzare i rapporti con Tel Aviv avrebbe indotto lo Stato ebraico a rispettare gli obblighi della Road map, il piano di pace elaborato da Ue, Usa, Onu e Russia. All'inizio di dicembre il Consiglio d'Europa ha detto si' al rafforzamento e il 27 di quel mese l'esercito ha scatenato l'offensiva contro Gaza. Uno schiaffo in faccia all'Europa. Ma se Israele, nonostante le sue politiche, ottiene tutto cio' che vuole, perche' dovrebbe fermarsi? Dopo "Piombo fuso", il Parlamento europeo ha rifiutato di ratificare il rafforzamento. E lo stesso Consiglio d'Europa ha detto di voler aspettare di conoscere le posizioni del nuovo governo d'Israele in merito alle colonie, alla guerra, a Gerusalemme. Il 15 giugno prossimo e' previsto un consiglio Ue-Israele per il rafforzamento dell'associazione, ma c'e' da aspettarsi che posizioni come quella francese tornino alla carica. * - Michelangelo Cocco: Pochi giorni fa sono falliti i colloqui di riconciliazione tra Fatah e Hamas. Subito dopo l'Autorita' nazionale palestinese (Anp) ha formato a Ramallah un nuovo governo, un monocolore di Fatah. Gaza resta nelle mani di Hamas. Chi parla oggi in nome dei palestinesi? - Leila Shahid: E' una grande tragedia. Il popolo palestinese si chiede: perche' abbiamo bisogno di un governo se questi politici s'interessano solo a darsi battaglia per il potere. E infatti il nuovo esecutivo presieduto da Salam Fayyad e' stato bocciato non solo da Hamas, ma anche da alcuni parlamentari di Fatah a Ramallah. La popolazione e' sempre piu' arrabbiata nei confronti della sua leadership: si domanda come sia possibile che mentre la colonizzazione accelera, Gaza e' sempre piu' sotto assedio e dovremmo fronteggiare il governo piu' a destra della storia d'Israele, ci diamo battaglia tra noi. E' una vergogna di cui la maggior parte della responsabilita' ricade su di noi. Ma non dobbiamo dimenticare che, dopo le elezioni del 2006, Usa e Ue rifiutarono di accettarne il risultato, boicottando qualsiasi governo che comprendesse anche Hamas. 6. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: BIODIVERSITA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 maggio 2009 col titolo "Custodi mediterranei"] "Da noi si dice che una casa senza datteri e' una casa dove si ha fame. Sono cresciuto con le palme che le generazioni passate ci hanno lasciato e per tutta la mia vita ho lavorato a preservare e ad arricchire questa grande risorsa. Penso che le palme da datteri rimarranno quando il petrolio finira'". Slimane Bekkay, agricoltore di Ghardaia, Algeria, e' uno dei "custodi della diversita' nel Mediterraneo" premiati a Roma in Campidoglio ieri, Giornata mondiale della biodiversita', per iniziativa di Bioversity International, la piu' grande organizzazione internazionale che si occupa di ricerche sull'uso e la conservazione della diversita' nei sistemi agricoli e forestali. Sono circa 30.000 le specie commestibili in natura ma la gran parte sono neglette, abbandonate o addirittura sconosciute, con enorme danno anche per la qualita' dell'alimentazione - e dunque della salute - mondiale. Non si protegge cio' che non si conosce e cosi' a oggi si stima che i tre quarti della biodiversita' presente nei prodotti agricoli sia andata perduta. Un'estinzione silenziosa, senza nemmeno quella "red list" (lista rossa) che elenca le specie di flora e fauna selvatiche in pericolo. Ecco dunque l'importanza non solo delle 1.400 banche del germoplasma sparse per il mondo ma anche e forse soprattutto dell'opera costante, sul campo, di agricoltori "custodi" che tutelano moltissime varieta' locali, fra le quali quelle preziose del mondo mediterraneo. Minacciate anche dal caos climatico, malgrado l'auspicio del "custode" Slimane a proposito delle palme post-petrolifere. Ma proprio dalla biodiversita' agraria, se protetta come la pupilla degli occhi, possono venire risposte per la sicurezza alimentare dell'umanita', grazie a varieta' dotate di geni capaci di sopportare gli effetti dei cambiamenti del clima a partire dalla siccita'. Non per nulla lo stesso deserto del Sinai e' ricco di varieta' agraria. E nel 1996 e' nata li', senza finanziamenti internazionali, la banca del germoplasma Egyptian Desert Gene Bank, promossa dall'esperto di agricoltura Ismail Abdel Galil: "L'ho voluta li' e non al Cairo perche' non deve essere un museo dei semi, ma qualcosa di utile a chi sta sulla terra". Ismail lavora molto sulle specie neglette nella regione nordafricana, un'enorme risorsa nascosta per l'alimentazione e la cura delle malattie. Fra i "custodi" italiani premiati a Roma (insieme al premio alla carriera al professor Scarascia Mugnozza): Carlo Petrini, fondatore nel 1986 di Slow Food; Isabella Dalla Ragione, che 25 anni fa creo' con il padre l'associazione Archeologia arborea salvando dall'estinzione centinaia di varieta' locali rare e dimenticate di alberi da frutto e recuperando i saperi popolari perche' "piu' profonde sono le nostre radici, piu' possiamo crescere" (vale per gli alberi e le persone); e Antonio Onorati, fondatore e presidente di Crocevia, attivista per i diritti degli agricoltori del Sud del mondo e fra i promotori della prima legge regionale in Italia - della Regione Lazio - per la biodiversita' agraria. Onorati ha sottolineato che "la biodiversita' e' l'unica ricchezza al mondo che sia distribuita in modo giusto: infatti e' concentrata nel Sud del mondo e nelle mani dei contadini poveri, per i quali e' indispensabile. Ma deve essere difesa come diritto. Da qui l'importanza del Trattato mondiale sulle risorse genetiche per l'agricoltura e l'alimentazione". Al quale ha contribuito moltissimo, quando lavorava alla Fao, un altro premiato: Jose' Esquinas-Alcazar, che deve la sua passione all'incontro casuale con un piccolo coltivatore spagnolo, sconosciuto "custode" come tanti altri. 7. MONDO. MARINA FORTI: TERRE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 maggio 2009 col titolo "L'Africa si svende la terra"] Il fenomeno ha ormai un nomignolo: "farmland grabbing", accaparramento di terre coltivabili. E' una tendenza emersa nel corso dell'ultimo anno, via via che paesi danarosi - come la Corea del Sud o l'Arabia Saudita - hanno cominciato a investire comprando grandi espensioni di terre agricole all'estero, per avviare coltivazioni intensive e assicurarsi forniture continue di derrate alimentari. Pare che sia stata la grande fiammata dei prezzi alimentari tra il 2007 e il 2008 a spingere paesi ricchi - ma con limitate possibilita' di produrre cibo - a correre ai ripari. Una questione di "sicurezza alimentare". In qualche caso questa tendenza ha fatto notizia, come quando il gruppo sudcoreano Daewoo Logistics ha cercato di acquisire una grande estensione di terreno in Madagascar - ma la cosa ha provocato reazioni e proteste nel paese dell'oceano Indiano, che hanno contribuito ai recenti rivolgimenti politici. Dunque: paesi ricchi ma con poca terra coltivabile vanno a comprare terre altrove. Il fatto e' che "comprare" e' una parola inesatta, almeno a quanto afferma un rapporto compilato da due agenzie delle Nazioni Unite, il Fondo per l'agricoltura e l'alimentazione (Fao) e il Fondo internazionale per l'agricoltura e lo sviluppo (Ifad), entrambe con sede a Roma. Nel rapporto "Land grab or development opportunity?" si sottolinea che diversi paesi africani stanno dando via grandi estensioni di terra coltivabile quasi gratis, in cambio di pressoche' nulla salvo aleatorie promesse di investimenti e posti di lavoro. "Gran parte degli accordi di cessione di terre documentati da questo studio coinvolgono pagamenti simbolici o nessun pagamento", si legge nel rapporto. Contengono invece impegni su investimenti per lo sviluppo di infrastrutture e creazione di lavoro, ma mancano di concretezza. Il rapporto analizza in particolare grandi accordi di cessione di terre (piu' di mille ettari per volta) in Etiopia, Ghana, Madagascar, Mali e Sudan, oltre a "casi di studio" in Mozambico e in Tanzania. Avverte che i dato sugli accordi di cessione di terre sono in generale "scarsi e poco affidabili". Gli "acquirenti" vanno dall'Arabia Saudita e altri paesi petroliferi del Golfo come il Qatar, alla Corea del Sud, alla Cina. Tra gli esperti c'e' grande discussione se questi investimenti in terre possano favorire lo sviluppo di paesi africani poveri e quindi dare un impulso alla crescita - o se invece siano una nuova forma di neocolonialismo. Gli stessi esperti della Fao e dell'Ifad evitano di prendere posizione in modo troppo esplicito. Ma nel loro studio dicono che in tutti i casi analizzati, "virtualmente tutti i contratti" sono "estremamente brevi e semplificati, rispetti alla realta' economica della transazione": mancano ad esempio meccanismi per "monitorare o imporre il rispetto degli impegni presi dagli investitori" quanto a lavoro e infrastrutture, e per controllare che i paesi coinvolti ne ricavino un giusto reddito. Eppure stiamo parlando di grandi porzioni di territorio: lo studio di Ifad e Fao riguarda 2,5 milioni di ettari di terre, pari grosso modo a meta' delle terre coltivabili della Gran Bretagna (secondo una stima dell'ufficio studi della Nestle', citata ieri dal "Financial Times", il totale degli investimenti messi a segno finora in Africa, America Latina e Africa supera in realta' i 15 milioni di ettari, cioe' meta' della superfice dell'Italia). Terre da cui i coltivatori locali sono espulsi: e gratis. 8. RIFLESSIONE. DONATELLA BASSANESI: TRA FILOSOFIA E POLITICA [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) col titolo "Porsi tra filosofia e politica"] Nella storia e anche oggi, guerre, conflitti, ingiustizie sociali permangono nascosti sotto una immagine illusoria di pace e di concordia artificiosamente costruite perseguendo gli ultimi che diventano i capri espiatori, su cui scaricare le contraddizioni, di cui annientare le ragioni. Riflessioni a partire dagli esempi di Cristina Trivulzio e Simone Weil, due pensatrici diverse (che appartengono anche a due momenti storici diversi) ma che si pongono entrambe tra il pensiero e l'azione, per mostrare come una politica che sia in grado di opporsi alla stato presente delle cose deve aderire al principio di verita'. Principio di verita' che e' fondativo della filosofia, perche' il concetto stesso di verita' sta nella natura della filosofia: la verita' (che e' traduzione della parola greca aletheia, significa non-nascondimento ossia uscita dal nascondimento) e' movimento da qualcosa verso qualcosa d'altro, parte da una condizione (di menzogna) da un luogo (la menzogna) verso altro (lo svelamento della menzogna). Cosi' l'intreccio tra filosofia e politica rende alla parola verita' una possibilita' di ripercorrere in qualche modo quel segno di civilta' filosofica che e' attitudine alla discussione e alla riflessione, e che sola puo' essere fondativa del buon pensare e del buon agire. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 251 del 28 maggio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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