Minime. 786



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 786 del 10 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal terremoto
2. Fulvio Vassallo Paleologo: Un sussulto di dignita'
3. Errata corrige
4. Serena Corsi: Stupri "correttivi"
5. Serena Corsi intervista Phumi Mtetwa
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Letture: Cesare Cozzo, Introduzione a Dummett
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. RIFERIMENTI. PER LA SOLIDARIETA' CON LA POPOLAZIONE COLPITA DAL TERREMOTO

Per la solidarieta' con la popolazione colpita dal sisma segnaliamo
particolarmente il sito della Caritas italiana: www.caritasitaliana.it e il
sito della Protezione civile: www.protezionecivile.it, che contengono utili
informazioni e proposte.

2. UNA SOLA UMANITA'. FULVIO VASSALLO PALEOLOGO: UN SUSSULTO DI DIGNITA'
[Dalla newsletter news at sinistra-democratica.it riprendiamo il seguente
intervento col titolo "Ci riproveranno e falliranno di nuovo"]

1. Finalmente il Parlamento italiano ha avuto un sussulto di dignita' e si
e' liberato dai pesanti condizionamenti imposti dal governo che vorrebbe
limitare in tutti i modi la liberta' di voto dei parlamentari. E non si
tratta solo della bocciatura delle ronde, misura che presto sara' comunque
riproposta con un disegno di legge.
In occasione della conversione del decreto legge n. 11, emanato il 23
febbraio scorso, "recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e
di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori",
nel quale era stata inserita, con una manovra pretestuosa al limite della
costituzionalita', anche la norma che prolungava fino a 180 giorni la
detenzione amministrativa per gli immigrati irregolari in attesa di
espulsione, il governo e' stato battuto proprio sull'art. 5 che prevedeva la
estensione del tempo massimo di trattenimento degli immigrati irregolari nei
Cie. L'emendamento contrario presentato dall'opposizione e' stato approvato
a scrutinio segreto con 232 voti a favore e 225 contrari. Dodici gli
astenuti, di cui dieci dell'Italia dei valori (su 22 presenti). Un voto che
colloca una parte di Italia dei valori in una posizione di incolmabile
distanza rispetto alle battaglie per i diritti fondamentali dei migranti che
in questi anni sono state fatte per la chiusura o quantomeno il
"superamento" dei Cie. Un voto di astensione che pesera' alle prossime
elezioni europee. Sarebbero 17 invece i deputati del Pdl che hanno votato
con l'opposizione contro l'art. 5 del provvedimento, una norma che nei
giorni passati aveva suscitato forti riserve anche nel Consiglio Superiore
della Magistratura. Una norma che si doveva approvare ad ogni costo anche
per dare una copertura a posteriori alle prassi illegittime adottate
nell'isola di Lampedusa, dove si trovano ancora migranti rinchiusi da
gennaio in un Cie "provvisorio", che non e' neppure un vero Cie, perche' non
e' stato costituito secondo le procedure indicate dall'art. 14 del Testo
Unico sull'immigrazione, ma con un decreto "fantasma" del ministro
dell'interno. Mentre i lavori per la costruzione del nuovo Cie alla vecchia
base Loran sono stati bloccati dopo un esposto di Legambiente che lamentava
il mancato rispetto dei vincoli ambientali.
Adesso, come altre volte in passato, il ministro Maroni invochera' la
normativa comunitaria e in particolare la Direttiva sui rimpatri n. 115 del
2008, per tentare ancora di introdurre il prolungamento della detenzione
amministrativa, agitando la spauracchio di un "indulto" per persone che non
hanno commesso alcun reato, perche' il Parlamento non ha ancora approvato la
norma che introduce in Italia il reato di immigrazione clandestina. Ma, per
il ministro, il voto del Parlamento su questo provvedimento e' probabilmente
gia' scontato, come era scontata l'approvazione oggi della norma che
prevedeva l'allungamento dei termini della detenzione amministrativa nei
Cie. E adesso la Lega Nord riprovera' a condizionare la maggioranza e
l'intero Parlamento riproponendo la stessa norma bocciata dal voto della
Camera. Ed alla fine, forse, il prolungamento dei tempi di detenzione
amministrativa per gli immigrati in attesa di espulsione sara' approvato.
Per questa ragione e' necessario non fermarsi oggi a constatare la sconfitta
del governo, ma approfondire le motivazioni e la relazione tecnica relativa
alla norma che oggi e' stata bocciata, perche' quella stessa norma, si puo'
starne certi, sara' riproposta quanto prima, magari nello stesso decreto e
con un voto di fiducia, come ha gia' annunciato il ministro La Russa.
Dunque, dopo l'euforia, in qualche caso anche eccessiva, occorre preparare
la risposta alla prossima iniziativa del governo, poiche' su questi temi non
cederanno di un millimetro neppure davanti all'evidenza del loro fallimento.
L'opinione pubblica va informata del fatto che le direttive o i regolamenti
comunitari non impongono affatto l'inasprimento della normativa italiana
riguardante la detenzione amministrativa, ne' tantomeno l'introduzione del
reato di immigrazione clandestina, una misura che potrebbe avere addirittura
effetti criminogeni moltiplicatori della clandestinita' e dei reati ad essa
connessi.
E sarebbe anche bene fare conoscere i dettagli sul prolungamento dei tempi
di detenzione amministrativa nei Cie, contenuti nella "Relazione tecnica"
allegata al disegno di legge n. 2232 che entro il 23 aprile prossimo
dovrebbe convertire il decreto legge n. 11 del 2009. Uno sforzo di analisi,
a margine di una norma che oggi il Parlamento ha bocciato, ma che intanto
rimane in vigore fino alla data di scadenza del decreto legge che la
contiene, in modo che tutti possano valutare, cifre alla mano, la
credibilita' e i costi (non solo economici) delle politiche contro gli
immigrati portare avanti dal governo attualmente in carica.
*
2. L'art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione Europea a salvaguardia dei
diritti dell'uomo afferma che "nessuno puo' essere privato della liberta',
salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge", tra i casi
elencati ricorre appunto l'ipotesi dell'arresto o della detenzione
"regolari" di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel
territorio, o di una persona contro la quale e' in corso un procedimento
d'espulsione o di estradizione. Ogni persona arrestata o detenuta in base a
questa previsione "deve essere tradotta al piu' presto dinanzi ad un giudice
o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni
giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o
di essere messa in liberta' durante la procedura".
Secondo l'art. 5 comma 4, della stessa Convenzione, "ogni persona privata
della liberta' mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un
ricorso davanti ad un tribunale, affinche' decida entro breve termine sulla
legittimita' della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la
detenzione e' illegittima". Tutta la formulazione di questa norma si pone in
contrasto con il prolungamento della detenzione amministrativa fino ad un
termine tanto lungo da non risultare certamente finalizzato alla esecuzione
della misura di allontanamento. In realta' quello che il governo italiano
vuole e' la trasformazione della funzione stessa della detenzione
amministrativa, non piu' uno strumento per rendere effettivi le espulsioni o
i respingimenti, ma uno strumento propagandistico per infondere sicurezza
nei cittadini, anche quando si rischia di sortire nei fatti il risultato
opposto di ampliare ulteriormente le aree di clandestinita' e la devianza
sociale.
In base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, se
l'art. 5 comma 1 lettera f della Convenzione Europea a salvaguardia dei
diritti dell'uomo (Cedu) ammette la detenzione amministrativa "regolare" di
una persona "contro la quale e' in corso un procedimento d'espulsione o
d'estradizione", occorre tuttavia che la misura limitativa della liberta'
sia "proporzionata ed adeguata", e che abbia una durata commisurata
all'esigenza di assicurare le misure di allontanamento forzato.
Secondo la Corte Europea dei diritti dell'uomo, una violazione dall'art. 5
potra' risultare sia da una detenzione amministrativa "non conforme"
rispetto a tali criteri, che dalla mancanza di un ricorso effettivo. Secondo
l'art. 5.4 della Cedu "ogni persona privata della liberta' mediante arresto
o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinche'
decida entro breve termine sulla legittimita' della sua detenzione e ne
ordini la scarcerazione se la detenzione e' illegittima". Ogni persona
vittima di arresto o di detenzione arbitraria "ha diritto ad una
riparazione". Anche in questo caso viene richiamato il principio che la
decisione deve giungere entro un breve termine, e non certo dopo mesi e mesi
dall'inizio del trattenimento, sia pure come "ospiti", in un centro di
detenzione amministrativa.
Gli accordi di Schengen non impongono in Italia i centri di permanenza
temporanea (oggi definiti come centri di identificazione ed espulsione:
Cie), ma solo che i singoli paesi che aderiscono all'intesa si dotino di
misure di accompagnamento forzato "efficaci". Anche se la direttiva
(2008/115/CE) sui rimpatri forzati che l'Unione Europea ha approvato alla
fine del 2008, contiene la previsione della detenzione amministrativa per
gli immigrati irregolari, addirittura fino ad un periodo di diciotto mesi,
la stessa direttiva richiama il principio della adeguatezza e della
proporzionalita' delle misure di allontanamento forzato (art. 15) ed afferma
che il rimpatrio forzato deve costituire la soluzione estrema dopo il
tentativo di rimpatrio volontario che va comunque tentato.
Gli scopi di armonizzazione della normativa comunitaria appaiono comunque
ancora ben lontani dall'essere raggiunti, se solo si pensa che la direttiva
non stabilisce un termine minimo di detenzione amministrativa, e rimette ai
legislatori nazionali la decisione di attribuire effetto sospensivo al
ricorso contro il provvedimento di allontanamento forzato. In ogni caso la
direttiva 2008/115/CE deve essere ancora attuata nel nostro ordinamento, ed
una normativa interna che risultasse in contrasto con quanto previsto dalla
direttiva, prima o dopo la sua implementazione, potrebbe esporre l'Italia ad
una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione
Europea.
*
3. La presentazione e la Relazione tecnica del Disegno di legge n. 2232 di
conversione del Decreto legge n. 11 del 2009, con particolare riferimento
all'art. 5 che riguardava il prolungamento a sei mesi della detenzione
amministrativa nei Cie, conferma la portata demagogica del provvedimento, i
costi assai rilevanti e la sua efficacia nulla, se non i suoi effetti
controproducenti rispetto alle ansie di questo governo e della maggioranza
che lo sostiene, di liberarsi nel piu' breve tempo possibile del maggior
numero di immigrati irregolari. Quando forse sarebbe piu' rispettoso per la
dignita' delle persone e piu' conveniente per le finanze pubbliche
introdurre percorsi di emersione dalla irregolarita' e di regolarizzazione
permanente a regime. Oltre al doveroso ripristino delle quote di ingresso
annuali per lavoro a tempo indeterminato. Ma tutta l'attenzione di questo
governo e' allocata oggi sulle misure di allontanamento forzato e di
detenzione amministrativa, con i costi che ne conseguono.
Secondo quanto asserito nella presentazione del provvedimento di
conversione, la disposizione introdotta dall'art. 5 (il prolungamento della
detenzione amministrativa fino a sei mesi) sarebbe stata giustificata (oltre
che per il rischio che autori di gravi delitti, usciti dal carcere senza
essere stati identificati, neppure avrebbero potuto esserlo nei sessanta
giorni di detenzione nei Cie), dalla specifica situazione determinata a
Lampedusa non dall'aumento degli arrivi di migranti, ma dalla improvvida
trasformazione del Centro di prima accoglienza e soccorso in un Cie
provvisorio, voluta dal ministro Maroni a gennaio di quest'anno.
La nuova disciplina prevista dall'art. 5, oggi bocciato dalla Camera,
contenuta nel decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009, appariva "urgente
perche' vi e' l'elevata probabilita' che nella sola isola di Lampedusa
centinaia di stranieri irregolari, proprio per le difficolta' relative alle
modalita' di rimpatrio, tornino in circolazione entro la fine di marzo". In
realta' molti di quei migranti sono stati "spalmati" in diversi Cie italiani
e da quel momento le proteste ed i tentativi di autolesionismo non si
contano piu'. Solo una minima parte dei migranti sbarcati in questi primi
mesi dell'anno in Sicilia e' stata effettivamente rimpatriata nei paesi di
origine.
Ma non era stato assicurato che dopo gli accordi con la Libia e la Tunisia
il flusso di immigrati verso Lampedusa sarebbe cessato, e che gli immigrati
trattenuti a Lampedusa sarebbero stati rimpatriati prontamente, soprattutto
dopo la missione del ministro Maroni a Tunisi? Scopriamo adesso, anche dai
dati ufficiali del ministero, che i rimpatri effettuati verso la Tunisia
sono alcune decine alla settimana, quando avvengono, ed e' a tutti noto che
i rimpatri verso la Libia sono vietati dalle Convenzioni internazionali, e
che oltre il 70% di coloro che provengono da quel paese sono richiedenti
asilo, che quindi hanno diritto ad essere accolti e non certo ad essere
gettati in un Cie o, peggio, respinti nelle mani di quella polizia libica
che e' nota nel mondo per gli abusi sistematici che commette ai danni dei
migranti.
Nella relazione allegata al Disegno di legge n. 2232 all'esame della Camera
dei Deputati, nella parte dedicata all'art. 5, si legge che "attualmente i
centri di identificazione e di espulsione (Cie) operativi sono dieci, per un
totale di 1.160 posti disponibili". Una notizia molto interessante, seguita
da proiezioni non meno interessanti. Sulla base dei dati relativi al 2007 si
sostiene quindi che il tempo medio di permanenza sarebbe stato di 27 giorni
e che "con il prolungamento previsto dalla disposizione si ritiene che una
stima prudenziale per determinare un nuovo tempo medio di permanenza possa
individuarsi in quattro volte il tempo medio attuale (30 giorni per 4 = 120
giorni)". Sempre secondo la relazione tecnica "ipotizzando, pertanto, un
periodo di trattenimento medio pari a centoventi giorni - corrispondente a
quattro mesi di trattenimento - per garantire la stessa capacita' recettiva
con il nuovo tempo di permanenza il sistema dovra' avere un incremento di
3.480 nuovi posti".
Oltre ai mille posti, da ottenere con interventi di riadattamento, gia'
finanziati dalla legge 186 del 2008, "anche al fine della piu' rapida
attuazione della normativa europea che consente il trattenimento degli
stranieri da espellere fino a diciotto mesi", sarebbero dunque da costruire
nuovi Cie per 1.500 posti e ristrutturare edifici esistenti (come la ex base
Loran di Lampedusa) per i restanti 980.
Tutto questo "sistema" ampliato dei Cie servirebbe solo per mantenere
l'attuale capacita' recettiva (ma non espulsiva) del "sistema", prolungando
a sei mesi la detenzione amministrativa. Prolungamento dei tempi di
detenzione amministrativa che non equivale certo ad una maggiore efficacia
delle procedure di espulsione, perche' se manca la collaborazione dei paesi
di provenienza sessanta giorni sono gia' troppi, e neppure diciotto mesi
potranno consentire il rimpatrio effettivo dei destinatari dei provvedimenti
di espulsione o di respingimento quando gli stessi paesi di provenienza non
abbiano intenzione di collaborare.
E' peraltro noto che attualmente meno della meta' degli immigrati trattenuti
nei Cie italiani  viene effettivamente accompagnata in frontiera e dunque
l'inasprimento della durata della detenzione amministrativa produrrebbe solo
l'effetto di esacerbare le condizioni di trattenimento senza incrementare di
una sola unita' la effettiva "capacita' espulsiva" delle autorita'
amministrative italiane.
Soltanto per la realizzazione dei nuovi Cie per 1.500 posti, ammesso che le
Regioni non si oppongano, l'art. 5 oggi bocciato dal Parlamento avrebbe
comportato una spesa di 117 milioni di euro, mentre 22 milioni di euro
sarebbero stati necessari per la ristrutturazione degli edifici esistenti.
Ed a queste somme si dovrebbero aggiungere altre decine di milioni di euro
per realizzare i mille nuovi posti previsti dalla legge 186 del 28 novembre
2008, questi gia' utilizzabili, con i "brillanti" risultati che si possono
verificare con i lavori di adattamento fermati a meta' nella ex base Loran
dell'isola di Lampedusa.
Insomma sarebbero stati (e forse saranno) necessari oltre duecento milioni
di euro per moltiplicare i Cie e finanziare un prolungamento dei tempi della
detenzione amministrativa che non farebbe aumentare significativamente, come
si puo' verificare dopo il fallimento degli accordi con la Tunisia, il
numero degli immigrati effettivamente accompagnati in frontiera. Tralasciamo
i maggiori costi da prevedere per le convalide "a ripetizione" da parte dei
giudici di pace, per i difensori d'ufficio e per gli interpreti, anche
perche' nell'immediato non sembra proprio che il numero degli stranieri
complessivamente internati nei Cie possa aumentare in modo significativo. Si
tratta di altre centinaia di migliaia di euro, per i primi anni e poi dal
"2012 e seguenti", quando l'intero sistema andra' a regime... anche alcuni
milioni di euro all'anno (esattamente nel 2012 4.872.000 per il patrocinio a
spese dello stato e per l'interpretariato). Ma si potra' risparmiare sempre
sul patrocinio legale "in considerazione della contenuta complessita'
dell'assistenza legale connessa alla ripetitivita' delle udienze di
convalida ogni sessanta giorni di permanenza". Che noia, con gli avvocati di
ufficio che non dicono neppure una parola per difendere i loro assistiti, al
punto che nei moduli prestampati non c'e' neanche un rigo per le loro
opposizioni. Ed i diritti di difesa degli immigrati?
A guardare bene nella relazione tecnica allegata al provvedimento di
conversione del Decreto Legge n. 11 del 2009, si coglie un altro elemento
che fa comprendere bene quale avrebbe potuto essere (e quale probabilmente
sara') l'effettivo impatto nel tempo di questo provvedimento, o di altri
similari che il Governo riesca ad approvare entro la prossima estate, magari
con l'ennesimo voto di fiducia o con un decreto "omnibus" per tutti gli usi,
che costituisce ormai lo strumento privilegiato per superare i dubbi
crescenti, anche nella maggioranza, sulla portata xenofoba e criminogena
delle norme introdotte in questo ultimo anno in materia di immigrazione ed
asilo.
La Relazione tecnica del Disegno di legge di conversione del D.L. 11 del
2009 distribuisce infatti in un quadriennio (2009-2012) gli oneri previsti
per l'aumento dei posti nei centri di identificazione ed espulsione, e
dunque solo in questo periodo si sarebbe verificata la effettiva attivazione
di tali posti, e degli stessi Cie che li dovrebbero contenere. Ed e' ben
nota la lunga durata di costruzione o di riadattamento di un Cie, come
conferma l'esperienza di Torino, di Modena, ed adesso anche di Lampedusa,
con il blocco dei lavori alla ex base Loran per violazione delle norme
sull'ambiente. Dunque erano stati previsti almeno quattro anni perche' le
misure che il governo voleva, e ancora vuole, adottare con la massima
urgenza, addirittura utilizzando lo strumento della decretazione d'urgenza,
potessero trovare copertura finanziaria e strutture idonee per la loro
concreta realizzazione.
Il dato piu' sconcertante contenuto nella relazione tecnica riguardava
proprio il 2009: "in tale anno non si renderanno operativi nuovi posti nei
Cie", e dunque si restera' ai 1.160 posti attualmente disponibili, o al
massimo, in realta', se ne potranno attivare un migliaio, in virtu' della
legge 186 del 2008 che permette di ristrutturare edifici gia' esistenti,
come caserme o basi militari, sempre troppo poco per reggere l'aumento della
durata della detenzione amministrativa, soprattutto se il governo, per
vendicarsi della sonora sconfitta di oggi, riproporra' nello stesso decreto
un prolungamento ulteriore dei tempi di detenzione amministrativa.
Una concezione invero singolare della democrazia parlamentare, che autorizza
l'esecutivo a peggiorare per spirito di rivalsa le proprie proposte gia'
bocciate dalle aule parlamentari, per imporle poi con la decretazione
d'urgenza ed il voto palese di fiducia.
*
4. Non sappiamo se dal prossimo 15 maggio le sei motovedette donate al
governo libico permetteranno un effettivo blocco dell'immigrazione
clandestina, come garantito dal ministro Maroni, certamente pero', quale che
sia l'andamento degli arrivi, con le proiezioni di spesa e con i dati
desumibili dai documenti ufficiali, non sembra credibile che il numero degli
immigrati effettivamente espulsi dall'Italia attraverso i Cie possa
aumentare significativamente nei prossimi anni.
Quello che e' certo, e' che il clima di violenze e gli atti di
autolesionismo all'interno dei centri di detenzione amministrativa non
potra' che aggravarsi ulteriormente. Da Milano a Lampedusa ormai e' un
susseguirsi di rivolte, tentativi di fuga ed atti di autolesionismo che solo
una ferrea censura riesce a nascondere all'opinione pubblica. Ed al governo
non restera' forse che moltiplicare i centri di detenzione amministrativi
camuffati come centri di prima accoglienza finanziabili con la legge Puglia
del 1995, una "prima accoglienza" dietro le sbarre, che potra' durare magari
anche mesi, senza lo straccio di un provvedimento di respingimento o di
trattenimento. E dove non ci saranno sbarre e porte di ferro saranno
impiegati i manganelli per delimitare gli spazi e stabilire le regole di
comportamento.
Oppure potrebbe verificarsi un'altra circostanza, e le prime avvisaglie sono
gia' percepibili nei centri di detenzione siciliani. Per fare posto ai nuovi
arrivati potrebbero essere rimessi in liberta' gli immigrati trattenuti da
maggior tempo, e/o per i quali sia ormai chiaro che i paesi di origine non
forniranno i documenti di riconoscimento e di viaggio necessari per il
rimpatrio. Magari, qualcuno riterra' di risolvere il problema, e nascondere
il fallimento delle politiche annunciate per placare l'ansia di sicurezza
della opinione pubblica, consegnando agli immigrati rimessi in liberta'
l'intimazione "a lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale". Un
invito a nascondersi nella clandestinita', oppure un ordine impossibile da
eseguire per chi si trova privo di mezzi e senza documenti di identita'.

3. ERRATA CORRIGE

Nell'editoriale di ieri per una svista dovuta alla fretta il voto alla
Camera che ha respinto alcune norme razziste e squadriste del cosiddetto
"pacchetto sicurezza" e' stato riferito ad un atto legislativo diverso da
quello su cui effettivamente si e' votato. Dell'errore di fatto ci scusiamo
con i lettori. Il ragionamento li' svolto resta naturalmente interamente
valido.

4. SUDAFRICA. SERENA CORSI: STUPRI "CORRETTIVI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2009 col titolo "Sudafrica e
violenza. Johannesburg: lo 'stupro correttivo'. Donne e gay i bersagli nella
metropoli sudafricana Sono passati solo 15 anni dalla nuova Costituzione che
sul piano dei diritti civili e della differenza sessuale era la piu'
avanzata del mondo. Eppure sembrano passati 15 secoli. Gli omosessuali,
soprattutto le donne, subiscono ogni genere di abuso nella piu' completa
impunita'. Gli stupri sono 500.000 ogni anno"]

Churchill la definiva "una Montecarlo incastonata sulla sommita' di Sodoma e
Gomorra". Sono passati piu' di settant'anni dalla definizione, che pero' e'
ancora assai vicina alla realta'. Johannesburgh e' la capitale economica,
politica e culturale di un continente intero. Ricca di opportunita' non solo
finanziarie: cosmopolita, stimolante, vibrante di un repertorio musicale e
culturale da antologia. Ma e' anche, dati alla mano, la citta' piu'
pericolosa del paese piu' pericoloso e violento (forse) del mondo, nonche'
la capitale planetaria delle violenze sessuali.
Del triste primato e della natura ambivalente e contraddittoria della citta'
potrebbe parlare a lungo la comunita' gay che dalla fine dell'apartheid e'
piovuta qui da tutta l'Africa a godersi i frutti di una rivoluzione riuscita
e che, per una volta, non aveva lasciato indietro i diritti civili relativi
all'identita' sessuale: grazie all'indomabile attivismo di quell'esigua
minoranza omosessuale che, da dentro l'African national congress, riusci' a
far entrare nella Costituzione del 1994 - la prima democratica in quattro
secoli di storia - chiari riferimenti ai pari diritti per le coppie
omosessuali, compreso il matrimonio.
Come per tanti altri aspetti del Sudafrica odierno, pero', dal 1994 sembrano
passati 15 secoli, piu' che 15 anni. Johannesburg da paradiso della
tolleranza sessuale si e' trasformata in un inferno per la comunita' gay e
soprattutto lesbica. Uno sport abominevole si e' diffuso nelle township: e'
il cosiddetto "stupro correttivo", ai danni di donne omosessuali da
"riportare sulla giusta strada". I casi denunciati a Johannesburg dal 2007 a
oggi sono 31, ben 24 dei quali conclusi con l'omicidio della vittima. Ma
quelli reali sono sicuramente molti di piu': gia' perseguitata dallo stigma
dell'omosessualita', la vittima, quando sopravvive, ha difficolta' a
denunciare il suo stupro come "correttivo", anche se i suoi aguzzini non le
hanno lasciato dubbi in proposito.
Il 7 luglio del 2007 vennero trovate stuprate e uccise a colpi d'arma da
fuoco due note attiviste lesbiche, Sizakele Sigasa e Salome Masoa. Fu il
primo caso che attiro' l'attenzione mediatica e che diede inizio alla
campagna di sensibilizzazione sugli "stupri correttivi", che prese il nome
dalla data del duplice omicidio: 7/7/7. Ma la vera bomba mediatica fu il
caso di Eudy Simelane, capitana della nazionale femminile di calcio
sudafricana, le Bafana Bafana. L'alba del 28 aprile 2008 Eudy fu trovata
seminuda e uccisa con 25 coltellate in un campo di Rya Thema, la township da
cui proveniva e in cui ancora vive sua madre. Eudy era anche una nota
attivista per i diritti delle omosessuali e la sua brutale uccisione, ed il
luogo in cui e' avvenuta - la township in cui esplose il movimento gay negli
anni '80 - scossero tutto il paese. Il caso, mediante pressione diretta
dell'Anc, fu risolto dalla polizia in pochissimi giorni. Al contrario delle
decine di quelli impigliati per anni nelle maglie della giustizia.
Contro l'impunita' assoluta che circonda la violenza sulle donne e' nata la
campagna "1 of 9", una su nove, a sostegno di quella donna ogni nove vittime
di violenza che, nonostante tutto, decide di perseguire il proprio aguzzino
giudiziariamente. In questo, al lavoro dell'Equality Project (un programma
per la difesa dei diritti degli omosessuali) e' profondamente intrecciato
quello di Powa (People Opposing Women Abuse), un'organizzazione ormai
trentennale che lotta contro la violenza sessuale in Sudafrica. Che non e'
piu' solo un crimine, ma un'epidemia. I numeri parlano da soli: circa
500.000 stupri all'anno, uno ogni venti secondi. Le donne sudafricane che
hanno gia' subito una violenza sessuale sono piu' di quelle che sanno
leggere e scrivere. "E piu' stupri avvengono - commenta amaramente Carrie,
di Powa - piu' gli stupratori sanno che hanno probabilita' di farla franca".
E di diventare una minaccia ulteriore per la donna che li ha denunciati.
Basta pensare a quello che e' accaduto alla donna che nel 2005 accuso' Jacob
Zuma (l'attuale presidente dell'Anc che, con ogni probabilita', sara' eletto
presidente del Sudafrica tra meno di un mese): le sue foto venivano bruciate
da una folla inferocita fuori dal tribunale durante le udienze del processo.
Zuma fu assolto (anche se le organizzazioni per i diritti umani protestarono
per diverse anomalie procedurali nel processo) e la donna fu costretta ad
abbandonare il paese per la quantita' di minacce ricevute, per lo piu' da
gente comune: aveva osato far rischiare la galera al lider maximo.
Che un personaggio simile sia a un passo dalla presidenza la dice lunga
sulla subcultura che serpeggia nel paese, e sulla lotta contro i mulini a
vento condotta da organizzazioni come Powa ed Equality Project. In un video
girato dalla ong Action Aid e dal giornale inglese "The Guardian" in una
township di Johannesburg piu' di un intervistato afferma che se non ha mai
stuprato a sua volta, e' perche' non ne ha mai avuto il tempo. E agli
"stupri correttivi" ai danni delle omosessuali si aggiunge la pagina oscura
di quelli "guaritivi" ai danni delle giovanissime: e' nozione popolare che
il sesso con una vergine guarisca dall'Aids, che nei quartieri poveri delle
citta' arriva a colpire un abitante su dieci.
Gia', i quartieri poveri. Perche' se e' vero che la violenza endemica in
Sudafrica costringe i bianchi e la nuova elite nera a rinchiudersi in
quartieri blindati, lo e' altrettanto che, in realta', la stragrande
maggioranza dei crimini violenti avviene nelle township e nelle baraccopoli
abusive. Tra vicini di casa. E le donne, come ovunque nel mondo, sono il
bersaglio piu' facile. Quelle povere e disoccupate hanno piu' probabilita'
statistica di subire violenza; fra le povere e disoccupate, quelle
provenienti da altri paesi sono le piu' minacciate. Negli attacchi xenofobi
esplosi nel maggio scorso ad Alexandra (una township di Johannesburg) un
dato tralasciato dai grandi media fu proprio quello relativo alle donne,
target preferito dalle bande xenofobe. Stuprata una straniera donna come
punizione allo straniero uomo che verrebbe a rubare lavoro. Pareggiato il
conto.

5. SUDAFRICA. SERENA CORSI INTERVISTA PHUMI MTETWA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 aprile 2009 col titolo "Phumi Mtetwa
militante lesbica: E' saltato il nesso fra diritti sociali e civili"]

Johannesburg. Basco grigio calato in testa, bassa statura, sguardo limpido
dietro gli occhiali rotondi, eta' indefinibile. In realta' qualcosa degli
anni che porta si puo' calcolare sapendo di lei che, ancora giovanissima,
Phumi Mtetwa e' stata una figura fondamentale della lotta per i diritti
civili negli anni '80 e '90 e del movimento gay dentro le fila dell'Anc. E'
grazie a persone come Phumi che la vittoria del movimento di Mandela alle
prime elezioni democratiche sudafricane del '94 non porto' con se' lo
sciovinismo tipico di altri movimenti di liberazione, e che per questo
quella sudafricana del 1995 e', in fatto di diritti civili, la Costituzione
piu' avanzata del mondo.
Forse troppo avanzata, come spiega lei stessa: troppo distante dalla
societa' cui dovrebbe essere applicata. E qualcosa deve averlo imparato
Phumi, sul grado di salute di una societa', girando il mondo a raccontare la
storia sua e quella della vittoria per i diritti degli omosessuali in
Sudafrica. Che oggi stride dolorosamente con la diffusione degli "stupri
correttivi" e l'omofobia sempre piu' radicata.
*
- Serena Corsi: Come state cercando di rispondere al fenomeno degli "stupri
correttivi"?
- Phumi Mtetwa: Innanzitutto rendendolo noto. In una societa' cosi' pervasa
dal crimine violento, non e' facile nemmeno isolarlo, quantificarlo, dargli
una natura specifica. Ma non possiamo certo fermarci all'aspetto giuridico.
Cercare di capirne la natura che lo sottende e' dolorosissimo. Quasi tutti
gli stupratori sono giovani che non hanno vissuto ne' l'apartheid ne' la
lotta per abbatterla. Non hanno idea di cosa dica la Costituzione e perche'.
Abbiamo fatto enormi riforme... ma non siamo riusciti a trasmetterle alla
societa'. Che ora attraversa una crisi identitaria pericolosissima.
*
- Serena Corsi: I numeri della violenza crescono geometricamente di anno in
anno. Qual e' stata la miccia di questa escalation?
- Phumi Mtetwa: La prosecuzione della poverta' dopo la fine dell'apartheid.
Il passaggio da una societa' controllata a una societa' libera. Le donne, ad
esempio, sono piu' libere, piu' garantite dalla legge. Il loro corpo diventa
l'unico luogo su cui un uomo sente di poter esercitare un controllo, tanto
piu' se e' disoccupato e la liberazione dall'apartheid non gli ha dato il
benessere che si aspettava.
*
- Serena Corsi: Da dove si comincia per arginare la deriva?
- Phumi Mtetwa: Innanzitutto, dal lavoro nelle comunita', dal rendere
percepibile il collegamento tra diritti civili e altri diritti fondamentali
come la casa, l'elettricita', l'acqua, il lavoro. Tornando a batterci come
un unico fronte per colmare il gap seguito alla stesura della Costituzione.
In un certo senso, la fine dell'apartheid ha costituito anche il collasso di
una societa' civile attiva ed estremamente solidale, che faceva perno
proprio sulla lotta antirazzista. Venuto meno questo collante, non solo sono
emerse piu' chiaramente le differenze di principio, ma, e io credo sia
peggio ancora, si e' lentamente scucita la rete sociale e solidale che
proteggeva tutti in quanto neri... e in quanto attivi nella lotta. Negli
anni '80 a Kwa-Thema costruimmo il piu' vibrante e coraggioso movimento gay
del continente, oggi un omosessuale a Kwa-Thema deve temere per la propria
vita. Non solo: di fatto non sempre sono noti e dichiarati i tuoi gusti
sessuali, quindi se sei una donna per evitare rischi dovrai vestirti in modo
inequivocabilmente femminile, e viceversa. Stiamo vivendo una torsione di
180 gradi rispetto alla tolleranza degli anni della lotta.
*
- Serena Corsi: In Sudafrica convivono diverse chiese cristiane. Che ruolo
hanno in questo processo?
- Phumi Mtetwa: Abbiamo personaggi di spicco come l'arcivescovo Desmond Tutu
che, da religioso, diede un apporto fondamentale al riconoscimento dei
nostri diritti all'interno della Costituzione del '94. Poi c'e' la chiesa
metodista che a volte partecipa alle nostre manifestazioni. Ma sono esempi
isolati. Per lo piu', e includo la minoranza cattolica, ci remano contro o
tacciono rispetto ai crimini abominevoli che ci riguardano.
*
- Serena Corsi: Qual e' il ruolo del prossimo presidente sudafricano, Jacob
Zuma, nella torsione di cui parla nella societa'?
- Phumi Mtetwa: Zuma purtroppo rappresenta tutta quella parte dell'African
national congress che mando' giu' a fatica le leggi che garantivano i
diritti degli omosessuali, e che le votarono contro i propri principi
perche' costretti dal partito. Oggi quella parte e' maggioritaria, e forse
quelle stesse leggi saranno messe in dubbio. Le continue esternazioni di
Zuma su donne e omosessuali ci fanno temere per i nostri diritti. Vista la
popolarita' di cui gode, le conseguenze di questo atteggiamento sui
comportamenti dei giovani sudafricani sono gravissime.

6. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

7. LETTURE. CESARE COZZO: INTRODUZIONE A DUMMETT
Cesare Cozzo, Introduzione a Dummett, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. IV + 252,
euro 12. Un'attenta ricognizione del lavoro filosofico di Michael Dummett,
autore in Italia ai piu' noto per lo studio su Frege tradotto parzialmente
in un volume pubblicato da Marietti diversi anni fa, ma anche "Filosofo del
nesso fra metafisica e teoria del significato. Pioniere dello studio dei
giochi di carte a cui dobbiamo 'il piu' importante libro sulle carte mai
scritto'. Fautore dell'impegno sociale e politico dei cattolici. Logico
matematico che ha introdotto una logica intermedia. Esponente antirazzista.
Indagatore di sistemi elettorali. Autore di un libretto sulla grammatica e
lo stile". Un testo meritorio.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 786 del 10 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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