Nonviolenza. Femminile plurale. 245



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 245 del 16 aprile 2009

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Tre pensierini della sera
2. Maria Grazia Campari: Diritto di famiglia: donne nelle spire dell'ordine
patriarcale?
3. Lea Melandri: Se il patriarcato non depone la maschera della neutralita'
4. Luisa Muraro: Rivoluzione femminista: chimera o realta'?

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: TRE PENSIERINI DELLA SERA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

"Se e' vero che gli uomini sono migliori delle donne giacche' piu' forti
fisicamente, perche' il nostro governo non e' composto da lottatori di
sumo?".
Kishida Toshiko, femminista giapponese del XIX secolo.
*
"Poiche' sono una donna, i miei sforzi per ottenere qualcosa devono essere
eccezionali. Se fallisco, nessuno dira': Clare non aveva le qualita' per
quel lavoro. Piuttosto si dira': Visto? Le donne non possono farcela".
Clare Boothe Luce, donna politica statunitense.
*
"Io non chiedo favori per il mio sesso. Tutto quello che chiedo ai nostri
fratelli e' che ci tolgano il piede dal collo".
Sarah Moore Grimke', scrittrice ed attivista antischiavista e suffragista
americana del XIX secolo.

2. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: DIRITTO DI FAMIGLIA: DONNE NELLE SPIRE
DELL'ORDINE PATRIARCALE?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it)]

Giunge dall'associazione femminista afgana Rawa una riflessione sulla
recente proposta di legge che autorizza gli abusi sessuali compiuti dal
marito sulla moglie in nome di una pretesa tradizione del Codice di famiglia
sciita.
La disposizione e' considerata quale legittimazione di una pratica
ampiamente diffusa che trova il suo antecedente logico nel Trattato di
riconciliazione nazionale stipulato dal governo Karzai con esponenti
talibani e fondamentalisti, avallato dalle potenze occupanti, Usa in testa.
La legge e' attualmente sospesa, anche a causa delle reazioni
internazionali, ma Rawa ritiene che verra' ripresa dal Parlamento di
prossima elezione, che, prevedibilmente, vedra' un'ampia presenza di signori
della guerra e di esponenti pro-talibani, essendo le potenze occupanti piu'
interessate ad assicurare a se' il gas dell'Asia centrale che non ad
assicurare la democrazia agli afgani.
Di qui la richiesta di mobilitazioni che contrastino i gruppi misogini e
fondamentalisti.
Una causa giusta, da sostenere nell'interesse di una democrazia partecipata
e plurale, unica forma di democrazia effettiva, quella escludente, comunque
camuffata, dovendosi, al contrario, ritenere espressione di un ordine
oligarchico, spesso connotato da misoginia.
Un ordine strutturato sulla diseguaglianza biologicamente motivata, coerente
al sistema patriarcale, che ha gravato a lungo, sia pure con pesi
differenziati, anche sulle donne italiane.
La Carta Costituzionale lo smentiva formalmente nei suoi principi
fondamentali (art. 2 e art. 3) fin dal 1948, ma molta acqua doveva passare
sotto i ponti.
Le previsioni del Codice Civile Mussolini-Grandi del 1942 (art. 143 e
seguenti) e quelle del Codice Penale Mussolini-Rocco del 1938 (art. 570 e
seguenti) sancivano una struttura famigliare fortemente gerarchica, una
moglie soggetta alle decisioni e ai voleri del marito (insignito di
"potesta' maritale"), sottoposta ai di lui "mezzi di correzione o di
disciplina" morali e materiali, fino a lambire il limite estremo del
maltrattamento. Gli abusi erano, poi, sanzionati assai lievemente: con pena
fino a sei mesi e, in caso di lesioni, con pena ridotta di un terzo rispetto
alla normale previsione edittale.
Un'ottica proprietaria e subalterna della donna che consentiva una serie di
abusi, non ultimo quello di natura sessuale, presentato come "debito
coniugale", nell'ambito di una concezione assai unilaterale della morale
famigliare e del dovere di assistenza imposti per legge.
Si e' dovuta attendere la meta' degli anni Settanta e la riforma del diritto
di famiglia (L. 19.5.1975 n. 151) per dare corso a principi costituzionali
(art. 29 e 30 Cost.) di parita' fra i coniugi e fra figli legittimi e
illegittimi (nati fuori del matrimonio), per l'abolizione della patria
potesta', sostituita dalla potesta' di entrambi i genitori.
Solo in epoca ancora piu' recente, con la legge del febbraio 1996 (art. 609
bis e seguenti Cod. Pen.), il reato di stupro e' stato rimosso dal titolo
del Codice Penale dedicato ai "delitti contro la moralita' pubblica e il
buon costume", l'incesto non e' piu' crimine contro la "morale famigliare"
ma entrambi crimini contro la persona, lesivi della libera disposizione di
se' e della autodeteminazione sessuale.
Una lenta e non uniforme evoluzione giurisprudenziale ha preso avvio
dall'art. 2 della Costituzione repubblicana ed e' giunta ad inquadrare la
sessualita' quale modo di espressione della personalita', da tutelarsi come
diritto inviolabile della persona.
Secondo le pronunce piu' illuminate della Corte di Cassazione la lesione del
diritto alla sessualita' determina per la vittima un danno da ingiustizia le
cui conseguenze pregiudizievoli devono essere accertate e quantificate in
termini di risarcimento del danno materiale, morale e alla vita di relazione
(esistenziale).
Inoltre, la giurisprudenza ormai prevalente considera che la violenza
sessuale possa avvenire anche fra marito e moglie, non essendo coperta da
quello che tradizionalmente si definiva come "debito coniugale". Non solo
l'assenso al rapporto deve essere esplicito, non viziato o estorto con
minacce, ma deve considerarsi sempre revocabile anche in relazione alla
tipologia del rapporto stesso, per come viene determinandosi.
In caso di imposizioni, specialmente se ripetute, alla moglie e' stato
riconosciuto titolo a richiedere la separazione con addebito al marito e
anche il danno esistenziale per gli effetti dannosi subiti nella propria
vita quotidiana di persona offesa, sottoposta a patimenti fisici e psichici
che hanno impedito lo svolgimento di una vita coniugale serena e informata
al principio dell'amore e del rispetto reciproco.
Puo' esserci "un giudice a Berlino", ma va ricercato e sollecitato
attentamente, senza timidezze, sostenute dal rispetto di se'.

3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: SE IL PATRIARCATO NON DEPONE LA MASCHERA DELLA
NEUTRALITA'
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it)]

Accanto all'allarme per la crisi economica, la disoccupazione crescente, le
manovre dei potenti della Terra per porre un argine alla rabbia dei ceti
piu' colpiti, nelle ultime settimane sono tornate ad occupare un posto non
trascurabile questioni che vengono ancora genericamente riferite alla vita
personale, alla sfera intima, alla coscienza del singolo, benche' sempre
piu' intersecate con le istituzioni della "cosa pubblica".
Da un lato, e' passata, come sempre, la cronaca pressoche' quotidiana degli
stupri e degli omicidi in famiglia, con l'unica variante del tipo di
parentela che ogni volta lega la vittima all'aggressore.
Dall'altro, si e' venuto imponendo, per circostanze tra loro apparentemente
lontane, un dibattito acceso su leggi e principi costituzionali, parlamenti
e consulte, diritti, liberta' delle persone e poteri dello Stato, laicita' e
imposizioni religiose, garanzie democratiche e consuetudini tribali.
La norma votata dal parlamento afgano, che legalizza, per la minoranza
sciita, lo stupro in famiglia e la totale dipendenza della donna dall'uomo,
la revisione, in Italia, da parte della Consulta, della legge 40 sulla
fecondazione assistita, per quanto riguarda "l'impianto unico e
contemporaneo" di "non piu' di tre embrioni", il caso di Kante Katadiatou,
la donna ivoriana ricoverata per parto all'ospedale Fatebenefratelli di
Napoli e inquisita per "identificazione urgente", in nome di una clausola
del decreto sicurezza non ancora approvato - ma si potrebbe aggiungere anche
la vicenda parlamentare del testamento biologico -, parlano sostanzialmente
della violazione di alcuni diritti e liberta' essenziali della persona,
garantiti, nei Paesi che si considerano "civili" e "democratici", dalle
rispettive Costituzioni, e negli altri casi da organismi e convenzioni
internazionali.
Le reazioni che hanno provocato, i cambiamenti di rotta, le spaccature
all'interno di gruppi politici che si pensavano ideologicamente compatti - i
cento deputati del Pdl che si sono espressi contro l'emendamento della Lega,
inteso ad abolire il divieto di segnalazione, da parte dei medici, degli
immigrati senza permesso di soggiorno -, gli interventi di Fini contro lo
"Stato etico", in difesa della laicita', la decisione del presidente Karzai
di congelare una legge fatta per negoziare il consenso della minoranza
religiosa piu' oltranzista, dicono che le vicende essenziali riguardanti la
vita nella sua interezza - il rapporto tra i sessi, la nascita, la morte, la
salute, ecc. -, tenute a lungo fuori dalla storia, dai linguaggi e dai
poteri pubblici, hanno la forza "perturbante" di una "stirpe oppressa" dalla
civilta', che oggi chiede il conto.
Ma come definire il contesto economico, culturale e politico, nelle sue
incomparabili differenze, che oggi, di fronte all'imprevisto, balbetta, si
contraddice, attacca e si difende? Se Pierluigi Battista, sul "Corriere
della sera" (2 aprile 2009), ha provato a riproporre con poco successo
quello che e' stato il cavallo di battaglia della destra piu' vicina al
Vaticano  - lo "scontro tra Islam e Occidente" -, questo non vuol dire che
le democrazie occidentali e le loro affiliazioni in terre lontane e
inospitali non siano tutt'oggi convinte della loro superiorita' e unicita',
incapaci di interrogarsi su quei residui arcaici, che le rendono cosi'
simili alla culture "tribali", su quelle inclinazioni fondamentaliste che
ancora confondono religione e politica, legge divina e liberta' della
persona.
Se la contrapposizione tra mondo civile e barbarie appare cosi' netta, se
qualcuno, nonostante i casi di violenza quotidiana che lo smentiscono, puo'
ancora parlare di "donne liberate" dell'Occidente, se ci si puo' illudere
che basti schierarsi "in difesa delle donne", rendere giustizia alle
"vittime" identificando di volta in volta l'oppressore con qualcuno che e'
"altro da se'" - lo straniero, lo psicopatico, il politico in cerca di
consenso facile, ecc. -, e' perche' una barriera, forte del senso comune e
di un pregiudizio millenario, ancora avvolge le molteplici, multiformi
"culture" create dal dominio maschile, in una maschera impenetrabile di
neutralita'.
Ma se proviamo a scostare il velo, il paesaggio cambia, il confine tra le
citta' dell'Occidente e i villaggi afgani si fa mobile e impercettibile, i
dogmi delle gerarchie vaticane somigliano stranamente ai codici tradizionali
della Sharia, la deriva verso lo "Stato etico", il fondamentalismo
religioso, criticato e combattuto dall'Occidente in altri Paesi, appare per
quello che e', la prima e l'ultima sponda del patriarcato, il tentativo, di
fronte all'irruzione di una "preistoria" - il corpo, la vita personale, il
rapporto tra i sessi - mai del tutto addomesticata, di riprendersi un potere
antico: il sequestro dei corpi, l'appropriazione della vita dei singoli, la
cancellazione di quella conquista inalienabile dell'incivilimento che e'
l'autodeterminazione, il diritto di ogni persona "a prendere in liberta' le
decisioni piu' intime" (Stefano Rodota').
Non e' un caso che, nel dibattito che si e' acceso intorno a questi temi, si
parli ancora esclusivamente di "bioetica", come se la vita che e' stata
ridotta a corpo biologico, la persona, a cui si vorrebbero togliere liberta'
e diritti, non fosse stata, prioritariamente, quella della donna; non e' un
caso che tutte le vicende di cui si e' parlato sopra abbiano come
protagonista il sesso femminile - sia come "oggetto" di violenza che di
tutela -, e mai, come ci si dovrebbe aspettare, la consapevolezza e la
cultura femminista che, da oltre un secolo, ha cominciato a scuotere i
privilegi e le certezze della comunita' storica degli uomini.
La legge afgana, che sulla sponda "civile" del mondo ha suscitato tanto
sdegno, se si riuscisse a guardarla per la verita' "domestica", violenta,
quotidiana, e pressoche' senza tempo e patria, che porta allo scoperto - la
cancellazione della sessualita' femminile, la donna espropriata di volonta'
ed esistenza propria, sottoposta a un potere di vita e di morte, esclusa
dallo studio e da responsabilita' pubbliche -, potrebbe finalmente far
riflettere sull'unico dominio, quello di un sesso sull'altro, che sfugge
alle analisi, e quindi ai cambiamenti, che qualcuno ipocritamente vorrebbe
circoscrivere a intoccabili "differenze culturali", altri al terreno non
meno rispettabile e riservato della sfera intima.
Al sessismo esplicito, impugnato dai mullah come legge naturale, fa
riscontro, per la parentela evidente, l'insignificanza - intellettuale,
politica, professionale - in cui sono tenute le donne "emancipate"
dell'Occidente, casalinghe, madri, mogli sempre e comunque, o, nel migliore
dei casi, "conduttrici" di un discorso unico e privilegiato tra uomini, che
occupa ininterrotto da secoli la scena pubblica.

4. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: RIVOLUZIONE FEMMINISTA: CHIMERA O REALTA'?
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente testo li' presentato col titolo "Ferrara, 11 marzo
2009. Universita' degli Studi di Ferrara, Facolta' di Giurisprudenza:
Rivoluzione femminista: chimera o realta'? Luisa Muraro risponde alle
domande dell'Associazione Officina (testo registrato - trascrizione rivista
da L. M.)" e la nota "Testo distribuito il 4 aprile 2009 alle/ai
partecipanti all'incontro con Luisa Muraro su: Che cosa vuol dire l'agire
politico ai nostri giorni. Trascrizione da cassetta a cura di Alessandra De
Perini. Registrazione, rilettura e impaginazione a cura di Adriana Sbrogio'
di "Identita' e Differenza", Spinea (Ve). Rivisto da Luisa Muraro il 10
aprile 2009 per il sito della Libreria delle donne di Milano"]

Viviamo in una civilta' percorsa da flussi da tutte le parti di notizie. In
questa societa', basata sui mezzi di comunicazione di massa, non si comunica
e non si sa quasi niente. Nulla puo' consolidarsi e diventare patrimonio
comune. Quando qualcuna o qualcuno vuole fare nella sua vita qualcosa di
grande, ecco allora comincia a selezionare quello che le/gli interessa,
quello che vuole capire.
Sono contenta che le studentesse di "Officina" abbiano selezionato questo
pezzo di storia politica che riguardava tutto il mondo industrializzato, e
che ormai e' un evento della storia globale, che si chiama "femminismo".
Il femminismo non e' una dottrina, non e' neppure un partito, e'
un'etichetta che si mette sopra cose tra loro molto diverse. Io non dico
mai: "Il femminismo e' questo o quello", ma dico: "Con il femminismo mi e'
capitato o mi capita, accade o e' accaduto questo e quello". Per esempio ai
capi di Lotta continua nei primi anni Settanta e' accaduto che in un
convegno nazionale le donne si sono alzate e hanno detto loro: "Cari uomini,
vi salutiamo, ce ne andiamo con le femministe!". A quegli uomini e' accaduto
di perdere di colpo tutte le loro militanti. Qualcuna, forse, e' rimasta
fedele, ma il grosso se n'e' andato. Penso al film Galline in fuga. Le
galline sono le donne della sinistra e dei gruppi di estrema sinistra degli
anni '70. Galline in fuga sono oggi anche le masse popolari, fuggite dalle
organizzazioni di sinistra e andate a destra.
La prima cosa che capita con il femminismo e' una rottura, una continuita'
che si spezza. Che cosa c'e' agli inizi del femminismo? Siamo negli Usa ed
e' il 1967. Nella conferenza nazionale dell'"Associazione studentesca per la
societa' democratica" avvenne il primo atto separatista: un gruppo di
giovani studentesse iscritte a questa associazione progressista decise di
abbandonare il workshop misto dedicato alla "question" della donna per
riunirsi tra sole donne. Si consideri che a fare questo gesto furono delle
ragazze cresciute in una sostanziale condivisione di spazi e opportunita'
con i loro compagni maschi. Ragazze avviate a entrare alla pari in una delle
societa' piu' avanzate per quello che riguarda la questione femminile.
Questo processo di emancipazione e integrazione delle donne alla pari nella
societa' degli uomini e' stato interrotto per libera scelta femminile e si
sono creati spazi femminili in un nuovo rapporto tra privato e pubblico,
personale e politico. L'enormita' di questo avvenimento ebbe un formidabile
contagio: attraverso l'America, l'Europa fino al Giappone lo stesso,
identico gesto e' stato ripreso da innumerevoli donne. Con il senno di poi
leggiamo in trasparenza: uomini che discutono sul "problema" delle donne e
alcune donne che non intendono supportare questo teatro politico con la loro
presenza, percio' se ne vanno, lasciando che questo sia teatro politico per
gli uomini. Gli uomini vogliono immaginarsi preoccupati della questione
delle donne, vogliono occuparsi di questo problema e loro, le donne, se ne
vanno, non ci stanno piu' ad essere l'oggetto problematico della politica
progressista. Qui vorrei citare Massimo De Carolis, Il paradosso
antropologico (Quodlibet, 2008). Anche se sembra ignorare la politica delle
donne, non ne sa o non ne vuole sapere nulla, pero' le cose capitano, le
idee girano, lui stesso dice che il separarsi di pochi, di qualcuno dal
grosso della realta' storico-sociale, la scissione dal tutto, puo' aprire
uno spazio ad alto valore simbolico, porta in primo piano qualcosa che era
sullo sfondo come "illimitato", come potenzialita'. Lui fa un elogio grande
a questo gesto che e' lo stesso al principio del femminismo. Il mondo non e'
piu' quello di prima, ha luogo una nuova apertura, nasce un nuovo mondo.
Per una come me che e' vecchia, di origine veneta, poi trapiantata a Milano,
che ha visto le generazioni precedenti, i rapporti tra i due sessi sono
cambiati completamente a causa del femminismo. Sono cambiati rispetto a
secoli e secoli di storia millenaria. Il patriarcato e' finito. Rimane la
prevaricazione maschile, l'arroganza, le istituzioni della cultura
patriarcale, ma in verita' il patriarcato come forma legittima di un dominio
di un sesso sull'altro, come ordine simbolico, come se fosse ovvio, e'
finito.
Il pensiero della differenza e' un capitolo della storia del pensiero che
ormai e' stato gia' registrato. Ne parla, per esempio, l'Enciclopedia
Bompiani in 12 volumi (la "voce" e' di Marisa Forcina, docente
dell'Universita' di Lecce). Ma come e' cominciata questa cosa, questa idea
nuova? Il pensiero della differenza comincia quando le donne si separano
dalla filosofia con il criterio della differenza. Non siamo in presenza di
una dottrina, ma di una pratica, un gioco, non e' roba libresca.
Separarsi dai maschi fu stupefacente, perche', al contrario, fino a poco
prima, si parlava di congiungersi con loro alla pari. Questo separarsi per
fare societa' femminile fu stupefacente, un fenomeno contagioso. Era una
cosa strana perche' la differenza sessuale, dal punto di vista della
riflessione, sia giuridica, sia filosofica, sia religiosa, era un oggetto
ultranoto, si sapeva; anzi, dal punto di vista della modernita' cominciava
ad apparire un'idea vecchia, un oggetto arcaico, qualcosa che era stata
importante una volta, quando, per esempio in Chiesa gli uomini si mettevano
da una parte e le donne dall'altra. Il separarsi delle donne non era
moderno. Come mai allora ha tanto entusiasmato le donne? Perche' ha
costretto a ripensare il passato e il presente, in una materia che prima era
data per scontata ha fatto un taglio rivelatore, come in geologia.
Il pensiero della differenza nasce cosi'. Ricordo che Adriana Cavarero stava
dietro a Platone e io le dico: "Che cosa stai a fare dietro a Platone? Alla
fine nella storia della filosofia sarai citata come commentatrice di qualche
grande commentatore di Platone". Allora lei, donna di qualita', ottima
filosofa, ha capito che il mio ragionamento era giusto e mi chiese: "Ma di
che cosa vuoi che ragioniamo allora?" E io le dicevo: "Non lo so, mah..." E
lei capisce subito: "Ma certo! La cosa strana su cui bisogna ragionare e' la
differenza sessuale! Questa cosa superata, vecchia, arcaica che provoca
tutta questa rivoluzione".
La nostra civilta' era avviata, e lo e' ancora, all'in-differenza, per cui
essere donna in prospettiva diventera' qualcosa di insignificante. Una
minoranza di donne pero' fa la mossa. Eravamo avviate e avviati verso la
cancellazione e insignificanza, quando alcune fanno una schivata (preferisco
chiamarla cosi' invece di "rottura") rispetto al processo storico che andava
avanti di suo. E' sempre cosi' quando capita una vera rivoluzione (intendo
in senso simbolico): qualcuno esce e fa, inventa altro. Allora la
soggettivita' zampilla. In quel momento e' il soggetto pensante-desiderante
che si esprime. Prima era una macchina. Hannah Arendt le ha spiegate bene
queste cose, ispirandosi a Rosa Luxemburg e alla sua idea di rivoluzione.
Il pensiero della differenza nasce dunque cosi'. Importante notare che
questo pensiero adotta le pratiche del femminismo sorgivo: autocoscienza,
relazione, partire da se'. In pratica, quando ci siamo ritrovate in Diotima,
come comunita' filosofica di donne, abbiamo deciso che non ci saremmo messe
a studiare e commentare, ma saremmo partite da noi, dalla nostra esperienza
e avremmo fatto nascere pensiero da mettere in circolazione, parole che
dicessero l'esperienza umana femminile, perche' nella cultura l'esperienza
umana femminile non c'era. C'era questa esperienza di donne che era ed e'
una miniera, ve lo assicuro. C'e' un sacco di lavoro che si puo' fare per
mettere in forma di sapere, di arte, di poesia l'esperienza femminile. Cosi'
abbiamo lavorato e Diotima ha pubblicato finora otto libri non finanziati
dall'Universita', ma tutti pagati con il mercato, perche' sia donne che
uomini li comprano. Cosi' e' cominciato il pensiero della differenza. Io vi
ho fatto l'esempio di Diotima, ma ci sono altri percorsi, altri esempi.
Il pensiero della differenza e' differenza che si fa pensiero. La differenza
non piu' tutta appoggiata al corpo delle donne (nel '600 le donne erano
chiamate "sesso"), diventa qualcosa che abita donne e uomini, e'
l'incarnarsi del desiderio, delle intelligenze, del pensiero. La differenza
sessuale diventa pensante. Essere consapevole di essere una donna pensante,
mentre prima si diceva "tutte le donne". Questo e' un passaggio che non e'
ancora stato fatto come si deve. Non si tratta della differenza tra le donne
da una parte e gli uomini dall'altra, ma di come l'essere donna si esprime
nella singolarita' in rapporto con gli uomini, con altre donne, con Dio, con
il mondo religioso ecc. La differenza sessuale non e' piu' la grande
categoria della filosofia "essenzialista" della cultura tradizionale,
diventa questo incarnarsi di desideri e pensieri che da' senso libero al
fatto che donne e uomini non siamo pari, uguali, assimilabili. La differenza
non ha necessariamente contenuto, ma ha gioco. La cancellazione della
differenza appiattisce il discorso.
Quando c'e' stato questo incarnarsi del pensiero della differenza sessuale?
Il pensiero, anche il piu' puro, non fa sempre luce, il logos ogni tanto fa
delle "mosse al buio". Bisogna mettersi in mezzo, esserci in prima persona
per capire. Come Cristoforo Colombo che, invece di ragionare, a un certo
punto si e' deciso a partire. Parte e va. Questa e' la differenza:
decidersi, tagliare con quello che sembra ovvio per seguire una intuizione,
esserci a questo mondo con un'idea che sentiamo nostra, vera, giusta.
Il nostro lavoro di ricerca come Libreria delle donne e' stato ed e' e resta
questo: far si' che tutto quello che e' apporto femminile alla civilta'
umana non resti muto, infatti la storiografia femminista e' ormai
riconosciuta e nei grandi convegni di Storia non mancano mai delle storiche
femministe per dare il loro contributo. Un apporto femminile alla civilta'
e', per esempio, che l'Italia e' un paese dove, anche non essendo ricchi, si
puo' mangiare bene. L'Italia ha una tradizione di cucina povera di buona
qualita' (che e' anche dietetica), mentre negli Stati Uniti, se non avete
soldi, mangiate male, cibi scadenti e finirete con gonfiarvi come palloncini
(senza offesa per il grasso e' bello). Come si fa perche' tutti possano
mangiare bene? Le donne hanno reso possibile questo con molto lavoro, amore
per il cibo, pochi soldi, parlandosi tra donne. Non ci pensiamo mai al
grande guadagno economico, ma anche di qualita' di vita, che e' poter
mangiare bene con pochi soldi. Questo noi alle economiste glielo abbiamo
detto e cosi', dal punto di vista della convivenza civile, pensate all'opera
di mediazione, al lavoro ancora poco registrato che hanno fatto donne e
uomini per la tenuta del tessuto sociale.
Passo infine a parlare della differenza tra femminismo radicale e le teorie
sul "genere". Si tratta di contributi teorici che arrivano negli anni '90.
Ma prima apro una parentesi per dire che, per una come me, per noi, eredi di
Carla Lonzi, la pensatrice piu' radicale del pensiero della differenza,
autrice di Sputiamo su Hegel, l'impegno principale e' stato contrastare il
passo al vittimismo femminile. L'abbiamo combattuto, anche se non era
infondato, ma era debilitante per le donne, le relegava in una posizione
passiva, alla merce' di chi decide di dare loro ascolto e cerca di sfruttare
la loro posizione. Adesso ci sono alcuni che coltivano il vittimismo degli
immigrati.
Man mano che si conquistava nuovo spazio, terreno, protagonismo, abbiamo
voluto che lo assumessero come cambiamento avvenuto, altrimenti avevamo una
situazione paradossale: i maschi che andavano debilitandosi ed erano sempre
piu' in difficolta' (in questa societa' la paternita' per esempio ha subito
un colpo durissimo e adesso gli uomini sono a rischio di perdere i loro
figli) e le donne sempre a lamentarsi. A un certo punto non si sapeva piu'
chi era l'oppressore. La "lamentatio" femminile era diventata in certi casi
una furberia, impediva soprattutto l'assunzione del proprio protagonismo.
Questo 8 marzo 2008 per la prima volta le donne non sono state presentate
come vittime. Oggi, per esempio, parlando della violenza, si comincia a dire
che e' un problema degli uomini. Chiusa la parentesi.
Per il femminismo radicale, di cui sono una esponente, donna e' bello. Noi
non accettiamo e non accetteremo mai certe equivalenze della donna con gli
aspetti deteriori, come se il dominio e violenza che le donne patiscono
fosse da eliminare eliminando il femminile, la differenza sessuale.
Per noi, le donne esistono, non sono una creazione del patriarcato, del
dominio sessista, esistono e questo e' un punto irrinunciabile del
femminismo. Dei contributi degli anni '90 accettiamo invece che il
patriarcato ci ha lasciato in eredita' il sistema della eterosessualita'
imposta, coatta, interiorizzata, un comportamento che la societa' prescrive,
gettando vergogna e discredito su quelle e quelli che non si conformano.
Pesantissimo e' lo stigma sociale sull'omosessualita' maschile e femminile.
Non basta combattere i ruoli sessisti, ma anche le definizioni di donna e
uomo che non lasciano la liberta' di orientarsi sessualmente e di esprimersi
liberamente e quindi praticare il senso libero della differenza sessuale.
Riconoscersi o non riconoscersi come donna o come uomo che cosa vuol dire?
Non si tratta solo di ruoli e imposizioni. C'e' anche un senso libero della
differenza e la stessa Judith Butler afferma che il pensiero della
differenza deve sganciarsi dall'eterosessualita' imposta. Qual e' la strada
che io vedo perche' ci sia pensiero della differenza non legato al sistema
obbligatorio dell'eterosessualita'? Una strada che ho in mente, e' quella
dell'arte (film Venus Boys di Gabriel Baur, dove si vedono artiste che
mimano parodie di ruoli maschili e femminili, fantasmi che si disfano,
persone che navigano da una identita' sessuale ad un'altra, che fanno il
doppio gioco). Esiste anche la strada dei diritti, anzi per molti sarebbe
l'unica, non per me.
La politica dei diritti e' dentro la barca del potere, la logica relazionale
invece e' quella che modifica gli atteggiamenti profondi delle persone. La
politica dei diritti (per esempio il matrimonio gay a S. Francisco o in
Spagna) e' dentro il sistema dei rapporti di forza, per cui una conquista a
livello del diritto si puo', con il cambio di governo, perdere e non c'e'
maturazione della societa'. La scienza del diritto passa attraverso delle
leggi, ma non tutto di tale scienza passa per la legge, anzi. Il diritto
stesso insegna un uso attento e ben dosato della legge. Faro' un altro
esempio. C'e' chi si preoccupa per la maniera incivile con cui vengono
trattate le donne e gli uomini della immigrazione povera. Gli immigrati
poveri vengono nei nostri paesi perche' il mercato globalizzato li
costringe. Questa gente deve buttarsi allo sbaraglio nell'emigrazione,
sperando di trovare dall'altra parte il modo di sopravvivere. Questa e'
l'economia globalizzata che invece di aiutare paese per paese con oculate
misure ha fatto queste operazioni. In Italia, a differenza della Francia e
della Germania, sono arrivati numerosi nell'arco di pochi anni. Ci sono
paesi del Veneto che sono stati ridisegnati dall'immigrazione povera. Questi
immigrati non vanno a stare nei centri storici dove abitano gli
intellettuali di sinistra, vanno a stare nelle periferie povere, dove abita
la popolazione che si guadagna da vivere faticando. Bisogna andare nelle
periferie di Milano per vedere la durezza di questa condizione: la
popolazione locale tenta di vivere con decoro, con salari che valgono sempre
di meno, cerca di garantire la pulizia e la tranquillita' delle strade. Su
questa popolazione pesa la presenza di immigrati, molti dei quali sono senza
arte ne' parte. I primi che sono arrivati erano maschi, giovani, senza
possibilita' di vita sessuale normale. Giravano per le strade con usi e
costumi che gli abitanti locali non capivano, trovavano orribili, donne in
testa. Allora la mossa, la schivata che ho in mente che si debba fare, e'
questa: questo problema non lo capiamo con l'astrattezza dei diritti e della
civilta', ma in concreto aiutando la popolazione nella tessitura sociale, a
capire perche' fare accoglienza, senza appiccicarle addosso l'etichetta di
"razzista".
Per me, insomma, c'e' continuita' tra la rivoluzione femminista e la
politica delle relazioni nella societa' di oggi che e' piu' difficile di
quella di quando abbiamo cominciato l'avventura femminista. Allora l'Italia
era un paese in espansione e le strade sembravano tutte aperte, le guerre
alle spalle. Adesso le cose sono molto piu' difficili, pero' qualcosa di
buono lo abbiamo capito. Allora si puo', anzi si deve farlo valere. Quello
che io faccio valere sono i grandi guadagni dell'agire politico in prima
persona. Sono grandi guadagni personali, contestuali e nel guardare il
mondo.
*
Domande (in sintesi) di giovani universitari/e:
1. Qual e' oggi il valore dell'8 marzo?
2. Quale differenza tra genere (studi di genere) e sesso?
3. In che misura la differenza sessuale puo' essere considerata "ontologica"
o e' solo legata a fattori antropologici?
4. Come mai le donne sono cosi' poco partecipi nell'agire in politica oggi?
5. Le donne hanno bisogno di stare insieme, invece trovano difficolta' a
riunirsi e condividere l'esperienza. Come e' possibile oggi l'agire comune
delle donne?
*
Risposte di Luisa Muraro
Io ero tra quelle femministe nemiche dell'8 marzo, pero' poi mi sono messa
in ascolto e ho cambiato atteggiamento, sono piu' accettante. In definitiva
ritengo che l'8 marzo e' tutti i giorni dell'anno. C'e' una storia politica
dell'8 marzo, c'e' una tradizione femminile non imposta. Quando ho visto a
Verona l'aspetto festoso e gioioso di tante ragazze, le trattorie e i
ristoranti riempirsi di donne la sera dell'8 marzo. Questa e' una cosa che a
me piace: vedere la societa' femminile libera, autonoma. E spero che il
paesaggio rimarra' sempre questo. C'e' una storia politica delle donne che
ci deve essere cara. Si deve avere a cuore la memoria politica della storia
delle donne.
Su "genere" e "sesso" si e' sprecato troppo inchiostro accademico. I
contesti politici e culturali sono differenti. Quando le americane hanno
cominciato a parlare di genere e hanno fatto accettare un po' ovunque questa
terminologia, si riferivano alla costruzione culturale dell'essere donna. A
noi sembrava che separassero la costruzione culturale dalla fisiologia. Ora
per gli esseri umani (e questo e' acquisito nella cultura piu' avanzata) non
si puo' separare la cultura dalla natura. Gli esseri umani sono un continuo
circolo di interpretazioni culturali e del dato naturale che uno finisce per
modificarsi alla luce dell'altro. Sesso e genere quindi sono in circolo. Gli
studi di genere sono diventati neutri, sono ritornati indietro, per cui le
donne sono studiate come "fenomeno" e non in rapporto squilibrato e
asimmetrico con gli uomini. Non si puo' studiare i generi, ma i rapporti tra
donne e uomini, li' dove sono storicamente. Tali rapporti sono la nostra
cultura, la nostra civilta'. Separare quindi gli studi di genere dallo
studio del diritto, della legge, della filosofia, dell'arte e' una specie di
artificio che ci priva dei dati piu' vivi e interessanti per capire la
nostra civilta'. Diotima non ha mai voluto gli "Studi delle donne" ne'
quelli di genere perche' noi diciamo che di donne e di uomini bisogna
parlare in tutti gli ambiti di ricerca e di indagine e di trasformazione
della societa'. Per esempio quando si fa scienza biologica, bisogna
ricordarsi di dire chi parla, se e' uno scienziato o una scienziata, se
stiamo parlando di donne, di uomini o di bambine e bambini, di vecchie o di
vecchi. Il fatto della sessuazione bisogna che lo teniamo sempre presente in
tutti i campi.
Bisogna guadagnare passo passo un certo linguaggio, accumulare notizie,
linguaggi, parole, figure (il cinema e' uno strumento molto utile in questo
senso) per mostrare la grandezza umana vera di uomini e donne comuni che non
vogliono imporsi. Io ho scritto di Guglielma e Maifreda per mostrare la
grandezza di due donne vissute nel Medioevo a Milano. Il cinema neorealista
ha fatto vedere delle donne del popolo che sanno esprimersi molto bene e
dire cio' che vogliono (Anna Magnani in "L'onorevole Angelina"). E' una
questione di mediazioni. Ci sono grandi cose che sono accadute e hanno
bisogno di mediazioni. A volte il contesto offre tutte le necessarie
mediazioni, altre volte bisogna trovare mediazioni piu' fini. Anche l'arte,
principalmente quella cinematografica, e' chiamata a fare opera di
mediazione e li' chi ha vissuto e' stata protagonista, la materia fine,
pregiata di certe cose non e' cosi' facile da immettere nei circuiti
comunicativi. Bisogna sapere quali sono le forme di mediazione migliore.
Anche la musica puo' fare questa cosa. Bisogna rivolgersi a donne e uomini
che hanno vocazione artistica, che vivono l'impegno che non si perda la
materia fine di certi cambiamenti.
La strada del pensiero che fa leva su quello che manca e' una strada piena
di buche dove si cade, senza arrivare al traguardo. Conviene vedere che
questo, che le donne sanno agire insieme, e' gia' vero, c'e' gia'. La strada
da percorrere e' il valorizzare quello che gia' c'e'. Sono convinta che
l'essere di quello che c'e' si estingue, perde di consistenza se noi non lo
vediamo, non lo commentiamo e raccontiamo. Se trascuriamo le cose positive
che ci sono, in questa specie di derelizione di carattere simbolico esse
perdono consistenza. La strada di far leva su quello che manca, non conosce
questo sguardo attento, amoroso, questo tenere sotto gli occhi. Che tu veda
la societa' femminile, la racconti, la sai. Tu hai bisogno di vedere donne
perche' sai che, se tieni d'occhio la realta' femminile, la stai
potenziando. Io ne ho fatto un principio di questo tener d'occhio e
potenziare. Le madri sanno che, se tengono in mente il figlio, la figlia, se
lo/la guardano, se ne parlano, questo, questa cresce. Se la dimenticano, e'
a rischio di non sopravvivere. Li' c'e' un segreto. Questa e' ontologia,
dottrina dell'Essere che fiorisce se noi gli diamo il di piu' della parola,
del pensiero, dell'attenzione.
Il mio "genio" e' quello di ascoltare e dare parola all'esperienza di donne,
invece altre piu' di me, Lia Cigarini, Adriana Sbrogio', fanno nascere
pensiero nel rapporto con gli uomini, nella relazione di differenza. Questo
riscatta, inserisce la relazione donna-uomo in una tradizione di liberta'
femminile.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 245 del 16 aprile 2009

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it