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Voci e volti della nonviolenza. 322
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 322
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 11 Apr 2009 10:04:37 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 322 dell'11 aprile 2009 In questo numero: 1. Non mollare 2. Maurizio Galvani: Bambini nei tombini di Roma 3. Sara Prestianni: Tra Grecia e Turchia 4. Anna Maria Merlo: In Francia 5. Benito D'Ippolito: Litania dei morti in preghiera 6. Dino Frisullo: Cronaca nera 7. Benito D'Ippolito: Ballata per una Regina morta 1. EDITORIALE. NON MOLLARE L'8 aprile alla Camera dei Deputati non sono passati ne' il prolungamento dei tempi di detenzione nei campi di concentramento, ne' le ronde squadriste. Sulle ronde squadriste il governo e' stato costretto a ritirare la proposta, quanto al prolungamento della detenzione di persone innocenti nei campi di concentramento un emendamento dell'opposizione ne ha ottenuto la soppressione. Si tratta di un risultato - certamente limitato e provvisorio, ma concreto e rilevante - che conforta l'impegno di tutte le persone che stanno cercando di contrastare l'introduzione del regime dell'apartheid in Italia, di tutte le persone che hanno a cuore la legalita' costituzionale, la civilta' giuridica, lo stato di diritto, l'ordinamento democratico, e - last, but not least - i diritti umani di tutti gli esseri umani. Questa prima sconfitta del blocco razzista e squadrista deve persuadere i titubanti della possibilita' di contrastare vittoriosamente l'eversione dall'alto e il razzismo che tende a farsi stato oltre che crimine di strada e ideologia reazionaria di massa (della massa che si fascistizza, il popolo delle scimmie di gramsciana memoria). Occorre persistere nella lotta contro l'apartheid, contro lo schiavismo, contro i campi di concentramento, contro i provvedimenti illegali e disumani del cosiddetto "Pacchetto sicurezza". Occorre continuare ed estendere la mobilitazione per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani. Vale ora e sempre l'appello di Salvemini e dei fratelli Rosselli: non mollare. 2. UNA SOLA UMANITA' MAURIZIO GALVANI: BAMBINI NEI TOMBINI DI ROMA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "I ragazzi dei tombini" e il sommario "Storie. Le cartoline afgane dei senza diritti. Il 'tour' dall'Afghanistan al Pakistan, dalla Turchia alla Grecia, miraggio l'Italia, nel racconto di due giovani profughi, finiti nei tombini della Stazione Ostiense a Roma] Le due testimonianze che pubblichiamo sono le narrazioni - anonime per evitare ritorsioni - raccolte dagli operatori dell'Istituto per la salute delle popolazioni migranti e il contrasto alla poverta' (Inmp), presso l'ospedale San Gallicano di Roma. Il fatto e' che la tragica vicenda dei ragazzi afghani trovati dentro i tombini alla stazione Ostiense di Roma ha suscitato sgomento e sorpresa. Per il dottor Aldo Morrone, direttore dell'Inmp "a causa delle guerre globali, della violenza, della poverta', ormai dovremo aspettarci conseguenze assai gravi, dato che 200-300 milioni di disperati fuggono in tutti i modi da queste realta', accettando di vivere condizioni disumane". Il dottor Morrone parla con l'esperienza di chi opera a Lampedusa, dove l'Inmp e' impegnato con un equipe di medici e psicologi. "Questi ragazzi afghani - aggiunge - per arrivare in Italia impiegano piu' di un anno dopo avere iniziato un lungo e pericolosissimo viaggio attraverso l'Iran, la Turchia, la Grecia e, infine, l'Italia". Scappano dal loro paese e solo quando giungono in Grecia alcune organizzazioni danno loro assistenza. In Italia sbarcano ad Ancona dentro i tir, o nei doppifondi dei camion, o nascosti tra la merce, o legati con le cinghie agli assi degli autotreni. Non si sa quanti siano a Roma e come vivano, per Morrone "si calcola che i minorenni (fino a 18 anni, stabiliti con un esame radiologico del polso) possono essere circa un centinaio". Il problema e' come intercettarli: non e' facile, soprattutto, per la lingua che conoscono solo i mediatori. Non conoscono la lingua e ignorano i diritti di un minore non accompagnato. Alcuni considerano l'Italia un territorio di passaggio dove sopravvivere per raggiungere la Germania dove risiede una grande comunita' di afghani. Il loro e' un tragitto di quasi ottomila chilometri, pagano per andare in un altro paese; "tuttavia l'Italia sta diventando un paese di residenza". "Dobbiamo intercettarli. Ci vorrebbero piu' strutture, operatori, risorse di natura medico-assistenziale, l'attivazione di piu' mediatori linguistici e culturali". L'Inmp lamenta queste carenze: "bisogna fare in modo che questi ragazzi non si nascondano e diventino 'clandestini', non alla legge ma a qualsiasi intervento. Il primo loro diritto e' la tutela (ci deve pensare il Comune); in secondo luogo devono fare percorsi di sostegno e integrazione". Il dottor Aldo Morrone - che da anni opera al San Gallicano - insiste su questo punto perche' vuole rendere visibili quei poveracci che stanno nei tombini della stazione Ostiense, dove si possono incontrare altre tragiche realta': rifugiati per tortura, poveri, emarginati sociali. Il rammarico e' che si fa sempre poco; presso il San Gallicano dal 2006 e' attivo un servizio di accoglienza per i minori non accompagnati, in collaborazione con il V Dipartimento del Comune di Roma. In questi due anni sono stati avvicinati 52 adolescenti (39 provenienti dall'Afghanistan, 4 dall'Etiopia, 6 dall'Eritrea, uno dalla Sierra Leone, un altro dall'India). I motivi del loro "allontanamento" lo raccontano i medesimi ragazzi: 25 subivano persecuzione politica, sette sono fuggiti alla guerriglia tra gruppi locali, dieci sono fuggiti per liti famigliari, dieci sono scappati dalla poverta'. Le collaboratrici del dottor Morrone, le dottoresse Flavia Dammacco e Paola Scardella tentano di ricostruire una narrazione della storia di questi ragazzi. Si cerca di offrire un ambiente abitativo adeguato (una casa-famiglia, o un centro di accoglienza) per costruire un percorso integrativo sociale che preveda anche la possibilita' di un lavoro. La maggior parte delle volte ci si riesce: per legge, un minore straniero non accompagnato ha diritto all'assistenza e alla tutela. Pero' al compimento della maggiore eta' questi ragazzi si trovano senza diritti e possono essere rimpatriati al di la' di quel che riescano a dimostrare di saper fare, a che punto sia arrivato il percorso di accoglienza e di conoscenza della legge, costumi e cultura italiana. Volutamente non e' chiamata subito integrazione "poiche' - sottolineano all'Inmp - il primo successo con questi ragazzi e' di avere stabilito una relazione; sono in genere impauriti, provengono dalle esperienze piu' disparate, hanno fatto diversi lavori, hanno perduto i genitori in tenera eta'". La dottoressa Scardella sostiene che "alcuni ragazzi hanno impiegato due-tre anni per giungere in Italia: si sono nascosti per mesi facendo differenti mestieri, anche nei mattatoi dell'Iran". Non si puo' trarre una conclusione. Questo problema va sollevato fuori dall'eccezionalita' per non dover scoprire allarmati che esistono realta' sommerse quando si deve fare un'opera di bonifica della stazione Ostiense. Il dottor Morrone lancia una provocazione: la realizzazione nel 2010 (l'anno contro la poverta') di un incontro-convegno tra Europa, Africa, Asia. Tra diversi operatori per contrastare attivamente le cause dell'emarginazione. * La testimonianza di S. D., 19 anni: Alla fine sono fuggito dai talebani perche' mi terrorizzavano Mi chiamo S. D. e sono nato a Ghazni, in Afghanistan; ho 19 anni. La mia famiglia aveva una macelleria, mio padre inoltre vendeva abiti e alimenti vari in India, in Pakistan e in Iran e per questo motivo spesso era lontano da casa. La mia famiglia era benestante e i miei genitori sognavano per noi un percorso accademico importante. Avevo un fratello e una sorella. Le donne, per volonta' governativa, non possono studiare e i ragazzi non hanno possibilita' di scelta se non andare a studiare religione in moschea. Mio padre durante uno dei suoi viaggi conobbe delle persone le quali appartenevano a una religione diversa da quella musulmana, cioe' Bahai. Anche mio padre e noi tutti decidemmo di sposare la religione Bahai. Questa scelta pero' causo' non pochi problemi con i compagni, con il vicinato ma anche con i parenti. Io, mio fratello e mia sorella, essendo piccoli, non capivamo il perche' di alcuni comportamenti. Nel 1999 i talebani resero nota la loro volonta' di uccidere i comunisti e tutti coloro che avevano collaborato con essi. Mio zio venne ucciso perche' faceva parte dei comunisti. I vicini ormai avevano isolato del tutto la mia famiglia, non accettavano di buon grado la nostra presenza. La situazione a scuola per me e mio fratello non era delle migliori, anzi. Un giorno in cui avevo espresso la mia opinione sul far studiare le ragazze, finii dal preside, il quale mi picchio' con un pezzo di legno fino a spezzarlo. Mi sospesero per una settimana. Non capivo la non liberta' di scelta. Ne parlai con l'insegnante di religione. Mi riportarono dal direttore. Mi buttarono fuori dalla scuola. Quello stesso giorno il nostro giardino lo riempirono di escrementi. Eravamo disperati. Il nostro macellaio venne a informarci che piu' nessuno comprava da noi. Decidemmo il trasferimento altrove, ma la nostra tranquillita' duro' poco, iniziarono a urlare a insultarci, bussavano continuamente alla nostra casa. Finche' un giorno non incendiarono il nostro giardino. Scappammo dal tetto, ci rifugiammo a casa di amici,non tutti eravamo li'. Mancavano mio fratello e mia sorella. Forse avevano scelto la casa di altri amici come rifugio. Non li ritrovammo subito. Mia madre rimase in Afghanistan, io partii per L'Iran da amici di mio padre. Avevo paura. Dopo cinque giorni sono partito per la Turchia perche' non venivo accettato neanche in Iran a causa sempre della mia fede religiosa. Con il gommone partimmo per la Grecia, dove rimasi li' per 18 giorni, e non ricordo bene dove. Per poter entrare in Italia mi nascosi in un camion, ci sono rimasto per due giorni. Arrivati a Bari, l'autista decise di abbandonarmi. Avevo sempre piu' paura, ero solo, non sapevo come e cosa fare. Decisi di venire a Roma, dormivo per strada. Stavo male e mi hanno portato al San Gallicano. Nella sala d'attesa sono svenuto. Mi hanno ricoverato al Fatebenefratelli. Sono stato riconosciuto come minore. Il centro Astalli mi ha aiutato a trovare una sistemazione... * La testimonianza di I. N., 16 anni: La mia famiglia e' andata in pezzi. Volevo scappare Mi chiamo I. N. e sono nato a Ghazni in Afghanistan, ho 16 anni. Mio padre faceva il fabbro, mia madre la casalinga. Un giorno mio padre uscendo di casa non e' mai piu' ritornato. La situazione per me e mia madre diventava troppo difficile e pericolosa e su suggerimento di mio zio paterno lo seguimmo in Pakistan. Mia madre non e' mai stata felice di questa scelta. Mio zio,oltre alla moglie aveva due figli, un maschio e una femmina, di cui il primo piu' grande di me e la figlia piu' piccola. Arrivati in Pakistan abbiamo iniziato subito a lavorare: io lavoravo presso una fabbrica di tappeti, mia madre lavorava a casa il legno. Fin dall'inizio il rapporto tra mio zio e mia madre non fu mai buono. Mio zio voleva sposarsi con mia madre. Continui litigi e torture da parte di mio zio hanno segnato gli ultimi due anni della vita di mia madre, ammalatasi, inoltre, di tumore al cervello. Dopo due mesi passati in ospedale mori'. La situazione personale e lavorativa diventava per me insopportabile, invivibile. Cosi' chiesi a mia zia paterna un prestito e il numero di telefono di un nostro cugino che vive in Inghilterra. Sono scappato in Iran. Per quasi un mese e mezzo ho fatto il muratore finche' un giorno non ho ricevuto la telefonata di mio cugino dall'Inghilterra che mi suggeriva di partire verso l'Europa. Con l'aiuto del mio datore di lavoro il mio viaggio inizia dall'Iran verso la Turchia dove ci rimango venti giorni per poi ripartire per la Grecia. Ma la polizia trovandomi mi rispedi' in Turchia, dopo una settimana sono nuovamente ripartito per la Grecia. Pero' durante il secondo viaggio, a causa di una tempesta una nave si scaglio' contro il nostro gommone causando la morte di due miei amici. Arrivati a Samus in Grecia, mi hanno portato in ospedale, il viaggio traumatico e la morte dei miei amici mi hanno reso fragile. Sono rimasto sei giorni in prigione. Mi hanno dato un foglio con il quale potevo andare ad Atene, da li' dopo un giorno sono ripartito per Patrasso, rimanendoci un mese. Dopo due tentativi, non riusciti, di entrare in Italia, alla terza volta sono stato riconosciuto come minore. 3. UNA SOLA UMANITA'. SARA PRESTIANNI: TRA GRECIA E TURCHIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "Le porte chiuse d'Europa" e il sommario "Sulla frontiera greco-turca con i migranti. Ogni anno almeno 150.000 clandestini tentano di passare dalla Turchia alla Grecia e di li' negli altri paesi europei. Ci provano in gommone verso le isole dell'Egeo, attraverso le montagne, il fiume e i campi minati della regione di Evros, nascosti nei camion. Di qua, generalmente, li aspettano violenze ed espulsioni"] Da un lato la Turchia, dall'altro la Grecia, non c'e' un muro a separare i due paesi ma il mare e le sue correnti, il fiume e le sue piene, la terra e le sue mine. Porte d'entrata e d'uscita dei migranti. Da qui transita chi, in fuga dalla Turchia, vuole arrivare in Europa, ma e' anche da qui che, nell'ultimo anno, avvengono le deportazioni illegali. Ogni anno circa 150.000 migranti fuggono dalla Turchia, raggiungendo le isole del mar Egeo con dei canotti gonfiabili a remi, attraversando il fiume Evros, valicando le montagne, schivando le mine, nascondendosi, ammassati uno sull'altro, nei camion. Sono somali, afgani, pakistani, indiani, iracheni, richiedenti asilo che la Grecia, con un tasso d'accettazione delle domande pari all'1%, rifiutera'. Quello che succede alla frontiera greco-turca, le violenze e le espulsioni, e' stato denunciato negli ultimi anni dall'associazione tedesca Pro Asyle, da Human Rights Watch e dalle reti antirazziste greche, ma poco e' cambiato. Il ping pong tra i due paesi continua: chi dovrebbe salvare i migranti in mare, guardia costiera, polizia nazionale e polizia alle frontiere, continua a respingerli dal lato turco. Le mine che sono disperse nella regione d'Evros continuano a mietere vittime, 88 quelle accertate, molte altre quelle lasciate morire in una no man's land militarizzata. All'ospedale d'Alexandropoulis, due stanze con tanto di sbarre alle finestre e poliziotto di guardia, sono riservate ai migranti. Spesso ospitano chi, saltato in aria su una mina, ha subito un'amputazione degli arti. Una volta superata la frontiera, molti preferiscono dimenticare cio' che hanno vissuto. Davanti a loro altre frontiere li aspettano e si potranno permettere di ricordare solo quando tutto sara' finito, solo quando avranno trovato, infine, un paese dove ricostruirsi una vita, una vita migliore, come amano dire. Fahadi, iracheno, pero' vuole raccontarlo il suo viaggio. E' la terza volta che parte, ogni volta quando era vicino alla frontiera e' stato rimandato indietro, due volte dai poliziotti turchi, una volta dai greci. Dopo l'espulsione il carcere, dove ammassato con altre centinaia di migranti, resisteva, senza mai dire di essere iracheno, per non essere espulso. Da qualsiasi valico arrivino, nelle isole o nella regione di Evros, una volta intercettati vengono portati in un centro di detenzione. Il comandante della polizia dell'isola di Samos spiega che la durata di permanenza dipende dalla nazionalita': gli afghani rimarranno nel centro qualche giorno, i somali qualche settimana, gli iracheni due-tre mesi. Il centro di detenzione di Venna, a duecento chilometri dalla frontiera, e' uno dei primi aperto in Grecia, un luogo fatiscente, un ex-deposito di merce, vicino alla vecchia stazione. Qui viene portato chi e' stato intercettato alla frontiera, dopo aver attraversato a piedi le montagne e il fiume Evros, e quelli che, pagando, si sono nascosti nei camion. Il corridoio e' deserto, i duecento migranti sono rinchiuse in sei grandi celle, in cui aleggia un odore acre: le finestre non vengono mai aperte. Dalle celle risuona una musica, incessante, la stessa per tutte le celle, scelta dal medico del centro per far passare le lunghe ore di attesa: tre mesi, 90 giorni, 2.160 ore. Dalla penombra risuonano le voci dei migranti che raccontano la detenzione: due bagni e una doccia per quaranta uomini, un rasoio al mese per due-tre persone, un'ora d'aria ogni tre giorni. "Questioni di sicurezza", ci dicono i responsabili del centro, polizia nazionale e polizia di frontiera. Un giovane pakistano mi mostra il polpaccio dicendomi di essere stato picchiato perche' si attardava al telefono, un altro chiede se questo mi sembri un trattamento da riservare a degli esseri umani. Dopo tre mesi di detenzione, quasi tutti escono con un foglio di via in greco che non sanno leggere, e che li invita a ritornare nel loro paese entro un mese. Tutti continuano il viaggio verso Atene e poi Patrasso, per scappare dalla Grecia, che i migranti si chiedono se sia veramente Europa, se si pensa alle violenze, alle condizioni di sfruttamento nel lavoro (qualche euro per 10 ore nei campi), per l'assenza totale di protezione e assistenza, per il razzismo. Chi puo' permettersi di pagare fino a 3.000 euro, puo' comprare un documento falso, pagare i trafficanti, corrompere le autorita' portuali, i camionisti, le compagnie dei traghetti e senza troppi problemi potra' proseguire, in nave, il suo viaggio in Europa. Qualche mese fa otto poliziotti del porto di Patrasso sono stati accusati e condannati per favoreggiamento del traffico di migranti verso l'Italia. Gli altri, la maggior parte, quelli che i soldi non li hanno, li si incontra nelle vie di Patrasso, giorno e notte, intenti a cercare la via di accesso all'Europa, le sbarre in cui infilarsi per entrare nel porto, il camion in corsa dietro cui correre e saltare, la stazione di benzina in cui nascondersi e aspettare il momento migliore. * Deportazioni illegali in Turchia Ed e' proprio a Patrasso che ricomincia la giostra delle deportazioni illegali in Turchia. Nell'ultimo anno la polizia ha fatto delle retate, rastrellando tra cento e duecento migranti alla volta. Le ultime poco prima di Natale e a meta' gennaio. K. ci racconta la storia della sua deportazione in Turchia. Parla correntemente italiano perche' un anno fa e' riuscito a nascondersi in un camion fortunato. Dopo 8 mesi in un centro d'accoglienza a Venezia, dove ha seguito un corso d'avviamento professionale in energie rinnovabili e meccanica, lo convocano per dirgli che le sue impronte digitali sono state ritrovate in Grecia e che, secondo il "regolamento Dublino", sara' espulso ma potra' chiedere asilo una volta arrivato all'aeroporto d'Atene. Con una carta da richiedente asilo nelle mani, che non da' diritto a nulla, ritenta la fuga verso l'Italia, per ricominciare questa volta da illegale, avendo coscienza di non avere piu' nessuna possibilita' se non quella di una vita da clandestino. A inizio gennaio mentre sta per entrare al supermercato, viene controllato e portato nella cella di detenzione del posto di polizia di Patrasso. La' trova altri cento afghani, arrestati al porto, per le strade, vicino al campo. Insieme a loro sara' imbarcato sulla nave per Alexandropoulis, ultima grande citta' prima della frontiera turca. K. racconta che una volta arrivati nella regione di Evros "ci hanno tolto tutto quello che poteva far pensare che avevamo vissuto in Grecia: vestiti, carte telefoniche, documenti, biglietti da viaggio, carte da richiedente asilo". Nel cuore della notte, i poliziotti, dotati di binocoli, aspettano che dal lato turco non vi siano controlli per farli attraversare il fiume, con una piccola barca, in gruppi di venti. Una volta di la' non resta che ripercorrere la strada per Istanbul e da li' riprovare, come avevano fatto giorni, mesi o forse anni prima, a ritornare in Europa. Ma e' proprio su quella strada che molti dei migranti deportati sono arrestati dai poliziotti turchi. Nessun elemento per dimostrare che vengono dalla Grecia, impossibile evitare i centri di detenzione. Oltre alle condizioni tragiche di permanenza, chi entra nelle prigioni turche non sa quando ne uscira'. Come la maggior parte dei centri di detenzione, costruiti alle porte esterne dell'Europa, in Libia, Mauritania, Algeria, Tunisia, anche quelli turchi non hanno esistenza legale e quindi nessuna regola in merito alla durata di permanenza. K. ci dice che alcuni dei migranti deportati sono stati poi espulsi in Afghanistan o lasciati alla frontiera iraniana della Turchia, nella regione di Van, conosciuta per le violenze che vi subiscono i migranti in transito. La pratica delle deportazioni illegali risulta ancora piu' assurda se si pensa che i due paesi, nel 2001, hanno firmato un "accordo di riammissione" che prevede che la Turchia riammetta tutti i migranti transitati per il suo territorio prima di arrivare in Grecia. Ma, secondo il segretario del ministero degli interni greco, la Turchia non sembra collaborare e solo il 6% dei migranti e' espulso nell'ambito dell'accordo. Non potendo quindi fare delle "espulsioni legali" la Grecia non esita a deportare i migranti illegalmente in Turchia. Sara' poi il paese vicino, che non deve dare conto all'Unione Europea sul trattamento dei migranti e che al contrario e' spinto da quest'ultima a gestire il controllo delle frontiere, a fare il lavoro sporco delle espulsioni in paesi in conflitto, come in Irak e Afganistan. * La Grecia, limbo dell'Europa La Grecia si trasforma per i migranti in una vera e propria trappola. Le impronte lasciate sono una condanna, significano un'attesa di anni per uno status di rifugiati che non avranno mai o la fuga verso altri paesi europei. Il "Regolamento Dublino" ha come effetto principale la distruzione stessa della protezione internazionale, perche', in nome del principio della "condivisione del peso" impone il trattamento delle domande ai paesi di prima frontiera, che sono quelli che meno garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali. Una volta bloccati in questi paesi non e' cosi' semplice riuscire a raggiungerne altri, se non a costo di rischiare la vita e a volte di perderla, come e' successo con i ragazzi schiacciati dalle ruote dei camion in cui si erano nascosti, a Venezia, Ancona, Bari. Per chi ha attraversato a piedi la frontiera che separa l'Iran dalla Turchia, e' stato detenuto in Turchia, ha provato almeno due volte a raggiungere la Grecia, ha attraversato l'Europa nascosto sotto i camion ed e' stato deportato illegalmente, il viaggio comincia a durare anni. Il transito spesso si trasforma in installazione, in vita stanziale e precaria, misera e disperata come puo' essere nel campo informale degli afghani, dove qualcuno sopravvive ormai da due-tre anni, senza neppure sapere se sta ancora realmente provando ad entrare in Italia. K. finisce la sua storia di deportazione chiedendosi se un giorno trovera' un posto dove vivere: "Negli ultimi anni non ho fatto altro che scappare e viaggiare". 4. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MARIA MERLO: IN FRANCIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "Ho aiutato un sans papier: cinquemila autodenunce" e il sommario "Francia. Le associazioni di difesa degli immigranti contro la legge che confonde chi aiuta i clandestini e i passeurs"] Oltre 5.000 persone si sono autodenunciate, in Francia, per aver aiutato degli immigrati irregolari, "sans papiers", dando loro ospitalita', un pasto, qualche soldo. Mercoledi' poi in un'ottantina di citta' ci sono state manifestazioni: come le autodenunce, intendono protestare contro il "reato di solidarieta'" istituito dall'articolo L622-1 del codice sull'ingresso e il soggiorno degli stranieri in Francia. Un articolo poco chiaro, che permette la confusione tra chi aiuta i clandestini per ragioni umanitarie e i passeurs che organizzano il traffico umano. L'articolo punisce fino a 5 anni di carcere e 30.000 euro di multa "chiunque avra', attraverso aiuto diretto o indiretto, facilitato o tentato di facilitare l'entrata, la circolazione o il soggiorno irregolare di uno straniero in Francia". Il ministro dell'immigrazione e dell'identita' nazionale, l'ex socialista Eric Besson, sostiene che la legge mira solo a punire chi partecipa alle filiere di immigrazione clandestina: in 65 anni di applicazione della legge, dice, "nessuno e' mai stato condannato in Francia soltanto per aver accolto, accompagnato o ospitato uno straniero in situazione illegale". Le associazioni per la difesa degli immigrati lo contraddicono: se e' vero che le condanne definitive sono poche, di recente numerosi volontari sono stati fermati dalla polizia. E' successo a operatori di France Terre d'asile, al responsabile di un gruppo di Emmaus di Marsiglia, a una volontaria dei Restos du coeur. Nove persone sono state fermate negli ultimi anni a Calais, dove molti migranti (spesso afghani e iracheni), dopo la chiusura del centro della Croce Rossa di Sangatte (voluta da Sarkozy quando era ministro degli interni), vagano sperando di passare la Manica. Manifestazioni e autodenuncia non sono state organizzate solo da associazioni piu' combattive, come il Gisti (aiuto giuridico ai sans papiers) o la Cimade (organizzazione di origine protestante dal glorioso passato, perche' salvo' molti ebrei durante la seconda guerra mondiale). Sono in prima linea anche il Secours catholique, la Federation d'entraide protestante o i Petits Freres des pauvres, tutte organizzazioni confessionali. Besson sostiene che la legge non punisce la fraternita', ma la "tabella di marcia" che ha ottenuto da Sarkozy per il suo ministero prescrive che quest'anno siano arrestate almeno 5.000 persone per aver favorito l'immigrazione illegale: le associazioni temono che per rispettare l'obiettivo, molti soccorritori umanitari vengano presi nella rete. La "tabella di marcia" di Sarkozy inoltre fissa a 27.000 il numero di espulsioni di clandestini da realizzare entro l'anno. Le associazioni denunciano la caccia ai sans papiers, che colpisce intere famiglie con arresti a volte persino davanti alle scuole. I socialisti hanno annunciato una proposta di legge che depenalizzi l'aiuto ai clandestini da parte di chi agisce per "preservare sia l'integrita' fisica dello straniero sia la sua dignita'". 5. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA [Nuovamente proponiamo questa litania che l'autore scrisse nell'ottobre 2000, alla notizia del ritrovamento dei cadaveri di sei migranti abbandonati in una discarica. Inviata questa lettera all'amico suo Dino Frisullo, questi rispose con la sua che di seguito anch'essa nuovamente si riporta] Leggo sul giornale la notizia assente lungo una strada una discarica abusiva sulla discarica deposti, scaricati morti asfissiati sei giovani migranti: sei clandestini, leggo sul giornale che aggiunge: il tir partendo in fretta e furia con una ruota ha calcato il capo spento di uno dei morti, schiacciandolo facendone scempio. Vedo la scena tutta: la strada, il grande camion il cumulo maleodorante dei rifiuti la fretta di sgravare a terra il carico inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso le bestemmie masticate in gola di chi scaglia tra i residui i residui corpi. Vedo il camion pesante macigno, il fumo dei gas di scappamento, il crocchiare orribile che non posso, non posso dire. E vedo ancora come sacchi quei corpi rotti che attendono l'alba, il giorno, il passaggio delle automobili, il sole che alto si leva, il tempo che passa e che fermenta, finche' viene qualcuno e si ferma ed e' tardi. Poi vedo che arrivano uomini molti, si fermano auto e furgoni, ed e' tardi. Vengono le telecamere, le macchine fotografiche, un momento ancora, ancora un momento prima di gettare un velo pietoso, il pubblico cannibale vuole vedere il sangue, lo scempio. Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero. Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo nero che sembra quasi rosso. E un silenzio tumescente. Leggo il giornale, uno dei poveri cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie transnazionali cui lo stato ha appaltato il mercato del diritto a fuggire dalla morte altra morte trovando, leggo il giornale uno dei cristi poveri stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina da preghiera. Mentre affogavano tra le balle di cotone pregavano, pregavano i miseri clandestini. Ascoltala tu la loro pia preghiera. Ascoltala tu, che leggi queste righe. Tu poni mano a far cessar la strage. Ipocrita lettore, mio simile, mio frate. Ascoltala tu la voce dei morti e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage. 6. LUTTI. DINO FRISULLO: CRONACA NERA [Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici la litania qui sopra riprodotta; Dino Frisullo gli rispose con la lettera che di seguito nuovamente ripubblichiamo. Dino Frisullo (1952-2003), impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle associazioni "Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003 nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; Se questa e' Europa, Odradek, Roma 1999; postumo e' apparso Sherildan, La citta' del sole, Napoli 2003. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nei nn. 577 e 1008 de "La nonviolenza e' in cammino"] Ali veniva, poniamo, da Zako. Portava in tasca un pane di sesamo comprato in fretta nel porto a Patrasso profumo di casa garanzia di vita prima di calarsi nel buio del ventre del camion. Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo. Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia, e il primo italiano che vide vestiva la divisa di polizia di frontiera e fu anche l'ultimo. Respingeteli, disse, Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo guardo' a terra poi si volse perche' un uomo non piange. Ali veniva da Zako, poniamo, e sapeva gia' usare il kalashnikov ma di raffiche ne aveva abbastanza e di agenti turchi irakeni americani arabi e di kurdi che ammazzano kurdi e di paura masticata amara con la fame e dell'eco delle bombe Qendaqur come Halabje bombardieri turchi come gli aerei irakeni gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide. Ali, poniamo, aveva una ragazza rimasta sola, la famiglia in Germania, con lei aveva sognato l'Europa con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni e kurdi, maledizione, anche kurdi per contrattare il passaggio della prima frontiera, batteva forte il loro cuore al valico di Halil divise verdeoliva nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca e poi liberi corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin ogni mezzora un posto di blocco divise verdeoliva banconote via libera colonna di autobus veloce di notte tre notti trenta posti di blocco da Mardin fino a Istanbul, e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi fra ubriachi che russano e scarafaggi per la prima volta avevano fatto l'amore e per l'ultima volta. Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti lei gliene regalo' uno come fosse una rosa di maggio. Fu all'alba che vennero a prenderli taxi scassati il cielo grigio del Bosforo poi a piedi verso un'altra frontiera in fila indiana nel fango in silenzio fino alle ginocchia l'acqua del Meric ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra, di la' la Grecia l'Europa e' calda la mano di Leyla si chiamava Leyla, poniamo era calda la mano di Leyla prima che scoppiasse sott'acqua la mina prima che i greci cominciassero a sparare prima dell'inferno. Un uomo non piange ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric mentre si nascondeva nel canneto perche' i greci non scherzano e se ti consegnano ai turchi e' la fine i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi ti fanno sputare sangue nelle celle di frontiera. In Grecia l'uomo si fa gatto si fa topo ragno gazzella a piedi di notte fino a Salonicco un passaggio da Salonicco a Patrasso giovani turisti abbronzati, poniamo Ali ha la febbre batte i denti fa pena rannicchiato sul sedile della Rover e' bella la ragazza straniera ma la sua Leyla era piu' bella piu' profondi del mare i suoi occhi. La Rover frena sul mare di la' c'e' l'Europa davvero gli ultimi soldi per il biglietto per Bari Ali il mare non l'aveva mai visto fa paura di notte il mare ma un uomo non ha paura e il cielo dal mare non e' poi diverso dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare. Fa piu' paura la polizia di frontiera "ez kurd im" "ma che vuoi, che lingua parli, rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari, chiudeteli dentro, che non scendano a terra senno' chiedono asilo..." E' triste il cielo dal mare come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure. E' duro esser kurdi sperduti fra il cielo ed il mare erano in dieci, poniamo che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta seicento dollari a testa disse il camionista seimila dollari quei dieci corpi valgono quanto un carico intero e il suo amico Huseyn pago' anche per lui prima di coricarsi abbracciati stretto il pane di sesamo in tasca stretto in mano un fiore secco in dieci stretti fra le balle di cotone che ti prende alla gola che ti toglie il respiro... E' cronaca "Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir" e' politica "Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari" e' diplomazia "Accordo con la Grecia sui rimpatri" e' ipocrisia "Roma chiede collaborazione ad Ankara" e' propaganda "Inasprite le pene contro i trafficanti" e' nausea e' rabbia e' dolore sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa in Europa sogneranno il ritorno nella fredda nebbia di Colonia Huseyn bussa a una porta ha da consegnare una cattiva notizia un fiore secco e un pane di sesamo... 7. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA PER UNA REGINA [Nuovamente riproponiamo questa "Ballata per una Regina morta ammazzata sulla strada tra Tuscania e Tarquinia nell'estate del duemilauno" che l'autore scrisse il 3 agosto 2001, alla notizia del ritrovamento del cadavere, scempiato dagli animali selvatici, di una giovane donna prima resa schiava e poi assassinata] Ci sono cose che non sai come dirle e allora le scrivi a righe interrotte. Dilaniata dai randagi la salma e' stata scoperta giorni addietro di una giovane donna nigeriana resa schiava in Italia e venduta come carne e cavita' sulla strada tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe etrusche, le romaniche chiese, le ubertose campagne che vanno alla maremma. Leggo sui giornali gli impietosi dettagli di cronaca nera, gli empi segni di sempre da quando Caino al campo invito' suo fratello. Leggo sui giornali, i giornali locali (non e' notizia da cronaca italiana una persona annientata e abbandonata ai cani: e' invece fatto che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti di petrolio pagine quotidiane). E dunque leggo sui giornali locali: dicono che si chiamasse Regina, venisse dalla Nigeria, presa e recata schiava in italia, dicono chi l'abbia uccisa non sapersi. E invece io so chi l'ha uccisa: anche se non l'ho mai vista ne' da viva ne' ormai resa cosa immota e deturpata. Io so chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti. E non solo l'eventuale fruitore di servigi che in un raptus puo' averle torto il collo a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi e non solo il racket che fornisce carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi che usciti di scuola o dall'ufficio sulle loro carcasse di ferro perlustrano i fiumi d'asfalto alla caccia di prede e non solo lo stato italiano che vede tanto orrore per le sue strade e non agisce per salvare le vite concrete di esseri umani, non agisce per far valere quella legge che vieta nel nostro paese la schiavitu' e non solo. Io stesso mi sento le mani sporche di sangue, io stesso che so che a questo orrore resistere occorre e che da anni non so fare altro che spiegare come applicare quell'articolo della legge 40 combinato con quell'altro articolo del codice penale e come e qualmente le istituzioni potrebbero salvare la vita di tante Regine assassinate. E nulla di piu' ho saputo fare. E queste parole che ho aggiunto avrei voluto tacerle. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 322 dell'11 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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