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Minime. 792
- Subject: Minime. 792
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Apr 2009 02:48:13 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 792 del 16 aprile 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Mutande rosa 2. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto 3. Una strage dopo l'altra 4. Annamaria Rivera: La costruzione delle emergenze e il lessico della forca 5. Alessandro Braga: A Conegliano 6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 7. Libri 8. Silvia Calamandrei presenta "Au zenith" di Duong Thu Huong 9. Marco Dotti presenta "Ecolalie" di Daniel Heller-Roazen 10. Emilio Franzina presenta "Lavoro in movimento" di Michele Colucci 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: MUTANDE ROSA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Negli ultimi tre mesi, un gruppo politico che si fa chiamare Sri Ram Sene (l'Esercito del Signore Ram) ha deciso di moralizzare l'India. Questo grande e nobile compito viene perseguito aggredendo le donne che frequentano locali pubblici e che indossano jeans, e le coppie di innamorati che festeggiano S. Valentino (una "minaccia alla cultura indiana"). Dopo l'ultimo incidente accaduto a Mangalore, dove una ragazza e' stata schiaffeggiata e insultata su un autobus perche' parlava con un coetaneo musulmano, le attiviste indiane hanno lanciato la campagna "Pink Chaddi" (chaddi significa "biancheria intima" in Hindi). Stanno spedendo da tutto il paese, alla sede ufficiale dello Sri Ram Sene, mutande rosa da donna. Fino ad ora, 59.000 persone hanno raccolto l'invito. "Abbiamo usato tutto quel che abbiamo per condannare le aggressioni", spiega Annie Zaidi, giornalista e membro del Blank Noise Project, un gruppo che contrasta la violenza contro le donne negli spazi pubblici, "Su internet la notizia della nostra campagna si e' propagata in modo velocissimo. La chiave e' lavorare su un'azione o un gesto che sia semplice, fattibile, e abbia valore simbolico. Gli uomini di questo esercito 'moralizzatore' hanno bisogno di provare vergogna e di chiedere scusa. Vogliamo mostrargli che il resto del paese ride di loro, invece di sostenerli o di averne paura". Annie ha aggiunto che le attiviste sono ben consce del pericolo di una "talebanizzazione dell'India": "La minaccia e' reale per molte donne, soprattutto per quelle che vivono nelle zone rurali o nelle piccole citta'. Il governo ha praticamente ignorato la questione, ma cosa succederebbe se domani lo Sri Ram Sene decidesse che l'istruzione non e' necessaria per le donne, o non e' 'cultura indiana'? Chi ha il diritto di decidere per tutti cos'e' 'indiano' e cosa no?". Nisha Susan, altra fondatrice della campagna "Pink Chaddi", conclude: "Ci opporremo a chiunque metta in questione i diritti umani fondamentali. E per quel che mi riguarda, la nostra cultura indiana e' infusa da idee di rispetto e tolleranza". 2. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili informazioni e proposte. 3. AFGHANISTAN. UNA STRAGE DOPO L'ALTRA Dall'Afghanistan continuano a giungere notizie di stragi di civili compiute dai bombardamenti della coalizione militare internazionale di cui l'Italia fa parte. Una guerra terrorista e stragista. Una guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. Un orrore infinito. * Cessino le stragi. Cessi la guerra. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 4. UNA SOLA UMANITA'. ANNAMARIA RIVERA: LA COSTRUZIONE DELLE EMERGENZE E IL LESSICO DELLA FORCA [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente stralcio dal suo libro di prossima pubblicazione Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo, Bari, che uscira' nel giugno 2009; stralcio apparso sul settimanale "Carta" di questa settimana monografico sulla solidarieta' con i migranti] La tendenza a subordinare il dibattito pubblico, anche politico, ai fatti di cronaca -selezionati, gerarchizzati, drammatizzati - ed a costruire artificiosamente emergenze per conquistare il consenso popolare non e' un fenomeno che riguarda solo l'Italia ne' solo il tempo presente. In Francia, Gerard Noiriel lo fa risalire alla III Repubblica, alle riforme democratiche adottate dai suoi fondatori, alla conseguente ristrutturazione dello spazio pubblico, che esige il coinvolgimento dei cittadini, soprattutto in quanto elettori. Da quel momento (...) una figura centrale della cronaca diventa lo straniero, messo in scena sempre in situazioni negative. L'osservazione dello studioso francese e' generalizzabile a tal punto che si potrebbe dire che la propaganda sicuritaria - o razzista, per chiamarla con l'aggettivo piu' appropriato - e' una sorta di patologia della democrazia rappresentativa, che tocca il culmine con la mediatizzazione dello spazio pubblico. Si puo' aggiungere che in Italia il sistema mediatico oggi si configura ormai come un nuovo sistema istituzionale informale, che ingloba la politica nello spettacolo (...); parte del quale e' la manipolazione di fatti di cronaca ai quali ancorare le campagne allarmistiche e la propaganda razzista. Il loro dispositivo principale e' l'uso articolato di due espedienti retorici che hanno facile presa: la drammatizzazione e la reiterazione ossessiva di uno stesso genere di fatti e personaggi, a partire da un primo evento-matrice considerato d'impatto, cioe' capace di colpire l'opinione pubblica in quanto legato ad ansie e preoccupazioni sociali. In tal modo e' il genere stesso che viene costruito, selezionando dalla cronaca e deformando accadimenti, anche minori o minimi, che possano presentarsi come una catena di fatti analoghi, dunque come un fenomeno, una piaga, un'emergenza: in Italia, si va da crimini gravi come l'omicidio e lo stupro a fatti meno gravi come gli incidenti stradali, dagli arrivi "irregolari" di migranti e profughi fino a comportamenti sociali non conformi come la mendicita' o i mestieri di strada, tutti aventi come "colpevoli" figure variabili di "estranei". In tal modo si induce nel pubblico l'idea che si sia in presenza di un'emergenza che minaccia la nostra sicurezza. Il carattere martellante della propaganda sicuritaria o razzista finisce per condizionare non solo l'opinione pubblica, ma anche le istituzioni piu' varie e lo stesso potere giudiziario, con effetti quale lo stravolgimento del sistema dei delitti e delle pene, in particolare per cio' che riguarda il principio della proporzionalita' fra reati e sanzioni e dell'indifferenza verso le categorie sociali cui appartengono i colpevoli presunti. Anche la giustizia, infatti, sembra essere talvolta condizionata dalle tendenze umorali che percorrono la societa' e quindi dall'inclinazione a compiacerle per non rischiare la perdita di popolarita' o di consenso. Cosi' puo' accadere che i responsabili di eguali comportamenti criminosi come, per esempio, eccesso di difesa o incidenti stradali con esiti mortali siano condannati per omicidio volontario aggravato se stranieri, per omicidio colposo, con attenuanti, se italiani. Per non parlare della gogna mediatica inflitta abitualmente ai migranti e ai rom, per i quali sembra non valgano il principio della presunzione d'innocenza e il diritto alla tutela della propria immagine: allorche' sono fermati, indagati o arrestati, se ne divulgano la nazionalita', i nomi e le sembianze o addirittura, come e' accaduto, la registrazione audiovisiva di interrogatori cruciali, che dunque resteranno in eterno nel web, anche dopo che l'innocenza del "mostro" sara' stata provata (...). Solitamente i mass media si attribuiscono il compito di indurre, interpretare e legittimare i sentimenti collettivi, in genere i piu' ignobili; la politica, istituzionale e non, demagogicamente adatta il proprio discorso e operato all'opinione pubblica interpretata dai mass media; nell'opinione pubblica, a sua volta influenzata e in qualche misura modellata in peggio dagli uni e dall'altra, si accentuano gli orientamenti intolleranti e sicuritari e le richieste di ordine, che talvolta sfociano in aggressioni e spedizioni punitive contro lavoratori immigrati e rom. Corollario - e nel contempo agente - di questo processo d'imbarbarimento e' il progressivo scadimento del linguaggio pubblico, ormai privo di freni inibitori (...). Non vi e' solo il consueto e grossolano fraseggio leghista o quello da avanspettacolo di alte cariche governative, ne' solo il lessico usuale del disprezzo che nomina il migrante con appellativi stigmatizzanti, inferiorizzanti e deumanizzanti ("clandestino", "extracomunitario"...). Si tratta di una tendenza che investe sempre di piu' gli esponenti di istituzioni, nazionali e locali, e i mezzi d'informazione, anche i meno sguaiati: termini come "piaga", per nominare le false emergenze, costruite di volta in volta dalle campagne politico-mediatiche (la "piaga" dei clandestini, dei pirati della strada stranieri, dei lavavetri, degli stupratori...); parole come "caccia", per definire le operazioni d'indagine volte a individuare gli autori di un crimine, o "branco", per dire i responsabili di un'aggressione di gruppo, sono ormai entrati nel lessico giornalistico normale, perdendo la loro connotazione metaforica e presentandosi come neutri. Oltre a questo processo di neutralizzazione (...) di quel linguaggio forcaiolo che predilige le metafore naturalistiche, si va affermando una specie di gergo del senso comune razzista che si avvale di vocaboli fortemente connotati ideologicamente, anch'essi impiegati come se fossero neutri. Per tutti si puÚo' citare una parola-chiave della retorica dell'intolleranza: "buonismo" (e "buonista"), neologismo con il quale si e' soliti bollare le politiche inclusive ed egualitarie e i discorsi solidali e umanitari nei confronti dei migranti e delle minoranze. E' un neologismo che appartiene allo stesso genere di operazione che durante il fascismo risemantizzo' il termine "pietista", gettato in faccia come un'accusa a quegli italiani che, dopo l'approvazione delle leggi antiebraiche, cercarono di difendere, proteggere, aiutare i loro concittadini ebrei. Del resto, non ha una bella storia neppure il ricorso sempre piu' frequente all'eufemismo: per esempio "sicurezza", usato per minimizzare la portata di norme emergenziali, anticostituzionali o apertamente razziste quali i vari "pacchetti sicurezza", varati da governi di centrosinistra e di centrodestra. 5. UNA SOLA UMANITA'. ALESSANDRO BRAGA: A CONEGLIANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 aprile 2009 col titolo "Conegliano. Il medico dell'ospedale ha denunciato l'immigrata" e il sottotitolo "Si fa visitare in ospedale. Processata e espulsa"] Nella specialissima gara alla delazione da parte dei medici, che la norma contenuta nel pacchetto sicurezza attualmente all'esame del parlamento vorrebbe istituzionalizzare, non poteva certo mancare il Veneto. Nella fattispecie Treviso. Per essere ancora piu' precisi, Conegliano Veneto. La terra d'origine del sindaco sceriffo per antonomasia, Giancarlo Gentilini, mica poteva deludere il suo illustre compaesano... Allora, anche se un po' in ritardo rispetto ad altre parti d'Italia piu' celeri nel recepire le "belle novita'" legislative del governo, ecco apparire in classifica anche il Veneto, con il suo caso. Quello di una ragazza nigeriana che, arrivata al pronto soccorso per farsi curare, si e' vista recapitare una bella lettera di espulsione dal territorio italiano. La legge fortemente voluta dalla Lega Nord non e' ancora in vigore, ma le sue prime vittime le ha gia' fatte. Prima e' arrivata Napoli, con la vicenda di K., la giovane ivoriana denunciata mentre era all'ospedale Fatebenefratelli del capoluogo campano per partorire. Poi, la "doppietta" lombarda, Brescia e Pavia. Nella "Leonessa d'Italia" B., un ragazzo senegalese di 32 anni, ha aspettato quattro giorni prima di andare all'ospedale per un mal di denti che gli faceva patire le pene dell'inferno per paura di essere espulso. Quando si e' convinto a farsi curare, una zelante guardia giurata lo ha portato al commissariato. Si e' dovuto tenere il mal di denti e, in aggiunta, si e' beccato un foglio di via. Nella patria dei "bata lavar" (i tipici agnolotti in brodo dell'Oltrepo') C., ventunenne boliviano, irregolare, ha passato dieci giorni con dolori lancinanti all'addome prima che i suoi amici lo convincessero a farsi ricoverare in un ospedale della citta' lombarda. E' gia' stato operato cinque volte ed e' ancora in sala di rianimazione, gravissimo. Non si sa se sopravvivera'. Fosse andato subito a farsi curare, se la sarebbe cavata con un'operazione di routine e qualche giorno di degenza. A chiudere la lista degli episodi, almeno per ora, Conegliano Veneto. La ragazza, vent'anni, nigeriana, viveva un po' dove le capitava. Spesso nei pressi della stazione della cittadina veneta. Se era fortunata, la ospitava qualche amico. Qualche sera fa si e' sentita male mentre era a casa di connazionali e ha pensato che, se fosse andata all'ospedale, l'avrebbero curata. Del resto, per definizione un ospedale serve proprio a quello. Allora, intorno all'una di notte, si e' recata al pronto soccorso dell'ospedale Santa Maria dei Battuti di Conegliano. Visitata dal medico di turno, la ragazza e' stata tenuta sotto osservazione per un paio d'ore. Per tutto il tempo, alle pressanti richieste del personale ospedaliero, che voleva sapere le sue generalita', ha risposto picche. E allora lo zelante medico non ha trovato di meglio da fare che chiamare il 113, per avvisare gli agenti che nell'unita' operativa era stata presa in carico una "paziente ignota". Per giustificarsi, il dottore ha dichiarato che le generalita' servivano per "fugare il rischio di eventuali problemi sanitari", riscontrabili attraverso un controllo dei database in possesso dell'ospedale. Il primario del pronto soccorso dell'ospedale ha immediatamente preso le distanze dal collega: "Non ne sapevo nulla - ha detto - approfondiro' il caso. Ma se e' vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perche' 'clandestina', ha avuto un comportamento scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati". Trasportata al commissariato, la ragazza ha ceduto, e ha detto come si chiamava. Cosi' i poliziotti hanno scoperto che la giovane aveva gia' ricevuto un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento. Dopo essersi sottoposta all'esame delle impronte digitali, la fanciulla ha dovuto passare una notte al fresco. Il mattino successivo, il processo per direttissima. A nulla sono servite le spiegazioni, tra le lacrime, della giovane, che ha dichiarato davanti al giudice di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte. Al termine dell'udienza si e' ritrovata con in mano un nuovo foglio di espulsione. Dovra' lasciare il territorio italiano entro pochi giorni, senza accompagnamento. 6. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. IL DIZIONARIETTO DI GRACCO BABBEFFO. LIBRI Dice chi se ne intende che in Italia si pubblicano 180 libri al giorno. La quasi totalita' dei quali non e' altro che prova materiale del crimine della distruzione delle foreste. Scrivi di meno. Ascolta di piu'. 8. LIBRI. SILVIA CALAMANDREI PRESENTA "AU ZENITH" DI DUONG THU HUONG [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2009 col titolo "Un affresco controverso sulla recente storia vietnamita" e il sommario "Casi. Uscito in Francia Au zenith, di Duong Thu Huong] Nella disillusione seguita al crollo del socialismo reale nelle sue varie versioni, l'epopea vietnamita e' rimasta salda, nella sua versione "mitica" che vede un piccolo popolo in lotta contro il gigante imperialista americano. Ma a scuotere queste ultime certezze viene ora il nuovo romanzo di Duong Thu Huong, scrittrice pluripremiata ed esule dal 2006 in Francia, tradotta in Italia da Garzanti. Appena uscito per le edizioni Sabine Wespieser, Au Zenith presenta un gruppo dirigente comunista che fa prigioniero il suo stesso leader, "padre della patria", e - una volta preso il potere nel Nord Vietnam - si trasforma in un regime autoritario e corrotto, che si nutre della guerra come ragione della sua sopravvivenza. L'autrice dichiara nella prefazione che tutto cio' che scrive si fonda su storie vere, ma al tempo stesso mette in guardia ricordando che si tratta di un romanzo, non di un'autobiografia, ne' di un assemblaggio di varie biografie. C'e' pero' un personaggio di cui indica nome e cognome, alla cui storia si e' ispirata, ed e' l'ex direttore del museo Ho Chi Minh, Vu Ki, esemplare per dirittura morale; e' il modello per l'amico fedele del Presidente, che cerca di proteggerlo nella tragedia personale. Nel romanzo c'e' un Comitato centrale che, chiamato a votare sulla possibilita' del Presidente di sposare la sua giovane compagna, gliela nega quasi all'unanimita' (anche Giap non puo' sottrarsi e solo un membro si astiene), e una polizia segreta che poi uccide la donna, mentre i figli del Presidente vengono affidati a famiglie amiche per essere allevati nell'anonimato: sposo della patria, il Presidente deve mantenere la sua immagine ascetica per galvanizzare il paese. E c'e' un Presidente tenuto in custodia sulle montagne, mentre ferve la guerra contro gli americani, che osserva la vita del villaggio piu' prossimo e della sua gente minuta e si intrattiene con le guardie del corpo e le monache del vicino tempio buddista. Il suo grande vicino del Nord, il presidente Mao, lo visita in sogno o nel dormiveglia, irridendolo e rimproverandogli di non riuscire ad essere un imperatore spietato come lui, e di non avere saputo eliminare gli avversari, che ora lo tengono in pugno. Sensibile e gentile, il Presidente ricorda i suoi anni di formazione in Francia e le peregrinazioni nel mondo inquadrato nell'Internazionale comunista, fino all'epopea eroica della guerra antifrancese dei Vietminh, in cui i combattenti erano ancora uniti dalle medesime speranze di riscatto. E' la vittoria a Dien Bienphu a vanificare paradossalmente il sogno di liberazione, instaurando un regime burocratico-militare corrotto che diviene una pedina nello scacchiere delle grandi potenze e nello scontro tra i blocchi. Il romanzo fiume - quasi ottocento pagine - si articola in quattro parti, alternando alle vicende del Presidente esule in patria quelle del suo amico piu' devoto, che ne ha adottato uno dei figli e resta nella cerchia del potere osservandola criticamente, quelle del villaggio di montagna vicino alla prigione del Presidente, e quelle del fratello della giovane promessa sposa assassinata, che sogna di vendicarsi. Nella narrazione si avvicendano cosi' l'eroe sconfitto, l'intellettuale critico, l'oppositore in cerca di giustizia e il popolo minuto, in un affresco della storia del paese che comprende lunghe descrizioni di paesaggi e di atmosfere e assume talvolta i toni del feuilleton, sconfinando nel grottesco dei dialoghi immaginari con Mao. Quanto c'e' di verosimile? Duong Thu Huong sembra sapere di cosa parla. Nata nel '47 nel Vietnam del Nord, la scrittrice ha avuto esperienza diretta della guerra di resistenza antiamericana come membro di una troupe che si esibiva al fronte per i soldati. Al termine del conflitto e dopo la riunificazione del paese, Duong Thu Huong si e' iscritta al Partito comunista e ha cominciato a scrivere, ma per le sue dure prese di posizione nei confronti del governo, nel 1989 e' stata espulsa dal partito e le e' stato negato il diritto di recarsi all'estero. E nonostante il suo primo romanzo (Storia d'amore raccontata prima dell'alba) l'avesse gia' fatta conoscere in patria e all'estero, nel '91 ha passato otto mesi in carcere e le e' stato ritirato il passaporto. Da allora la scrittrice non ha piu' potuto pubblicare in Vietnam, ma i suoi manoscritti, editi all'estero, sono tornati a circolare clandestinamente anche all'interno del paese. In Italia, dove nel 2005 ha ricevuto il premio Grinzane, sono stati tradotti per Garzanti Oltre ogni illusione, Dalla terra di nessuno e La valle dei sette innocenti. Dal 2006 Duong Thu Huong vive a Parigi, dove a gennaio e' stato pubblicato questo nuovo romanzo, che ha l'ambizione di offrire un affresco della storia contemporanea del Vietnam articolato su una pluralita' di punti di vista. E sebbene Au Zenith non abbia certo le qualita' di altri affreschi letterari che mettono in scena protagonisti storici e personaggi di fantasia (non ci si aspetti, insomma, un Vita e destino vietnamita) ne' la forza documentaria di una ricostruzione d'epoca, il romanzo ha il pregio di sollevare alcuni interrogativi sulle vicende di un paese che emerge ora all'attenzione degli osservatori occidentali per la sua "modernizzazione" soft. 9. LIBRI. MARCO DOTTI PRESENTA "ECOLALIE" DI DANIEL HELLER-ROAZEN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2008, col titolo "Una amnesia per dare rifugio a cio' che e' indimenticabile" e il sommario "Forse qualcosa del balbettio neonatale rimane anche nel linguaggio dell'adulto? Se cosi' fosse non potrebbe che presentarsi nella forma dell'eco: di una altra lingua o di qualcosa di diverso dal linguaggio. Questa la tesi di Daniel Heller-Roazen nel suo Ecolalie, per Quodlibet"] In un certo senso, i bambini non perdono mai i suoni di cui dimenticano l'articolazione. E questo nonostante smarriscano, nel corso del processo di apprendimento che dall'inarticolato e dall'indistinto li conduce verso la lingua specifica che sara' poi la loro lingua madre, tutte quelle capacita' fonatorie che neppure il piu' dotato e abile fra i poliglotti adulti potrebbe immaginarsi di emulare. Sulla questione aperta dalla cosiddetta "lallazione infantile", Roman Jakobson ha scritto pagine fondamentali, in particolare nel suo lavoro - redatto tra il 1939 e il '41, durante gli anni d'esilio in Svezia e Novergia - dedicato al Linguaggio infantile, afasia e leggi generali della struttura fonetica. Per lo studioso russo, un bambino puo' facilmente accumulare un gran numero di articolazioni che non e' possibile ritrovare in nessuna lingua particolare o addirittura in nessun gruppo di lingue. Che si tratti di vocali complesse, di consonanti arrotondate o sibilanti, di dittonghi o di quant'altro, una volta giunto a quello che Jakobson propone di chiamare "apice del balbettio", al bambino non si puo' porre alcun limite. Le capacita' fonatorie di questo borbottio sono incomparabili e su un terreno del genere gli infanti appaio capaci di tutto. Senza il minimo sforzo, possono produrre un suono qualsiasi di una qualsiasi lingua del consesso umano. Ma l'apprendimento di una lingua particolare che, a prima vista, potrebbe sembrare facile e immediato, a uno sguardo piu' attento si rivela uno scoglio arduo da superare. Soprattutto per le rinunce a cui il bambino sara' costretto: "Come tutti gli osservatori riconoscono con grande sorpresa", osservava ancora Jakobson, "nel passaggio dallo stadio prelinguistico all'acquisizione delle prime parole, cioe' al primo stadio propriamente linguistico, il bambino perde interamente la sua capacita' di produrre suoni". A commento delle considerazioni di Jakobson, proprio in apertura del suo Ecolalie. Saggio sull'oblio del linguaggio (pp. 258, euro 24), recentemente tradotto da Andrea Cavazzini per Quodlibet, il comparatista Daniel Heller-Roazen nota come tra il balbettio dell'infante e le prime parole di un bambino non vi sia pero' un "passaggio evidente" quanto, almeno in apparenza, la prova di una cesura e una "interruzione decisiva". Eppure e' proprio la constatazione quasi definitiva di tale "interruzione" ad aprire, anziche' restringere il campo a una serie di questioni e problemi di non poco conto. Questioni e problemi attorno ai quali Heller-Roazen struttura i ventotto capitoletti di un libro che, grazie a spunti linguistici e storico-culturali spesso imprevedibili e a una scrittura raffinata e non gergale, spazia con abilita' ma senza superficiale eclettismo e soprattutto senza annoiare, da Ovidio a Canetti, dalla teologia islamica alla mistica ebraica, dalla psicoanalisi alla fonologia, raccogliendosi attorno al problema, e al paradosso, di una amnesia che puo' non solo "custodire l'indimenticabile", ma rappresentarne il rifugio piu' sicuro, esattamente come avviene per gli attacchi epilettici responsabili dei vuoti di memoria dell'Idiota. Come e' possibile, si chiede Daniel Heller-Roazen, che il bambino resti a tal punto affascinato dalla realta' di una sola ed esclusiva lingua madre da abbandonare l'illimitato "regno che contiene le possibilita' di tutte le altre"? Due fatti sembrano a prima vista sorgere nella "voce svuotata di suoni" che il bambino non sa piu' emettere: in parallelo alla scomparsa dell'infinita congerie di suoni che l'infante riusciva a produrre "all'apice del balbettio", infatti, emergono sia una lingua, sia un essere parlante. Forse, si chiede ancora l'autore, la perdita di quell'illimitato armamentario fonetico e' il pegno che il bambino deve pagare "per ottenere i documenti che gli garantiscono piena cittadinanza nella comunita' di una singola lingua". O forse - e questa e' la tesi forte del libro - qualcosa di quel balbettio sottotraccia permane anche nei linguaggi dell'adulto? Se cosi' fosse, questo frammento, questa permanenza non potrebbe che presentarsi nella forma dell'eco, l'eco di un'altra lingua, o di qualcosa di "altro" dal linguaggio: una "ecoloalia", appunto. Ecolalia che Daniel Heller-Roazen non tarda a definire come "custode della memoria di quel balbettio indistinto e immemoriale che, perdendosi, ha permesso a tutte le lingue di esistere". Nel terzo capitolo del libro, Heller-Roazen fa appello al Compendium grammatices linguae hebraeae di Baruch Spinoza per evidenziare l'assoluta e, anche in questo caso, paradossale impronunciabilita' della lettera "aleph", che dell'ecolalia cosi' come e' intesa nel libro sembra la pietra angolare. La lettera non puo' essere pronunciata non per la sua complessita' bensi' perche' troppo semplice e nessun uomo riuscirebbe ad articolarla, non rappresentando in se' alcun suono. Per Spinoza, il carattere fonetico dell'"aleph" non poteva essere "spiegato da nessuna altra lingua europea" e, in qualche modo, si limiterebbe a ricordare "l'inizio del suono nella gola, udibile quando essa si chiude". Eppure, proprio la delucidazione offerta da Spinoza potrebbe nascondere una certa verita' sulla natura della lettera che, osserva Heller-Roazen, e' forse molto piu' modesta di quanto i grammatici non siano disposti a credere. Se, da un lato, questo e' un caso di impronunciabilita' per difetto, molto diverso quindi dall'eccesso di difficolta' che rappresentano la dentale enfatica dell'arabo classico o la sibiliante liquida del ceco (che lo stesso Jakobson confessava di non riuscire sempre a pronunciare), dall'altro e' come se il suono stesso di "aleph" fosse stato dimenticato dal popolo stesso che in origine la emetteva. Al di la' delle dispute e delle ricostruzioni filologiche sulla sua probabilissima derivazione dall'arabo "hamza", l'autore ricorda il fatto che tra le numerose pronunce odierne dell'ebraico, nessuna assegna un suono specifico alla lettera, ma tutte la considerano "alla stregua del supporto silenzioso delle vocali che essa regge". Essa si trova, cosi', privata anche del "non-suono, dell'interruzione nell'articolazione" che si ritiene esprimesse in un passato mai ben definito. Ma non e' un caso che, a dispetto della sua assoluta e radicale poverta' fonetica, questa lettera goda di un posto di privilegio nella tradizione ebraica e i grammatici la considerino la prima, fra le lettere dell'alfabeto, o il piu' antico fra tutti i segni. Antico a tal punto che, in alcune letture, essa viene indicata come precedente a tutto, persino alla Torah. Quasi il silenzio fosse "non solo il segno, ma anche il motivo della sua distinzione", quasi Dio avesse inteso manifestarsi agli uomini in una singola lettera di cui nessuno poteva ricordare il suono, una lettera da sempre dimenticata. Forse per questo, alla fine Heller-Roazen suggerisce che all'"aleph" competa la dimensione del "luogo vuoto", della lettera muta capace di custodire "l'oblio che inaugura ogni alfabeto". L'eco, in altri termini, della memoria cancellata di quella babele infantile che nell'attimo in cui scompare, rende possibile la presa di parola. 10. LIBRI. EMILIO FRANZINA PRESENTA "LAVORO IN MOVIMENTO" DI MICHELE COLUCCI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2008 col titolo "Migranti italiani nel dopoguerra" e il sommario "Le politiche migratorie fra il '45 e il '57 sono il tema del saggio di Michele Colucci Lavoro in movimento, per Donzelli. Una indagine documentata e avvincente su uno dei fenomeni fondanti della nostra societa'"] Passata a lungo sotto silenzio anche da parte degli studi specialistici su migrazioni e migranti, la ripresa a tratti tumultuosa, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, degli espatri dall'Italia per motivi economici e di lavoro costituisce un capitolo affascinante e sin qui poco conosciuto della nostra storia politica e sociale. Mentre imperversano i dibattiti innescati dall'ansia securitaria che sembra pervadere l'opinione pubblica di fronte all'arrivo di stranieri e d'immigranti percepiti tutti, in maniera sommaria e sbagliata, come soggetti a rischio o, nella migliore delle ipotesi, come pericolosi clandestini, e' andato pressoche' perduto il ricordo dei caratteri assunti, subito dopo l'ultima guerra, dalle massicce partenze, spontanee o pilotate, degli italiani per l'estero. In particolare, si direbbe, per quelle parti del vecchio continente in cui l'opera di ricostruzione postbellica scelse di avvalersi di lavoratori provenienti da quasi ogni regione della penisola spesso varcando in modo palesemente "illegale" i confini nazionali. Se infatti le peripezie dei nostri emigranti della seconda meta' del '900 si associano nella memoria collettiva alla disoccupazione dilagante sino alle soglie del boom e - complici sciagure sul genere di Marcinelle o i grandi numeri di alcuni esodi di massa - a destinazioni particolari come il Belgio carbonifero e presto maggioritarie come, dalla fine degli anni '50, la Germania federale (e industriale) di Bonn, una sorta di rimozione avvolge le vicende di quella manodopera a basso costo che ebbe inizialmente per meta la Francia e la Svizzera, ma persino la Cecoslovacchia e la stessa Gran Bretagna. Gia' buon conoscitore delle esperienze fatte proprio nel Regno Unito dalle avanguardie di questi flussi che avrebbero finito, soprattutto altrove, per assumere proporzioni gigantesche, ne da' conto oggi Michele Colucci con un'indagine esaustiva ed esemplare che prende in esame l'emigrazione italiana in Europa dal 1945 al 1957, Lavoro in movimento (Donzelli, pp. 257, euro 23,50). L'autore appartiene alla schiera di giovani e bravi ricercatori cui il nostro sistema universitario, sempre piu' impoverito, stenta a fare spazio, incoraggiando per necessita' i loro progetti all'espatrio verso lidi scientifici lontani. C'e', insomma, dell'ironia in questa vicenda che nondimeno ruota attorno a un argomento di grande rilevanza. Benche' l'oggetto principale del libro rimangano le politiche migratorie dell'Italia repubblicana e quelle di richiamo e di "accoglienza" degli Stati coinvolti nell'immane tourbillon (nel senso stretto di gabbia rotante) di partenze e di arrivi, Colucci fornisce - sulla scia delle analisi di Romero, di Pugliese e piu' recentemente di Rinauro, ma molto approfondendo - una ricostruzione convincente e avvincente degli avvenimenti. Essa e' insieme un affresco delle storie di migliaia di uomini e di donne espatriati in cerca di miglior fortuna, e una acuta riflessione sulle dinamiche delle migrazioni internazionali in eta' contemporanea. Le scelte compiute dai primi e quelle fatte dalle forze politiche e di governo aiutano a comprendere meglio gli sviluppi successivi e persino alcune configurazioni attuali di un fenomeno troppo tardi riconosciuto come fondante dei destini (non solo economici) del mondo occidentale. Il volgere all'apparenza breve dei dodici anni in cui si racchiude la materia del racconto non deve trarre in inganno perche' dopo la stasi determinata non tanto dalla guerra quanto dalla prolungata chiusura degli sbocchi emigratori dopo la crisi del '29, essi rappresentano statu nascenti la cornice esatta di una molto relativa "restaurazione liberista" postbellica dei mercati: qui, ovviamente, di un mercato del lavoro in cui tuttavia la persistenza delle pratiche stataliste gia' proprie del tardo fascismo interagirono costantemente, a conti fatti, con le spinte provenienti dal basso ossia dalle autonome decisioni prese dai migranti in ambito familiare e locale. Che la "restaurazione liberista" avvenisse, come suggeriva molti anni fa Ester Fano Damascelli, dentro un quadro ideologico condizionato dall'antifascismo e dalle avvisaglie della guerra fredda dipendeva anche dal fatto che tutte le aperture liberoscambiste della nostra politica governativa, al pari di quelle degli altri paesi del vecchio continente, puntavano si' all'inserzione dell'Italia in spazi mercantili piu' ampi e alla sua partecipazione al processo appena avviato dell'integrazione europea, ma anche al mantenimento (o alla sagace manutenzione), come ha ben spiegato Rolf Petri, di un notevole controllo statale sull'economia e di conseguenza sull'andamento dei flussi rimasti a lungo, per il nostro paese, la moneta di scambio privilegiata onde agevolarne l'ingresso nella nuova area geopolitica occidentale in fieri dopo la guerra ed auspicata, all'epoca, dagli stessi Stati Uniti. Facendo ricorso a un imponente lavoro di scavo archivistico e a una invidiabile padronanza sia della produzione pubblicistica e giornalistica del tempo sia della letteratura storiografica esistente, Colucci propone gia' in apertura del suo lavoro l'interessante profilo interpretativo entro cui calare ogni riflessione riguardante un tale insieme di circostanze. Alla descrizione del ruolo ricoperto fra ricostruzione e miracolo economico dall'emigrazione europea degli italiani definita (e obiettivamente risultata) di tipo temporaneo, l'autore fa seguire una attenta rassegna dei dibattiti che dal periodo finale del conflitto e dai lavori della Costituente cercarono di prendere le misure d'una realta' sul serio "in movimento". Con una facile battuta ispirata al titolo del libro si potrebbe anzi dire che Colucci ci parla cosi' di un lavoro che, dopo la Liberazione, rapidamente mobilita l'uomo, ma sempre in mezzo a grovigli di esperienze pagate a caro prezzo e a coacervi stratificati di provvedimenti normativi di cui diventano emblema, in Italia, gli apparati pubblici di direzione e di controllo (Uffici del Lavoro e della "massima occupazione", centri d'emigrazione e di smistamento o d'inoltro, burocrazia diplomatica e dei passaporti). Ad essi fanno riscontro, in relativa discontinuita' rispetto al passato (si pensi solo all'emigrazione nella Francia dell'entre-deux-guerres), le stagioni degli accordi bilaterali dove peraltro all'Italia tocco' sempre il posto del convitato piu' debole: a riprova del fatto che la stessa condizione di "ospiti" piu' e meno provvisori, socialmente penalizzati, quando non discriminati e maltrattati, consegue senz'altro da paure incontrollate dei "nativi" gia' ben note alla storia degli italiani all'estero, ma in grande misura dipende anche dal modo in cui se ne piloto' la scomoda inserzione nei contesti lavorativi e sociali di arrivo. Qui la xenofobia e l'intolleranza, all'insegna di una non infrequente razzializzazione e di un'altrettanto diffusa criminalizzazione, aumentarono a dismisura il prezzo di un sacrificio di cui alla fine in Italia, si avvantaggiarono soprattutto i rimasti e, nel suo insieme, l'organismo economico nazionale. Rivista col senno di poi e con lo sguardo che in un libro di 250 pagine puo' essere dedicato solo ad alcune delle infinite vicissitudini private delle persone in carne ed ossa, la situazione affrontata da Colucci dovrebbe quindi venir buona per capir meglio il presente in cui, a parti rovesciate, ci troviamo a vivere (anche se di questi tempi fra Bossi e Fini e Maroni c'e' molto da dubitarne); in ogni caso conferma l'idea che quella decina d'anni dei quali egli ci regala, per l'emigrazione in Europa, una lettura partecipe e documentata costituiscono, come ennesimo laboratorio del dopoguerra, un punto d'osservazione meritevole d'essere da tutti ripensato. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 792 del 16 aprile 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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