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Voci e volti della nonviolenza. 325
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 325
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 21 Apr 2009 13:52:45 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 325 del 21 aprile 2009 In questo numero: 1. Elena Ribet: Alcuni libri per un mondo migliore 2. Sergio Givone ricorda Franco Volpi 3. Antonio Gnoli ricorda Franco Volpi 4. Bruno Gravagnuolo ricorda Franco Volpi 5. Armando Torno ricorda Franco Volpi 6. Nuccio Ordine intervista George Steiner 7. Tzvetan Todorov: La paura dei barbari che rende barbari 1. LIBRI. ELENA RIBET: ALCUNI LIBRI PER UN MONDO MIGLIORE [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Desiderio e armonia. Ricette per un mondo migliore"] "I rasoi fanno male; i fiumi sono freddi; l'acido macchia; i farmaci danno i crampi. Le pistole sono illegali; i cappi cedono; il gas fa schifo... Tanto vale vivere..." (Dorothy Parker) * Al mercato della felicita' Viviamo in un'economia senza gioia in cui l'unica mossa consentita e' consumare? Ma ci sono tanti modi di "andare al mercato, contro la parzialita' della ragione e a difesa delle 'illusioni' che la poesia e la religione ci aiutano a intrattenere oltrepassando il livello del conformismo, forti nella certezza di essere destinati a qualcosa di grande" introduce il risvolto di copertina dell'ultimo libro di Luisa Muraro: Al mercato della felicita' La forza irrinunciabile del desiderio (Mondadori, Milano 2009). Muraro, che nell'introduzione parla di questo suo come di un libro di congedo, affronta in 171 pagine (indice compreso) grandi temi filosofici alla portata di (quasi) tutti e tutte. Un'eredita' di pensiero, con ampie citazioni antiche e contemporanee, in cui si mischiano filosofie, pratiche ed esperienze in un viaggio di conoscenza e autoconoscenza. Cosa sarebbe la vita senza grandi desideri? Molte risposte a questa domanda, a partire da alcune considerazioni sulla mediazione e i compromessi indotti dal vivere sociale e dal riconoscimento del valore della parola, della lingua, dei linguaggi, dei movimenti intesi sia come movimenti di pensiero che come tensione dell'anima e delle persone verso qualcun'altra o qualcosa. "Non e' forse illusione credere che possiamo sapere e decidere alcunche' senza sottostare al sistema delle mediazioni in vigore?" si interroga Muraro, ben sapendo che si deve "obbedire alla necessita', ma non necessariamente". Il desiderio ci anima nella ricerca di qualcosa di oltre, un plus che non sia plusvalore in senso materialistico: "per guadagnare il nostro stesso essere dobbiamo aprire un passaggio tra il tutto gia' deciso e il non ancora". Da una parte c'e' il tutto gia' interpretato, gia' detto, gia' codificato e giudicato, gia' saputo, gia' deciso dai poteri economici e politici. Dall'altra c'e' il non ancora, "un filo appena, ma, a seguirlo, si arriva a un mare, un oceano, tre oceani di possibile". E la discriminante tra loro e' il desiderio di quel "qualcosa di grande" che passa inevitabilmente per un esercizio di liberta', vista come causa ed effetto di quell'equilibrio instabile di competenze simboliche, che ci fa andare al di la' dei sistemi di dominio. Nel capitolo "Vite di santi, lavoro di artisti, politica delle donne" Luisa Muraro parla della straordinaria caratteristica delle parole e di ogni segno, sottolineando "la sproporzione tra la loro fragilita' e la loro energia. Ci mettono a disposizione tutto quello che siamo e tutto quello che e', ci liberano dalla servitu' della nostra fisicita' con tutto il suo pesante corteo di vincoli fra causa ed effetto, azione e reazione, mezzi e fini, ci fanno passare dalla felicita' alla disperazione e viceversa, ci introducono nell'irreale e nell'impossibile (pensate ai numeri)... E tutto questo in poco tempo, con poca fatica, con mezzi materialmente esilissimi, tipo la voce o quella traccia di nero su bianco che tu leggendo segui con gli occhi e che puoi conservare e portarti in giro dentro una scatola (anche il cervello e' una scatola) o una borsetta, e riprodurre". E' con fiducia che Muraro si affida alle parole (oltre che alle pratiche). In esergo al libro, a conferma di cio', due poesie: "Mondo, sii, e buono; / esisti buonamente / fa' che, cerca di, tendi a, dimmi tutto, / ... / Su bravo, esisti, / non accartocciarti in te stesso, in me stesso" (Andrea Zanzotto, Al mondo). "Una parola e' morta / quando l'hai detta, / dicono alcuni. / Io dico invece / che incomincia a vivere / proprio quel giorno" (Emily Dickinson, A word is dead). * Entusiasmo, furore, ironia Questi i temi dei tredici saggi pubblicati in Studi sullíentusiasmo, a cura di Amalia Bettini e Silvia Parigi (Franco Angeli, Milano 2001). Una ricognizione seppur non esaustiva di momenti e figure rilevanti nella storia della filosofia dal V secolo a. C. al Novecento. Il concetto di entusiasmo in ambito etico-religioso ed estetico e' ricco di significati anche ambigui e contraddittori. Nel volume citato si affrontano i diversi modi di intendere l'entusiasmo in autori e periodi della storia della filosofia, la difficolta' di definire questo concetto, anche da un punto di vista etimologico e linguistico, la distinzione tra lo statuto teoretico dell'entusiasmo, da un lato, la sua fenomenologia (cause scatenanti, sintomi, effetti) e la sua tassonomia (il genio, l'artista, l'amante, il profeta, l'ossesso, il sognatore, il demente, il malinconico, il folle), dall'altro. Dall'analisi delle sue accezioni positive e negative, si esplorano temi quali l'ispirazione, l'ironia, la trascendenza; l'entusiasmo puo' essere quella voce segreta che rivela la propria missione nel mondo, che suscita poteri profetici, poetici ed erotici. * La via dell'amore A ogni persona le sue vie d'amore, ma Luce Irigaray nel suo libro La via dell'amore (Bollati Boringhieri, 2002), esplora poeticamente e filosoficamente le relazioni, le differenze, un nuovo modo di vivere e pensare che coinvolga arte, religione e filosofia. Nel dialogo di anime e corpi sta la ricetta di una felicita' possibile: per condividere la parola, essere con l'altro e ricostruire il mondo. * Le sette regole dell'arte di ascoltare Ci insegna, anche con esercizi pratici e piccoli trucchi, le basi della gestione creativa dei conflitti. Ironia e capacita' di ascoltare possono dare buoni frutti, parola di Marianella Sclavi, insegnante di etnografia urbana e antropologia culturale. "1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte piu' effimera della ricerca. 2. Quel che vedi dipende dalla prospettiva in cui ti trovi. Per riuscire a vedere la tua prospettiva, devi cambiare prospettiva. 3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a capire come e perche'. 4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. 5. Un buon ascoltatore e' un esploratore di mondi possibili. I segnali piu' importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti perche' incongruenti con le proprie certezze. 6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti. 7. Per divenire esperto nell'arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l'umorismo viene da se'". (Da Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano 2003). 2. LUTTI. SERGIO GIVONE RICORDA FRANCO VOLPI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 15 aprile 2009 col titolo "Addio a Franco Volpi. Da Nietzsche a Heidegger la filosofia come passione critica" e il sommario "Ha tenuto lezioni da Padova agli Usa. Tra i suoi volumi quello dedicato al nichilismo. Il suo lavoro ha permesso l'edizione di testi fondamentali. Studioso, curatore, esegeta dei maestri della modernita'. E' scomparso ieri, vittima di un incidente stradale"] Raramente, come in Franco Volpi, il filosofo italiano a cui tutti dobbiamo tantissimo, sia come esegeta e curatore di grandi testi del pensiero moderno e contemporaneo, sia come indagatore di problemi storici e di questioni speculative, la passione e l'intelligenza si intrecciano cosi' bene nel difficile lavoro dell'interpretazione. In lui l'acribia piu' rigorosa e' tutt'uno con lo sguardo capace di portare alla luce non solo l'intenzione profonda dell'autore ma, al di la' di essa, la parola non detta, la domanda nascosta, l'apertura di un nuovo orizzonte critico. Esemplari sono le sue curatele, per Adelphi, di molte delle piu' importanti opere heideggeriane, alcune delle quali, e in particolare Segnavia, L'essenza della verita', e, in ultimo, i Contributi alla filosofia, rappresentano un modello insuperato di edizione da tutti i punti di vista: traduzione, note, apparati. Geniali le sue proposte, sempre per Adelphi, di opere minori di Schopenhauer, da cui ha saputo trar fuori quella accattivante miscela di filosofia popolare e filosofia alta che era nascosta in esse. Preziosa la sua monografia per Villegas Editores che accompagna l'Opera Omnia di un eccentrico di talento come Nicolas Gomez Davila. Allievo di Giuseppe Faggin, l'indimenticato studioso di Plotino, Volpi ha imparato fin dagli anni del liceo che quanto piu' si e' interpreti fedeli e attenti, tanto piu' si e' pensatori originali e in proprio. Appunto secondo l'esempio fornito da colui che piu' e meglio di chiunque altro trasmise all'occidente cristiano il lascito della filosofia classica. Plotino, che era greco di formazione, insegnava a Roma. Le sue lezioni si svolgevano per lo piu' in forma di commento e discussione delle tesi dei maestri del passato. Ma da quel suo esporre il pensiero altrui senza presunzione d'originalita' sapeva ricavare approfondimenti che lasciano stupefatti per forza innovativa e capacita' di penetrazione. Qualcosa di simile si deve dire di Volpi. Ovunque egli tenesse cattedra (titolare in quelle di Padova e di Witten/Herdecke, oltre che visiting professor in alcune delle principali universita' europee e nordamericane), sempre si presentava quale in effetti era: storico della filosofia. Verrebbe da dire: filologo della filosofia. Ma filologo che sa la potenza e lo smalto della parola, oltre che la sua fallibilita': cio' che impone un di piu' di scrupolo, di dedizione, di "amore per il logos". Sono precisamente questi i tratti che caratterizzano l'impegno di Volpi, il suo limpido argomentare, il suo instancabile leggere e rileggere i testi. Cio' di cui il suo Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori) e' un'eloquente testimonianza. E quando gli accade di confrontarsi con i grandi temi che abbracciano intere epoche storiche, allora il risultato inevitabilmente e' di quelli che costringono a sostare e a riflettere. Si potra' non essere d'accordo con lui. Impossibile pero' ignorare le sue indicazioni. Prendiamo ad esempio il volume da lui dedicato ormai qualche anno fa a Il nichilismo (Laterza). E' ancora attualissimo. Volpi sa bene che il nichilismo e' un fenomeno tipicamente moderno, sviluppatosi quasi interamente fra Ottocento e Novecento, e in quanto tale da indagare specialmente lungo l'asse Nietzsche-Heidegger. Ma sa anche che questo fenomeno viene da lontano, visto che alla sua radice c'e' l'esperienza del nulla. Si puo' ignorare questa esperienza? O chi la ignorasse - chiede Volpi citando uno dei suoi maestri - non si metterebbe senza speranza fuori della filosofia? C'e' tutto Volpi, in questo rilanciare le grandi questioni. E cioe' nel suo restare in ascolto delle voci che parlano dalle profondita' di una tradizione tutt'altro che finita. Ma anche nel suo coraggioso riproporcele. E pensando a lui, al suo pensiero cosi' aperto e vero, ci viene naturale farlo al presente, non al passato. 3. LUTTI. ANTONIO GNOLI RICORDA FRANCO VOLPI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 15 aprile 2009 col titolo "Spirito inquieto e antiaccademico" e il sommario "Cinquantasette anni, visse l'universita' con insofferenza, estraneo al potere. Comincio' a collaborare a 'Repubblica' con un articolo sull'autore dello Zarathustra"] Franco Volpi e' morto. E il primo pensiero va alla lunga amicizia che ci ha legato nel corso degli anni. Guardo con gratitudine a quel legame che e' stato intenso e singolare. Il professore e il giornalista. C'eravamo conosciuti in occasione di una polemica che aveva diviso la scena filosofica italiana e che riguardava Nietzsche e il suo presunto testo La volonta' di potenza. Mi colpi' l'intervento che Volpi fece su queste pagine: demoliva i colpevolisti - coloro che imputavano a Nietzsche la sciocchezza di essere un nazista ante litteram - con garbo e competenza. Dietro lo stile preciso e l'argomentazione esauriente si scorgeva un'inquietudine antiaccademica che col tempo imparai a conoscere. Gli chiesi se avesse voglia di collaborare con "Repubblica" e mi rispose che per lui sarebbe stato come evadere da una gabbia. Visse l'universita' con insofferenza: si sentiva estraneo alle beghe accademiche, ai rapporti di potere, ai programmi normalizzanti. Eppure era all'apparenza un tradizionalissimo filosofo venuto su con il pane di Aristotele e di Plotino, con i timidi affacci in Germania, dove aveva cominciato a specializzarsi su Heidegger. Del filosofo della Selva Nera sapeva tutto, aveva letto tutto, frugato negli archivi, conosciuto le persone che gli erano state vicine e che potevano offrire una testimonianza di prima mano. Come il figlio Hermann, che andammo a trovare in una giornata di sole pallido, mentre tornavamo da Wilflingen, dove il giorno prima avevamo incontrato Ernst Juenger. Lungo la strada Volpi mi disse: "Sai, da queste parti abita il figlio di Heidegger. Non c'entra nulla con la filosofia, pero' gestisce l'intera eredita' spirituale del padre". Gli chiesi se si poteva intervistare. Rispose che era molto difficile, e che aveva sempre rifiutato di incontrare i giornalisti. "Forse fara' un'eccezione se sei tu a chiederglielo", replicai. Ci fermammo a pochi chilometri da Friburgo davanti a una cabina telefonica. Volpi lo chiamo' e, con sorpresa di entrambi, Hermann Heidegger ci ricevette il giorno dopo. Quell'intervista fece il giro del mondo. Se ripenso ai nostri viaggi, in Germania, in Francia, in Italia, mi torna in mente la sua velocita' di pensiero. Sembrava un elfo contagiato dall'inquietudine. Credo si sentisse libero solo in movimento. Poteva coprire in macchina migliaia di chilometri su e giu' per l'Europa - ha insegnato in molte universita' - o in aereo al di qua e al di la' degli oceani, senza risentirne. Non so come facesse: un seminario a Nizza, una lezione a Jena, un convegno a Buenos Aires. Era un filosofo poliglotta. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse la versatilita' per le lingue che aveva Volpi. Di tutti i viaggi fatti, di tutte le persone incontrate, di tutte le esperienze condivise - i luoghi, gli individui, i libri - mi resta chiarissima una frase che amava ripetere: "Sbagliano quelli che pensano che la vita si spiega con la filosofia. Per quanti sforzi il pensiero faccia, il risultato e' sempre lo stesso: la filosofia arranca dietro la vita che se la ride". Volpi pensava da filosofo, ma agiva da uomo che vede il mondo andare in tutt'altra direzione. Era convinto che i filosofi avessero perso la curiosita', il gusto di meravigliarsi, di lasciarsi sorprendere, di gioire del nuovo. Credevano di avere in pugno il mondo e avevano in pugno solo se stessi. Pochi giorni fa ci sentimmo per un articolo sulle posizioni espresse dal papa su Nietzsche. Fu puntuale come al solito. La nostra amicizia comincio' con Nietzsche e si e' interrotta con lui. Continueremo a seguire da lontano gli amici che se ne vanno. La loro morte e' parte della nostra morte che si annuncia attraverso il lutto e il dolore. Ma e' anche la vita che ci donano come esempio e ricordo. E' l'immagine che si fa traccia, che supera il pianto e ci fa dire: ho avuto la fortuna di conoscerti. 4. LUTTI. BRUNO GRAVAGNUOLO RICORDA FRANCO VOLPI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 16 aprile 2009 col titolo "Franco Volpi, storico delle idee che non fece sconti a Heidegger"] Il miracolo non c'e' stato. E i medici dell'ospedale di Vicenza hanno dichiarato la sua morte clinica. Franco Volpi, storico della filosofia, se ne e' andato. A seguito di un tragico incidente in bicicletta nel giorno di Pasquetta sui colli Berici a due passi da Vicenza, dove era nato nel 1952. Una perdita davvero dolorosa per chi lo ha conosciuto, per gli allievi della sua cattedra di Storia della filosofia a Padova. E anche per i tanti cultori di filosofia e lettori (collaborava a "Repubblica") che ne apprezzavano la freschezza intellettuale, la capacita' divulgativa e il temperamento vitale e curioso di tutto. Grazie a Volpi, massimo traduttore di Heidegger in Italia di cui curava l'Opus per Adelphi, e' stato possibile percorrere tutti gli angoli del filosofo di Messkirch. Guadagnando alla conoscenza rigorosa un pensatore controverso e ambivalente. Verso il quale Volpi non serbava nessun timore reverenziale, e nessuna fascinazione subalterna. Impegnato come era a fornirne, tramite una traduzione impeccabile, un'interpretazione originale. Allievo di Giuseppe Faggin e di Enrico Berti, aveva cominciato sui testi di Plotino e di Aristotele la sua avventura di storico della filosofia, inseparabile dall'ermeneutica e dal tradurre. E anello di congiunzione tra gli esordi e gli interessi della maturita' era stato Brentano. Con la sua psicologia trascendentale intessuta ai temi della temporalita' e della "coscienza del tempo". Temi "pre-fenomenologici" e husserliani, che stanno alle origini della formazione di Heidegger. E alle fonti del problema dell'Essere, da Heidegger riversato e risolto in Essere e Tempo, la celebre opera del 1927. Heidegger (oltre a Nietzsche e Schopenhauer) come fulcro dell'ermeneutica di Volpi, di cui restano come exempla le numerose curatele e i saggi che andava raccogliendo attorno alle sue traduzioni. Essere e tempo appunto, il glossario di Segnavia, la postfazione al Nietzsche heideggeriano e quelle alla Fenomenologia dela vita religiosa e al Principio di ragione, per citarne alcuni. Ne risultavano schiarimenti fondamentali. Sullo Heidegger "analitico esistenziale" prima della "Svolta", e lo Heidegger del "dopo", che sceglie di far parlare líEssere sulle rovine della tradizione filosofica e del Moderno. In un costante tentativo da parte del filosofo tedesco di "risignificare" - come diceva Volpi - quella tradizione, liberando la percezione originaria del Sein. Oltre la "deiezione" della Tecnica e del Nichilismo. E pero' Volpi era un "heideggerista" non heideggeriano. Che non faceva sconti al suo autore, che pure amava. E non li faceva sia sul tema della sua compromissione col nazionalsocialismo ("Heidegger si illudeva di poterlo plasmare - ci disse nel 2002 su "l'Unita'" - cavalcando la tigre e inserendolo nella sua ontologia... Equivoco di breve durata anche se non s'avvide subito del suo errore..."). Sia sul punto chiave del "superamento" heideggeriano della tecnica. Sul che Volpi affermava: "Era un ontologo che all'operare antepone l'Essere, dove il primo discende inevitabilmente dal secondo. Ma a ben guardare era anche un espressionista, un avanguardista del pensiero. Come Lucio Fontana in arte". E ancora: "Il discorso dell'ultimo Heidegger sull'impianto globalistico della tecnica e' suggestivo e pero' inarticolato. Benche' concettualmente coerente" (sempre su "l'Unita'" del 19 aprile 2002). Ma Volpi non fu solo eccellente storico della filosofia. Fu giramondo e visitig professor tra due continenti. E con Antonio Gnoli di "Repubblica", ci ha regalato splendidi libri insoliti. Eccone alcuni. L'ultimo sciamano, conversazioni su Heidegger (Bompiani), Il dio degli acidi (Bompiani, con l'inventore dell'Lsd Hofmann). E una celebre intervista Adelphi con Juenger del 1997: I prossimi titani. Ben piu' che briciole, ma vere gemmme a riprova del suo invincibile stupore per la meraviglia delle idee e della vita. 5. LUTTI. ARMANDO TORNO RICORDA FRANCO VOLPI [Dal "Corriere della sera" del 15 aprile 2009 col titolo "Franco Volpi, la filosofia al di la' del nichilismo" e il sommario "Lo studioso di Heidegger, travolto in bicicletta da un'auto, si e' spento ieri sera a Vicenza"] Franco Volpi era nato a Vicenza nel 1952 e insegnava Storia della filosofia all'Universita' di Padova. E' morto in un incidente stradale (lunedi' era in bicicletta sui monti Berici, e' stato travolto da un'auto), come Roland Barthes. Al suo nome sono legati, oltre a libri di alta e buona divulgazione, gli studi sul nichilismo, sul pensiero tedesco moderno e contemporaneo, e soprattutto il corpus delle opere di Martin Heidegger pubblicate da Adelphi. Volpi ha fatto molto per la cultura italiana e per la diffusione della filosofia in un periodo in cui l'antica disciplina di Platone e Aristotele e' diventata una passione popolare. Cerchiamone il ritratto aprendo semplicemente i suoi libri. Fu uno dei migliori allievi dell'"aristotelico" Enrico Berti, anzi e' stato il piu' contemporaneista tra loro: ha esordito con il saggio Heidegger e Brentano (Cedam, 1976) e con il suo maestro ha firmato il terzo volume di una Storia della filosofia (Laterza, 1991) che conobbe una certa fortuna nei licei italiani. Aveva la vocazione dell'organizzatore oltre che quella dello studioso. Sotto questo aspetto va elogiato per il Dizionario delle opere filosofiche (Bruno Mondadori, 2000) che reca il suo nome al frontespizio, ma si avvale di decine e decine di collaboratori per le singole voci. Di piu': Volpi, insieme ad altri, curo' nel 1988 l'edizione tedesca di questo Lexicon der philosophischen Werke, poi ampliata nel 1999; infine la sistemo' per gli italiani. Le polemiche corse all'uscita sono ormai evaporate e oggi ci rendiamo conto che l'aver dimenticato - o volutamente non ospitato - i Principles of Mathematics di Bertrand Russell, non e' peccato che richiede assoluzioni speciali. Del resto, la sua eccellente conoscenza del tedesco lo porto' a realizzare l'edizione italiana di alcune tra le piu' importanti opere di Heidegger. Se oggi riusciamo a leggere - e in Italia i professori che possono permettersi la lingua originale sono davvero pochi - pagine fondamentali di questo filosofo, dobbiamo ringraziare Franco Volpi. Senza di lui non avremmo nella prestigiosa "Biblioteca filosofica" Adelphi opere di Heidegger quali Segnavia, Parmenide, L'essenza della verita'. Sul mito della caverna e sul Teeteto di Platone, gli importanti Contributi alla filosofia o I concetti fondamentali della filosofia antica. Certo, c'e' stato anche un Volpi che si impegnava a diffondere, attraverso la collaborazione a "Repubblica", le idee filosofiche (e con Antonio Gnoli firmo', tra l'altro, L'ultimo sciamano, Bompiani) o quello che si concedeva il lusso di arricciare il naso dinanzi alla nuova traduzione di Essere e tempo di Heidegger realizzata da Alfredo Marini (Mondadori), e riproponeva la vecchia versione di Pietro Chiodi, limitandosi ad aggiungere degli apparati critici alla fine. Franco Volpi rimarra' per il suo saggio su Il nichilismo (Laterza). Si legge facilmente e insegna che la crisi della ragione, la perdita del centro, la decadenza dei valori si presentano a noi ogni giorno con il proprio nome o sotto altre sembianze. Nietzsche definiva tutto cio' "ospite inquietante". Si aggira in casa nostra ed e' quasi impossibile metterlo alla porta. Anche se Volpi era convinto che prima o poi se ne sarebbe andato e preparava, per questo, una prospettiva "oltre il nichilismo". 6. MAESTRI. NUCCIO ORDINE INTERVISTA GEORGE STEINER [Dal "Corriere della sera" del 19 aprile 2009 col titolo "I rimpianti di Steiner: non ho capito il femminismo" e il sommario "Giovedi' 23 aprile il grande critico letterario George Steiner compira' 80 anni. E racconta al 'Corriere' idee, passioni e rimpianti: Mi rimprovero di non aver capito subito l'importanza del movimento femminista, il grande ruolo delle donne nella politica e nella societa'. Rimpianti e passioni di un grande critico. Compresi tardi il ruolo politico e sociale delle donne. L'autore delle Antigoni compie 80 anni. Leggete D'Arrigo, un gigante"] "Non avrei mai pensato di arrivare al traguardo degli ottant'anni. E solo adesso godo della sorprendente gioia di vedere che i miei libri, nel corso dei decenni, mi hanno regalato l'occasione di stringere amicizie, affetti, dialoghi inattesi...". George Steiner festeggera' una tappa importante giovedi' 23 aprile. E mentre una serie di convegni in suo onore e di sue conferenze si annunciano in varie universita' europee - in Inghilterra, a Nantes, a Firenze e a Roma tra fine aprile e maggio - il grande comparatista ci riceve nella sua casa di Cambridge, dove sul tavolo dello studio campeggiano le prime copie del nuovo libro: una raccolta di articoli apparsi sul "New Yorker" tra il 1967 e il 1997. "Questo volume - osserva compiaciuto, alludendo al suo amore per l'Italia - e' gia' in cantiere da Garzanti. Si tratta di una storia, a ritroso, che documenta trent'anni della mia attivita' di critico. Non potro' mai dimenticare che un giorno mi telefono' un redattore del 'Times Literary' per chiedermi se Paul Celan fosse uno pseudonimo: il mio articolo fu uno dei primi in inglese su uno dei piu' grandi poeti del Novecento, allora completamente sconosciuto". L'episodio di Celan apre lentamente la strada, come una proustiana madeleine, a una serie di ricordi in cui assieme alle grandi soddisfazioni convivono nostalgie e rimpianti. "Proprio in questi ultimi anni - aggiunge Steiner - mi capita sempre piu' di riflettere su alcune cose che avrei voluto fare e non ho fatto. Avrei voluto, per esempio, intraprendere una carriera scientifica, bloccata sin dall'inizio dalla difficolta' a superare i primi esami di matematica. Avrei voluto continuare a studiare l'ebraico, che abbandonai da ragazzo per imparare greco e latino. E, adesso, alla fine del mio percorso, questa lingua mi manca, perche' la cultura ebraica ha segnato tutta la mia esistenza". "E soprattutto - sottolinea con una smorfia l'autore delle Antigoni - mi rimprovero di non aver capito subito l'importanza del movimento femminista. Ho letto Simone de Beauvoir, ma non ho compreso il grande ruolo che le donne avrebbero avuto nella politica e nella societa'. Ne' ho saputo prevedere il peso che la rivoluzione elettronica avrebbe avuto nel linguaggio e nella comunicazione, fino al punto da mettere in crisi il libro e la lettura...". Ma quando si tracciano bilanci e' inevitabile il confronto con scelte ed errori che hanno condizionato il corso di una vita. "Partendo dal presupposto che e' sempre difficile distinguere con chiarezza se abbiamo scelto o se siamo stati scelti - riprende Steiner, accarezzando affettuosamente il suo cane Benn - mi sono spesso interrogato su decisioni che hanno tormentato un po' tutta la mia vita. Avrei dovuto accettare di ritornare in America, dove vivono i miei figli e i miei nipoti? Sono stato tentato piu' volte di farlo. Ma due ragioni mi hanno spinto a restare in Europa. La prima riguarda l'amore per le lingue che io pratico. La seconda, molto piu' profonda e decisiva, e' legata alle mie origini ebraiche: andare in una grande universita' americana, mi diceva mio padre, avrebbe significato far vincere quei nazisti che avevano giurato che nessun piccolo Steiner avrebbe insegnato in una universita' europea. Pero' talvolta, di fronte al declino morale e politico di questo nostro vecchio continente dove la speranza sembra spegnersi, mi assale il dubbio di aver commesso un errore". George Steiner, la cui voce da decenni e' al centro del dibattito sulla letteratura e sul destino della critica, non ha nessuna difficolta' a ricordare anche le sconfitte assieme alle battaglie vinte. "Spesso mi rimprovero di non essere riuscito a far comprendere la grandezza di un gigante come Stefano D'Arrigo. Se si legge Joyce non si puo' non leggere Horcynus Orca. Purtroppo, nonostante i miei sforzi, anche in Italia solo in pochi hanno letto questo capolavoro. In altre occasioni, invece, il tempo mi ha dato ragione. Quando mostrai il mio entusiasmo per Il quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell mi presero in giro: adesso pero', quasi all'improvviso, e' scoppiato il successo e le sue opere occupano un posto di rilievo nelle librerie. Un discorso a parte merita Walter Benjamin. Oggi e' un mostro sacro. Ma io ho lottato per lui, verso la fine degli anni Quaranta, in un momento in cui i suoi testi non circolavano. Per caso, da un antiquario, trovai la sua tesi sulla tragedia: capii subito che si trattava di un genio...". Adesso, tra i libri non scritti, Steiner aggiungerebbe al suo penultimo lavoro (I libri che non ho scritto, edito lo scorso anno da Garzanti) un nuovo capitolo dedicato al premio Nobel. "Ho sempre desiderato riprendere e sviluppare un mio vecchio articolo, apparso negli anni Cinquanta sul 'New York Times', con un titolo sarcastico: 'Nobel oblige'. Ho sempre avuto profondi dubbi sulla sezione dedicata alla letteratura. La lista dei giganti esclusi lascia senza parole - Joyce, Musil, Kakfa (l'aggettivo kafkiano viene usato in piu' di cento lingue!) - mentre hanno ricevuto il premio anche scrittori di terzo e quart'ordine. Credo che in questo campo contino molto le pressioni politiche e gli intrighi. Un discorso a parte meritano i Nobel assegnati nel campo scientifico. Molti miei colleghi titolati di Cambridge mi dicono che, su quattrocento Nobel, si possono avere dubbi in tre o quattro casi. Nelle scienze e' piu' facile misurare il valore delle scoperte". Un posto particolare nei ricordi di Steiner occupano i seminari del giovedi', tenuti per diversi decenni all'Universita' di Ginevra. "Mi manca tantissimo l'insegnamento. Ricordo con commozione quella scena: io, un gruppo di fedelissimi e un classico sul tavolo. Ancora oggi ho un calendario pieno di conferenze e di convegni. Ma non e' la stessa cosa. Manca l'elemento dialettico della lettura assieme. E una delle piu' grandi ricompense per me e' stato vedere alcuni di questi allievi diventare illustri professori in prestigiose universita'". Adesso la conversazione scivola velocemente sugli incontri con alcuni grandi protagonisti del Novecento che hanno condizionato la storia del pensiero. "Confesso che talvolta, per una paura interiore, ho evitato di incontrare studiosi che mi affascinavano. Non volevo che mi deludessero. Piu' volte avrei avuto la possibilita' di incontrare Heidegger, ma non ne ho avuto il coraggio. In altre situazioni, invece, le conversazioni con Levi-Strauss o con Scholem, solo per citare qualche nome, hanno lasciato un segno indelebile...". Ma George Steiner e' abituato a smentire se stesso. E, nonostante i suoi ottant'anni, non ha nessuna intenzione di rinunciare a scrivere. "Adesso sarebbe troppo arduo - dice sulla soglia di casa, un momento prima del saluto - concepire un progetto organico. Ma sto riflettendo sulla poetica del pensiero astratto. Sogno di pubblicare un libro con un'epigrafe tratta da una frase di Wittgenstein: 'Tutto questo avrebbe dovuto essere detto in versi'". 7. MAESTRI. TZVETAN TODOROV: LA PAURA DEI BARBARI CHE RENDE BARBARI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 13 marzo 2009 col titolo "Le nuove paure dell'Occidente", il sommario "I barbari e noi. A vent'anni dal crollo del Muro, il mondo conosce inedite partizioni. Ci sono i paesi 'dell'appetito', quelli del risentimento e chi vive nell'angoscia. Nei paesi ricchi si teme di subire il predominio di chi per secoli e' stato mortificato. Ma il timore diventa un pericolo a sua volta e induce a comportamenti spesso disumani" e la nota editoriale "Anticipiamo parte dell'introduzione al libro La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civilta' (Garzanti, pp. 288, euro 16,50)"] Il XX secolo e' stato dominato, in Europa, dal conflitto tra regimi totalitari e democrazie liberali. All'indomani della seconda guerra mondiale, dopo la disfatta del nazismo, questo conflitto ha assunto la forma di una guerra fredda globale, rafforzata in periferia da alcuni confronti "caldi" ben delimitati... Si trattava di una suddivisione della terra secondo criteri politici, anche se si aggiungevano altre caratteristiche: il terzo mondo era povero, l'Occidente ricco, mentre nei paesi comunisti l'esercito era ricco e la popolazione povera (ma non poteva dirlo). La situazione e' rimasta immutata per piu' di mezzo secolo. Mi stava molto a cuore, perche' sono nato nell'Europa dell'Est, in Bulgaria, dove sono cresciuto prima di trasferirmi in Francia all'eta' di ventiquattro anni. Questa ripartizione dei paesi del mondo mi sembrava destinata a durare in eterno - o almeno per tutta la mia vita. Questa convinzione spiega, forse, la gioia da me provata quando, intorno al 1990, i regimi comunisti europei sono crollati, uno dopo l'altro. Non c'era piu' motivo di opporre l'Est all'Ovest, ne' di contendere per il dominio universale, percio' ogni speranza era lecita... A distanza di circa vent'anni, siamo costretti a constatare che si trattava di una speranza illusoria: sembra che tensioni e violenze tra paesi non debbano scomparire dalla storia mondiale. Il grande confronto tra l'Est e l'Ovest aveva messo in secondo piano ostilita' e opposizioni, che in breve tempo sono tornate di attualita'. I conflitti non potevano svanire come per incanto, perche' le loro cause profonde erano ancora presenti e forse si erano perfino intensificate... Oggi e' possibile dividere i paesi del mondo in diversi gruppi, a seconda di come reagiscono alla nuova congiuntura... Per descrivere questa ripartizione, prendero' le mosse da una tipologia recentemente proposta da Dominique Moisi, completandola e adattandola al mio scopo, senza dimenticare le semplificazioni che impone. Definiro' il sentimento dominante di un primo gruppo di paesi come l'appetito. La loro popolazione ha spesso la convinzione, per i motivi piu' diversi, di essere stata esclusa dalla ripartizione delle ricchezze; oggi e' venuto il suo turno. Gli abitanti vogliono approfittare della mondializzazione, del consumismo, degli svaghi e per raggiungere tale scopo non badano a mezzi. E' stato il Giappone, sono ormai trascorsi alcuni decenni, ad aprire questa via, nella quale e' stato seguito da molti paesi del Sud-est asiatico, ai quali si sono recentemente aggiunti Cina e India. Altri paesi, altre parti del mondo hanno la medesima intenzione: il Brasile, domani senza dubbio il Messico, il Sudafrica... Il secondo gruppo di paesi e' quello in cui il risentimento gioca un ruolo essenziale. Questo atteggiamento deriva da un'umiliazione, reale o presunta, che sarebbe stata loro inflitta dai paesi piu' ricchi e piu' potenti. E' diffuso, a livelli diversi, in buona parte dei paesi che hanno una popolazione in maggioranza musulmana, dal Marocco al Pakistan. Da un po' di tempo, e' presente anche in altri paesi asiatici o dell'America latina. Il bersaglio del risentimento sono gli antichi paesi colonizzatori d'Europa e, in maniera crescente, gli Stati Uniti, considerati responsabili della miseria privata e dell'impotenza pubblica... Il terzo gruppo di paesi si distingue per il ruolo che occupa in loro la paura. Sono i paesi che costituiscono l'Occidente e che hanno dominato il mondo per molti secoli. La loro paura riguarda i due gruppi che abbiamo descritto prima, ma non e' della stessa natura. Dei "paesi dell'appetito" i paesi occidentali, soprattutto quelli europei, temono la forza economica, la capacita' di produrre a minor costo e dunque di fare man bassa sui mercati, insomma, hanno paura di subirne il predominio economico. Dei "paesi del risentimento" temono invece gli attacchi fisici che ne deriverebbero, gli attentati terroristici, le esplosioni di violenza; e poi le misure di ritorsione di cui questi paesi sarebbero capaci sul piano energetico, dal momento che i piu' grandi giacimenti di petrolio si trovano nei loro territori. Un ultimo quarto gruppo di paesi, distribuiti su diversi continenti, potrebbe essere indicato come quello dell'indecisione: un gruppo residuale i cui membri rischiano di farsi dominare un giorno dall'appetito o dal risentimento, ma che per il momento rimangono estranei a questi sentimenti. Nel frattempo, le risorse naturali di questi territori sono razziate dai residenti degli altri gruppi di paesi, con la complicita' attiva dei loro dirigenti corrotti; a cio' si aggiunge la desolazione causata dai conflitti etnici. Alcuni strati della loro popolazione, spesso ridotti in miseria, tentano di introdursi nei "paesi della paura", paesi piu' ricchi, per cercare di condurre una vita migliore... I paesi occidentali hanno tutto il diritto di difendersi dalle aggressioni e dagli attacchi ai valori sui quali hanno scelto di fondare i loro regimi democratici. Soprattutto devono combattere con fermezza ogni minaccia terroristica e ogni forma di violenza. Peraltro, hanno tutto l'interesse a non lasciarsi coinvolgere in una reazione sproporzionata, eccessiva e abusiva, che darebbe luogo a risultati contrari a quelli attesi. La paura diventa un pericolo per coloro che la provano, percio' non bisogna lasciarle giocare il ruolo di sentimento dominante. E' anche la principale giustificazione dei comportamenti spesso definiti "disumani". La paura della morte che minaccia la mia incolumita' o, peggio ancora, persone a me care, mi rende capace di uccidere, mutilare, torturare. In nome della protezione delle donne e dei bambini (i nostri), sono stati massacrati un gran numero di uomini e donne, di anziani e bambini (degli altri). Quelli che vorremmo definire come dei mostri molto spesso hanno agito mossi dalla paura per i loro cari e per se stessi... E una volta accettato di uccidere, si approvano anche i passi successivi: la tortura (per ottenere informazioni sui "terroristi"), la mutilazione dei corpi (per mascherare gli omicidi con crimini a scopo di rapina o esplosioni accidentali): ogni mezzo e' buono per ottenere la vittoria - e, cosi' facendo, allontanare la paura. La paura dei barbari e' cio' che rischia di renderci barbari. E il male che ci faremo sara' maggiore di quello che temevamo di subire. La storia insegna: il rimedio puo' essere peggiore del male. I totalitarismi si sono presentati come un mezzo per guarire la societa' borghese dai suoi vizi, eppure hanno dato vita a un mondo piu' pericoloso di quello che combattevano. La situazione attuale senza dubbio non e' cosi' grave, ma rimane inquietante; c'e' ancora tempo per mutare orientamento. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 325 del 21 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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