Minime. 782



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 782 del 6 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Contro la guerra e contro il razzismo
2. Giuliana Sgrena: Donne
3. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
4. Gianluca Diana ricorda Willie King
5. Fabrizio Poggi ricorda Willie King
6. Sandro Chignola presenta "Lo scontro dentro le civilta'" e
"L'intelligenza delle emozioni" di Martha Nussbaum
7. Sergio Givone presenta "Essere e tempo" di Martin Heidegger
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE: CONTRO LA GUERRA E CONTRO IL RAZZISMO

Contro la guerra occorre il disarmo e la smilitarizzazione.
Contro il razzismo occorre l'accoglienza e la solidarieta'.
Vi e' una sola umanita', e una sola casa comune.

2. IRAQ. GIULIANA SGRENA: DONNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 aprile 2009 col titolo "Figlie di un
dio minore" e il sommario "Un futuro 'afgano' per le donne irachene. La
condizione drammatica delle donne nel paese dilaniato da guerre,
occupazione, leggi tribali e interpretazioni religiose fondamentaliste. La
lotta per l'abolizione dell'articolo della Costituzione che potrebbe
sostituire il codice di famiglia progressista con la sharia"]

Le donne irachene rischiano di vedersi imporre una legge come quella che e'
appena stata firmata dal presidente Karzai in Afghanistan e che, tra
l'altro, legalizza lo stupro in famiglia. Le donne irachene lo sanno bene.
Ad insidiare pesantemente il loro futuro e' l'articolo 41 della
Costituzione, di cui chiedono l'abolizione. L'articolo in questione,
legalizzando tutte le pratiche religiose, apre la strada alla regolazione
delle questioni personali (codice della famiglia) sulla base
dell'appartenenza confessionale. In questo modo verrebbe vanificata la
parita' dei sessi prevista dalla Costituzione. Peraltro, essendo molte delle
famiglie irachene miste sia dal punto di vista confessionale che etnico, e'
facile prevedere che in caso di conflitto prevarrebbe l'appartenenza
religiosa del marito. La confessionalizzazione del diritto di famiglia
prevista dall'articolo 41 abolirebbe il codice della famiglia in vigore dal
1959, uno dei piu' progressisti del mondo musulmano, frutto delle lotte
delle donne irachene degli anni '50. Certo e' un codice che non soddisfa le
richieste delle donne, soprattutto dopo le modifiche introdotte negli ultimi
anni dal regime di Saddam (come il divieto delle donne di andare all'estero
da sole), ma si tratta di un buon punto di partenza.
L'adozione delle pratiche religiose e tribali piu' conservatrici
condannerebbe le donne alla rinuncia dei loro diritti e la societa' civile
irachena ad accettare una divisione etnico-confessionale. Nonostante gli
scontri religiosi ed etnici provocati, secondo diversi esponenti della
societa' civile irachena, da pressioni politiche interne ed esterne che
negli ultimi anni hanno cercato di favorire la divisione, l'Iraq e' uno,
sostengono. Il rifiuto della spartizione dell'Iraq e' stato ribadito da
diversi esponenti di associazioni (sindacalisti, attivisti dei diritti
umani, donne, studenti) che hanno partecipato dal 25 al 30 marzo a Velletri
alla Conferenza in solidarieta' con la societa' civile irachena.
All'incontro organizzato da "Un ponte per" erano presenti anche ong
asiatiche, europee e statunitensi.
Se le insidie per il futuro delle donne irachene e' rappresentato
dall'articolo 41, il presente non e' certo meno drammatico.
"Quando una societa' attraversa una crisi la prima vittima e' la donna. Le
guerre che si sono succedute e che hanno coinvolto l'Iraq dall'80 ad oggi
hanno provocato un grande numero di vedove, orfani, e dopo il 2003 la
diffusione della violenza a sfondo etnico ha aggravato la situazione: ancora
piu' morti, piu' vedove, piu' orfani e una situazione preoccupante a livello
sociale ed economico", dice Fayza al Bayati della Iraqi turkmen women's
society. Fayza vive a Kirkuk, una delle zone piu' turbolente in questo
momento, il cui status non e' ancora stato definito essendo la citta'
rivendicata sia dai kurdi che dagli arabi. Fayza fa parte di quella
minoranza turcomanna che subisce maggiori discriminazioni in questo momento,
ma mette al primo posto le difficolta' che condivide con le donne di altre
etnie. "Per effetto dell'uccisione dei maschi della famiglia le donne si
trovano ad essere l'unico sostegno, spesso oltre a mantenere i propri figli,
queste vedove devono farsi carico anche della famiglia del marito. E oltre a
tutto questo la donna deve subire pesanti pressioni, violenze, pratiche
tribali che erano state superate. Da tre anni le donne non guidano piu' la
macchina, e' stato vietato da alcuni gruppi. Sono stati diffusi volantini
non firmati, potevano essere di al Qaeda, di gruppi religiosi o politici.
Anche uscire senza velo e' diventato pericoloso. Ovunque", conclude Fayza.
"Le violenze contro le donne hanno anche delle specificita' regionali,
aggiunge Salama As Soghban di Justice women organization, ma paradossalmente
questa situazione ha aiutato le donne. Costrette ad assumersi
responsabilita', a sostenere la famiglia, le donne sono diventate molto piu'
attive, autonome, hanno preso coscienza di essere in grado di risolvere i
propri problemi e anche di assumere un ruolo di leadership".
E qual e' la realta' delle donne nel sud dell'Iraq, chiediamo a Salama che
viene da Diwaniya. "Nel sud dell'Iraq continuiamo a subire le pressioni di
sempre: l'imposizione del velo, matrimoni precoci e forzati, delitti
d'onore. Mentre le mutilazioni genitali femminili al sud non sono diffuse
come in Kurdistan. Le donne spesso, in passato, hanno avuto l'opportunita'
di studiare, ma questo non ha impedito loro di dover sottostare alle regole
tribali. La nostra associazione lavora molto nelle zone rurali, dove la
situazione e' peggiore, e abbiamo trovato giovani insegnanti universitarie
costrette a sposare cugini che non avevano studiato. Molto spesso per poter
lavorare nelle zone rurali dobbiamo chiedere il permesso dei maschi -
mariti, padri, fratelli o anziani - che ci permettono di sensibilizzare le
donne sui loro problemi ma non di mettere in discussione il ruolo di comando
dell'uomo".
"La colpa non e' solo dei capi tribali ma anche del governo iracheno che,
per esempio, vuol rimettere in vigore una legge annullata nel 2003, secondo
la quale la donna non puo' viaggiare se non e' accompagnata dal marito,
aggiunge Fayzia. Anche per poter lavorare le donne spesso devono chiedere il
permesso al marito o al padre. Questo viene presentato come una protezione
della donna ma in effetti e' solo controllo".
Quanto questa situazione e' da attribuire a leggi in vigore e quanto a
tradizioni tribali o leggi religiose? "Sicuramente assistiamo a un ritorno
di vecchie pratiche tribali che non erano piu' in uso, ma la legge non fa
nulla per combatterle: il delitto d'onore e' una legge tribale ma per chi lo
commette la legge prevede al massimo una pena di sei mesi. Vi e' un'alleanza
tra religione, usanze tribali e interpretazioni religiose che non vengono
contrastate dalla legge".
Il delitto d'onore, che esisteva anche prima dell'occupazione, dopo il 2003
ha subito una impennata. In tutto il paese. "Anche nel nord sono previste
attenuanti per il delitto d'onore, ma occorre sottolineare che vengono
riconosciute solo agli uomini. Inoltre, la pena non viene quasi mai
scontata, quando una donna viene uccisa la sua morte viene archiviata come
incidente o suicidio e su questo concordano le autorita' politiche,
religiose e giudiziarie", osserva Fayza.
Ad aggravare la condizione delle donne e' stata anche la costrizione ad
abbandonare le proprie case e a rifugiarsi all'estero o nei campi profughi
all'interno del paese, abbandonando scuola e lavoro. E come sempre succede
nei campi profughi la violenza e' molto diffusa.
"Da quando abbiamo concentrato la nostra attivita' sulla violenza contro le
donne abbiamo scoperto un mondo fino ad allora sconosciuto, racconta Salama.
Abbiamo deciso di andare a verificare la situazione e raccontarla attraverso
storie di cui non si parla mai: di violenze, uccisioni, stupri che la
societa' nasconde. In un campo profughi a Baghdad abbiamo scoperto un
ragazzo che ha ucciso una sorella e ha ferito l'altra solo perche' qualcuno
aveva detto di averle viste in atteggiamento sospetto. Il fratello
naturalmente gira libero".
Che cosa si puo' fare per evitare i delitti d'onore e aiutare le donne che
subiscono violenze? "Stiamo premendo sul governo perche' vengano varate
delle leggi a protezione delle donne. Nello stesso tempo stiamo cercando di
costruire delle case-rifugio per ospitare donne che hanno subito violenza o
che sono minacciate e anche per le donne che escono dal carcere e hanno
bisogno di un aiuto per il loro reinserimento sociale", sostiene Salama.
Il problema e' la mancanza di risorse, quindi una solidarieta'
internazionale potrebbe essere di grande aiuto. Ma il ruolo delle donne va
oltre la denuncia delle violenze che subiscono e la solidarieta', il
superamento delle divisioni etnico-confessionali fa parte della loro pratica
quotidiana. "La nostra associazione di donne turcomanne lavora con le donne
arabe e kurde per promuovere la pace a Kirkuk, perche' le donne possono
essere un fattore di pacificazione lottando contro la cultura della
violenza", conclude Fayza al Bayati.

3. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

4. LUTTI. GIANLUCA DIANA RICORDA WILLIE KING
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2009 col titolo "Willie King,
rivoluzione e' un sogno tutto blues" e il sottotitolo "Morto a 65 anni il
musicista americano"]

E' morto lo scorso 8 marzo a 65 anni fulminato da un infarto, Willie King,
il bluesman nero attivista per i diritti civili. Inutili sono stati i
tentativi di soccorrerlo e la relativa corsa presso l'ospedale di Macon,
piccolo centro urbano della Noxubee County, in Mississippi. Proprio in
questa contea King era nato il 18 marzo del 1943 da una famiglia di
sharecroppers, i quali subito dopo la sua nascita si trasferirono nel
confinante stato dell'Alabama, nella Pickens County. Qui, e piu' esattamente
presso la comunita' rurale di Old Memphis, si e' svolta l'intera epopea di
Willie King.
Cresciuto in una famiglia di raccoglitori di cotone, sin da bambino segue le
sorti della sua gente: lavora duramente nei campi vivendo nella poverta'
piu' estrema tra fame e stenti, subisce pestaggi da parte dei bianchi
razzisti del posto e conosce ogni aspetto discriminatorio della
segregazione. Tutto questo fa maturare in King un fortissimo desiderio di
riscatto, che confluira' durante la giovinezza nella contemporanea stagione
di lotta del Civil Right Movement. A questa King partecipa, marciando nelle
strade percorse da Martin Luther King e dalla intera comunita' nera del Deep
South. Fa tesoro di queste esperienze e negli anni Settanta diviene membro
attivo di organizzazioni come il Black Panther. Inoltre King frequenta
l'Highlander Center Folkore del Tennesse, un centro di studi politici di
orientamento marxista che mira a formare organizzatori e leader delle
comunita' rurali del Sud degli Usa. Qui entra in contatto con musicisti ed
attivisti quali Horton, Seeger, Baez, Carawan ed altri. All'alba degli anni
Ottanta, King sintetizza le sue esperienze oltre le singole appartenenze
politiche e/o di militanza, creando la Rural Members Association, una
associazione di auto-aiuto che lavorera' fino alla sua scomparsa come
elemento di coesione culturale e sociale della sua comunita', attraverso
aiuti concreti. Ovvero in una zona priva dei piu' elementari servizi sociali
come acqua, elettricita', asili, scuole e tanto altro, King e la Rma
organizzano corsi di apprendimento di base per le giovani generazioni,
servizi legali di informazione e sostegno per i braccianti, e fanno
pressione sulle istituzioni locali per un generalizzato miglioramento delle
condizioni di vita. Tutto questo vedra' dei lenti ma costanti miglioramenti
nel corso dei decenni, grazie anche al supporto economico dello stesso King.
I proventi dei concerti utilizzati come combustibile per il suo attivismo,
una situazione che ricorda da vicino l'impegno sociale del grande maliano
Ali Farka Toure. King, che sin da ragazzo aveva appreso l'alfabeto del
blues, mette a disposizione il suo enorme talento di cantante e chitarrista,
non per fare una carriera certa come session-man nel business musicale,
bensi' nell'impegno sociale per la sua gente.
Nel corso degli ultimi undici anni King incide ben sei dischi, effettua tour
negli Usa ed in Europa, vince una nutrita serie di premi da parte della
critica, partecipa al film-documentario di Martin Scorsese Feel Like Goin'
Home. Rivoluzionario anche nello stile espressivo: a dispetto di una
tradizione che vede le liriche del blues esprimersi con linguaggi spesso
metaforici, King scrive le sue "struggling songs" veicolando direttamente un
messaggio politico laico e di lotta, incitando ad una orgogliosa e
consapevole rivolta, possibile solo con l'unione dei deboli e degli
oppressi. Personaggio senza mezze misure King: fino all'ultimo momento della
sua vita e' vissuto in un semplice trailer, senza sfruttare nulla del suo
lavoro per il proprio benessere. Se ancora alla fine degli anni Ottanta
viveva in una baracca di legno senza acqua e corrente elettrica, se nel 2005
venivano effettuati posti di blocco dalla polizia locale per impedire
"indirettamente" l'accesso ai suoi concerti, questo per lui non era
rilevante. D'altronde le sue soddisfazioni arrivavano da altro, come
insegnare blues alle scuole elementari pubbliche - ovviamente con classi
miste - da dieci anni a questa parte.

5. LUTTI. FABRIZIO POGGI RICORDA WILLIE KING
[Dal sito www.ilpopolodelblues.com col titolo "Scompare Willie King, grande
del Delta blues e voce dei poveri del Mississippi"]

E' mancato, improvvisamente, alle due del pomeriggio di domenica 8 marzo
scorso Willie King, uno degli ultimi alfieri del Delta blues. E' una notizia
inaspettata che ha sconvolto tutto il modo del blues, me compreso. Willie
King, cantante e chitarrista molto attivo nel movimenti per i diritti civili
degli afroamericani, e' scomparso stroncato da un attacco di cuore nella sua
casa di Old Memphis in Alabama. Aveva solo 65 anni. Il suo compleanno
sarebbe caduto di li' a pochi giorni, il 18 di marzo. Ho conosciuto Willie
qualche anno fa in Mississippi e mi aveva colpito per la sua grande
semplicita' che sapeva trasformarsi in forza leonina una volta imbracciata
la sua chitarra. Sul palco tutta la sua rabbia nel denunciare i soprusi
subiti dalla povera gente di colore che ancor oggi vive nelle baracche del
Sud diventava, attraverso le corde del suo strumento e attraverso la sua
voce potente e decisa, un colpo al cuore dell'establishment bianco divorato
dalla cupidigia e dall'indifferenza. Willie King era l'incarnazione vivente
del blues piu' autentico e incontaminato. Quel blues che ancora oggi si
suona nei juke joint sperduti tra i campi di cotone. Li' l'aveva scoperto
qualche anno fa Martin Scorsese che ne aveva fatto uno dei protagonisti del
suo "Dal Mali al Mississippi", celebre primo episodio della serie di film da
lui curati dedicati al blues. Quell'incontro diede una svolta alla carriera
di Willie che si ritrovo', lui schivo contadino di una striscia di terra che
divide l'Alabama dal Mississippi, protagonista assoluto dei palchi blues di
tutto il mondo. La relativa fama non l'aveva cambiato.
Il giorno che lo incontrai mi disse che era contento di portare la sua
musica in giro, ma non gli piaceva viaggiare. Quello che gli piaceva davvero
era suonare per la sua gente, come aveva sempre fatto. Per loro Willie
suonava tutti i weekend al Bettie's Place, un locale scalcinato diventato
mitico grazie a King e alla sua musica. Un locale dove lui suonava per
pochi. E andava bene cosi'. Il blues e' anche questo.
Per la sua gente Willie aveva messo su un festival a Freedom Creek, un
piccolo evento che gli serviva per raccogliere fondi da destinare alle
famiglie piu' povere. Nella sua musica c'era il suono ipnotico di Howlin'
Wolf e John Lee Hooker ma nelle sue parole c'era la denuncia pacata, ma non
per questo meno ferma e decisa, che divento' rombo di tuono nei discorsi di
John Brown prima e Martin Luther King poi. Anche Willie aveva un sogno.
Magari piu' piccolo di quello del suo omonimo reverendo. Quando l'ho
incontrato per l'ultima volta in Mississippi (e non sapevo che quella
sarebbe stata davvero l'ultima volta) mi e' sembrato di scorgere sul suo
viso e nel luccichio dei suoi occhi qualcosa che non avevo notato prima.
Qualcosa che mi appariva sotto la forma del sorriso di un uomo che ha capito
di essere sempre stato sulla strada giusta accanto agli ultimi di quella
terra, dove cotone e blues regnano sovrani. E allora oggi, giorno di
tristezza infinita, una sola cosa consola la mia anima, il pensiero che
Willie se ne sia andato, forse, felice. Felice per tutto quello che aveva
fatto nella sua vita per aiutare e consolare chi ne aveva bisogno. Con la
sua chitarra. Con il suo blues.

6. LIBRI. SANDRO CHIGNOLA PRESENTA "LO SCONTRO DENTRO LE CIVILTA'" E
"L'INTELLIGENZA DELLE EMOZIONI" DI MARTHA NUSSBAUM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2009 col titolo "Il male oscuro
della democrazia liberale" e il sommario "Martha Nussbaum. Lo scontro dentro
le civilta' e L'intelligenza delle emozioni, due importanti saggi per il
Mulino della filosofa statunitense. L'analisi puntuale del volto totalitario
se non fascista della politica dell'identita' a partire dalla realta'
indiana e dalla critica alle tesi di Samuel Huntington"]

C'erano i cavalli nella valle dell'Indo? La questione, al centro di molti
dibattiti sulla protostoria dell'India, puo' sembrare oziosa. E tuttavia,
come sempre piu' spesso accade, l'ossessiva ricerca delle origini
identitarie di una cultura finisce con l'attraversare anche questioni
apparentemente oziose come queste. Rappresentazioni equestri ricorrono nei
Veda e il cavallo ha una sua importanza nella cultura che in essi si
rappresenta. Se pero' il cavallo non e' originario del territorio indiano,
e, come sembra, vi e' stato introdotto durante migrazioni e conquiste che lo
hanno attraversato, allora la cultura vedica, autentico feticcio della
destra induista, perno sul quale ruota il dispositivo che politicizza
l'identita' religiosa e culturale indiana e che discrimina altre religioni
ed altre culture (quella cristiana e quella musulmana pure in esso
presenti), non puo' essere pensata come l'espressione originaria della
purezza etnica della nazione e del suo, quasi naturalistico, insediarsi su
di uno spazio. Mettersi sulle tracce dell'equus caballus, cercarne i resti e
discettare sul fatto se i reperti di volta in volta rinvenuti appartengano
ad esso o ad altri equini meno nobili o meno investiti di significati
simbolici e culturali, significa lavorare sul mitologema dell'origine. Un
fantasma, quest'ultimo, che le destre fasciste sono in grado di trasformare
in un ben piu' terribile e materialissimo spettro.
Nel 1992 una folla di fanatici induisti distrugge la moschea di Babri,
risalente al XVI secolo, perche' ritiene che essa sorga sul sito di un piu'
antico tempio induista. Nel marzo del 2002 un'ondata di violenze scuote lo
stato del Gujarat, culminando nel massacro di migliaia di bambini, donne e
uomini musulmani. Devastazioni, saccheggi e stupri, in un crescendo di
efferatezze, attraversano la regione per vendicare la morte di una
sessantina di kar sevak nell'incendio del treno di pellegrini di ritorno da
Ayodhya, il presunto luogo di nascita del dio Rama; un incendio, che la
propaganda induista imputa da subito ad un'azione dolosa dei musulmani.
*
In nome della purezza nazionale
Martha C. Nussbaum usa questi due eventi - non esplosioni irrazionali, ma
effetto di una minuziosa costruzione dell'identita' induista e del suo
nemico interno da parte delle organizzazioni politiche della destra
induista, il Bharatiya Janata Party, direttamente al potere in coalizione
con partiti minori dal 1998 al 2004, e il Rashtriya Swayamsevak Sangh, il
"Corpo nazionale dei volontari" fondato nel 1925 come centro di intervento
sociale e di disciplinamento della gioventu' indiana per mezzo di iniziative
culturali e sportive in facile competizione con la monotonia e la
ripetitivita' dei modelli ufficiali di formazione scolastica - come il filo
rosso attraverso il quale tessere la propria polemica con il canone dello
scontro di civilta' diffusosi, dopo l'11 settembre 2001, a partire dalle
posizioni di Samuel Huntington. Se uno scontro e' in atto, questa la tesi di
Nussbaum, questo scontro non oppone l'Occidente democratico ad un Islam
aggressivo e fondamentalista, ma esso viene svolgendosi, in forme piu'
sottili e maligne, e proprio per questo tanto piu' pericolose perche'
sottaciute o invisibili, all'interno delle stesse democrazie e delle forme
costituzionali che le rivestono tanto in Oriente quanto in Occidente (Lo
scontro dentro le civilta'. Democrazia, radicalismo religioso e futuro
dell'India, Il Mulino).
Cio' che la destra induista costruisce dagli anni '30 e' un modello di
nazione che mutua schemi europei. Quell'idea di identita' culturale di
ascendenza romantica - un popolo, una lingua, una terra - che i fascismi
mobilitano in rapporto alle masse e che rappresenta, in epoca postmoderna,
il prodotto di un investimento politico ampiamente sostenuto dalle comunita'
induiste della diaspora. Su tutte, le ricchissime comunita' di migranti
residenti negli Stati Uniti. Un modello di identita' omogenea, incontaminata
ed originaria, che valorizza un passato idilliaco, all'interno del quale
vengono sfumate le differenze di classe (e cio' appare tanto piu'
paradossale in un contesto gerarchico e di impermeabilita' di casta come
quello indiano) per valorizzare invece le differenze di religione, e nel
quale lo scimmiottamento dei nazionalismi europei arriva al punto di usare,
per inquadrare i giovani induisti, le divise della polizia coloniale
inglese.
Nussbaum dimostra in modo affascinante sino a che punto si spinga il
processo identitario: lo stupro etnico, la violenza di cui si fanno un vanto
i militanti induisti nel corso del pogrom antimusulmano del 2002,
rappresentano per l'autrice la modalita' per mezzo della quale la destra
induista decostruisce una parte significativa della propria cultura
(l'erotismo avvolgente di Krishna, il morbido corpo di Ganesh) per
ritrascriverne la tradizione, dopo averla annientata nella corporeita' delle
donne, a partire da modelli di dominio e di uso della forza di stampo
occidentale. La donna funziona come simbolo della debolezza e della
vulnerabilita' che si trova in ogni uomo; quella debolezza e quella
vulnerabilita' che devono essere estirpate perche' possa essere
essenzializzata l'identita' politica della nazione hindutva.
*
L'elefante del guerriero
E' del resto sintomatico, come Nussbaum ci racconta, che, almeno a partire
dagli anni '80, in parallelo con il lavoro di costruzione di un'identita'
culturale che ricalca i modelli coloniali, la rappresentazione iconografica
delle divinita' indiane subisca il processo di virilizzazione che le riveste
di stereotipi guerrieri: Ganesh, che non puo' cedere la proboscide della sua
testa di elefante e l'inevitabile rinvio ad un pene moscio, perde tuttavia
la pancia morbida, gli crescono i pettorali e ostenta ora un addome
perfettamente scolpito.
E' interessante seguire Nussbaum nel suo incontro con gli intellettuali
della destra induista. Verificare sino a che punto i tragici fatti del
Gujarat siano stati preparati, orchestrati e difesi dalla proliferazione di
un ordine del discorso che, persi per strada Tagore, Gandhi e Nehru,
portatori di una visione pluralista e multiculturale dell'identita' politica
postcoloniale, assume invece a proprio riferimento il lavoro di
nazionalizzazione delle masse dei totalitarismi degli anni '20. Un ordine
del discorso piuttosto compatto e che accredita il Rashtriya Swayamsevak
Sangh, come "il movimento fascista di maggior seguito nelle democrazie
contemporanee". Studiosi e politici quali K. K. Shastri, Devendra Swarup,
Arun Shurie, Gurcharan Das, il cui profilo l'autrice ricostruisce anche
muovendo da interviste con loro, definiscono la cornice di pensiero (piu' o
meno rispettabile, piu' o meno estremista: va ricordato come sia stato un
induista radicale, Nathuram Godse, ad assassinare Gandhi) all'interno della
quale viene posto in essere il progetto di organizzazione e difesa di
quell'identita' hindutva, la cui ombra monolitica viene retroproiettata
sulle origini della socializzazione politica e culturale indiana e in
seguito diffusa con un lento lavoro disciplinare che mobilita istituzioni
educative, manuali scolastici ufficiali, gruppi informali e ricreativi,
permeando di se', in particolare negli anni in cui il Bharatiya Janata Party
assume responsabilita' di governo, buona parte della societa' indiana.
Il conflitto non oppone civilta' disposte l'una contro l'altra rispetto ad
un unico processo di democratizzazione, ma attraversa le stesse nazioni e le
stesse culture democratiche. Rappresenta il rischio che la democrazia corre
esattamente nella misura in cui l'apertura che essa custodisce - apertura
all'altro, pluralismo delle posizioni, tolleranza religiosa,
multiculturalismo - venga vissuta come una lacerazione o come una ferita.
Come la situazione all'interno della quale cioe', la logica della
reciprocita' e del riconoscimento, cede il passo al riflesso compulsivo di
difesa, alla paura, alla chiusura fondamentalista.
*
Un'aristotelica di sinistra
Lo scontro di civilta' e' interno ad ogni democrazia moderna, suggerisce
dunque Nussbaum. Tutte senza eccezione contengono individui e gruppi che
odiano le persone diverse da loro, che incolpano dei problemi della nazione
gli "stranieri", che cercano di fare dell'omogeneita', magari forzata sino
all'idea di una supposta "purezza etnica", la principale risorsa della
nazione. Il fascismo contemporaneo evoca costantemente spettri di questo
tipo. Gandhi aveva compreso una cosa importante sulla lotta politica, ci
ricorda Nussbaum, e cioe' il fatto che la lotta politica e' sempre una lotta
all'interno del se'; una sorta di contesa tra le parti violente e
dominatrici (quelle che impongono al soggetto l'ossessione alla coerenza, al
controllo, l'ansia di onnipotenza) e le parti disposte a vivere
nell'incompiutezza. In ogni democrazia l'immaginazione morale e' sempre in
pericolo. Indispensabile e delicata - fragile, come lo e' la democrazia -
essa puo' venire facilmente travolta da paura, insicurezza (vera o
presunta), odio. Lo scontro di civilta' si da' dentro ciascuno di noi,
perche' ciascuno di noi oscilla, e' questo il gioco delle dimensioni emotive
ed immaginative del se', tra aggressivita' autoprotettiva e capacita'
empatiche, quelle che ci permettono di vivere non contro, ma con, gli altri.
Tornano, in questo libro di Nussbaum, tanto le correzioni che il suo
capability approach ha apportato alle teorie liberali procedurali (l'idea,
da lei condivisa con Amartya Sen, che centrali nella definizione delle
transazioni politiche dei soggetti siano le reali circostanze materiali
nelle quali si trovano asimmetricamente situati e che cio' che conta sia la
possibilita' per ciascuno di vivere una vita dignitosa, buona, di migliorare
dunque la propria posizione iniziale), quanto l'idea "neostoica" - Nussbaum
ha sempre amato definirsi un'"aristotelica di sinistra" - dell'impossibile
dominio della volonta' sulle mutevoli costellazioni della vita e sulla
centralita' delle passioni che ne deriva (a questo proposito va letto
L'intelligenza delle emozioni, da poco riproposto sempre da Il Mulino).
*
Da Calcutta a Chicago
Le emozioni non sono un dato rimovibile. Sono infatti una componente
fondamentale della soggettivita' e registrano in termini
cognitivo-valutativi la qualita' del rapporto che il vivente intrattiene con
l'ambiente. Nussbaum valuta cruciali le variazioni storiche che i sistemi di
norme subiscono o possono subire. E proprio su questo punto, modifica
sensibilmente quello che lei identifica come il paradigma stoico classico.
Vi sono emozioni socialmente pericolose. Il loro diffondersi e' il sintomo
della "malattia" che attraversa le democrazie contemporanee e prima ancora
di esse gli individui che in esse trovano l'ambiente, sociale e politico,
delle loro relazioni. Si tratta di opporre una "terapia" del desiderio alla
paura, alla rabbia e alla frustrazione imposte dalla traumatica scoperta
della mancata onnipotenza pretensiva del soggetto. Accettare l'altro e
preservare la democrazia, significa dunque educare quest'ultimo alla
positivita' dell'emozione.
Educare la vita emotiva dei singoli per poterli rendere compatibili tra di
loro e con il sistema generale destinato a sorreggerne il reciproco
riconoscimento, sembra essere la risposta di Nussbaum alla crisi della
democrazia. Un'educazione che passa per le arti liberali e la valorizzazione
della poesia come collante civico. Attraverso una stilistica ed un'estetica,
dunque. Che si rivolge ad un mondo ancora riformabile, migliore di com'e' a
uno sguardo, una filosofia politica, che sugli slums di Calcutta calino,
empatici e compassionevoli, dai verdi suburbs di Chicago.
*
Postilla. Dal mondo ellenico al multiculturalismo made in Usa
Nata A New York, Martha Nussbaum e' considerata una delle maggiore filosofe
della politica. Da sempre attenta studiosa della democrazie liberali ha
caratterizzato la sua produzione teorica sugli elementi di crisi del
concetto stesso di democrazia a partire dai mutamenti introdotti nelle
societa' liberali dai movimenti sociali, a partire da quello femminista. Tra
le sue opere vanno ricordate La fragilita' del bene. Fortuna ed etica nella
tragedia e nella filosofia greca; Terapia del desiderio. Teoria e pratica
nell'etica ellenistica; Coltivare l'umanita'. I classici, il
multiculturalismo, l'educazione contemporanea; Nascondere l'umanita'. Il
disgusto, la vergogna, la legge; Le nuove frontiere della giustizia.
Disabilita', nazionalita', appartenenza di specie.

7. LIBRI. SERGIO GIVONE PRESENTA "ESSERE E TEMPO" DI MARTIN HEIDEGGER
[Dal quotidiano "Il Messaggero" del 16 settembre 2004 col titolo "Heidegger,
torna Essere e tempo"]

Esce presso Longanesi la nuova edizione italiana di uno dei capolavori
filosofici del Novecento, Essere e tempo di Martin Heidegger (608 pagine, 28
euro). L'ha curata, da quell'eccellente studioso e acutissimo interprete che
e', Franco Volpi, il quale si e' basato sull'ormai classica versione di
Pietro Chiodi, presentandone un "restauro" molto accurato pur nel rispetto
dell'impianto di base e delle scelte lessicali ormai consolidate. In
appendice si trovano apparati bibliografici aggiornatissimi, oltre al
glossario, che tiene conto di quello a suo tempo stilato da Chiodi e che
serve sia a giustificare le soluzioni introdotte dal curatore (con la
collaborazione di Corrado Badocco) sia a offrire al lettore un prezioso
strumento ermeneutico. Inoltre, assoluta novita', in calce si possono
leggere le chiose che Heidegger e' andato via via apponendo negli anni alla
sua copia personale del libro. La filosofia italiana viene cosi' arricchita
di un testo che risponde in modo esemplare alla domanda su che cosa
significhi recepire nella propria lingua un grande autore straniero. Cio' e'
tanto piu' significativo, se si considera che il pensiero di Heidegger, dopo
essere stato al centro del dibattito filosofico per decenni, sembra oggi
conoscere un certo declino.
Altre forme di ontologia e cioe' di interrogazione dell'essere (l'essere
delle cose e soprattutto dell'uomo, l'essere che ha nell'uomo il luogo del
suo manifestarsi) vanno per la maggiore, forme ben diverse da quella
heideggeriana, e vistosamente ignare di essa. Col risultato di riprodurre
concezioni obsolete e ingenue della realta': precisamente quelle che
l'analitica esistenziale di Heidegger aveva reso improponibili. Il fatto e'
che secondo Heidegger il pensiero filosofico e' venuto a trovarsi di fronte
a un'alternativa: o la filosofia riporta in primo piano, dopo averlo
trascurato e anzi dimenticato, il problema del senso dell'essere, oppure
tanto vale che dichiari bancarotta e lasci il campo alle varie scienze, che
fanno benissimo il loro mestiere senza preoccuparsi di porre in questione
tale senso. Resta da chiedersi che cosa accadrebbe se della filosofia non ne
fosse piu' nulla. Forse gli uomini sarebbero piu' felici o quantomeno non
piu' tormentati da domande quali: che ci stiamo a fare al mondo? O forse una
nuova e piu' buia notte si preparerebbe per tutti.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 782 del 6 aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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