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Nonviolenza. Femminile plurale. 245
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 245
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Apr 2009 12:22:46 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 245 del 16 aprile 2009 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Tre pensierini della sera 2. Maria Grazia Campari: Diritto di famiglia: donne nelle spire dell'ordine patriarcale? 3. Lea Melandri: Se il patriarcato non depone la maschera della neutralita' 4. Luisa Muraro: Rivoluzione femminista: chimera o realta'? 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: TRE PENSIERINI DELLA SERA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] "Se e' vero che gli uomini sono migliori delle donne giacche' piu' forti fisicamente, perche' il nostro governo non e' composto da lottatori di sumo?". Kishida Toshiko, femminista giapponese del XIX secolo. * "Poiche' sono una donna, i miei sforzi per ottenere qualcosa devono essere eccezionali. Se fallisco, nessuno dira': Clare non aveva le qualita' per quel lavoro. Piuttosto si dira': Visto? Le donne non possono farcela". Clare Boothe Luce, donna politica statunitense. * "Io non chiedo favori per il mio sesso. Tutto quello che chiedo ai nostri fratelli e' che ci tolgano il piede dal collo". Sarah Moore Grimke', scrittrice ed attivista antischiavista e suffragista americana del XIX secolo. 2. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: DIRITTO DI FAMIGLIA: DONNE NELLE SPIRE DELL'ORDINE PATRIARCALE? [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it)] Giunge dall'associazione femminista afgana Rawa una riflessione sulla recente proposta di legge che autorizza gli abusi sessuali compiuti dal marito sulla moglie in nome di una pretesa tradizione del Codice di famiglia sciita. La disposizione e' considerata quale legittimazione di una pratica ampiamente diffusa che trova il suo antecedente logico nel Trattato di riconciliazione nazionale stipulato dal governo Karzai con esponenti talibani e fondamentalisti, avallato dalle potenze occupanti, Usa in testa. La legge e' attualmente sospesa, anche a causa delle reazioni internazionali, ma Rawa ritiene che verra' ripresa dal Parlamento di prossima elezione, che, prevedibilmente, vedra' un'ampia presenza di signori della guerra e di esponenti pro-talibani, essendo le potenze occupanti piu' interessate ad assicurare a se' il gas dell'Asia centrale che non ad assicurare la democrazia agli afgani. Di qui la richiesta di mobilitazioni che contrastino i gruppi misogini e fondamentalisti. Una causa giusta, da sostenere nell'interesse di una democrazia partecipata e plurale, unica forma di democrazia effettiva, quella escludente, comunque camuffata, dovendosi, al contrario, ritenere espressione di un ordine oligarchico, spesso connotato da misoginia. Un ordine strutturato sulla diseguaglianza biologicamente motivata, coerente al sistema patriarcale, che ha gravato a lungo, sia pure con pesi differenziati, anche sulle donne italiane. La Carta Costituzionale lo smentiva formalmente nei suoi principi fondamentali (art. 2 e art. 3) fin dal 1948, ma molta acqua doveva passare sotto i ponti. Le previsioni del Codice Civile Mussolini-Grandi del 1942 (art. 143 e seguenti) e quelle del Codice Penale Mussolini-Rocco del 1938 (art. 570 e seguenti) sancivano una struttura famigliare fortemente gerarchica, una moglie soggetta alle decisioni e ai voleri del marito (insignito di "potesta' maritale"), sottoposta ai di lui "mezzi di correzione o di disciplina" morali e materiali, fino a lambire il limite estremo del maltrattamento. Gli abusi erano, poi, sanzionati assai lievemente: con pena fino a sei mesi e, in caso di lesioni, con pena ridotta di un terzo rispetto alla normale previsione edittale. Un'ottica proprietaria e subalterna della donna che consentiva una serie di abusi, non ultimo quello di natura sessuale, presentato come "debito coniugale", nell'ambito di una concezione assai unilaterale della morale famigliare e del dovere di assistenza imposti per legge. Si e' dovuta attendere la meta' degli anni Settanta e la riforma del diritto di famiglia (L. 19.5.1975 n. 151) per dare corso a principi costituzionali (art. 29 e 30 Cost.) di parita' fra i coniugi e fra figli legittimi e illegittimi (nati fuori del matrimonio), per l'abolizione della patria potesta', sostituita dalla potesta' di entrambi i genitori. Solo in epoca ancora piu' recente, con la legge del febbraio 1996 (art. 609 bis e seguenti Cod. Pen.), il reato di stupro e' stato rimosso dal titolo del Codice Penale dedicato ai "delitti contro la moralita' pubblica e il buon costume", l'incesto non e' piu' crimine contro la "morale famigliare" ma entrambi crimini contro la persona, lesivi della libera disposizione di se' e della autodeteminazione sessuale. Una lenta e non uniforme evoluzione giurisprudenziale ha preso avvio dall'art. 2 della Costituzione repubblicana ed e' giunta ad inquadrare la sessualita' quale modo di espressione della personalita', da tutelarsi come diritto inviolabile della persona. Secondo le pronunce piu' illuminate della Corte di Cassazione la lesione del diritto alla sessualita' determina per la vittima un danno da ingiustizia le cui conseguenze pregiudizievoli devono essere accertate e quantificate in termini di risarcimento del danno materiale, morale e alla vita di relazione (esistenziale). Inoltre, la giurisprudenza ormai prevalente considera che la violenza sessuale possa avvenire anche fra marito e moglie, non essendo coperta da quello che tradizionalmente si definiva come "debito coniugale". Non solo l'assenso al rapporto deve essere esplicito, non viziato o estorto con minacce, ma deve considerarsi sempre revocabile anche in relazione alla tipologia del rapporto stesso, per come viene determinandosi. In caso di imposizioni, specialmente se ripetute, alla moglie e' stato riconosciuto titolo a richiedere la separazione con addebito al marito e anche il danno esistenziale per gli effetti dannosi subiti nella propria vita quotidiana di persona offesa, sottoposta a patimenti fisici e psichici che hanno impedito lo svolgimento di una vita coniugale serena e informata al principio dell'amore e del rispetto reciproco. Puo' esserci "un giudice a Berlino", ma va ricercato e sollecitato attentamente, senza timidezze, sostenute dal rispetto di se'. 3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: SE IL PATRIARCATO NON DEPONE LA MASCHERA DELLA NEUTRALITA' [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it)] Accanto all'allarme per la crisi economica, la disoccupazione crescente, le manovre dei potenti della Terra per porre un argine alla rabbia dei ceti piu' colpiti, nelle ultime settimane sono tornate ad occupare un posto non trascurabile questioni che vengono ancora genericamente riferite alla vita personale, alla sfera intima, alla coscienza del singolo, benche' sempre piu' intersecate con le istituzioni della "cosa pubblica". Da un lato, e' passata, come sempre, la cronaca pressoche' quotidiana degli stupri e degli omicidi in famiglia, con l'unica variante del tipo di parentela che ogni volta lega la vittima all'aggressore. Dall'altro, si e' venuto imponendo, per circostanze tra loro apparentemente lontane, un dibattito acceso su leggi e principi costituzionali, parlamenti e consulte, diritti, liberta' delle persone e poteri dello Stato, laicita' e imposizioni religiose, garanzie democratiche e consuetudini tribali. La norma votata dal parlamento afgano, che legalizza, per la minoranza sciita, lo stupro in famiglia e la totale dipendenza della donna dall'uomo, la revisione, in Italia, da parte della Consulta, della legge 40 sulla fecondazione assistita, per quanto riguarda "l'impianto unico e contemporaneo" di "non piu' di tre embrioni", il caso di Kante Katadiatou, la donna ivoriana ricoverata per parto all'ospedale Fatebenefratelli di Napoli e inquisita per "identificazione urgente", in nome di una clausola del decreto sicurezza non ancora approvato - ma si potrebbe aggiungere anche la vicenda parlamentare del testamento biologico -, parlano sostanzialmente della violazione di alcuni diritti e liberta' essenziali della persona, garantiti, nei Paesi che si considerano "civili" e "democratici", dalle rispettive Costituzioni, e negli altri casi da organismi e convenzioni internazionali. Le reazioni che hanno provocato, i cambiamenti di rotta, le spaccature all'interno di gruppi politici che si pensavano ideologicamente compatti - i cento deputati del Pdl che si sono espressi contro l'emendamento della Lega, inteso ad abolire il divieto di segnalazione, da parte dei medici, degli immigrati senza permesso di soggiorno -, gli interventi di Fini contro lo "Stato etico", in difesa della laicita', la decisione del presidente Karzai di congelare una legge fatta per negoziare il consenso della minoranza religiosa piu' oltranzista, dicono che le vicende essenziali riguardanti la vita nella sua interezza - il rapporto tra i sessi, la nascita, la morte, la salute, ecc. -, tenute a lungo fuori dalla storia, dai linguaggi e dai poteri pubblici, hanno la forza "perturbante" di una "stirpe oppressa" dalla civilta', che oggi chiede il conto. Ma come definire il contesto economico, culturale e politico, nelle sue incomparabili differenze, che oggi, di fronte all'imprevisto, balbetta, si contraddice, attacca e si difende? Se Pierluigi Battista, sul "Corriere della sera" (2 aprile 2009), ha provato a riproporre con poco successo quello che e' stato il cavallo di battaglia della destra piu' vicina al Vaticano - lo "scontro tra Islam e Occidente" -, questo non vuol dire che le democrazie occidentali e le loro affiliazioni in terre lontane e inospitali non siano tutt'oggi convinte della loro superiorita' e unicita', incapaci di interrogarsi su quei residui arcaici, che le rendono cosi' simili alla culture "tribali", su quelle inclinazioni fondamentaliste che ancora confondono religione e politica, legge divina e liberta' della persona. Se la contrapposizione tra mondo civile e barbarie appare cosi' netta, se qualcuno, nonostante i casi di violenza quotidiana che lo smentiscono, puo' ancora parlare di "donne liberate" dell'Occidente, se ci si puo' illudere che basti schierarsi "in difesa delle donne", rendere giustizia alle "vittime" identificando di volta in volta l'oppressore con qualcuno che e' "altro da se'" - lo straniero, lo psicopatico, il politico in cerca di consenso facile, ecc. -, e' perche' una barriera, forte del senso comune e di un pregiudizio millenario, ancora avvolge le molteplici, multiformi "culture" create dal dominio maschile, in una maschera impenetrabile di neutralita'. Ma se proviamo a scostare il velo, il paesaggio cambia, il confine tra le citta' dell'Occidente e i villaggi afgani si fa mobile e impercettibile, i dogmi delle gerarchie vaticane somigliano stranamente ai codici tradizionali della Sharia, la deriva verso lo "Stato etico", il fondamentalismo religioso, criticato e combattuto dall'Occidente in altri Paesi, appare per quello che e', la prima e l'ultima sponda del patriarcato, il tentativo, di fronte all'irruzione di una "preistoria" - il corpo, la vita personale, il rapporto tra i sessi - mai del tutto addomesticata, di riprendersi un potere antico: il sequestro dei corpi, l'appropriazione della vita dei singoli, la cancellazione di quella conquista inalienabile dell'incivilimento che e' l'autodeterminazione, il diritto di ogni persona "a prendere in liberta' le decisioni piu' intime" (Stefano Rodota'). Non e' un caso che, nel dibattito che si e' acceso intorno a questi temi, si parli ancora esclusivamente di "bioetica", come se la vita che e' stata ridotta a corpo biologico, la persona, a cui si vorrebbero togliere liberta' e diritti, non fosse stata, prioritariamente, quella della donna; non e' un caso che tutte le vicende di cui si e' parlato sopra abbiano come protagonista il sesso femminile - sia come "oggetto" di violenza che di tutela -, e mai, come ci si dovrebbe aspettare, la consapevolezza e la cultura femminista che, da oltre un secolo, ha cominciato a scuotere i privilegi e le certezze della comunita' storica degli uomini. La legge afgana, che sulla sponda "civile" del mondo ha suscitato tanto sdegno, se si riuscisse a guardarla per la verita' "domestica", violenta, quotidiana, e pressoche' senza tempo e patria, che porta allo scoperto - la cancellazione della sessualita' femminile, la donna espropriata di volonta' ed esistenza propria, sottoposta a un potere di vita e di morte, esclusa dallo studio e da responsabilita' pubbliche -, potrebbe finalmente far riflettere sull'unico dominio, quello di un sesso sull'altro, che sfugge alle analisi, e quindi ai cambiamenti, che qualcuno ipocritamente vorrebbe circoscrivere a intoccabili "differenze culturali", altri al terreno non meno rispettabile e riservato della sfera intima. Al sessismo esplicito, impugnato dai mullah come legge naturale, fa riscontro, per la parentela evidente, l'insignificanza - intellettuale, politica, professionale - in cui sono tenute le donne "emancipate" dell'Occidente, casalinghe, madri, mogli sempre e comunque, o, nel migliore dei casi, "conduttrici" di un discorso unico e privilegiato tra uomini, che occupa ininterrotto da secoli la scena pubblica. 4. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: RIVOLUZIONE FEMMINISTA: CHIMERA O REALTA'? [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo li' presentato col titolo "Ferrara, 11 marzo 2009. Universita' degli Studi di Ferrara, Facolta' di Giurisprudenza: Rivoluzione femminista: chimera o realta'? Luisa Muraro risponde alle domande dell'Associazione Officina (testo registrato - trascrizione rivista da L. M.)" e la nota "Testo distribuito il 4 aprile 2009 alle/ai partecipanti all'incontro con Luisa Muraro su: Che cosa vuol dire l'agire politico ai nostri giorni. Trascrizione da cassetta a cura di Alessandra De Perini. Registrazione, rilettura e impaginazione a cura di Adriana Sbrogio' di "Identita' e Differenza", Spinea (Ve). Rivisto da Luisa Muraro il 10 aprile 2009 per il sito della Libreria delle donne di Milano"] Viviamo in una civilta' percorsa da flussi da tutte le parti di notizie. In questa societa', basata sui mezzi di comunicazione di massa, non si comunica e non si sa quasi niente. Nulla puo' consolidarsi e diventare patrimonio comune. Quando qualcuna o qualcuno vuole fare nella sua vita qualcosa di grande, ecco allora comincia a selezionare quello che le/gli interessa, quello che vuole capire. Sono contenta che le studentesse di "Officina" abbiano selezionato questo pezzo di storia politica che riguardava tutto il mondo industrializzato, e che ormai e' un evento della storia globale, che si chiama "femminismo". Il femminismo non e' una dottrina, non e' neppure un partito, e' un'etichetta che si mette sopra cose tra loro molto diverse. Io non dico mai: "Il femminismo e' questo o quello", ma dico: "Con il femminismo mi e' capitato o mi capita, accade o e' accaduto questo e quello". Per esempio ai capi di Lotta continua nei primi anni Settanta e' accaduto che in un convegno nazionale le donne si sono alzate e hanno detto loro: "Cari uomini, vi salutiamo, ce ne andiamo con le femministe!". A quegli uomini e' accaduto di perdere di colpo tutte le loro militanti. Qualcuna, forse, e' rimasta fedele, ma il grosso se n'e' andato. Penso al film Galline in fuga. Le galline sono le donne della sinistra e dei gruppi di estrema sinistra degli anni '70. Galline in fuga sono oggi anche le masse popolari, fuggite dalle organizzazioni di sinistra e andate a destra. La prima cosa che capita con il femminismo e' una rottura, una continuita' che si spezza. Che cosa c'e' agli inizi del femminismo? Siamo negli Usa ed e' il 1967. Nella conferenza nazionale dell'"Associazione studentesca per la societa' democratica" avvenne il primo atto separatista: un gruppo di giovani studentesse iscritte a questa associazione progressista decise di abbandonare il workshop misto dedicato alla "question" della donna per riunirsi tra sole donne. Si consideri che a fare questo gesto furono delle ragazze cresciute in una sostanziale condivisione di spazi e opportunita' con i loro compagni maschi. Ragazze avviate a entrare alla pari in una delle societa' piu' avanzate per quello che riguarda la questione femminile. Questo processo di emancipazione e integrazione delle donne alla pari nella societa' degli uomini e' stato interrotto per libera scelta femminile e si sono creati spazi femminili in un nuovo rapporto tra privato e pubblico, personale e politico. L'enormita' di questo avvenimento ebbe un formidabile contagio: attraverso l'America, l'Europa fino al Giappone lo stesso, identico gesto e' stato ripreso da innumerevoli donne. Con il senno di poi leggiamo in trasparenza: uomini che discutono sul "problema" delle donne e alcune donne che non intendono supportare questo teatro politico con la loro presenza, percio' se ne vanno, lasciando che questo sia teatro politico per gli uomini. Gli uomini vogliono immaginarsi preoccupati della questione delle donne, vogliono occuparsi di questo problema e loro, le donne, se ne vanno, non ci stanno piu' ad essere l'oggetto problematico della politica progressista. Qui vorrei citare Massimo De Carolis, Il paradosso antropologico (Quodlibet, 2008). Anche se sembra ignorare la politica delle donne, non ne sa o non ne vuole sapere nulla, pero' le cose capitano, le idee girano, lui stesso dice che il separarsi di pochi, di qualcuno dal grosso della realta' storico-sociale, la scissione dal tutto, puo' aprire uno spazio ad alto valore simbolico, porta in primo piano qualcosa che era sullo sfondo come "illimitato", come potenzialita'. Lui fa un elogio grande a questo gesto che e' lo stesso al principio del femminismo. Il mondo non e' piu' quello di prima, ha luogo una nuova apertura, nasce un nuovo mondo. Per una come me che e' vecchia, di origine veneta, poi trapiantata a Milano, che ha visto le generazioni precedenti, i rapporti tra i due sessi sono cambiati completamente a causa del femminismo. Sono cambiati rispetto a secoli e secoli di storia millenaria. Il patriarcato e' finito. Rimane la prevaricazione maschile, l'arroganza, le istituzioni della cultura patriarcale, ma in verita' il patriarcato come forma legittima di un dominio di un sesso sull'altro, come ordine simbolico, come se fosse ovvio, e' finito. Il pensiero della differenza e' un capitolo della storia del pensiero che ormai e' stato gia' registrato. Ne parla, per esempio, l'Enciclopedia Bompiani in 12 volumi (la "voce" e' di Marisa Forcina, docente dell'Universita' di Lecce). Ma come e' cominciata questa cosa, questa idea nuova? Il pensiero della differenza comincia quando le donne si separano dalla filosofia con il criterio della differenza. Non siamo in presenza di una dottrina, ma di una pratica, un gioco, non e' roba libresca. Separarsi dai maschi fu stupefacente, perche', al contrario, fino a poco prima, si parlava di congiungersi con loro alla pari. Questo separarsi per fare societa' femminile fu stupefacente, un fenomeno contagioso. Era una cosa strana perche' la differenza sessuale, dal punto di vista della riflessione, sia giuridica, sia filosofica, sia religiosa, era un oggetto ultranoto, si sapeva; anzi, dal punto di vista della modernita' cominciava ad apparire un'idea vecchia, un oggetto arcaico, qualcosa che era stata importante una volta, quando, per esempio in Chiesa gli uomini si mettevano da una parte e le donne dall'altra. Il separarsi delle donne non era moderno. Come mai allora ha tanto entusiasmato le donne? Perche' ha costretto a ripensare il passato e il presente, in una materia che prima era data per scontata ha fatto un taglio rivelatore, come in geologia. Il pensiero della differenza nasce cosi'. Ricordo che Adriana Cavarero stava dietro a Platone e io le dico: "Che cosa stai a fare dietro a Platone? Alla fine nella storia della filosofia sarai citata come commentatrice di qualche grande commentatore di Platone". Allora lei, donna di qualita', ottima filosofa, ha capito che il mio ragionamento era giusto e mi chiese: "Ma di che cosa vuoi che ragioniamo allora?" E io le dicevo: "Non lo so, mah..." E lei capisce subito: "Ma certo! La cosa strana su cui bisogna ragionare e' la differenza sessuale! Questa cosa superata, vecchia, arcaica che provoca tutta questa rivoluzione". La nostra civilta' era avviata, e lo e' ancora, all'in-differenza, per cui essere donna in prospettiva diventera' qualcosa di insignificante. Una minoranza di donne pero' fa la mossa. Eravamo avviate e avviati verso la cancellazione e insignificanza, quando alcune fanno una schivata (preferisco chiamarla cosi' invece di "rottura") rispetto al processo storico che andava avanti di suo. E' sempre cosi' quando capita una vera rivoluzione (intendo in senso simbolico): qualcuno esce e fa, inventa altro. Allora la soggettivita' zampilla. In quel momento e' il soggetto pensante-desiderante che si esprime. Prima era una macchina. Hannah Arendt le ha spiegate bene queste cose, ispirandosi a Rosa Luxemburg e alla sua idea di rivoluzione. Il pensiero della differenza nasce dunque cosi'. Importante notare che questo pensiero adotta le pratiche del femminismo sorgivo: autocoscienza, relazione, partire da se'. In pratica, quando ci siamo ritrovate in Diotima, come comunita' filosofica di donne, abbiamo deciso che non ci saremmo messe a studiare e commentare, ma saremmo partite da noi, dalla nostra esperienza e avremmo fatto nascere pensiero da mettere in circolazione, parole che dicessero l'esperienza umana femminile, perche' nella cultura l'esperienza umana femminile non c'era. C'era questa esperienza di donne che era ed e' una miniera, ve lo assicuro. C'e' un sacco di lavoro che si puo' fare per mettere in forma di sapere, di arte, di poesia l'esperienza femminile. Cosi' abbiamo lavorato e Diotima ha pubblicato finora otto libri non finanziati dall'Universita', ma tutti pagati con il mercato, perche' sia donne che uomini li comprano. Cosi' e' cominciato il pensiero della differenza. Io vi ho fatto l'esempio di Diotima, ma ci sono altri percorsi, altri esempi. Il pensiero della differenza e' differenza che si fa pensiero. La differenza non piu' tutta appoggiata al corpo delle donne (nel '600 le donne erano chiamate "sesso"), diventa qualcosa che abita donne e uomini, e' l'incarnarsi del desiderio, delle intelligenze, del pensiero. La differenza sessuale diventa pensante. Essere consapevole di essere una donna pensante, mentre prima si diceva "tutte le donne". Questo e' un passaggio che non e' ancora stato fatto come si deve. Non si tratta della differenza tra le donne da una parte e gli uomini dall'altra, ma di come l'essere donna si esprime nella singolarita' in rapporto con gli uomini, con altre donne, con Dio, con il mondo religioso ecc. La differenza sessuale non e' piu' la grande categoria della filosofia "essenzialista" della cultura tradizionale, diventa questo incarnarsi di desideri e pensieri che da' senso libero al fatto che donne e uomini non siamo pari, uguali, assimilabili. La differenza non ha necessariamente contenuto, ma ha gioco. La cancellazione della differenza appiattisce il discorso. Quando c'e' stato questo incarnarsi del pensiero della differenza sessuale? Il pensiero, anche il piu' puro, non fa sempre luce, il logos ogni tanto fa delle "mosse al buio". Bisogna mettersi in mezzo, esserci in prima persona per capire. Come Cristoforo Colombo che, invece di ragionare, a un certo punto si e' deciso a partire. Parte e va. Questa e' la differenza: decidersi, tagliare con quello che sembra ovvio per seguire una intuizione, esserci a questo mondo con un'idea che sentiamo nostra, vera, giusta. Il nostro lavoro di ricerca come Libreria delle donne e' stato ed e' e resta questo: far si' che tutto quello che e' apporto femminile alla civilta' umana non resti muto, infatti la storiografia femminista e' ormai riconosciuta e nei grandi convegni di Storia non mancano mai delle storiche femministe per dare il loro contributo. Un apporto femminile alla civilta' e', per esempio, che l'Italia e' un paese dove, anche non essendo ricchi, si puo' mangiare bene. L'Italia ha una tradizione di cucina povera di buona qualita' (che e' anche dietetica), mentre negli Stati Uniti, se non avete soldi, mangiate male, cibi scadenti e finirete con gonfiarvi come palloncini (senza offesa per il grasso e' bello). Come si fa perche' tutti possano mangiare bene? Le donne hanno reso possibile questo con molto lavoro, amore per il cibo, pochi soldi, parlandosi tra donne. Non ci pensiamo mai al grande guadagno economico, ma anche di qualita' di vita, che e' poter mangiare bene con pochi soldi. Questo noi alle economiste glielo abbiamo detto e cosi', dal punto di vista della convivenza civile, pensate all'opera di mediazione, al lavoro ancora poco registrato che hanno fatto donne e uomini per la tenuta del tessuto sociale. Passo infine a parlare della differenza tra femminismo radicale e le teorie sul "genere". Si tratta di contributi teorici che arrivano negli anni '90. Ma prima apro una parentesi per dire che, per una come me, per noi, eredi di Carla Lonzi, la pensatrice piu' radicale del pensiero della differenza, autrice di Sputiamo su Hegel, l'impegno principale e' stato contrastare il passo al vittimismo femminile. L'abbiamo combattuto, anche se non era infondato, ma era debilitante per le donne, le relegava in una posizione passiva, alla merce' di chi decide di dare loro ascolto e cerca di sfruttare la loro posizione. Adesso ci sono alcuni che coltivano il vittimismo degli immigrati. Man mano che si conquistava nuovo spazio, terreno, protagonismo, abbiamo voluto che lo assumessero come cambiamento avvenuto, altrimenti avevamo una situazione paradossale: i maschi che andavano debilitandosi ed erano sempre piu' in difficolta' (in questa societa' la paternita' per esempio ha subito un colpo durissimo e adesso gli uomini sono a rischio di perdere i loro figli) e le donne sempre a lamentarsi. A un certo punto non si sapeva piu' chi era l'oppressore. La "lamentatio" femminile era diventata in certi casi una furberia, impediva soprattutto l'assunzione del proprio protagonismo. Questo 8 marzo 2008 per la prima volta le donne non sono state presentate come vittime. Oggi, per esempio, parlando della violenza, si comincia a dire che e' un problema degli uomini. Chiusa la parentesi. Per il femminismo radicale, di cui sono una esponente, donna e' bello. Noi non accettiamo e non accetteremo mai certe equivalenze della donna con gli aspetti deteriori, come se il dominio e violenza che le donne patiscono fosse da eliminare eliminando il femminile, la differenza sessuale. Per noi, le donne esistono, non sono una creazione del patriarcato, del dominio sessista, esistono e questo e' un punto irrinunciabile del femminismo. Dei contributi degli anni '90 accettiamo invece che il patriarcato ci ha lasciato in eredita' il sistema della eterosessualita' imposta, coatta, interiorizzata, un comportamento che la societa' prescrive, gettando vergogna e discredito su quelle e quelli che non si conformano. Pesantissimo e' lo stigma sociale sull'omosessualita' maschile e femminile. Non basta combattere i ruoli sessisti, ma anche le definizioni di donna e uomo che non lasciano la liberta' di orientarsi sessualmente e di esprimersi liberamente e quindi praticare il senso libero della differenza sessuale. Riconoscersi o non riconoscersi come donna o come uomo che cosa vuol dire? Non si tratta solo di ruoli e imposizioni. C'e' anche un senso libero della differenza e la stessa Judith Butler afferma che il pensiero della differenza deve sganciarsi dall'eterosessualita' imposta. Qual e' la strada che io vedo perche' ci sia pensiero della differenza non legato al sistema obbligatorio dell'eterosessualita'? Una strada che ho in mente, e' quella dell'arte (film Venus Boys di Gabriel Baur, dove si vedono artiste che mimano parodie di ruoli maschili e femminili, fantasmi che si disfano, persone che navigano da una identita' sessuale ad un'altra, che fanno il doppio gioco). Esiste anche la strada dei diritti, anzi per molti sarebbe l'unica, non per me. La politica dei diritti e' dentro la barca del potere, la logica relazionale invece e' quella che modifica gli atteggiamenti profondi delle persone. La politica dei diritti (per esempio il matrimonio gay a S. Francisco o in Spagna) e' dentro il sistema dei rapporti di forza, per cui una conquista a livello del diritto si puo', con il cambio di governo, perdere e non c'e' maturazione della societa'. La scienza del diritto passa attraverso delle leggi, ma non tutto di tale scienza passa per la legge, anzi. Il diritto stesso insegna un uso attento e ben dosato della legge. Faro' un altro esempio. C'e' chi si preoccupa per la maniera incivile con cui vengono trattate le donne e gli uomini della immigrazione povera. Gli immigrati poveri vengono nei nostri paesi perche' il mercato globalizzato li costringe. Questa gente deve buttarsi allo sbaraglio nell'emigrazione, sperando di trovare dall'altra parte il modo di sopravvivere. Questa e' l'economia globalizzata che invece di aiutare paese per paese con oculate misure ha fatto queste operazioni. In Italia, a differenza della Francia e della Germania, sono arrivati numerosi nell'arco di pochi anni. Ci sono paesi del Veneto che sono stati ridisegnati dall'immigrazione povera. Questi immigrati non vanno a stare nei centri storici dove abitano gli intellettuali di sinistra, vanno a stare nelle periferie povere, dove abita la popolazione che si guadagna da vivere faticando. Bisogna andare nelle periferie di Milano per vedere la durezza di questa condizione: la popolazione locale tenta di vivere con decoro, con salari che valgono sempre di meno, cerca di garantire la pulizia e la tranquillita' delle strade. Su questa popolazione pesa la presenza di immigrati, molti dei quali sono senza arte ne' parte. I primi che sono arrivati erano maschi, giovani, senza possibilita' di vita sessuale normale. Giravano per le strade con usi e costumi che gli abitanti locali non capivano, trovavano orribili, donne in testa. Allora la mossa, la schivata che ho in mente che si debba fare, e' questa: questo problema non lo capiamo con l'astrattezza dei diritti e della civilta', ma in concreto aiutando la popolazione nella tessitura sociale, a capire perche' fare accoglienza, senza appiccicarle addosso l'etichetta di "razzista". Per me, insomma, c'e' continuita' tra la rivoluzione femminista e la politica delle relazioni nella societa' di oggi che e' piu' difficile di quella di quando abbiamo cominciato l'avventura femminista. Allora l'Italia era un paese in espansione e le strade sembravano tutte aperte, le guerre alle spalle. Adesso le cose sono molto piu' difficili, pero' qualcosa di buono lo abbiamo capito. Allora si puo', anzi si deve farlo valere. Quello che io faccio valere sono i grandi guadagni dell'agire politico in prima persona. Sono grandi guadagni personali, contestuali e nel guardare il mondo. * Domande (in sintesi) di giovani universitari/e: 1. Qual e' oggi il valore dell'8 marzo? 2. Quale differenza tra genere (studi di genere) e sesso? 3. In che misura la differenza sessuale puo' essere considerata "ontologica" o e' solo legata a fattori antropologici? 4. Come mai le donne sono cosi' poco partecipi nell'agire in politica oggi? 5. Le donne hanno bisogno di stare insieme, invece trovano difficolta' a riunirsi e condividere l'esperienza. Come e' possibile oggi l'agire comune delle donne? * Risposte di Luisa Muraro Io ero tra quelle femministe nemiche dell'8 marzo, pero' poi mi sono messa in ascolto e ho cambiato atteggiamento, sono piu' accettante. In definitiva ritengo che l'8 marzo e' tutti i giorni dell'anno. C'e' una storia politica dell'8 marzo, c'e' una tradizione femminile non imposta. Quando ho visto a Verona l'aspetto festoso e gioioso di tante ragazze, le trattorie e i ristoranti riempirsi di donne la sera dell'8 marzo. Questa e' una cosa che a me piace: vedere la societa' femminile libera, autonoma. E spero che il paesaggio rimarra' sempre questo. C'e' una storia politica delle donne che ci deve essere cara. Si deve avere a cuore la memoria politica della storia delle donne. Su "genere" e "sesso" si e' sprecato troppo inchiostro accademico. I contesti politici e culturali sono differenti. Quando le americane hanno cominciato a parlare di genere e hanno fatto accettare un po' ovunque questa terminologia, si riferivano alla costruzione culturale dell'essere donna. A noi sembrava che separassero la costruzione culturale dalla fisiologia. Ora per gli esseri umani (e questo e' acquisito nella cultura piu' avanzata) non si puo' separare la cultura dalla natura. Gli esseri umani sono un continuo circolo di interpretazioni culturali e del dato naturale che uno finisce per modificarsi alla luce dell'altro. Sesso e genere quindi sono in circolo. Gli studi di genere sono diventati neutri, sono ritornati indietro, per cui le donne sono studiate come "fenomeno" e non in rapporto squilibrato e asimmetrico con gli uomini. Non si puo' studiare i generi, ma i rapporti tra donne e uomini, li' dove sono storicamente. Tali rapporti sono la nostra cultura, la nostra civilta'. Separare quindi gli studi di genere dallo studio del diritto, della legge, della filosofia, dell'arte e' una specie di artificio che ci priva dei dati piu' vivi e interessanti per capire la nostra civilta'. Diotima non ha mai voluto gli "Studi delle donne" ne' quelli di genere perche' noi diciamo che di donne e di uomini bisogna parlare in tutti gli ambiti di ricerca e di indagine e di trasformazione della societa'. Per esempio quando si fa scienza biologica, bisogna ricordarsi di dire chi parla, se e' uno scienziato o una scienziata, se stiamo parlando di donne, di uomini o di bambine e bambini, di vecchie o di vecchi. Il fatto della sessuazione bisogna che lo teniamo sempre presente in tutti i campi. Bisogna guadagnare passo passo un certo linguaggio, accumulare notizie, linguaggi, parole, figure (il cinema e' uno strumento molto utile in questo senso) per mostrare la grandezza umana vera di uomini e donne comuni che non vogliono imporsi. Io ho scritto di Guglielma e Maifreda per mostrare la grandezza di due donne vissute nel Medioevo a Milano. Il cinema neorealista ha fatto vedere delle donne del popolo che sanno esprimersi molto bene e dire cio' che vogliono (Anna Magnani in "L'onorevole Angelina"). E' una questione di mediazioni. Ci sono grandi cose che sono accadute e hanno bisogno di mediazioni. A volte il contesto offre tutte le necessarie mediazioni, altre volte bisogna trovare mediazioni piu' fini. Anche l'arte, principalmente quella cinematografica, e' chiamata a fare opera di mediazione e li' chi ha vissuto e' stata protagonista, la materia fine, pregiata di certe cose non e' cosi' facile da immettere nei circuiti comunicativi. Bisogna sapere quali sono le forme di mediazione migliore. Anche la musica puo' fare questa cosa. Bisogna rivolgersi a donne e uomini che hanno vocazione artistica, che vivono l'impegno che non si perda la materia fine di certi cambiamenti. La strada del pensiero che fa leva su quello che manca e' una strada piena di buche dove si cade, senza arrivare al traguardo. Conviene vedere che questo, che le donne sanno agire insieme, e' gia' vero, c'e' gia'. La strada da percorrere e' il valorizzare quello che gia' c'e'. Sono convinta che l'essere di quello che c'e' si estingue, perde di consistenza se noi non lo vediamo, non lo commentiamo e raccontiamo. Se trascuriamo le cose positive che ci sono, in questa specie di derelizione di carattere simbolico esse perdono consistenza. La strada di far leva su quello che manca, non conosce questo sguardo attento, amoroso, questo tenere sotto gli occhi. Che tu veda la societa' femminile, la racconti, la sai. Tu hai bisogno di vedere donne perche' sai che, se tieni d'occhio la realta' femminile, la stai potenziando. Io ne ho fatto un principio di questo tener d'occhio e potenziare. Le madri sanno che, se tengono in mente il figlio, la figlia, se lo/la guardano, se ne parlano, questo, questa cresce. Se la dimenticano, e' a rischio di non sopravvivere. Li' c'e' un segreto. Questa e' ontologia, dottrina dell'Essere che fiorisce se noi gli diamo il di piu' della parola, del pensiero, dell'attenzione. Il mio "genio" e' quello di ascoltare e dare parola all'esperienza di donne, invece altre piu' di me, Lia Cigarini, Adriana Sbrogio', fanno nascere pensiero nel rapporto con gli uomini, nella relazione di differenza. Questo riscatta, inserisce la relazione donna-uomo in una tradizione di liberta' femminile. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 245 del 16 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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