Voci e volti della nonviolenza. 322



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 322 dell'11 aprile 2009

In questo numero:
1. Non mollare
2. Maurizio Galvani: Bambini nei tombini di Roma
3. Sara Prestianni: Tra Grecia e Turchia
4. Anna Maria Merlo: In Francia
5. Benito D'Ippolito: Litania dei morti in preghiera
6. Dino Frisullo: Cronaca nera
7. Benito D'Ippolito: Ballata per una Regina morta

1. EDITORIALE. NON MOLLARE

L'8 aprile alla Camera dei Deputati non sono passati ne' il prolungamento
dei tempi di detenzione nei campi di concentramento, ne' le ronde
squadriste. Sulle ronde squadriste il governo e' stato costretto a ritirare
la proposta, quanto al prolungamento della detenzione di persone innocenti
nei campi di concentramento un emendamento dell'opposizione ne ha ottenuto
la soppressione.
Si tratta di un risultato - certamente limitato e provvisorio, ma concreto e
rilevante - che conforta l'impegno di tutte le persone che stanno cercando
di contrastare l'introduzione del regime dell'apartheid in Italia, di tutte
le persone che hanno a cuore la legalita' costituzionale, la civilta'
giuridica, lo stato di diritto, l'ordinamento democratico, e - last, but not
least - i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Questa prima sconfitta del blocco razzista e squadrista deve persuadere i
titubanti della possibilita' di contrastare vittoriosamente l'eversione
dall'alto e il razzismo che tende a farsi stato oltre che crimine di strada
e ideologia reazionaria di massa (della massa che si fascistizza, il popolo
delle scimmie di gramsciana memoria).
Occorre persistere nella lotta contro l'apartheid, contro lo schiavismo,
contro i campi di concentramento, contro i provvedimenti illegali e disumani
del cosiddetto "Pacchetto sicurezza".
Occorre continuare ed estendere la mobilitazione per il riconoscimento di
tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
Vale ora e sempre l'appello di Salvemini e dei fratelli Rosselli: non
mollare.

2. UNA SOLA UMANITA' MAURIZIO GALVANI: BAMBINI NEI TOMBINI DI ROMA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "I ragazzi dei
tombini" e il sommario "Storie. Le cartoline afgane dei senza diritti. Il
'tour' dall'Afghanistan al Pakistan, dalla Turchia alla Grecia, miraggio
l'Italia, nel racconto di due giovani profughi, finiti nei tombini della
Stazione Ostiense a Roma]

Le due testimonianze che pubblichiamo sono le narrazioni - anonime per
evitare ritorsioni - raccolte dagli operatori dell'Istituto per la salute
delle popolazioni migranti e il contrasto alla poverta' (Inmp), presso
l'ospedale San Gallicano di Roma.
Il fatto e' che la tragica vicenda dei ragazzi afghani trovati dentro i
tombini alla stazione Ostiense di Roma ha suscitato sgomento e sorpresa. Per
il dottor Aldo Morrone, direttore dell'Inmp "a causa delle guerre globali,
della violenza, della poverta', ormai dovremo aspettarci conseguenze assai
gravi, dato che 200-300 milioni di disperati fuggono in tutti i modi da
queste realta', accettando di vivere condizioni disumane". Il dottor Morrone
parla con l'esperienza di chi opera a Lampedusa, dove l'Inmp e' impegnato
con un equipe di medici e psicologi. "Questi ragazzi afghani - aggiunge -
per arrivare in Italia impiegano piu' di un anno dopo avere iniziato un
lungo e pericolosissimo viaggio attraverso l'Iran, la Turchia, la Grecia e,
infine, l'Italia". Scappano dal loro paese e solo quando giungono in Grecia
alcune organizzazioni danno loro assistenza. In Italia sbarcano ad Ancona
dentro i tir, o nei doppifondi dei camion, o nascosti tra la merce, o legati
con le cinghie agli assi degli autotreni. Non si sa quanti siano a Roma e
come vivano, per Morrone "si calcola che i minorenni (fino a 18 anni,
stabiliti con un esame radiologico del polso) possono essere circa un
centinaio". Il problema e' come intercettarli: non e' facile, soprattutto,
per la lingua che conoscono solo i mediatori. Non conoscono la lingua e
ignorano i diritti di un minore non accompagnato. Alcuni considerano
l'Italia un territorio di passaggio dove sopravvivere per raggiungere la
Germania dove risiede una grande comunita' di afghani.
Il loro e' un tragitto di quasi ottomila chilometri, pagano per andare in un
altro paese; "tuttavia l'Italia sta diventando un paese di residenza".
"Dobbiamo intercettarli. Ci vorrebbero piu' strutture, operatori, risorse di
natura medico-assistenziale, l'attivazione di piu' mediatori linguistici e
culturali". L'Inmp lamenta queste carenze: "bisogna fare in modo che questi
ragazzi non si nascondano e diventino 'clandestini', non alla legge ma a
qualsiasi intervento. Il primo loro diritto e' la tutela (ci deve pensare il
Comune); in secondo luogo devono fare percorsi di sostegno e integrazione".
Il dottor Aldo Morrone - che da anni opera al San Gallicano - insiste su
questo punto perche' vuole rendere visibili quei poveracci che stanno nei
tombini della stazione Ostiense, dove si possono incontrare altre tragiche
realta': rifugiati per tortura, poveri, emarginati sociali. Il rammarico e'
che si fa sempre poco; presso il San Gallicano dal 2006 e' attivo un
servizio di accoglienza per i minori non accompagnati, in collaborazione con
il V Dipartimento del Comune di Roma. In questi due anni sono stati
avvicinati 52 adolescenti (39 provenienti dall'Afghanistan, 4 dall'Etiopia,
6 dall'Eritrea, uno dalla Sierra Leone, un altro dall'India). I motivi del
loro "allontanamento" lo raccontano i medesimi ragazzi: 25 subivano
persecuzione politica, sette sono fuggiti alla guerriglia tra gruppi locali,
dieci sono fuggiti per liti famigliari, dieci sono scappati dalla poverta'.
Le collaboratrici del dottor Morrone, le dottoresse Flavia Dammacco e Paola
Scardella tentano di ricostruire una narrazione della storia di questi
ragazzi. Si cerca di offrire un ambiente abitativo adeguato (una
casa-famiglia, o un centro di accoglienza) per costruire un percorso
integrativo sociale che preveda anche la possibilita' di un lavoro. La
maggior parte delle volte ci si riesce: per legge, un minore straniero non
accompagnato ha diritto all'assistenza e alla tutela. Pero' al compimento
della maggiore eta' questi ragazzi si trovano senza diritti e possono essere
rimpatriati al di la' di quel che riescano a dimostrare di saper fare, a che
punto sia arrivato il percorso di accoglienza e di conoscenza della legge,
costumi e cultura italiana. Volutamente non e' chiamata subito integrazione
"poiche' - sottolineano all'Inmp - il primo successo con questi ragazzi e'
di avere stabilito una relazione; sono in genere impauriti, provengono dalle
esperienze piu' disparate, hanno fatto diversi lavori, hanno perduto i
genitori in tenera eta'". La dottoressa Scardella sostiene che "alcuni
ragazzi hanno impiegato due-tre anni per giungere in Italia: si sono
nascosti per mesi facendo differenti mestieri, anche nei mattatoi
dell'Iran".
Non si puo' trarre una conclusione. Questo problema va sollevato fuori
dall'eccezionalita' per non dover scoprire allarmati che esistono realta'
sommerse quando si deve fare un'opera di bonifica della stazione Ostiense.
Il dottor Morrone lancia una provocazione: la realizzazione nel 2010 (l'anno
contro la poverta') di un incontro-convegno tra Europa, Africa, Asia. Tra
diversi operatori per contrastare attivamente le cause dell'emarginazione.
*
La testimonianza di S. D., 19 anni: Alla fine sono fuggito dai talebani
perche' mi terrorizzavano
Mi chiamo S. D. e sono nato a Ghazni, in Afghanistan; ho 19 anni. La mia
famiglia aveva una macelleria, mio padre inoltre vendeva abiti e alimenti
vari in India, in Pakistan e in Iran e per questo motivo spesso era lontano
da casa. La mia famiglia era benestante e i miei genitori sognavano per noi
un percorso accademico importante. Avevo un fratello e una sorella. Le
donne, per volonta' governativa, non possono studiare e i ragazzi non hanno
possibilita' di scelta se non andare a studiare religione in moschea. Mio
padre durante uno dei suoi viaggi conobbe delle persone le quali
appartenevano a una religione diversa da quella musulmana, cioe' Bahai.
Anche mio padre e noi tutti decidemmo di sposare la religione Bahai. Questa
scelta pero' causo' non pochi problemi con i compagni, con il vicinato ma
anche con i parenti. Io, mio fratello e mia sorella, essendo piccoli, non
capivamo il perche' di alcuni comportamenti.
Nel 1999 i talebani resero nota la loro volonta' di uccidere i comunisti e
tutti coloro che avevano collaborato con essi. Mio zio venne ucciso perche'
faceva parte dei comunisti. I vicini ormai avevano isolato del tutto la mia
famiglia, non accettavano di buon grado la nostra presenza.
La situazione a scuola per me e mio fratello non era delle migliori, anzi.
Un giorno in cui avevo espresso la mia opinione sul far studiare le ragazze,
finii dal preside, il quale mi picchio' con un pezzo di legno fino a
spezzarlo. Mi sospesero per una settimana. Non capivo la non liberta' di
scelta. Ne parlai con l'insegnante di religione. Mi riportarono dal
direttore. Mi buttarono fuori dalla scuola. Quello stesso giorno il nostro
giardino lo riempirono di escrementi. Eravamo disperati. Il nostro macellaio
venne a informarci che piu' nessuno comprava da noi. Decidemmo il
trasferimento altrove, ma la nostra tranquillita' duro' poco, iniziarono a
urlare a insultarci, bussavano continuamente alla nostra casa. Finche' un
giorno non incendiarono il nostro giardino.
Scappammo dal tetto, ci rifugiammo a casa di amici,non tutti eravamo li'.
Mancavano mio fratello e mia sorella. Forse avevano scelto la casa di altri
amici come rifugio. Non li ritrovammo subito. Mia madre rimase in
Afghanistan, io partii per L'Iran da amici di mio padre. Avevo paura. Dopo
cinque giorni sono partito per la Turchia perche' non venivo accettato
neanche in Iran a causa sempre della mia fede religiosa. Con il gommone
partimmo per la Grecia, dove rimasi li' per 18 giorni, e non ricordo bene
dove. Per poter entrare in Italia mi nascosi in un camion, ci sono rimasto
per due giorni. Arrivati a Bari, l'autista decise di abbandonarmi. Avevo
sempre piu' paura, ero solo, non sapevo come e cosa fare. Decisi di venire a
Roma, dormivo per strada.
Stavo male e mi hanno portato al San Gallicano. Nella sala d'attesa sono
svenuto. Mi hanno ricoverato al Fatebenefratelli. Sono stato riconosciuto
come minore. Il centro Astalli mi ha aiutato a trovare una sistemazione...
*
La testimonianza di I. N., 16 anni: La mia famiglia e' andata in pezzi.
Volevo scappare
Mi chiamo I. N. e sono nato a Ghazni in Afghanistan, ho 16 anni. Mio padre
faceva il fabbro, mia madre la casalinga. Un giorno mio padre uscendo di
casa non e' mai piu' ritornato. La situazione per me e mia madre diventava
troppo difficile e pericolosa e su suggerimento di mio zio paterno lo
seguimmo in Pakistan. Mia madre non e' mai stata felice di questa scelta.
Mio zio,oltre alla moglie aveva due figli, un maschio e una femmina, di cui
il primo piu' grande di me e la figlia piu' piccola.
Arrivati in Pakistan abbiamo iniziato subito a lavorare: io lavoravo presso
una fabbrica di tappeti, mia madre lavorava a casa il legno. Fin dall'inizio
il rapporto tra mio zio e mia madre non fu mai buono. Mio zio voleva
sposarsi con mia madre. Continui litigi e torture da parte di mio zio hanno
segnato gli ultimi due anni della vita di mia madre, ammalatasi, inoltre, di
tumore al cervello. Dopo due mesi passati in ospedale mori'.
La situazione personale e lavorativa diventava per me insopportabile,
invivibile. Cosi' chiesi a mia zia paterna un prestito e il numero di
telefono di un nostro cugino che vive in Inghilterra.
Sono scappato in Iran. Per quasi un mese e mezzo ho fatto il muratore
finche' un giorno non ho ricevuto la telefonata di mio cugino
dall'Inghilterra che mi suggeriva di partire verso l'Europa.
Con l'aiuto del mio datore di lavoro il mio viaggio inizia dall'Iran verso
la Turchia dove ci rimango venti giorni per poi ripartire per la Grecia. Ma
la polizia trovandomi mi rispedi' in Turchia, dopo una settimana sono
nuovamente ripartito per la Grecia.
Pero' durante il secondo viaggio, a causa di una tempesta una nave si
scaglio' contro il nostro gommone causando la morte di due miei amici.
Arrivati a Samus in Grecia, mi hanno portato in ospedale, il viaggio
traumatico e la morte dei miei amici mi hanno reso fragile. Sono rimasto sei
giorni in prigione. Mi hanno dato un foglio con il quale potevo andare ad
Atene, da li' dopo un giorno sono ripartito per Patrasso, rimanendoci un
mese. Dopo due tentativi, non riusciti, di entrare in Italia, alla terza
volta sono stato riconosciuto come minore.

3. UNA SOLA UMANITA'. SARA PRESTIANNI: TRA GRECIA E TURCHIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "Le porte
chiuse d'Europa" e il sommario "Sulla frontiera greco-turca con i migranti.
Ogni anno almeno 150.000 clandestini tentano di passare dalla Turchia alla
Grecia e di li' negli altri paesi europei. Ci provano in gommone verso le
isole dell'Egeo, attraverso le montagne, il fiume e i campi minati della
regione di Evros, nascosti nei camion. Di qua, generalmente, li aspettano
violenze ed espulsioni"]

Da un lato la Turchia, dall'altro la Grecia, non c'e' un muro a separare i
due paesi ma il mare e le sue correnti, il fiume e le sue piene, la terra e
le sue mine. Porte d'entrata e d'uscita dei migranti.
Da qui transita chi, in fuga dalla Turchia, vuole arrivare in Europa, ma e'
anche da qui che, nell'ultimo anno, avvengono le deportazioni illegali.
Ogni anno circa 150.000 migranti fuggono dalla Turchia, raggiungendo le
isole del mar Egeo con dei canotti gonfiabili a remi, attraversando il fiume
Evros, valicando le montagne, schivando le mine, nascondendosi, ammassati
uno sull'altro, nei camion. Sono somali, afgani, pakistani, indiani,
iracheni, richiedenti asilo che la Grecia, con un tasso d'accettazione delle
domande pari all'1%, rifiutera'.
Quello che succede alla frontiera greco-turca, le violenze e le espulsioni,
e' stato denunciato negli ultimi anni dall'associazione tedesca Pro Asyle,
da Human Rights Watch e dalle reti antirazziste greche, ma poco e' cambiato.
Il ping pong tra i due paesi continua: chi dovrebbe salvare i migranti in
mare, guardia costiera, polizia nazionale e polizia alle frontiere, continua
a respingerli dal lato turco. Le mine che sono disperse nella regione
d'Evros continuano a mietere vittime, 88 quelle accertate, molte altre
quelle lasciate morire in una no man's land militarizzata. All'ospedale
d'Alexandropoulis, due stanze con tanto di sbarre alle finestre e poliziotto
di guardia, sono riservate ai migranti. Spesso ospitano chi, saltato in aria
su una mina, ha subito un'amputazione degli arti.
Una volta superata la frontiera, molti preferiscono dimenticare cio' che
hanno vissuto. Davanti a loro altre frontiere li aspettano e si potranno
permettere di ricordare solo quando tutto sara' finito, solo quando avranno
trovato, infine, un paese dove ricostruirsi una vita, una vita migliore,
come amano dire.
Fahadi, iracheno, pero' vuole raccontarlo il suo viaggio. E' la terza volta
che parte, ogni volta quando era vicino alla frontiera e' stato rimandato
indietro, due volte dai poliziotti turchi, una volta dai greci. Dopo
l'espulsione il carcere, dove ammassato con altre centinaia di migranti,
resisteva, senza mai dire di essere iracheno, per non essere espulso.
Da qualsiasi valico arrivino, nelle isole o nella regione di Evros, una
volta intercettati vengono portati in un centro di detenzione. Il comandante
della polizia dell'isola di Samos spiega che la durata di permanenza dipende
dalla nazionalita': gli afghani rimarranno nel centro qualche giorno, i
somali qualche settimana, gli iracheni due-tre mesi.
Il centro di detenzione di Venna, a duecento chilometri dalla frontiera, e'
uno dei primi aperto in Grecia, un luogo fatiscente, un ex-deposito di
merce, vicino alla vecchia stazione. Qui viene portato chi e' stato
intercettato alla frontiera, dopo aver attraversato a piedi le montagne e il
fiume Evros, e quelli che, pagando, si sono nascosti nei camion.
Il corridoio e' deserto, i duecento migranti sono rinchiuse in sei grandi
celle, in cui aleggia un odore acre: le finestre non vengono mai aperte.
Dalle celle risuona una musica, incessante, la stessa per tutte le celle,
scelta dal medico del centro per far passare le lunghe ore di attesa: tre
mesi, 90 giorni, 2.160 ore. Dalla penombra risuonano le voci dei migranti
che raccontano la detenzione: due bagni e una doccia per quaranta uomini, un
rasoio al mese per due-tre persone, un'ora d'aria ogni tre giorni.
"Questioni di sicurezza", ci dicono i responsabili del centro, polizia
nazionale e polizia di frontiera. Un giovane pakistano mi mostra il
polpaccio dicendomi di essere stato picchiato perche' si attardava al
telefono, un altro chiede se questo mi sembri un trattamento da riservare a
degli esseri umani.
Dopo tre mesi di detenzione, quasi tutti escono con un foglio di via in
greco che non sanno leggere, e che li invita a ritornare nel loro paese
entro un mese. Tutti continuano il viaggio verso Atene e poi Patrasso, per
scappare dalla Grecia, che i migranti si chiedono se sia veramente Europa,
se si pensa alle violenze, alle condizioni di sfruttamento nel lavoro
(qualche euro per 10 ore nei campi), per l'assenza totale di protezione e
assistenza, per il razzismo. Chi puo' permettersi di pagare fino a 3.000
euro, puo' comprare un documento falso, pagare i trafficanti, corrompere le
autorita' portuali, i camionisti, le compagnie dei traghetti e senza troppi
problemi potra' proseguire, in nave, il suo viaggio in Europa. Qualche mese
fa otto poliziotti del porto di Patrasso sono stati accusati e condannati
per favoreggiamento del traffico di migranti verso l'Italia.
Gli altri, la maggior parte, quelli che i soldi non li hanno, li si incontra
nelle vie di Patrasso, giorno e notte, intenti a cercare la via di accesso
all'Europa, le sbarre in cui infilarsi per entrare nel porto, il camion in
corsa dietro cui correre e saltare, la stazione di benzina in cui
nascondersi e aspettare il momento migliore.
*
Deportazioni illegali in Turchia
Ed e' proprio a Patrasso che ricomincia la giostra delle deportazioni
illegali in Turchia. Nell'ultimo anno la polizia ha fatto delle retate,
rastrellando tra cento e duecento migranti alla volta. Le ultime poco prima
di Natale e a meta' gennaio.
K. ci racconta la storia della sua deportazione in Turchia. Parla
correntemente italiano perche' un anno fa e' riuscito a nascondersi in un
camion fortunato. Dopo 8 mesi in un centro d'accoglienza a Venezia, dove ha
seguito un corso d'avviamento professionale in energie rinnovabili e
meccanica, lo convocano per dirgli che le sue impronte digitali sono state
ritrovate in Grecia e che, secondo il "regolamento Dublino", sara' espulso
ma potra' chiedere asilo una volta arrivato all'aeroporto d'Atene. Con una
carta da richiedente asilo nelle mani, che non da' diritto a nulla, ritenta
la fuga verso l'Italia, per ricominciare questa volta da illegale, avendo
coscienza di non avere piu' nessuna possibilita' se non quella di una vita
da clandestino.
A inizio gennaio mentre sta per entrare al supermercato, viene controllato e
portato nella cella di detenzione del posto di polizia di Patrasso. La'
trova altri cento afghani, arrestati al porto, per le strade, vicino al
campo. Insieme a loro sara' imbarcato sulla nave per Alexandropoulis, ultima
grande citta' prima della frontiera turca.
K. racconta che una volta arrivati nella regione di Evros "ci hanno tolto
tutto quello che poteva far pensare che avevamo vissuto in Grecia: vestiti,
carte telefoniche, documenti, biglietti da viaggio, carte da richiedente
asilo".
Nel cuore della notte, i poliziotti, dotati di binocoli, aspettano che dal
lato turco non vi siano controlli per farli attraversare il fiume, con una
piccola barca, in gruppi di venti. Una volta di la' non resta che
ripercorrere la strada per Istanbul e da li' riprovare, come avevano fatto
giorni, mesi o forse anni prima, a ritornare in Europa.
Ma e' proprio su quella strada che molti dei migranti deportati sono
arrestati dai poliziotti turchi. Nessun elemento per dimostrare che vengono
dalla Grecia, impossibile evitare i centri di detenzione. Oltre alle
condizioni tragiche di permanenza, chi entra nelle prigioni turche non sa
quando ne uscira'. Come la maggior parte dei centri di detenzione, costruiti
alle porte esterne dell'Europa, in Libia, Mauritania, Algeria, Tunisia,
anche quelli turchi non hanno esistenza legale e quindi nessuna regola in
merito alla durata di permanenza. K. ci dice che alcuni dei migranti
deportati sono stati poi espulsi in Afghanistan o lasciati alla frontiera
iraniana della Turchia, nella regione di Van, conosciuta per le violenze che
vi subiscono i migranti in transito.
La pratica delle deportazioni illegali risulta ancora piu' assurda se si
pensa che i due paesi, nel 2001, hanno firmato un "accordo di riammissione"
che prevede che la Turchia riammetta tutti i migranti transitati per il suo
territorio prima di arrivare in Grecia. Ma, secondo il segretario del
ministero degli interni greco, la Turchia non sembra collaborare e solo il
6% dei migranti e' espulso nell'ambito dell'accordo.
Non potendo quindi fare delle "espulsioni legali" la Grecia non esita a
deportare i migranti illegalmente in Turchia. Sara' poi il paese vicino, che
non deve dare conto all'Unione Europea sul trattamento dei migranti e che al
contrario e' spinto da quest'ultima a gestire il controllo delle frontiere,
a fare il lavoro sporco delle espulsioni in paesi in conflitto, come in Irak
e Afganistan.
*
La Grecia, limbo dell'Europa
La Grecia si trasforma per i migranti in una vera e propria trappola. Le
impronte lasciate sono una condanna, significano un'attesa di anni per uno
status di rifugiati che non avranno mai o la fuga verso altri paesi europei.
Il "Regolamento Dublino" ha come effetto principale la distruzione stessa
della protezione internazionale, perche', in nome del principio della
"condivisione del peso" impone il trattamento delle domande ai paesi di
prima frontiera, che sono quelli che meno garantiscono il rispetto dei
diritti fondamentali.
Una volta bloccati in questi paesi non e' cosi' semplice riuscire a
raggiungerne altri, se non a costo di rischiare la vita e a volte di
perderla, come e' successo con i ragazzi schiacciati dalle ruote dei camion
in cui si erano nascosti, a Venezia, Ancona, Bari. Per chi ha attraversato a
piedi la frontiera che separa l'Iran dalla Turchia, e' stato detenuto in
Turchia, ha provato almeno due volte a raggiungere la Grecia, ha
attraversato l'Europa nascosto sotto i camion ed e' stato deportato
illegalmente, il viaggio comincia a durare anni. Il transito spesso si
trasforma in installazione, in vita stanziale e precaria, misera e disperata
come puo' essere nel campo informale degli afghani, dove qualcuno sopravvive
ormai da due-tre anni, senza neppure sapere se sta ancora realmente provando
ad entrare in Italia.
K. finisce la sua storia di deportazione chiedendosi se un giorno trovera'
un posto dove vivere: "Negli ultimi anni non ho fatto altro che scappare e
viaggiare".

4. UNA SOLA UMANITA'. ANNA MARIA MERLO: IN FRANCIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2009 col titolo "Ho aiutato un
sans papier: cinquemila autodenunce" e il sommario "Francia. Le associazioni
di difesa degli immigranti contro la legge che confonde chi aiuta i
clandestini e i passeurs"]

Oltre 5.000 persone si sono autodenunciate, in Francia, per aver aiutato
degli immigrati irregolari, "sans papiers", dando loro ospitalita', un
pasto, qualche soldo. Mercoledi' poi in un'ottantina di citta' ci sono state
manifestazioni: come le autodenunce, intendono protestare contro il "reato
di solidarieta'" istituito dall'articolo L622-1 del codice sull'ingresso e
il soggiorno degli stranieri in Francia. Un articolo poco chiaro, che
permette la confusione tra chi aiuta i clandestini per ragioni umanitarie e
i passeurs che organizzano il traffico umano. L'articolo punisce fino a 5
anni di carcere e 30.000 euro di multa "chiunque avra', attraverso aiuto
diretto o indiretto, facilitato o tentato di facilitare l'entrata, la
circolazione o il soggiorno irregolare di uno straniero in Francia".
Il ministro dell'immigrazione e dell'identita' nazionale, l'ex socialista
Eric Besson, sostiene che la legge mira solo a punire chi partecipa alle
filiere di immigrazione clandestina: in 65 anni di applicazione della legge,
dice, "nessuno e' mai stato condannato in Francia soltanto per aver accolto,
accompagnato o ospitato uno straniero in situazione illegale". Le
associazioni per la difesa degli immigrati lo contraddicono: se e' vero che
le condanne definitive sono poche, di recente numerosi volontari sono stati
fermati dalla polizia. E' successo a operatori di France Terre d'asile, al
responsabile di un gruppo di Emmaus di Marsiglia, a una volontaria dei
Restos du coeur. Nove persone sono state fermate negli ultimi anni a Calais,
dove molti migranti (spesso afghani e iracheni), dopo la chiusura del centro
della Croce Rossa di Sangatte (voluta da Sarkozy quando era ministro degli
interni), vagano sperando di passare la Manica.
Manifestazioni e autodenuncia non sono state organizzate solo da
associazioni piu' combattive, come il Gisti (aiuto giuridico ai sans
papiers) o la Cimade (organizzazione di origine protestante dal glorioso
passato, perche' salvo' molti ebrei durante la seconda guerra mondiale).
Sono in prima linea anche il Secours catholique, la Federation d'entraide
protestante o i Petits Freres des pauvres, tutte organizzazioni
confessionali.
Besson sostiene che la legge non punisce la fraternita', ma la "tabella di
marcia" che ha ottenuto da Sarkozy per il suo ministero prescrive che
quest'anno siano arrestate almeno 5.000 persone per aver favorito
l'immigrazione illegale: le associazioni temono che per rispettare
l'obiettivo, molti soccorritori umanitari vengano presi nella rete. La
"tabella di marcia" di Sarkozy inoltre fissa a 27.000 il numero di
espulsioni di clandestini da realizzare entro l'anno. Le associazioni
denunciano la caccia ai sans papiers, che colpisce intere famiglie con
arresti a volte persino davanti alle scuole.
I socialisti hanno annunciato una proposta di legge che depenalizzi l'aiuto
ai clandestini da parte di chi agisce per "preservare sia l'integrita'
fisica dello straniero sia la sua dignita'".

5. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA
[Nuovamente proponiamo questa litania che l'autore scrisse nell'ottobre
2000, alla notizia del ritrovamento dei cadaveri di sei migranti abbandonati
in una discarica. Inviata questa lettera all'amico suo Dino Frisullo, questi
rispose con la sua che di seguito anch'essa nuovamente si riporta]

Leggo sul giornale la notizia assente
lungo una strada una discarica abusiva
sulla discarica deposti, scaricati
morti asfissiati sei giovani migranti:
sei clandestini, leggo sul giornale
che aggiunge: il tir
partendo in fretta e furia
con una ruota ha calcato il capo spento
di uno dei morti, schiacciandolo
facendone scempio.

Vedo
la scena tutta: la strada, il grande camion
il cumulo maleodorante dei rifiuti
la fretta di sgravare a terra il carico
inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso
le bestemmie masticate in gola
di chi scaglia tra i residui i residui
corpi. Vedo
il camion pesante macigno, il fumo
dei gas di scappamento, il crocchiare
orribile che non posso, non posso dire.
E vedo ancora
come sacchi quei corpi rotti
che attendono l'alba, il giorno, il passaggio
delle automobili, il sole
che alto si leva, il tempo
che passa e che fermenta, finche' viene
qualcuno e si ferma
ed e' tardi.
Poi vedo che arrivano uomini molti,
si fermano auto e furgoni, ed e' tardi.
Vengono le telecamere, le macchine
fotografiche, un momento ancora,
ancora un momento prima di gettare
un velo pietoso, il pubblico cannibale
vuole vedere il sangue, lo scempio.
Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero.
Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo
nero che sembra quasi rosso. E un silenzio
tumescente.

Leggo il giornale, uno dei poveri
cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie
transnazionali cui lo stato ha appaltato
il mercato del diritto a fuggire
dalla morte altra morte trovando,
leggo il giornale uno dei cristi poveri
stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina
da preghiera.

Mentre affogavano tra le balle di cotone
pregavano, pregavano i miseri clandestini.

Ascoltala tu la loro pia preghiera.
Ascoltala tu, che leggi queste righe.
Tu poni mano a far cessar la strage.

Ipocrita lettore, mio simile, mio frate.
Ascoltala tu la voce dei morti
e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage.

6. LUTTI. DINO FRISULLO: CRONACA NERA
[Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici la litania qui
sopra riprodotta; Dino Frisullo gli rispose con la lettera che di seguito
nuovamente ripubblichiamo.
Dino Frisullo (1952-2003), impegnato nel movimento antirazzista e per i
diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle
associazioni "Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con
il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003
nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino
Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; Se questa e'
Europa, Odradek, Roma 1999; postumo e' apparso Sherildan, La citta' del
sole, Napoli 2003. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nei
nn. 577 e 1008 de "La nonviolenza e' in cammino"]

Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta nel porto a Patrasso
profumo di casa
garanzia di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo.
Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia,
e il primo italiano che vide
vestiva la divisa di polizia di frontiera
e fu anche l'ultimo.
Respingeteli, disse,
Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo
guardo' a terra poi si volse
perche' un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva gia' usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell'eco delle bombe
Qendaqur come Halabje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola, la famiglia in Germania,
con lei aveva sognato l'Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni
e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halil
divise verdeoliva
nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca
e poi liberi
corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin
ogni mezzora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce di notte tre notti
trenta posti di blocco
da Mardin fino a Istanbul,
e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi
fra ubriachi che russano e scarafaggi
per la prima volta avevano fatto l'amore
e per l'ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti
lei gliene regalo' uno
come fosse una rosa di maggio.
Fu all'alba che vennero a prenderli
taxi scassati il cielo grigio del Bosforo
poi a piedi verso un'altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia l'acqua del Meric
ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra,
di la' la Grecia l'Europa
e' calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott'acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell'inferno.
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric
mentre si nascondeva nel canneto
perche' i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi e' la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
In Grecia l'uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
a piedi di notte fino a Salonicco
un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
e' bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era piu' bella
piu' profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena sul mare
di la' c'e' l'Europa davvero
gli ultimi soldi per il biglietto per Bari
Ali il mare non l'aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ma un uomo non ha paura
e il cielo dal mare non e' poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa piu' paura la polizia di frontiera
"ez kurd im"
"ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari,
chiudeteli dentro, che non scendano a terra
senno' chiedono asilo..."
E' triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E' duro esser kurdi
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
seimila dollari quei dieci corpi
valgono quanto un carico intero
e il suo amico Huseyn pago' anche per lui
prima di coricarsi abbracciati
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti prende alla gola
che ti toglie il respiro...

E' cronaca
"Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir"
e' politica
"Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari"
e' diplomazia
"Accordo con la Grecia sui rimpatri"
e' ipocrisia
"Roma chiede collaborazione ad Ankara"
e' propaganda
"Inasprite le pene contro i trafficanti"
e' nausea e' rabbia e' dolore

sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa
in Europa sogneranno il ritorno

nella fredda nebbia di Colonia
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un fiore secco
e un pane di sesamo...

7. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA PER UNA REGINA
[Nuovamente riproponiamo questa "Ballata per una Regina morta ammazzata
sulla strada tra Tuscania e Tarquinia nell'estate del duemilauno" che
l'autore scrisse il 3 agosto 2001, alla notizia del ritrovamento del
cadavere, scempiato dagli animali selvatici, di una giovane donna prima resa
schiava e poi assassinata]

Ci sono cose che non sai come dirle
e allora le scrivi a righe interrotte.

Dilaniata dai randagi la salma
e' stata scoperta giorni addietro
di una giovane donna nigeriana
resa schiava in Italia e venduta
come carne e cavita' sulla strada
tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe
etrusche, le romaniche chiese, le ubertose
campagne che vanno alla maremma.

Leggo sui giornali gli impietosi
dettagli di cronaca nera, gli empi
segni di sempre da quando Caino
al campo invito' suo fratello.

Leggo sui giornali, i giornali locali
(non e' notizia da cronaca italiana
una persona annientata e abbandonata ai cani:
e' invece fatto
che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo
sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti
di petrolio pagine quotidiane).

E dunque leggo sui giornali locali:
dicono che si chiamasse Regina, venisse
dalla Nigeria, presa e recata
schiava in italia, dicono
chi l'abbia uccisa non sapersi.

E invece io so chi l'ha uccisa:
anche se non l'ho mai vista ne' da viva ne' ormai resa cosa
immota e deturpata. Io so
chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti.

E non solo l'eventuale fruitore di servigi
che in un raptus puo' averle torto il collo
a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi

e non solo il racket che fornisce
carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi
che usciti di scuola o dall'ufficio
sulle loro carcasse di ferro perlustrano
i fiumi d'asfalto alla caccia di prede

e non solo lo stato italiano che vede
tanto orrore per le sue strade
e non agisce per salvare le vite
concrete di esseri umani, non agisce
per far valere quella legge che vieta
nel nostro paese la schiavitu'

e non solo.
Io stesso mi sento le mani
sporche di sangue, io stesso che so
che a questo orrore resistere occorre
e che da anni non so fare altro
che spiegare come applicare
quell'articolo della legge 40
combinato con quell'altro articolo
del codice penale e come e qualmente
le istituzioni potrebbero salvare
la vita di tante Regine assassinate.
E nulla di piu' ho saputo fare.

E queste parole che ho aggiunto
avrei voluto tacerle.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 322 dell'11 aprile 2009

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