Minime. 797



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 797 del 21 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Contro la guerra, contro il razzismo
2. Tiziana Bartolini intervista Rita Levi Montalcini
3. Cristina Comencini: Le ragazze di San Gregorio
4. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
6. Maria Serena Palieri intervista Alessandra Bocchetti
7. Giovanna Providenti: Civilta' matrifocali
8. Astrit Dakli presenta "Solik" di K. S. Karol
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA, CONTRO IL RAZZISMO

Qui e adesso occorre opporsi alla guerra: alla guerra italiana in
Afghanistan, e a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutte le armi.
Qui e adesso occorre opporsi al razzismo: al razzismo che si fa regime in
Italia, ed al razzismo ovunque.
Vi e' una sola umanita'.

2. MAESTRE. TIZIANA BARTOLINI INTERVISTA RITA LEVI MONTALCINI
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org)]

- Tiziana Bartolini: Il prossimo 22 aprile il suo sara' un compleanno molto
speciale. Le cronache ci raccontano che a cento anni lei viaggia e lavora
assiduamente. La sua Fondazione e' molto attiva e non le manca l'entusiasmo
per ideare nuovi progetti. Se c'e' un segreto dietro questo straordinario
entusiasmo, puo' rivelarcelo?
- Rita Levi Montalcini: Il mio cervello funziona come quando ero giovane
perche' cerco di utilizzarlo al meglio lavorando sia per la ricerca
scientifica, sia a favore di chi ha un disperato bisogno di aiuto, come le
giovani donne del continente africano alle quali il diritto all'istruzione
e' stato da sempre negato. Si deve spingere il proprio sguardo al di la'
dell'immediato presente e non fissare l'attenzione su se stessi. La vita
sara' tanto piu' ricca quanto piu' si sapra' vedere in ogni esperienza,
anche se apparentemente negativa, il lato positivo che, a lungo andare, puo'
prevalere su cio' che nel presente e' causa di angoscia.
*
- Tiziana Bartolini: Quali sono stati i traguardi che nella sua vita le
hanno dato le maggiori soddisfazioni?
- Rita Levi Montalcini: A parte la scoperta della proteina in grado di
stimolare la crescita delle fibre nervose (Nerve Growth Factor - Ngf) per la
quale mi e' stato assegnato il premio Nobel, la nomina a senatore a vita da
parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi mi ha molto
onorato perche' e' stato un riconoscimento maggiore del premio ricevuto a
Stoccolma in quanto mi e' stato conferito dal mio Paese.
*
- Tiziana Bartolini: Come donna nella sua professione avra' dovuto superare
molti ostacoli e diffidenze. Come le e' stato possibile?
- Rita Levi Montalcini: All'inizio la decisione di iscrivermi
all'universita' fu contrastata da mio padre che aveva deciso che noi tre
figlie femmine non seguissimo la carriera universitaria. Dovette poi
arrendersi di fronte alla mia ferma decisione. E' stato l'unico momento nel
quale essere donna mi e' sembrata una sgradevole realta'. Durante il periodo
delle leggi razziali ho avuto difficolta' ma non sono mai stata pessimista,
per me l'ottimismo e' stato sempre piu' forte della paura. Una volta
inserita nel mondo accademico non ho avuto alcun problema con i colleghi
maschi.
*
- Tiziana Bartolini: Un problema cronico del nostro Paese e' la fuga
all'estero dei "cervelli", motivata dalle scarse risorse economiche
destinate alla ricerca. Ma secondo lei e' davvero solo quello il problema?
- Rita Levi Montalcini: E' un momento molto difficile. La ricerca
scientifica e tecnologica in Italia dispone di ottimi ricercatori che non
vengono utilizzati nel migliore dei modi. Molte aziende italiane
preferiscono acquistare all'estero il prodotto finito e questo ha una
ricaduta negativa sul mondo lavorativo giovanile.
*
- Tiziana Bartolini: Ogni giorno il mondo cattolico apre fronti polemici su
questioni delicate come la fine della vita, la procreazione assistita o il
testamento etico. Quale e' la sua opinione in proposito?
- Rita Levi Montalcini: L'attivita' scientifica, in quanto attivita' umana,
e' soggetta alla legge etica: la scienza non e' un assoluto a cui tutto deve
essere subordinato ed eventualmente sacrificato, compresa la dignita'
dell'uomo. Per quanto concerne il testamento biologico ritengo che debba
essere adottato solo per la propria persona, nella fase terminale di
malattie che sono causa di gravi sofferenze o di patologie che possono
portare alla privazione delle capacita' mentali, in base ad una precedente
dichiarazione formulata ufficialmente nel pieno possesso delle facolta' di
intendere e di volere.
*
- Tiziana Bartolini: Viviamo tempi difficili in cui, tra cambiamenti
climatici e crisi economiche, sembra che il sistema possa crollare da un
momento all'altro. Lei come vede il futuro?
- Rita Levi Montalcini: E' essenziale fronteggiare le gravi e molteplici
cause che provocano le illiberta', quali la poverta', le malattie endemiche,
l'analfabetismo e le lotte intestine. Un mondo migliore e' realizzabile
soltanto se si perverra' alla consapevolezza che non e' piu' eticamente
accettabile la dilagante sofferenza della maggioranza delle popolazioni a
confronto del benessere di una esigua minoranza.
*
- Tiziana Bartolini: Le chiediamo di mandare un messaggio, un consiglio alle
giovani donne dalle pagine di "Noi donne"...
- Rita Levi Montalcini: Il consiglio che posso dare alle giovani donne e'
quello di godere dei beni della vita, di avere fede in se stesse e di essere
ottimiste, di ritrovare e scoprire il piacere di vivere ogni momento della
loro vita e di apprezzarla in tutte le sue espressioni. Mai occuparsi di noi
stessi. Pensare agli altri o a quanti hanno un disperato bisogno di aiuto,
quali le popolazioni dei paesi del Sud del mondo dove ogni giorno si lotta
per la sopravvivenza.
*
Postilla. La Fondazione Rita Levi-Montalcini Onlus
Alla quasi totalita' delle donne africane e' impedito l'accesso
all'istruzione, cio' e' tra le maggiori cause dei problemi di quel
continente. La Fondazione si pone l'obiettivo "di venire in aiuto a
popolazioni che vivono in condizioni di estrema indigenza e di impedire che
le tragiche situazioni di questi paesi provochino migrazioni di massa e
sollevino altri sconvolgimenti a livello globale" nella convinzione che "la
creativita' e l'efficienza organizzativa, gia' dimostrata dalle giovani
donne africane, potranno innescare meccanismi di trasformazione sociale,
essenziali per loro stesse e per l'intero genere umano". Afferma la
professoressa Rita Levi Montalcini nel sito (www.ritalevimontalcini.org):
"Cosi' come un battito di ali di una farfalla nella foresta dell'Amazzonia
puo' provocare, anche a distanza di tempo, un uragano al polo opposto del
globo, allo stesso modo le finalita' della Fondazione Rita Levi-Montalcini
Onlus, mediante l'assegnazione di borse di studio nelle piu' critiche
situazioni africane, possono innescare meccanismi di trasformazione
radicali, vantaggiosi a livello mondiale".

3. DOPO IL TERREMOTO. CRISTINA COMENCINI: LE RAGAZZE DI SAN GREGORIO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del
12 aprile 2009 col titolo "Le ragazze di San Gregorio"]

Arrivo nella conca dell'Aquila di notte e ho paura. Mi accosto con l'auto a
un piccolo gruppo di persone per chiedere come arrivare a San Gregorio, dove
mi aspetta Chiara, una ragazza del paese che desidera parlarmi.
Al rumore della macchina le persone sussultano, terrorizzate, poi si scusano
e ridono, nervose. "Abbiamo paura di tutto". Alla tendopoli di San Gregorio
la notte fa freddo. Ci si muove alla luce della torce. Chiara somiglia al
suo nome, ha un incarnato pallido e sottili capelli biondo rame. E' esile,
nervosa, sorridente, euforica. Fuma una sigaretta dopo l'altra. Ha ventinove
anni, e' stata eletta rappresentante del paese, che vuol dire sindaco. San
Gregorio non e' un comune a se' ma l'ultima frazione dell'Aquila. E' stato
completamente raso al suolo, ci sono state dieci vittime. Chiara vuole
parlare del suo paese, vuole farlo insieme alle sue amiche. Mentre
camminiamo per arrivare alla roulotte dove dobbiamo incontrarci con le altre
le chiedo se la notte riesce a dormire, e mi dice, a mezza bocca, di no, che
ha paura di un'altra scossa, piu' forte, che squarci la terra. Ma lo dice a
denti stretti. La paura e il disagio non vanno nominati, si deve avere
forza, e lei, come le altre, mostra euforia, ride spesso. Sono in piedi le
donne di San Gregorio, vogliono farlo sapere.
Ci sediamo intorno ad un tavolo di plastica vicino alla roulotte della
signora Gloria, ci raggiungono le altre, si forma un gruppo, sempre piu'
numeroso, tutto al femminile. Solo dopo, silenziosi, arrivano anche i
fratelli, i fidanzati, i padri, ma rimangono in disparte, sono piu' timidi.
Sul tavolo spuntano bottiglie di liquore di genziana fatto in casa, salvato
da una cantina. Sarebbe vietato farlo, la pianta e' protetta, ma loro lo
fanno ancora, perche' cosi' facevano i loro nonni. Posano sul tavolo pezzi
di scottex a mo' di tovaglietta e vi tagliano la pizza pasquale, fatta nel
forno a legna. "Iniziamo a prepararla quindici giorni prima della Pasqua,
per questo era gia' pronta prima del terremoto", spiega Marianna, giovane
laureata in geologia che di mestiere qui a San Gregorio fa la commessa. "Mio
padre e' andata a riprenderla in casa, la pizza di Pasqua, anche se e'
pericoloso". Iniziano a parlare del legame con il loro paese, e mai, in vita
mia, mi pare di aver capito cosi' bene come il perimetro di un luogo, le
proporzioni di una piazza, la facciata di una chiesa, la prospettiva di una
montagna vista dalla cornice di una finestra siano necessarie all'anima,
come la bellezza semplice e umile, possa avere un ruolo cosi' primario, come
il cibo, come un tetto sulla testa, nel definire la geografia interiore
delle persone.
Sono ragazze giovani, non sono nostalgiche. Ma rivogliono il loro paese,
disperatamente. Non vogliono nuove citta', lo dicono e lo ripetono,
rivogliono San Gregorio, non cosi' com'era, e' ovvio, ma con la sua anima
salvata, custodita e riconosciuta. Lorella, un'altra ragazza laureata in
Storia dell'arte e che di mestiere fa la cameriera, dice che ha fatto la sua
tesi su un manoscritto antico ritrovato a Paganica. Tutto riporta alle
radici, sempre. Michela, che vive a Milano, e' tornata qui il giorno
seguente il terremoto, e ora vive nella tendopoli, con le altre. Si
conoscono da quando sono nate, e stanno insieme ogni minuto, non riescono a
separarsi mai, da quella notte tremenda. La notte e' sempre piu' gelida, ma
le lingue si sciolgono, i racconti si fanno piu' allegri.
La tendopoli e' stata montata nel luogo dove ogni anno in agosto si svolge
la sagra del paese. Anche allora, come adesso, si mangia tutti insieme
intorno a grandi tavoli, seduti sulle panche, e una vecchina dopo due giorni
di tendopoli ha chiesto: "Ma quando finisce 'sta festa?". Ridono, mostrano
un'allegria nervosa, e quando spuntano le lacrime, non si mostrano. Parlano
del nipote di una di loro che ha due mesi e verra' battezzato nella
tendopoli. Poi di un'altra nipote, rimasta sotto le macerie. Parlano dei
vivi e dei morti, uguali, insieme. Mi chiedono di aiutarle a far adottare
San Gregorio, di parlarne, e lo faccio, ora, come posso, come so.
Mi dicono che nel pomeriggio sono state messe in salvo le campane della
chiesa, completamente crollata. La signora Lola, mamma di Marianna, mi
racconta che e' stato suo nonno, tornato dall'America dove era emigrato, a
pagarne una, rinunciando a comprare i vestiti e le scarpe per i suoi otto
figli. L'ha battezzata Concetta, perche' qui ogni campana ha un nome.
L'indomani le vedo, le due campane messe in salvo, adagiate con delicatezza
dai pompieri sul suolo di questa piazza dove non ci sono che ammassi di
pietre. Sembrano due neonate stese in una culla, tenere e fragili. Nel paese
solo macerie, polvere nell'aria. Lo starnazzare impazzito di una gallina,
l'abbaiare di un cane, il cinguettio assordante degli uccellini, riempiono
un silenzio che rendono ancora piu' immenso. E' qui che le ragazze vogliono
essere filmate, qui vogliono parlare di loro, di San Gregorio, della loro
forza e del loro attaccamento indomito a questo luogo. Chiedo come mai gli
uomini siano cosi' silenziosi, forse sono intimiditi da una regista donna,
azzardo, o forse sono piu' schivi, forse San Gregorio e' un paese di donne
forti. Chiara dice che non lo sa, ma sorride e mi fa l'occhiolino,
sussurrando, fiera: "Chissa' come mai sono stata eletta io rappresentante
del paese". Le loro voci di donne riempiono questa piazza distrutta, i loro
sorrisi ricuciono le pietre, i loro piedi tengono insieme la terra che
continua a tremare. Io le ascolto e le filmo meglio che posso, ammiro il
loro struggente amore per questa terra, cosi' privo di nostalgia, cosi'
attuale, complesso e intelligente. Mi fanno pensare all'Arturo de L'isola di
Arturo di Elsa Morante quando parla della sua isola e ripenso all'incipit
del libro: "Quello che tu credevi un piccolo punto della terra,/ fu tutto./
E non sara' mai rubato quest'unico tesoro/ ai tuoi occhi gelosi
dormienti.../ Stella sospesa nel cielo boreale/ Eterna: non la tocca nessuna
insidia". San Gregorio, Onna, Paganica, L'Aquila, stelle sospese tra un
cielo boreale e un suolo di rocce cattive, piccoli punti sulla terra che
oggi per noi sono tutto, che si sparga ovunque il coraggio delle vostre
donne, e che vi benedica il loro amore.

4. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

5. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

6. RIFLESSIONE. MARIA SERENA PALIERI INTERVISTA ALESSANDRA BOCCHETTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 16
aprile 2009 col titolo "La parola femminismo"]

Quando muore un essere umano, finisce un tempo: il "suo" tempo. Quando una
donna, Roberta Tatafiore, che e' stata protagonista di un tempo collettivo -
il femminismo - decide liberamente che il suo tempo e' finito, e' facile che
si sentenzi che anche quel tempo collettivo, quella cultura - il
femminismo - e' suicida. Eccoci qui, il giorno dopo l'addio a Roberta
Tatafiore, con Alessandra Bocchetti, figura grande del neofemminismo
italiano - dei suoi tanti scritti ricordiamone qui almeno uno, quello
magistrale e incandescente sulla guerra datato 1984 - a passare al setaccio
un quarantennio di storia. Di storia "matria": storia, cioe', e cronaca, e
quotidianita' delle donne italiane. Per capire cosa del femminismo - per
esempio di quelle parole che oggi a molti e molte sembrano archeologia, come
"autocoscienza" - sia vivo e cosa sia morto.
Per cominciare, del femminismo italiano, stabiliamo una data di nascita:
"1970, Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi. Il femminismo, come avviene per i
movimenti, e' risultato dalla somma di tanti rivoli che si univano. Ma se
devo trovare una data e' quella dell'uscita di questo libro. E del passaggio
fondamentale dal concetto di emancipazione a quello di differenza. Altro
passaggio, dalla ricerca di liberta' in senso generico alla liberazione. Per
cambiare bisognava cambiare noi stesse. Da qui la domanda 'che cosa e' una
donna?'. Sembrava una domanda assurda da rivolgerci, invece e' stata
fondamentale" risponde.
Classe 1942, da sempre a sinistra, da ragazzina militante nella Fgci romana,
laureata in Lettere, lei, ricorda, femminista lo e' diventata in un certo
senso tardi, appunto quando la parola d'ordine e' diventata "differenza".
"Perche'" dice Alessandra Bocchetti "il pensiero dell'uguaglianza mi
sembrava misero. Mi sembrava umiliante andare dietro gli uomini, ripetere i
loro passi. Pensavo che bisognasse cercare una strada originale e
guadagnarla attraverso il nostro pensiero".
Se scriviamo "neofemminismo" - chiariamolo per le piu' giovani - e' perche'
si considera che quello degli anni Settanta sia una riapparizione carsica -
e una fase inedita - d'un movimento delle donne che ha percorso l'intero
Novecento: di femminismo si parlava gia' a fine Ottocento. Ma, appunto, la
svolta e' il passaggio da una lotta emancipazionista, per l'uguaglianza e la
parita', a quest'altra. Oggi, guardando indietro, e' possibile individuare,
dal 1970 in poi, delle fasi del neofemminismo: infanzia, adolescenza,
maturita', senescenza? "No, perche' la fase della differenza e' appena
cominciata. Nella struttura della societa' c'e' uno scarsissimo segno della
presenza femminile. Facciamo un esempio concreto: il ministro Brunetta
polemizza con le impiegate statali che fanno la spesa durante l'orario di
lavoro, e non ci si rende conto che e' l'organizzazione sociale stessa a
obbligare a questa trasgressione. Se la presenza delle donne fosse
registrata, i negozi sarebbero aperti il sabato e la domenica. Molte donne
hanno studiato la questione dei tempi e degli orari, ma la traduzione e'
mancata".
Nei primi anni Novanta le donne del Pds elaborarono in effetti una "legge
sui tempi" ambiziosa, una specie di "programma fondamentale" come si diceva
ancora all'epoca col residuo linguaggio del Pci. Ecco, il rapporto con la
politica maschile puo' farci leggere delle fasi del movimento femminista?
Pensiamo alla fragorosa rottura con Lotta Continua nel 1975, pensiamo subito
dopo alla legge sull'aborto. "Sull'aborto successe questo: che ci alleammo
con l'Udi, l'Unione Donne Italiane, questa grandissima e articolata
associazione, legata soprattutto al Pci, ma anche al Psi. L'Udi pose un
aut-aut e, obtorto collo, il Pci abbraccio' la lotta. Anni dopo, per tramite
della figura della responsabile femminile Livia Turco, ci fu l'avvicinamento
del Pci al femminismo, nacque la 'Carta delle donne' ed ebbe un successo
grandissimo. Le elezioni successive, nel 1986, furono quelle in cui la
sinistra mando' piu' elette in Parlamento. Ma poi con amarezza, con amarezza
personale mia, ci accorgemmo che l'interesse del partito per il movimento
era puramente strumentale. Non ne segui' nulla. Ancora adesso continua a non
seguirne nulla. La sinistra, alle donne, la parola l'ha tolta, non gliel'ha
data. Il tema della liberta' delle donne, classico della sinistra, e' il
piu' disatteso in assoluto, il piu' deluso".
Ci si puo' chiedere se si puo' ottenere qualcosa quando un movimento - di
massa, forte - non esiste piu'. Secondo Alessandra Bocchetti quand'e' che
quello delle donne ha dato l'ultimo segnale di vita? "L'ultima volta che
siamo state tante, tantissime, e' stato a giugno del 1995, quando scendemmo
in piazza col documento 'La prima parola e l'ultima'. Perche' c'erano le
elezioni politiche e ci eravamo accorte che la sinistra cominciava a
contrattare la sua andata al governo, cedendo le conquiste delle donne.
Vedi, l'aborto. Cominciava insomma quel tragico dialogo che le avrebbe fatto
perdere la sua identita'. Per tre mesi quel documento nostro tenne banco e
condiziono' l'agenda politica".
Tre anni fa, di nuovo in difesa dell'autodeterminazione in tema di
procreazione e aborto, ci fu una nuova, brevissima fiammata:
l'autoconvocazione sotto l'insegna "Usciamo dal silenzio". Ma, appunto, un
seguito non s'e' visto. Il movimento si e' inabissato? Alessandra Bocchetti
legge, nella nostra scelta del termine, un giudizio palese. Replica: "No,
non si e' inabissato. Il movimento e' - di per se' - una scarica di energia
che lascia sul campo delle idee. Che, poi, devono essere portate avanti
nella societa'. E questo semmai e' mancato in Italia. Strano, perche' il
nostro era un femminismo fortissimo. Pero' molto rivolto a se stesso, molto
nel segno di una profonda ricerca di se'. La vulgata dice che il femminismo
era la lotta delle donne contro gli uomini. Niente di piu' falso. Era una
ricerca del pensiero di se', la nascita di un soggetto. Certo, poi saltavano
i matrimoni. Ma per effetto indiretto. Il fine non era quello. Il femminismo
italiano degli uomini proprio non si e' occupato. Ecco, oggi il femminismo
forse non c'e' piu', ma ci sono le femministe". Quarant'anni dopo sul
terreno sono di piu' le macerie o le speranze? "La conquista fondamentale
che e' avvenuta e' questa: tutte le donne oggi, del Nord e del Sud,
casalinghe o superlaureate, pensano di avere diritto alla ricerca della
propria felicita'. Quest'idea le nostre madri non ce l'avevano data: mia
madre mi parlava di dovere, di bonta'. La parola 'felicita'' non l'usava
mai. Che cosa vuole una donna, appunto? Ma e' contro quest'idea che
assistiamo a una tremenda controriforma. Io non me la sento di dire che le
donne oggi sono felici. La societa' vive un momento durissimo, tremendo, di
infelicita' grande. Tra il diritto di ricerca della propria felicita' e
l'essere felici, c'e' ancora un mare. Pero' e' questa l'idea che alla lunga
rovescia il mondo".

7. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: CIVILTA' MATRIFOCALI
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Femminile assoluto.
Civilta' matrifocali, economia del dono" e il sommario "Studiare oggi
culture e organizzazioni matrifocali del passato indagando sulla
possibilita' di societa' egualitarie basate sul consenso"]

La prima cosa da chiarire, di fronte all'argomento del "matriarcato", e' che
non si tratta della versione femminile del patriarcato, ma di tutt'altro. Le
civilta' matriarcali, meglio definite "matrifocali", appartengono alla
preistoria, dal paleolitico all'eta' del bronzo, e sono oggi indagate da
studiose/i di archeologia, antropologia, filosofia e anche psicanalisi.
La prima ad occuparsene in maniera sistematica ed interdisciplinare e' stata
l'archeologa lituana Marija Gimbutas (1921-1994). In Italia la casa editrice
"Il caso e il vento" (www.ilcasoeilvento.it) vuole valorizzare questi studi
e sta cercando fondi per pubblicare sia i lavori della Gimbutas sia i piu'
recenti studi della tedesca Heide Goettner Abendroth, che ha deciso di
lasciare la cattedra di filosofia e teoria della scienza all'Universita' di
Monaco per potersi dedicare in maniera autonoma alle sue indagini sulle
civilta' governate dal simbolico della dea madre e dal principio femminile,
senza sentirsi vincolata di adeguare all'impostazione teorica dei suoi
datori di lavoro cio' che va scoprendo e comprendendo.
La scelta di Heide, che dal 1986 ha fondato e dirige l'International Academy
Hagia per gli Studi Moderni sul Matriarcato e la Spiritualita' Matriarcale
(www.hagia.de), la dice lunga sul significato politico e non solo
speculativo di occuparsi oggi di civilta' matrifocali.
Nell'incontro che si e' tenuto alla casa delle donne di Roma sulle civilta'
matriarcali, Heide Goettner Abendroth ha presentato le sue ricerche
affermando che in tali civilta' vige il principio dell'equilibrio tra generi
e tra essere umano e natura, che i valori che le sostengono sono quelli
della cura, della solidarieta' e della pace. La loro attitudine all'aiuto
reciproco e alla condivisione ed equita' e' talmente elevata che quando un
clan si arricchisce di piu' dona agli altri: in un'ottica non di
accumulazione, ma di continua ridistribuzione e livellamento dei beni. Anche
le relazioni sessuali-amorose non sono impostate sul possesso e
l'esclusivita': non esiste matrimonio, ma il cosiddetto "visiting marriage"
in cui i partner non sono vincolati istituzionalmente tra loro e mantengono
la loro appartenenza alla famiglia materna in cui sono cresciuti.
Le organizzazioni matrifocali si basano su valori completamente differenti
da quelli oggi considerati inevitabili o irrinunciabili. Il primo sistema ad
essere messo in discussione e' quello della gerarchia, sostituita da
strutture sociali orizzontali in cui le decisioni vengono assunte in maniera
consensuale e dal basso. Il metodo del consenso implica la possibilita' di
risolvere conflittualita' e opposizioni in maniera armoniosa: perche' le
diversita' d'interessi od opinioni non venivano considerate in un'ottica di
esclusivita', ma di integrazione. Cosi' come, pur se al principio femminile
spetta un ruolo centrale, quello maschile non e' escluso o sottostimato: in
un simbolico in cui ad essere centrale e fondante e' l'armonica interazione
della "coppia", del due non dell'uno. Questa concezione, richiamando gli
studi di Jung sul principio di integrazione di elementi opposti e
complementari (luce e tenebra, maschile e femminile, acqua e fuoco, etc.)
spiega perche' la psicanalisi si sia interessata ad esplorare le civilta'
matrifocali e l'archetipo della grande madre.
Un altro risvolto interessante e' quello riguardante l'organizzazione
economica, raccolto dalla seconda studiosa intervenuta nel dibattito alla
Casa delle donne: Genevieve Vaughan, autrice di Per-donare. Una critica
femminista dello scambio (Meltemi 2005). Secondo Vaughan la conoscenza e
riscoperta delle culture matrifocali puo' aiutare a modificare il modo di
impostare le relazioni interpersonali ed in particolare i rapporti di tipo
economico, attraverso "uno spostamento dei valori con cui gestiamo le nostre
vite e le nostre politiche". Spostamento che va da una modalita' in cui alla
base di ogni rapporto umano ci sia lo scambio (di favori, di prestazioni, di
denaro, etc.), a modalita' impostate sul donare gratuito e necessario.
Necessario significa: chi ha piu' bisogno viene prima di chi puo' pagare o
ricambiare. Gratuito significa che il desiderio e la volonta' di condividere
i propri doni coincide perfettamente con quanto si sta offrendo.
Focalizzarsi sul soggetto politico madre, implica il considerare che nel
desiderio umano non vi e' solo il piacere del ricevere, ma anche quello del
donare: che il/la cittadino/a non va considerato solo come
figlio-utente-consumatore, ma come donatore e partecipante attiva/o del bene
comune. Bene non inteso come merce da consumare, ma come ricchezza: di cui
usufruire senza abusare e da mantenere in buona salute.

8. LIBRI. ASTRIT DAKLI PRESENTA "SOLIK" DI K. S. KAROL
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 ottobre 2008 col titolo "L'odissea di
Solik nell'Urss in guerra" e il sommario "Testimoni. Riedito il reportage
autobiografico di K. S. Karol"]

K. S. Karol, Solik, Einaudi, Torino 2008, pp. 422, euro 14, traduzione di
Rossana Rossanda.
*
Solik e' tornato. Venticinque anni dopo la sua prima apparizione nelle
librerie francesi, il libro autobiografico di K. S. Karol si riaffaccia in
questi giorni in quelle italiane con una riedizione curata da Einaudi (la
prima edizione, nel 1985, era di Feltrinelli). Per fortuna, e' tornato:
negli anni Ottanta il libro era scomparso in fretta dagli scaffali, un po'
come un romanzo usa-e-getta o come un instant book destinato a durare solo
il tempo dell'attualita' cui si riferisce. E nel 1985 Solik poteva davvero
essere scambiato per un instant book, perche' usciva proprio mentre
l'avvento di Michail Gorbaciov al vertice del Partito comunista dell'Unione
sovietica poneva al mondo molte domande sul futuro del "pianeta rosso" che
Karol raccontava dall'interno - un racconto, peraltro, legato al suo
particolarissimo punto di vista di profugo-volontario, mettendo a nudo crepe
e aporie via via incontrate lungo il percorso con la chiarezza del reportage
e la fresca ingenuita' dell'adolescente sballottato tra avventure
incredibili dentro un mondo feroce in anni (1939-1946) ancor piu' feroci.
Molta acqua e' passata da allora sotto i ponti. L'Unione sovietica non ha
avuto alcun futuro ed e' diventata oggi solo un ricordo dei non piu'
giovanissimi, dopo essersi disintegrata proprio a partire da quelle crepe e
aporie con cui il giovane Solik si scontrava nel suo drammatico percorso di
formazione. Gorbaciov e' diventato un editorialista di varie testate
occidentali nonche' un testimonial (per beneficenza) di una celebre casa di
borsette di lusso; la stessa verita' storica sugli eventi di quei sette
terribili anni narrati da Karol, invece di arricchirsi con nuovi documenti e
con il distacco che il tempo consente, e' stata spudoratamente messa in
discussione - e fin ribaltata - dal vendicativo ritorno alla luce (in
qualche caso anche al potere, in Europa e non solo) di uomini e idee legati
al nazismo.
In questo nuovo e brutto clima anche Solik, ultraottantenne, ha dovuto
cambiare ruolo, diventando cosi' persino piu' utile: il suo racconto non ha
piu' il senso di una scoperta dei guasti che minavano la "patria del
socialismo", ma diventa puntello di una storia - "la" Storia - che in troppi
vorrebbero cambiare a uso e misura dei nuovi poteri. Una lettura
illuminante, adesso che i testimoni di quegli anni sono ormai pochi e
logori, e chi non c'era non sa piu' a chi chiedere di raccontargli la
verita'.
Racconta dunque Karol - tradotto da Rossana Rossanda amorevolmente e senza
gelosie nonostante le numerose co-protagoniste femminili del racconto, a
partire dall'innominata ragazza russa che dara' al nostro eroe il titolo
della sua autobiografia soprannominandolo Solik, "piccolo sale" - la storia
di se stesso adolescente, poco piu' che quindicenne liceale di Lodz,
Polonia, sorpreso il primo settembre 1939 dall'invasione tedesca e da quella
sovietica mentre si trovava in un campeggio per studenti e da quel momento
mai piu' tornato a casa.
Qualche giorno a vagare per le campagne sfuggendo ai bombardamenti e alle
colonne nemiche avanzanti; preso poi prigioniero dai tedeschi, con la
perdita di un occhio, en passant, per una scheggia di granata; e quindi via:
attraversata la frontiera - non ancora il fronte - inizia l'avventura di un
liceale polacco di simpatie comuniste nel regno di Stalin, re dei comunisti
ma ancora alleato di Hitler e nemico dei polacchi. Un'avventura che
incomincia nel peggiore dei modi, con l'arresto senza motivi da parte dei
"berretti blu" della Ceka, la polizia politica, l'immediata deportazione in
Siberia in un campo di lavoro, la fuga e la successiva clandestinita' nella
Russia frastornata e incerta del 1940 - l'annus horribilis in cui l'Urss
invase oltre alla Polonia i Paesi baltici, parti della Romania, la
Finlandia... inimicandosene per generazioni gli abitanti (fino alla nemesi
storica odierna, quando sono proprio questi paesi, oggi indipendenti, a
infastidire con ogni mezzo la nuova Russia).
Non nasconde nulla, l'intellettuale comunista K. S. Karol, nel raccontare lo
sconcerto e la delusione del giovane se stesso di fronte alla brutalita',
alla rozzezza e alla stupidita' della macchina del potere sovietico; eppure
quello stesso mondo che gli riserva un'accoglienza tanto ostile, appare al
ragazzo in fin di conti ancora migliore di quel che c'e' ormai dall'altra
parte, sotto le bandiere con la croce uncinata. Al punto che, nonostante sia
clandestino e fortemente "a rischio", Solik decide di iscriversi al
Komsomol, l'organizzazione della gioventu' comunista, e poi di arruolarsi
nell'Armata rossa per andare a difendere la sua nuova patria, dopo il fatale
22 giugno 1941 e l'appello di Stalin.
Inutile dire che i meriti di combattente non eviteranno a Solik di essere
nuovamente arrestato e spedito in un altro campo di detenzione: lo slancio
patriottico della popolazione e il pericolo mortale rappresentato dal nemico
non trattenevano il regime sovietico dal continuare il suo lavoro
persecutorio basato su sospetti e delazioni. E d'altra parte nemmeno
l'evidenza, sperimentata sulla propria pelle, della natura crudele del
regime basta a capovolgere il sistema di valori del giovane Karol: tredici
mesi di GuLag lo riducono un fantasma pelle e ossa ma non gli impediscono,
appena liberato (una liberazione senza motivo cosi' come l'arresto) di
tornare ancora una volta a Rostov - la citta' del sud dove i suoi genitori
vivevano prima della Rivoluzione e dove si era recato dopo la prima fuga
dalla prigionia - per lavorare in una fabbrica, continuando a pensarsi in
patria. A malincuore, dopo la fine della guerra, Solik tornera' nella sua
Polonia per andarsene poi rapidamente verso ovest, paradossale esule
politico comunista da un paese che si dichiara anch'esso tale.
Ci riporta alla piena e contradditoria realta' della storia di quei tragici
anni, il racconto di Karol: ce ne fornisce una rappresentazione diretta nel
bene e nel male; ci spiega come mai, nonostante gli orrori e i disastri,
certi valori siano rimasti saldi negli uomini e nelle donne che hanno
vissuto fino in fondo l'epoca delle grandi scelte - non sara' per niente che
K. S. Karol ha partecipato alla creazione del "Manifesto", nel 1971, con il
suo impegno militante, il suo lavoro di giornalista e soprattutto la sua
profonda e critica conoscenza del "comunismo reale". E ci pone domande
scomode sull'oggi, sul perche' in tanti cercano ormai di approfittare della
distanza temporale e del progressivo scomparire dalla scena dei testimoni,
per appiattire tutto, equiparare i valori, ridurre quelle grandi scelte a
casualita'. Solik e' tornato per smentirli.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 797 del 21 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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