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Voci e volti della nonviolenza. 323
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 323
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 14 Apr 2009 10:36:25 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 323 del 14 aprile 2009 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Urgenze 2. Il 24 aprile a Roma 3. Stefano Catucci presenta alcuni recenti saggi su Michel Foucault 4. Ermanno Paccagnini presenta "La mostra" di Claudio Magris 5. Mario Porro presenta le "Memorie" di Hans Jonas 6. Massimiliano Tomba presenta "The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital" di Massimo De Angelis 7. Benedetto Vecchi presenta alcuni scritti di Andre' Gorz 8. Letture: Anne Applebaum, Gulag 9. Letture: Giorgio Colli, Filosofi sovrumani 10. Riedizioni: Soeren Kierkegaard, Briciole di filosofia. Timore e tremore 11. Riedizioni: Denis Mack Smith, Le guerre del duce 12. Riedizioni: Charles Sanders Peirce, Scritti scelti 13. Riedizioni: David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta 14. Riedizioni: Arthur Schopenhauer, Il mondo come volonta' e rappresentazione 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: URGENZE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Rose (nome di fantasia) non va piu' a scuola. "Gli insegnanti mi picchierebbero, e gli altri bambini riderebbero di me. Tutti sanno cos'e' successo". Rose, che vive a Nairobi in Kenya, ha dieci anni e due mesi fa e' stata stuprata. In mano tiene la siringa con cui si pratica un'iniezione ogni giorno, per ridurre il rischio rispetto al virus Hiv. La terapia andra' avanti quattro mesi. La cicatrice sul suo cuore fara' male per sempre. Lo stupratore, che ha violato altre tre bambine assieme a Rose, ha addotto come giustificazione "l'urgenza di fare sesso". * Fra le 600.000 e le 800.000 minorenni vengono trafficate a scopo di prostituzione ogni anno; nell'Europa occidentale la domanda e' alta, spiegano le ong come "Save the children", e in questo momento l'est europeo sta rispondendo alla domanda: nelle zone rurali dell'Albania, solo per fare un esempio, circa il 90% delle bambine non va piu' a scuola per timore dei rapimenti. Una di loro, l'anno scorso, era finita prigioniera in un sedicente hotel londinese; la sua giornata lavorativa come prostituta era di 16 ore: "Un giorno ho avuto 26 clienti", ha raccontato alla stampa, "Dopo di loro erano i magnaccia a violentarmi. Poi mi legavano al letto ed usavano il mio corpo nudo per spargerci cocaina e sniffarla". Questa creatura aveva 13 anni quando viveva in tali condizioni. Immagino che per i suoi stupratori, quelli a pagamento e quelli no, "l'urgenza di fare sesso" fosse improcrastinabile. * Le storie dell'orrore familiare scoperte negli ultimi mesi in Italia (bambine violentate in modo continuativo, da due anni a dodici anni di fila) avranno probabilmente la stessa motivazione. Zii, cugini, padri, fratelli, nonni, erano preda di questa terribile urgenza. Nella mia casella di posta, intanto, e non so perche', sono arrivati gli auguri pasquali di una donna politica italiana: corredati da una sua foto sorridente, mi ricordano che "il Padre e' sempre con noi". Spero che non sia niente di urgente. 2. INCONTRI. IL 24 APRILE A ROMA [Dalla direzione dei "Quaderni Satyagraha" (per contatti: centro at gandhiedizioni.com) riceviamo e diffondiamo] Venerdi' 24 aprile, alle ore 17, nella Sala della pace "Giorgio La Pira" della Provincia di Roma, in via IV novembre 119/a (nei pressi di Piazza Venezia), si terra' una presentazione del libro di Ekkehart Krippendorff, Lo stato e la guerra, Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2008. Insieme all'autore e al traduttore Francesco Pistolato interverrano Salvatore Senese e Cesare Frassineti. Per informazioni e contatti con la casa editrice: va Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, tel. 050542573, e-mail: centro at gandhiedizioni.com 3. LIBRI. STEFANO CATUCCI PRESENTA ALCUNI RECENTI SAGGI SU MICHEL FOUCAULT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 novembre 2008 col titolo "Foucault. Tra il se' e il noi. Come lasciarlo alla sua irrequietezza" e il sommario "Un sentiero di lettura per aggiornarci sul filosofo francese. Dai saggi curati da Mario Galzigna in Foucault, oggi per Feltrinelli, alla monografia di Paul Veyne, Foucault. Sa pensee, sa personne, uscito da Albin Michel, al libro sul Pensiero politico di Foucault di Vincenzo Sorrentino per Meltemi"] Nella sempre piu' ampia quantita' di studi dedicati a Michel Foucault alcune immagini e alcune citazioni ricorrono e mostrano l'urgenza di un problema: come leggere i suoi scritti e come usare le sue indicazioni di ricerca senza annettere un pensiero cosi' irrequieto agli imperturbabili classici d'accademia? Per un verso si tratta di un destino inevitabile giacche' ogni esperienza filosofica, a mano a mano che si storicizza, tende a fissarsi nei testi che la esprimono e diviene percio' oggetto di analisi letterali, se non proprio di una pratica filologica. Ma per un altro verso e' un paradosso, dato che Foucault ha contestato con forza, e costantemente, il predominio della "cultura del commento" e denunciato la piccola pedagogia spicciola nascosta nell'idea che una filosofia sia interamente compresa nei suoi testi. Quella della "cassetta degli attrezzi" e' l'immagine che Foucault metteva a disposizione per chi volesse incamminarsi sulle piste di ricerca da lui avviate, una immagine che viene spesso utilizzata per sottolineare la priorita' dell'uso di un pensiero rispetto alla fedelta' di un'interpretazione. E vi andrebbe aggiunta una citazione, quella secondo cui "il solo segno di riconoscimento che si possa testimoniare a un pensiero consiste nell'utilizzarlo, nel deformarlo, nel farlo stridere e gridare" senza accordare alcun tipo di interesse al criterio della "fedelta'" a un dettato: viene impiegata per rafforzare l'idea che la sua opera sia refrattaria a quei processi di acquisizione i quali, trasformandola in un classico, la normalizzano privandola del suo carattere piu' esplosivo, del suo essere un esempio di pratica critica e non un corpo di dottrine da applicare. * Un pensiero enigmatico E' significativo che quell'immagine e quella citazione compaiano in diversi contributi del volume Foucault, oggi, curato da Mario Galzigna (Feltrinelli, 2008, pp. 308, euro 20). Pur nella discontinuita' tipica dei libri collettanei, tanto piu' forte se - come in questo caso - nascono come raccolta degli atti di un convegno, gli interventi ruotano essenzialmente intorno all'interrogativo posto da Alessandro Fontana nel saggio di apertura: come leggere Foucault oggi. Fontana appartiene alla generazione degli allievi diretti di Foucault ed e' tra coloro che portano il maggior merito dell'impresa che ha condotto alla pubblicazione delle sbobinature dei corsi tenuti al College de France. La sua, tuttavia, non e' una voce che riporta all'insegnamento vivo di Foucault giudicando quanto vi si sia rimasti "fedeli". Offre piuttosto indicazioni di metodo che vengono incontro anche alla frequente delusione di chi, confidando fin troppo nell'immagine della "cassetta degli attrezzi", cerca di applicare al presente le intuizioni di Foucault nella speranza di trovarvi indicazioni concrete sulle pratiche di resistenza e di militanza, dunque su una prassi politica che, essendo tutta da reinventare, troverebbe nei suoi scritti un suo primo, foss'anche provvisorio abbecedario. Foucault pero', osserva Fontana, non ha "prodotto 'saperi'", non ha elaborato concetti universali, "categorie astratte e forme trascendenti o trascendentali" da applicare. Il suo, semmai, e' un pensiero "enigmatico" e "ambiguo", che non si lascia ricondurre a precetti generali ma obbedisce a una forza dispersiva irriducibile a un catalogo ordinato di strumenti. La via da lui indicata e' quella della sfida critica nei confronti dei saperi consolidati. Lasciate perdere percio', consiglia Fontana, "esegesi e commenti", e "fate funzionare le macchine analitiche nel reale" senza trasformare l'esempio delle sue ricerche in un corpus di dottrine. Solo cosi', avverte ancora, si puo' intendere la relazione viva che intercorre tra i libri di Foucault, i suoi corsi, le interviste e gli interventi sparsi che Deleuze definiva "linee di attualizzazione" della sua filosofia. La tentazione ermeneutica che mira a intendere anche la lezione orale di Foucault come un testo scritto, insomma, dovrebbe essere rovesciata fino a leggere anche nei suoi libri non la fissazione di un programma, ma una prestazione critica in atto. Le parole di Fontana spingono lo sguardo sul ruolo che Foucault assegnava alla storia come cardine del suo progetto di filosofia critica. E' questo, sia pure in una modulazione differente, cio' che preoccupa anche Paul Veyne nel libro Foucault. Sa pensee, sa personne, pubblicato di recente in Francia dall'editore Albin Michel (pp. 216, euro 16). Veyne, che di Foucault e' stato collega al College de France, amico e "consulente" per i problemi riguardanti la storia antica al centro degli ultimi scritti foucaultiani - ma idee e analisi, scrive, erano come l'arco di Ulisse "che lui solo aveva la forza di tendere", mentre "il mio ruolo" si riduceva "a confermare le sue informazioni e a dargli conforto" -, vede appunto nella forza esplicativa attribuita al gioco delle singolarita' storiche e nel rifiuto di sottometterle a principi generali la novita' rivoluzionaria del pensiero di Foucault. Tramite l'ancoraggio ai temi concreti della ricerca egli metteva in questione i presupposti piu' radicati della metodologia storica, in primo luogo il totem della relazione causa-effetto, e contemporaneamente strappava ai filosofi la maschera di protezione formata dal ricorso a categorie universali. La storia si presentava cosi', agli occhi di Foucault, come un crogiuolo di differenze e la filosofia come un'esperienza del dettaglio il cui empirismo radicale, sostiene Veyne, sfiora lo scetticismo senza pero' scivolare nel nichilismo. A trattenerlo su questa soglia e' la constatazione dell'esistenza della liberta': liberta' di avere convinzioni, speranze, indignazioni, liberta' di ribellarsi. Neppure l'esercizio della liberta', pero', doveva essere ricondotto a principi generali: "non utilizzate il pensiero per dare valore di verita' a una pratica politica", aveva scritto nel 1977. Compito di uno "storico foucaultiano", oggi, e' dunque per Veyne riconoscere il peso delle singolarita' al di sotto dei tessuti unitari che continuiamo a stendere su di esse, rintracciare discontinuita' e differenze laddove tendiamo a vedere continuita' e somiglianze. Il Foucault raccontato da Veyne e' dunque un "antropologo empirico" piu' vicino a Montaigne e a Nietzsche che a Heidegger, un "antropologo" per il quale ogni storia realmente critica, e ogni filosofia ancorata sulla storia, dovra' infine essere una "storia della verita'", ovvero dei modi in cui ogni epoca ha prodotto i propri parametri di verita' senza cessare di variarli: "ontologicamente parlando", conclude Veyne, "non esistono che variazioni", mentre la dimensione metastorica "non e' che un nome privo di senso". Sarebbe difficile ad ogni modo, e non solo per uno spirito sofistico, negare che le indicazioni di Foucault sul modo di intendere una filosofia, usandola piu' che interpretandola, o sulla maniera di fare storia, indagando le singolarita' e le variazioni piuttosto che le continuita', non siano filosofemi di carattere generale e non sottintendano in alcun modo una dottrina. Certo, come ha riconosciuto Daniel Defert, Foucault ha esplicitato raramente i grandi temi della sua filosofia, lasciando di fatto ai suoi commentatori quello che Veyne definisce un "temibile compito". Fra la prosecuzione delle sue ricerche sul terreno concreto delle analisi storiche e l'interpretazione dei suoi scritti non c'e', allora, solo quella profonda distanza che appariva a prima vista, ma anche un rapporto di complementarita'. E che le interviste, le conferenze e le lezioni di Foucault vengano trattate, oggi, a tutti gli effetti come "testi" dipende in gran parte proprio dal fatto che in esse egli ha evocato i principi della sua filosofia piu' spesso, e piu' esplicitamente, di quanto non abbia fatto nei libri pubblicati. Un esempio del rapporto complementare fra uso e interpretazione del dettato foucaltiano viene da quei contributi che, nel volume Foucault, oggi, prendono in considerazione il tema della biopolitica, l'attrezzo senza dubbio piu' diffuso, riprodotto e imitato fra quelli che riempiono la famosa cassetta. Dai saggi di Roberto Esposito, Ottavio Marzocca e Judith Revel emerge come una corretta ricostruzione del pensiero di Foucault serva non tanto a definire un gradiente di fedelta' letterale, quanto piuttosto a delineare un orientamento politico. Particolarmente chiare, in questo senso, le puntualizzazioni di Revel: la dimensione biopolitica non funziona per Foucault come una chiave universale per comprendere l'attualita' e non indica neppure uno strato di roccia comune a tutti, la vita biologica della specie, sul quale edificare il proprio se', la propria singolarita'. Cio' che e' comune, semmai, dev'essere costruito per Foucault a partire dalla proliferazione delle differenze che si oppongono al riduzionismo biologista: e' la costruzione di una pluralita' di "modi di vita", intesi come nuclei di resistenza alle forme di assoggettamento dei dispositivi biopolitici, a rappresentare per Foucault la posta in gioco politica di quella che, soprattutto negli ultimi scritti, egli ha insistentemente definito un'"etica". Questa non lascia intravedere il movimento di un ritiro verso la cerchia delle relazioni private, come pure viene spesso sostenuto, ma la produzione di uno spazio comune a partire da un soggetto non invischiato nelle definizioni identitarie, bensi' concepito come "forza creatrice". * Un interrogativo sulla democrazia La dimensione del "noi", scriveva Foucault, non e' qualcosa che ci sia stato assegnato preliminarmente, per natura, ma un obiettivo da problematizzare di continuo per renderne possibile la "futura costruzione". E la biopolitica non e' il margine entro cui sono confinate le nostre pratiche politiche, ma il limite che occorre oltrepassare per assumere, nei confronti del potere, un atteggiamento "affermativo" e non solo "difensivo". Il rapporto fra la costruzione del "se'" e del "noi", fra la costituzione autonoma della propria soggettivita' e la relazione con l'altro, e' al centro anche del volume che Vincenzo Sorrentino ha intitolato Il pensiero politico di Foucault (Meltemi, pp. 309, euro 25) e che ricostruisce un intero percorso filosofico a partire dai suoi esiti finali. Un lavoro di interpretazione, quello di Sorrentino, ma guidato da una interrogazione sulla democrazia che negli scritti di Foucault assegna esemplarita' etica anche a figure antiche, come quella greca della parresia: il "parlar franco" del filosofo di fronte al potere, il coraggio della verita' che a rischio della vita afferma il diritto della critica come principio di una pratica di liberta'. Di qui, secondo Sorrentino, e' possibile delineare la visione che l'ultimo Foucault profila dell'individualita', assai diversa da quella atomistica della cultura dominante, e sciogliere dalle ambiguita' per quanto possibile la sua filosofia politica, aprendola a usi e prosecuzioni non impugnabili a piacere da ogni parte. * Postilla. Scritti sull'arte. Oggetti di uno sguardo non estetico bensi' strategico Gli scritti di Foucault dedicati alla letteratura, quasi tutti degli anni Sessanta, godono oggi di minore attenzione rispetto al resto della sua opera. Un libro di Miriam Iacomini appena uscito per Quodlibet, Le parole e le immagini (pp. 286, euro 24), li riconduce in primo piano mettendoli in parallelo con le pagine di Foucault sulla pittura: su Bosch, Goya e Van Gogh in Storia della follia, su Velazquez in Le parole e le cose, su Manet in una conferenza pronunciata a Tunisi e su Magritte nel saggio Questa non e' una pipa. L'arte, in Foucault, e' oggetto non di uno sguardo estetico, ma strategico. L'immagine pittorica in particolare, scrive Iacomini, si rivela per lui capace di far emergere alla visibilita' le coordinate ontologiche di un'epoca. Per forza esplicativa puo' essere ricondotta a quel "rapporto sagittale con la propria attualita'" che Foucault riferiva a Kant, alla novita' di un testo - "Che cos'e' Illuminismo?" - nel quale in gioco era appunto una domanda su "cio' che sta succedendo adesso". Non solo la pittura, ma anche le immagini su cui Foucault lavora per mettere in risalto la discontinuita' dei processi storici - la cura settecentesca per l'isteria all'inizio di Nascita della clinica, il supplizio di Damiens con cui si apre Sorvegliare e punire - hanno quell'evidenza "sagittale" che mostra gli strati archeologici su cui e' edificato il nostro presente. L'analisi del "calligramma" di Magritte e' utilizzata da Iacomini come passaggio per giungere dalla pittura agli scritti di Foucault sulla letteratura, visti come un impulso che alimenta, e in parte orienta, la sua metodologia di lavoro. La relazione fra gli studi letterari e la fase estrema della filosofia di Foucault e' stata gia' piu' volte sottolineata, ma Iacomini ne effettua una ricognizione ad ampio raggio facendone risaltare l'irruzione anche in pagine trascurate dei suoi testi maggiori. La funzione di sostegno che garantivano all'elaborazione teorica impedisce forse ai suoi studi su pittura e letteratura di aprire linee di ricerca oggi ulteriormente percorribili. Ma proprio perche' compongono l'idioma di Foucault mostrano di essere indizi molto fecondi per una genealogia del suo pensiero. 4. LIBRI. ERMANNO PACCAGNINI PRESENTA "LA MOSTRA" DI CLAUDIO MAGRIS [Dal mensile "Letture", n. 579, agosto-settembre 2001, col titolo "Magris, il pittore, il canto della sposa"] Claudio Magris, La mostra, Garzanti, 2001, pp. 80, lire 14.000. * Interrogarsi per interposto "viandante dell'anima". E' quanto ha fatto Magris in questo testo, ricorrendo alla cangiante eppur unitaria forma di racconto e struttura teatrale da libretto d'opera, teso a rievocare la figura del pittore Vito Timmel (1886-1949), morto nel manicomio di San Giovanni a Trieste, in un gioco di visivi piani spaziali attraverso incroci di brandelli discorsivi di amici, personale e compagni di manicomio, del direttore (in cui s'affaccia Franco Basaglia, gia' prefatore del Magico taccuino di Timmel e qui organizzatore di una sua mostra), avventori d'osterie, voci di passanti colte dal fondo e altro ancora. Discorsi, interrogazioni, interventi, immagini che contrappuntano lo spezzato monologo del pittore, il quale nel trascorrere del testo si fa sempre piu' visionario, increspandosi anche di cadenze dialettali triestine. Timmel, gia' affrontato da Magris in una recensione del Taccuino (ora in Dietro le parole) e raccontato in Microcosmi, nella Mostra e' piu' che riletto come "uomo del disincanto": e' stretto a se' per riviverlo dall'interno, trasferirvisi, parlare in prima persona attraverso di lui: con una emozionalita' che fa a braccio di ferro con la razionalita'. E si sviluppano da qui i tanti percorsi tematici: rapporto sanita'-arte-follia e follia come rifugio estremo; fuga fisica e mentale; rapporto "nostalgie"/"desmentegar"; prigionia nella liberta' e liberta' nella prigionia; la necessita' del male e la "responsabilita'" dell'uomo; la contrapposizione tra espressivita' libera e senza mediazioni (Timmel) e mediazioni devianti. E, su tutto, l'aspetto "piu' straziato e sincero": da libro-confessione. Il confronto "con la demonicita' della vita", a partire dall'aspetto piu' profondamente personale: cio' che fa della Mostra un atto e insieme un canto d'amore. Un canto, attraverso Timmel, per una moglie, Mari(s)a (Madieri), riletta come Alcesti, la sposa "che muore per lui", per salvarlo dalla conoscenza "dell'orrido niente". In cui si deposita un'interrogazione scarnificata e scarnificante sui propri sentimenti: sul diritto a trovare una conciliazione salvifica e felicitante tra "liberta'" e "necessita'" (la morte d'una persona cara). Al limite (e oltre) d'uno straziante senso di colpa: il continuare a "essere". A "vivere". Anche creativamente. 5. LIBRI. MARIO PORRO PRESENTA LE "MEMORIE" DI HANS JONAS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 febbraio 2009 col titolo "La parabola di Hans Jonas attraverso i suoi incontri" e il sommario "Saggi. Pubblicate le Memorie del filosofo tedesco"] Hans Jonas, Memorie. Conversazioni con Rachel Salamander, Il Melangolo, pp. 411, euro 30. * Le Memorie di Hans Jonas cominciano dalla rievocazione del mondo ebraico e dell'ambiente intellettuale della Germania precedente l'avvento di Hitler. In Jonas la passione per la filosofia conviveva con la volonta' di riscoprire la tradizione ebraica che Martin Buber gli fece conoscere; restava salda in lui la convinzione che la ricerca filosofica imponesse di "diventare atei", cioe' di negare preliminarmente dogmi e certezze di fede. Iniziati gli studi universitari nel 1921, Jonas si reco' a Friburgo a studiare con Husserl, per il quale provava un grande rispetto umano e intellettuale; la fenomenologia pero' non lo attrasse. Sosteneva che "una pagina di Thomas Mann contiene giudizi piu' profondi di interi trattati sulla costituzione del mondo concreto negli atti intenzionali della coscienza". Al seminario tenuto dal giovane Martin Heidegger, Jonas incontro' Karl Loewith e Guenther Anders e in seguito, alle lezioni di Rudolf Bultmann sul Nuovo Testamento, conobbe Hannah Arendt, che ritrovo' a Marburg dove intanto Heidegger si era trasferito. Hannah era allora una diciottenne, "affascinante, attraente, ammaliatrice", ricorda Jonas; ne nacque un'amicizia intensa, in cui la confidenza era totale - tanto che lei gli avrebbe presto rivelato la sua relazione con Heidegger. Schieratosi presto nel campo sionista, Jonas giunse in Palestina poco dopo l'ascesa al potere di Hitler; frequentava la cerchia degli amici di Gershom Scholem ed entro' come volontario nell'organizzazione clandestina che proteggeva gli insediamenti ebraici dagli attacchi arabi. Allo scoppio della guerra Jonas promosse un appello in cui invitava gli ebrei a porsi in prima linea nella lotta al nazismo: le vittime designate, minacciate di annientamento, a cui e' negata la possibilita' stessa di esistere sulla Terra, sono chiamate ad allearsi con l'occidente cristiano, che porta in se' l'eredita' di Israele, per sconfiggere il disprezzo per l'umanita' del paganesimo nazista. Rientrato in Germania come soldato del Jewish Brigade Group, costituitosi sotto la giurisdizione dell'esercito britannico, Jonas apprese la morte della madre ad Auschwitz. Le preoccupazioni per il permanente conflitto con gli arabi lo indussero ad accettare incarichi di insegnamento prima in Canada e poi a New York, dove ritrovo' la Arendt. La pubblicazione nel '62 della Banalita' del male apri' pero' fra loro un contrasto profondo; Jonas non poteva accettare l'esplicita impronta antisionista del libro, le accuse di collaborazione (forzata o volonterosa) al loro stesso sterminio da parte delle comunita' ebraiche. Aveva dedicato la sua tesi di laurea all'inquietudine gnostica dei primi secoli dell'era cristiana, rileggendola attraverso le categorie esistenziali di Essere e tempo. Il mondo era il luogo delle tenebre e del male, da cui fuggire, distaccandosi da tutti i vincoli terreni, per cercare la salvezza nel regno ultraterreno della luce. Ma un analogo senso di estraneita' gli veniva comunicato dall'esser-ci di Heidegger, dal venire "gettato" in un mondo nemico se non assurdo; qui sta la ragione del contrasto col suo maestro, in quanto "sebbene vi accadano naturalmente cose terribili, il mondo per me non e' mai stato un luogo ostile", scriveva Jonas. Lo smarrimento di Heidegger di fronte al nazismo non fu allora solo una terribile delusione personale: quando lo rivide ottantenne, Jonas resto' deluso dalla mancanza di un chiarimento o di una parola di rincrescimento. Ma, soprattutto, quel cedimento aveva rappresentato una catastrofe per la filosofia; l'indifferenza etica, anche nei confronti dei crimini nazisti, era radicata nel nichilismo secolarizzato che faceva dell'esistenzialismo l'erede della gnosi. Su questo punto molti critici hanno pero' rilevato che il suo "debito impensato" Heidegger lo contrasse proprio con l'ebraismo, da cui aveva attinto il senso angosciante della caduta, conseguente alla cacciata dal paradiso. Non e' comunque dal linguaggio oracolare del tardo Heidegger che la teologia cristiana puo' apprendere qualcosa, sostiene Jonas in Heidegger e la teologia (Medusa). Chi aveva definito l'uomo il "pastore dell'essere" aveva poi miseramente fallito quando si era trattato di farsi "custode del proprio fratello". La filosofia della vita che Jonas elaboro' mentre la guerra stava finendo (abbozzata nelle "lettere didascaliche" spedite alla moglie dal fronte, e riportate nelle Memorie) poneva le premesse ontologiche perche' la liberta' umana si traducesse in responsabilita' morale verso la vita. All'esistenzialismo che ci vuole estranei al mondo, alla concezione meccanicistica della scienza moderna che vede la natura neutra, indifferente e priva di valori, i saggi raccolti in Organismo e liberta' (Einaudi) oppongono l'idea, per molti versi romantica, di una natura partecipe dello spirito. Nel contesto dell'evoluzione, la morte non e' solo il termine del cammino concesso alla finitudine umana, e' al contrario la condizione che consente alla vita di rinnovarsi; il mondo e' lo spazio in cui l'organismo conquista la sua esistenza strappandola al non-essere. Di qui l'interesse di Jonas, negli anni '60, per le questioni di etica medica, e la stesura del libro che, come gli scrisse la Arendt, "il buon Dio aveva in mente per te", Il Principio responsabilita' (Einaudi). Nel tempo in cui la tecnica ci ha resi creatori, siamo chiamati ad assumere la responsabilita', nei confronti delle generazioni future, dei suoi potenziali effetti distruttivi. All'etica tradizionale, ristretta alle relazioni interumane, ecco sostituirsi una nuova formulazione dell'imperativo kantiano: "Agisci in modo che gli effetti delle tue azioni siano compatibili con il permanere di una vita autenticamente umana sulla Terra". Abbandonato il sogno utopico di un perfezionamento dell'umano, il principio speranza di Ernst Bloch si traduce ora nella piu' modesta prospettiva di conservare per il futuro la vivibilita' del mondo, quella sopravvivenza che il nazismo voleva annullare per il popolo ebraico. Come nei racconti "fantascientifici" di Primo Levi, la catastrofe nazista rende avvertiti di una cosmica infezione, di un "vizio di forma" che, anche per i rischi connessi alle innovazioni tecnologiche, sgretola il tessuto dell'essere. La responsabilita' dell'uomo nei confronti della creazione comporta anche la sua collaborazione all'opera di un Dio immortale ma sofferente. Gia' dagli anni '60 Jonas elaboro' il "mito" di un Dio che ha rinunciato ai suoi poteri, si e' spogliato della propria divinita' per riaverla di nuovo nell'odissea del tempo, trasfigurata o sfigurata. Nel 1984 il tema venne ripreso nel saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz (Il melangolo): lo sgomento esistenziale per il silenzio di Dio di fronte al genocidio impone la rinuncia alle tradizionali risposte ebraiche a Giobbe, compresa quella del martirio per amore di un Dio che non possiamo piu' credere signore della Storia. Affidando il mondo all'essere umano, Dio gli ha concesso in sorte anche il proprio destino; ed ora accompagna impotente la storia umana "trattenendo il respiro". 6. LIBRI. MASSIMILIANO TOMBA PRESENTA "THE BEGINNING OF HISTORY. VALUE STRUGGLES AND GLOBAL CAPITAL" DI MASSIMO DE ANGELIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 marzo 2008, col titolo "Sotto il martello del capitalismo globale" e il sommario "Vita moderna. Le logiche del capitale in The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital, un libro di Massimo De Angelis per Pluto press"] La letteratura piu' avveduta considera ormai l'accumulazione originaria non come uno stadio relegabile alla protostoria del modo di produzione capitalistico, ma come basso continuo di tutta la sua storia, anche contemporanea. La questione e' da un lato individuare i nuovi modi di accumulazione, dall'altro mostrare come diverse forme di sfruttamento si implicano reciprocamente: su questi due assi si articolano prospettive analitiche e politiche diverse. Confrontandosi con alcune delle piu' importanti interpretazioni del capitalismo contemporaneo il libro di Massimo De Angelis, The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital (London, Pluto, 2007) mette in luce come l'accumulazione di capitale sia sempre giocata contro una dimensione esterna, un outside, che non e' solo sopravvivenza di aree non capitalistiche, perche' viene invece costantemente prodotto dalle lotte di uomini e donne contro la separazione tra mezzi di produzione e condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Contro nuove e vecchie forme di enclosure. Le analisi di De Angelis mettono in discussione gli assunti della concezione postmodernista secondo la quale il capitalismo costituirebbe una sorta di sistema totale, senza piu' alcun esterno rispetto ad esso. Una concezione che da' luogo a una sorta di olismo del capitale, non diversa dall'immagine della fantasmagoria delineata da Marx nel celebre capitolo del Capitale sul feticismo. De Angelis prende invece le mosse dal capitale come insieme di rapporti di produzione e come rapporto con il suo altro. Con un outside, appunto, che e' risultato di una pratica comune, non solo sottrazione, ma interruzione della temporalita' del valore: temporalita' di atti creativi ed esperienza soggettiva della trasformazione. Un'alterita' che incessantemente si produce e che il capitale, altrettanto incessantemente, cerca di sussumere. Considerando il modo di produzione capitalistico non secondo un'unica linea temporale, le enclosures vengono lette da De Angelis come "una caratteristica continua della logica del capitale". Compito primario dell'analisi e' quindi cogliere la funzione centrale delle nuove forme di enclosure nel capitalismo globalizzato. Sia chiaro: questo non significa pensare - secondo una immagine ancora postmodernista - che le piu' diverse forme di sfruttamento e di insorgenza del lavoro vivo coesistano indifferentemente l'una accanto all'altra in una sorta di esposizione universale delle forme di sussunzione. Quella che deve essere indagata e', piuttosto, "l'articolazione globale di una molteplicita' di tecniche e strategie: dallo schiavismo al lavoro salariato, dal lavoro non pagato di riproduzione al lavoro temporaneo post-fordista", dalle produzioni nel cosiddetto terzo mondo alle produzioni del capitalismo high-tech. Una politica di liberazione deve oggi affrontare l'articolazione di queste diverse tipologie nella gerarchia globale dei salari e delle forme di sfruttamento. Non solo il mondo non e' una superficie omogenea di forme equivalenti, ma una politica di emancipazione deve seriamente porsi il problema del "superamento di questa articolazione, che tende a dividere la societa' globale" e a metterne in competizione i diversi segmenti. Importante diventa allora la questione di uno spazio che renda possibili concrete pratiche soggettive, capaci di costituirsi come l'outside del capitale. L'attenzione di De Angelis si sposta con cio' alle nuove forme di insorgenza, cercando di coglierne l'elemento comune. Il conatus verso l'autoconservazione puo' fungere da collettore. Permette forse di trovare un punto di convergenza tra lotte oggi ancora nefastamente contrapposte come le lotte per la difesa dell'ambiente e quelle del lavoro, la' dove invece proprio la questione delle nuove e vecchie forme di nocivita' legate al lavoro impone di riarticolare battaglie concrete contro la nocivita' dentro e fuori i luoghi di lavoro. Il martello dell'industrializzazione, per usare un'immagine di Joel Kovel (The Enemy of Nature: The End of Capitalism or the End of the World?, Zed Books, 2002) devasta anche la natura umana, assorbendo il tempo di vita nel tempo di lavoro. Sempre piu' figure lavorative, precarie e non, sono costrette a subire una sempre maggiore indistinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro. Contemporaneamente anche le funzioni biologiche dell'essere umano sono diventate oggetto di enclosure: viene privatizzata l'acqua che dobbiamo bere e, in molte metropoli occidentali, siamo costretti a pagare per il privilegio di evacuarla. 7. TESTI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA ALCUNI SCRITTI DI ANDRE' GORZ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 aprile 2008, col titolo "Quella impervia via d'uscita dalla societa' della merce" e il sommario "Ecologia sociale. Pubblicato dalla rivista 'Millepiani' uno degli ultimi saggi dello studioso francese Andre' Gorz"] Il suicidio, assieme alla compagna Dorine, di Andre' Gorz e' una delle notizie che hanno il potere di ammutolire chi l'ascolta. Studioso e militante refrattario alla mondanita' e al potere seduttivo dei media, aveva scelto negli ultimi anni della sua vita di vivere fuori Parigi. Una decisione motivata dalla malattia della moglie, alla quale aveva dedicato una splendida e a tratti struggente lettera, ora tradotta da Sellerio (Lettera a D. Storia di un amore, pp. 68, euro 9). Ma anche dalla sua casa in campagna Gorz mandava puntuali testi e interventi sul capitalismo contemporaneo, che rivelano un'attenzione costante agli sviluppi del pensiero critico. Il suo ultimo libro - L'immateriale, Bollati Boringhieri - era una critica della centralita' del lavoro immateriale che avevano trovato nella rivista "Multitudes" uno dei luoghi teorici piu' significativi. Ora la rivista milanese "Millepiani" pubblica un testo che Gorz ha scritto, tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006, per analizzare la proposta di reddito di cittadinanza che in Francia aveva dato luogo a una vivace discussione all'interno della cosiddetta sinistra radicale e dell'universo composito del movimento no-global francesi. Di quella proposta Gorz mette in evidenza sopratutto la sua ambivalenza. Per lo studioso francese, infatti, il reddito di cittadinanza puo' essere la misura che consente al capitalismo di sopravvivere alla sua tendenza a distruggere le basi materiali - la forza-lavoro - della sua esistenza. Ma se collegata a una forte iniziativa sociale tesa a costruire iniziative produttive e "relazioni sociali" non basate sul lavoro salariato puo' essere considerata una parola d'ordine "antisistema". E' un saggio, questo pubblicato da "Millepiani", che spazia dalla Tobin Tax alla produzione di software open source, dal tema della decrescita - verso il quale Gorz mostra interesse - alla demolizione del welfare state da parte delle politiche dei governi tanto di destra che di "sinistra". Lo studioso francese e' altresi' convinto che per una trasformazione della societa' debba manifestarsi una sorta di radicale "autonomia del sociale" dal sistema politico, ma anche dalla produzione di merci. Non e' infatti un caso che Gorz veda nella produzione open source la manifestazione piu' evidente di una cooperazione produttiva autonoma dall'impresa capitalistica. Dunque il reddito di cittadinanza, per Gorz, e' una misura di transizione verso una societa' non piu' fondata sul lavoro salariato. Non quindi, come invece ha in questi anni argomentato lo studioso belga Philippe Van Parijs, un'evoluzione del welfare state alla luce dei cambiamenti del mercato del lavoro. Bensi' una parola d'ordine politica che va comunque "maneggiata con cura". Attenti cioe' alla sua ambivalenza, che puo' manifestarsi anche quando e' patrimonio dei movimenti sociali. 8. LETTURE. ANNE APPLEBAUM: GULAG Anne Applebaum, Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici, Mondadori, Milano 2004, 2005, pp. VIII + 696, euro 14,80. Un'ampia monografia fondata sull'attenta ricognizione di una vasta documentazione. L'autrice, giornalista e saggista di vasta esperienza, per questo libro ha ricevuto il Pulitzer nel 2004. 9. LETTURE. GIORGIO COLLI: FILOSOFI SOVRUMANI Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Adelphi, Milano 2009, pp. 178, euro 13. A cura di Enrico Colli, e' qui per la prima volta pubblicata la prima parte della tesi di laurea sostenuta da Giorgio Colli nel 1939, parte che concerne i presocratici e la formazione giovanile di Platone (la seconda parte - gia' pubblicata col titolo Platone politico sempre presso Adelphi nel 2007 - era gia' stata scritta nel '37, e tra essa e la parte che anche se infine collocata prima e' stata scritta dopo e conclusa solo nel '39 vi e' ovviamente uno svolgimento: ed e' per questo che il curatore ha preferito pubblicarle separatamente in due diversi volumi come due saggi tra loro distinti). Giorgio Colli, con la sua riflessione sulla "sapienza greca", il suo straordinario lavoro di interprete di opere fondamentali della tradizione occidentale - da Aristotele a Kant - e di editore di Nietzsche, e' per noi - ne' accademici ne' letterati ne' funzionari di alcunche' ne' ad alcunche' affiliati, ma solo "militanti di base" impegnati nella lotta per la dignita' e i diritti di ogni essere umano - un punto di riferimento metodologico e morale. 10. RIEDIZIONI. SOEREN KIERKEGAARD: BRICIOLE DI FILOSOFIA. TIMORE E TREMORE Soeren Kierkegaard, Briciole di filosofia. Timore e tremore, Sansoni, Firenze 1972, 1988, Rcs-Bompiani, Milano 2009, pp. 880, euro 14,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Nella classica traduzione italiana di Cornelio Fabro (e con la vasta sua introduzione all'edizione sansoniana delle Opere del danese), e con una presentazione di Dario Antiseri, il volume ripropone le serrate e acrobatiche Briciole (e - ad esse apposta - la sterminata e vulcanica "Postilla conclusiva non scientifica") e il terribile, fulminante e disvelatore Timore e tremore, che chi lo ha letto non lo ha piu' dimenticato. 11. RIEDIZIONI. DENIS MACK SMITH: LE GUERRE DEL DUCE Denis Mack Smith, Le guerre del duce. La politica bellica del fascismo, Laterza, Roma-Bari 1976, Mondadori, Milano 1992, Societa' europea di edizioni, Milano 2009, pp. XII + 390, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). E' sempre utile rileggere questa monografia dell'illustre storico inglese, che da quando apparve - nel 1976 - non invecchia, o invecchia come un buon vino. Ad ogni rilettura vi trovi di nuovo ulteriori elementi per interpretare la situazione presente. 12. RIEDIZIONI. CHARLES SANDERS PEIRCE: SCRITTI SCELTI Charles Sanders Peirce, Scritti scelti, Utet, Torino 2005, Mondadori, Milano 2009, pp. 738, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Giovanni Maddalena, una raccolta di scritti del pensatore americano ad un tempo cosi' poco letto e cosi' influente nella cultura del Novecento. 13. RIEDIZIONI. DAVID RICARDO: PRINCIPI DI ECONOMIA POLITICA E DELL'IMPOSTA David Ricardo, Principi di economia politica e dell'imposta, Utet, Torino, Mondadori, Milano 2009, pp. 584, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Pier Luigi Porta seguendo l'edizione Sraffa (e di Piero Sraffa si riproduce altresi' l'introduzione ai Principi) uno dei testi-chiave del costituirsi della teoria economica. 14. RIEDIZIONI. ARTHUR SCHOPENHAUER: IL MONDO COME VOLONTA' E RAPPRESENTAZIONE Arthur Schopenhauer, Il mondo come volonta' e rappresentazione, Rcs-Bompiani, Milano 2006, 2009, pp. 768, euro 14,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). A cura di Sossio Giametta, bibliografia e indici di Vicenzo Cicero, con una presentazione di Dario Antiseri. Un'opera che risveglia e tormenta. Ed insieme ai Parerga e paralipomena, che ne sono l'infinito scintillante e iridescente commentario (e svolgimento e palinodia, dialektike' kai katastrophe'), un dono grande e gravoso - conflittuale e felice - all'umanita'. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 323 del 14 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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