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La domenica della nonviolenza. 210
- Subject: La domenica della nonviolenza. 210
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 5 Apr 2009 10:18:26 +0200
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 210 del 5 aprile 2009 In questo numero: 1. Giancarla Codrignani: Pura crudelta' aggiunta 2. Tommaso Di Francesco ricorda Marina Rossanda 3. Edoardo Sanguineti ricorda Luciano Berio 4. Mauro Novelli: Emilio Lussu 1. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: PURA CRUDELTA' AGGIUNTA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) col titolo "Pasqua senza pace" e il sommario "Nel nostro corpo sociale segni troppo gravi di degrado dei sensi umani. Alle donne amiche (e ai maschi gentili): a Pasqua auguri?"] Quando Medea esce dal silenzio e si rivolge, da straniera, alle donne di Corinto, dice: "davvero, noi donne siamo il genere piu' infelice". Come non ripeterlo con l'infelicita' che viene prodotta deliberatamente contro tante di noi, quindi contro noi tutte. Avevo trascorso una settimana molto bella, in primo luogo per l'incontro con Wyslawa Szimborska e con la poesia "straordinariamente ordinaria" di un'ironica vita quotidiana di donna. Poi al liceo "Luxemburg" la presentazione di un "corto" prodotto da ragazzi stranieri che ha vinto una selezione nazionale: un premio non per quella scuola, ma per la scuola tutta quanta, salvata da insegnanti che conservano passione e trasmettono senso. Poi domenica a Casalecchio una giornata fantastica con tanta gente che affollava la "Casa della conoscenza" mentre fuori diluviava: ci si cimentava a smontare le mafie e la loro immagine di morte, ragionando di "etica che salva la bellezza". Cose da non crederci, in una Bologna in cui il ceto politico non ha idea di quali emozioni, principi, autenticita' la gente abbia bisogno di sentire esprimere. Poi il contraccolpo di notizie che distruggono. In Afghanistan il presidente Karzai ha firmato la legge che consente ai cittadini di fede sciita di stuprare la moglie. Orrore e immediata solidarieta' con le parlamentari afgane contrarie e impotenti. Poi, la tristezza di riflettere da italiana: la legge contro la violenza sessuale si e' trascinata per sette legislature, nonostante fosse una legge che non costava una lira allo stato e soddisfaceva le donne di tutte le parti politiche (quelle di base, perche' in Parlamento il "genere" non e' cosi' stabile). E una memoria che risale. In uno dei tanti intoppi la legge si era bloccata al Senato e io chiesi a Giglia Tedesco come mai la sinistra non decidesse di andare allo scontro: perdeva, ma acquistava il consenso delle donne (che allora assediavano le piazze, compresa quella di Montecitorio, da allora chiusa alle manifestazioni). Giglia mi rispose che il problema non era la Democrazia cristiana, ma "i nostri" che non avrebbero votato un articolo che prevedeva la colpa anche per il marito. Sono purtroppo tanti i maschi che si chiedono ancora per quale motivo mai si dovrebbero sposare se non per avere un corpo di donna disponibile anche quando lei non ne ha voglia; ma e' anche chiaro che le libere convivenze garantiscono la donna piu' del matrimonio, finche' il costume resta patriarcale. E poiche' chi dice o ha detto di amarti, o ti e' familiare, o amico, e' una delle principali cause di morte delle donne, c'e' da disperarsi pensando al tempo necessario al legislatore per capire la necessita' che il femminicidio diventi reato distinto dall'omicidio. Infine, a rattristare ci sono leggi e comportamenti che hanno dato grande sofferenza alle straniere. Un pakistano e' finito in coma pestato da cinque delinquenti italiani e la moglie, Karunasekera (bisogna ricordare anche i nomi faticosi, perche' sono la storia), ha perduto il bimbo che aspettava; ed e' gia' in piedi a tenere aperto il negozio che fornisce la sopravvivenza ("bisogna essere positivi", dice). Poi Kante a Napoli, un'ivoriana rifugiata - e, quindi, soggetta a protezione di legge - che e' andata a partorire in ospedale (pensate al nome: "Fatebenefratelli") ed e' stata denunciata dall'istituto come clandestina: la polizia, subito intervenuta, l'ha portata in questura e l'ha segregata per dieci giorni dal suo bambino che non ha potuto succhiare il latte della sua mamma per tutto il tempo. Tutto in nome di una legge che ancora non c'e', ma che produce gia' conseguenze xenofobe intollerabili. Chi restituira' al bimbo i dieci giorni di distacco da quel corpo materno che conosceva solo dall'interno? chi compensera' Kante del suo terrore, della sua umiliazione, del post-partum in galera? Tutti sembriamo sdegnati, ma ci sono nel nostro corpo sociale segni troppo gravi di degrado dei sensi umani. Obiettivo delle persecuzioni volute da chi sostiene che "bisogna essere cattivi" con gli stranieri siamo tutti, uomini e donne, lo sappiamo bene. Ma l'essere donne da' alla dignita' umana un valore di "differenza" non ancora recepito come perdita di bene per tutti. Pura crudelta' aggiunta. Per Pasqua: auguri? 2. MEMORIA. TOMMASO DI FRANCESCO RICORDA MARINA ROSSANDA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2009 col titolo "La levita' DI Mimma" e il sommario "Storie. Marina Rossanda o la vita piena. Due originali iniziative per ricordare Marina "Mimma" Rossanda: l'istituzione di un "Fondo" con interventi, leggi, carte, materiale iconografico. E un libro di voci sulla Palestina, testimonianze, racconti di vita e di lavoro] Due originali iniziative per ricordare Marina Rossanda, che ci ha lasciato nel dicembre del 2006. L'istituzione di un "Fondo" intitolato a suo nome di scritti, interventi, leggi, iniziative, con introduzioni e memorie a cura di Eleonora Lattanzi e Linda Santilli pubblicato tra i materiali dell'Archivio femminista Rosa Luxemburg e dell'Associazione Parola di donna, che e' stato presentato a Roma a Palazzo Mattei la scorsa settimana, anche con una introduzione del "fondo immagini" che ha suscitato nell'affollata assemblea degli intervenuti una forte emozione. E, in contemporanea, un libro di testimonianze, racconti di vita e di lavoro Marina (Mimma) Rossanda, a cura di Elisabetta Lasagna. Due iniziative che hanno il merito di attualizzare l'impegno e il percorso di vita di "Mimma", le sue esperienze indimenticabili e "piene", tantopiu' in questa stagione di vuoto a sinistra. Un tragitto il suo tutt'altro che facile. Subito, sin dall'infanzia quando - ricorda Rossana Rossanda - una malattia trasformo' la sua complessione di "bellissima bambina grassottella in un'esile ragazzina" dal corpo anzitempo indebolito. Poi con la decisione di diventare medico, specializzata in anestesia, con un lungo studio sulle tecniche di rianimazione nei pazienti in coma per lesioni cerebrali che la porteranno, negli anni Settanta, a contribuire all'apertura del Servizio di Neurochirurgia all'ospedale Niguarda di Milano - i reparti di neurorianimazione e di neuroradiologia saranno i primi d'Italia, da allora centri di eccellenza per la cura dei traumi cranici. E sempre attiva politicamente a indagare i limiti specifici della medicina e della figura del medico, ad approfondire il tema della prevenzione, della salute e del benessere, delle strutture sanitarie da trasformare con i nuovi soggetti protagonisti della lotta per la salute. Interna a quel crogiuolo creativo che fu Medicina Democratica, sull'ambiente di vita e di lavoro entrambi ridotti a merce, sulla nascita e l'aborto, sulla genetica e bioetica, sulla vecchiaia possibile, sui limiti ma anche sul valore dei trapianti. Mimma che corre in Sicilia e li' si scontra con apparati sanitari reali quanto malavitosi, inguaiandosi con una denuncia per "mendicita' abusiva" perche' raccoglieva fondi per il Vietnam, e che va a Stoccolma a verificare il welfare piu' prossimo da confrontare con l'arretratezza italiana. Severa, come quando obbligo' un agente di polizia che aveva sparato ad un ragazzo grazie alla Legge Reale, a restare davanti alla porta della stanza del ragazzo colpito, di notte e di giorno, perche' capisse il danno irreparabile che aveva provocato. E che per questa sua modalita' di "rossa ed esperta" finira' nelle istituzioni - prima come rappresentante del Pci in Senato per due legislature e poi nel Consiglio regionale del Lazio per Rifondazione comunista - dove s'impegna sulla sanita' in un'ottica di servizio che tiene sempre accanto la verifica piu' importante e decisiva: quella dentro la realta', tra le persone, gli umili, gli sconfitti. Da questo punto di vista, l'esperienza probabilmente piu' importante della vita di Marina "Mimma" Rossanda fu quella palestinese. Una realta' che frequento' nel profondo, non solo incontrando leader nell'esilio come Yasser Arafat, ma i Territori occupati, i campi profughi spesso nei momenti piu' drammatici. Come nell'estate del 1982 a Beirut occupata dall'esercito israeliano guidato dal generale Sharon, dov'era corsa a portare aiuto sanitario e dove per giorni e giorni operera' nell'unica sala operatoria di un ospedale di fortuna. Li' scrive un prezioso diario che si conclude sotto l'incubo di un orrore che sta per accadere. E accade, quando Marina ormai non e' piu' a Beirut: la strage di Sabra e Chatila. "Strage che - ricorda Rossana Rossanda - la colpi' come forse nulla di quel che aveva visto succedere durante la guerra mondiale". Cosi' come non smetteva di disperarsi perche' l'esercito israeliano distruggeva tutti i piccoli, preziosi presidi sanitari che costruiva con altri. Nella Palestina occupata, insieme a Marisa Musu, Marina fa un incontro fondamentale: nell'ospedale di Hebron conosce Ghazala (Gazzella) una ragazza di 14 anni in coma perche' ferita alla testa da proiettili sparati da coloni ebrei mentre usciva di scuola. Mimma, in missione per estendere la rete sanitaria di soccorso ai palestinesi che gia' coinvolgeva Mustafa Barghouti, ne trae spunto per lanciare l'organizzazione "Gazzella", impegnata da quel momento attraverso la pratica dell'adozione a distanza, a curare centinaia di bambine e bambini palestinesi feriti. Era innamorata della Palestina, della sua cultura, della profondita' di Edward Said. Non si nascondeva le difficolta', soprattutto vedeva la centralita' del ruolo della donna in quella realta' bloccata e infernale dove gia' si presentavano gli integralismi religiosi e sopravvivevano le strutture patriarcali anche all'interno dei processi di liberazione. Nel saggio che istituisce il "Fondo", Isabella Peretti ricorda lo sguardo illuminante e d'insieme di Marina Rossanda che nel suo Palestina amata e amara, essere donne in Israele, in Cisgiordania in Libano, denuncia le diverse condizioni delle donne in Medio Oriente ma tutte accomunate dalle conseguenze "dello sradicamento, dell'esodo, degli sforzi di ricostruzione delle comunita' sotto la pressione continua della guerra, della repressione e dell'emigrazione forzata". Comunque per la sorte cara dei palestinesi Mimma anticipava nel 1989: "Purtroppo il processo non e' concluso e il lieto fine non e' assicurato". Vent'anni dopo, i massacri di due mesi fa a Gaza ci danno la conferma piu' dolorosa. Cosi' non e' un caso che proprio da un intellettuale palestinese molto legato al suo lavoro sanitario nei Territori occupati come Wasim Dahmash, arrivi la piu' convincente descrizione di Mimma: "Il coraggio che la spingeva a non retrocedere davanti alle situazioni estreme e ad andare dentro il massacro, era fatto non solo di determinazione ma anche di delicatezza. Quella delicatezza che faceva si' che non si dimenticasse, nel racconto dell'Intifada del 1987-1988, di avere fotografato un uccello che vive soltanto in quella parte del mondo, o di portare da Gerico pianticelle di olivo da regalare all'amico palestinese...". Lei, animale umano, che scrive circondata dai suoi due gatti, Medea e Anacleto. Dolcissima quando scrive ad Adriano Mantovani, il compagno della sua vita, una breve poesia d'auguri di compleanno, rappresentazione di un sogno premonitore che individua il necessario, materiale termine di vita: "Ampia torre quadrata,/ scala di pietra chiara./ A piedi nudi in abiti leggeri/ con te la scendo. Addio alla nostra casa./ Dagli archi aperti scende sui gradini/ neve sottile./ Protesto, e' freddo./ Tu sorridi. E tra poco?/ So quale freddo attende./ Ma nelle mani unite/ sta una calda certezza./ Si aprono gli archi, la torre rovina/ e noi scendiamo lievi". 3. MEMORIA. EDOARDO SAGUINETI RICORDA LUCIANO BERIO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 novembre 2008 col titolo "Dall'Inferno al Paradiso nel Laborintus di Luciano Berio"] In casa non ho mezzi per ascoltare i dischi. Ho invece molte cassette, pero' ho poco tempo per sentirle. Devo dire che nel tempo ho raccolto una tale quantita' di musica che per sentirla tutta dovrei vivere quanto ha vissuto Matusalemme. Preferisco vedere i dvd. Puo' servire un aneddoto che mi e' capitato di recente. Ho incontrato un signore, mi pare in Sicilia, che mi ha raccontato di avere moltissime cassette registrate da lui. Ha cose anche molto preziose. Gli ho detto che se le tiene cosi' in casa sua allora dovrebbe convertirle in compact disc o altrimenti farle girare. E cosa mi ha risposto, lo sventurato? Di non averne il tempo e che quelle registrazioni periranno con lui. Ecco, bisognerebbe avere il tempo per poter ascoltare. Ho ascoltato musica l'ultima volta una settimana fa per un convegno a Siena su Luciano Berio. Avevo lavorato spesso con lui. Ho fatto ascoltare frammenti di alcune composizioni raccontando come erano nate. In particolare ho parlato di quattro sue opere con testi da me scritti appositamente per Luciano. In ordine di tempo, ho iniziato da un'opera del '63, anzi piu' correttamente direi una messinscena, dal titolo Passaggio. Ando' su alla Piccola Scala. Poi ho discusso di un'opera del '65 che si chiama Laborintus II: era un omaggio a Dante composto per la radio francese. Il terzo lavoro si intitola A-Ronne, che vuol dire dall'a alla zeta e risale al 1974. Il quarto pezzo invece e' parte di un'opera postuma dal titolo Stanze che Luciano ha composto su testi di sei autori, tra cui il sottoscritto, e che e' stata eseguita nel 2003 a Parigi, dov'era stata commissionata. Se dovessi dire quale di queste opere scegliere, allora indicherei Laborintus II. Perche'? Perche' mi pare il coronamento della sua ricerca fino a quel momento: e' un'opera chiave, di svolta, apre la strada a quanto aveva composto fino ad allora, e' una sorta di enciclopedia del suo discorso. Ed e' un'opera fondamentale del secondo '900, in qualche modo lo riassume poiche' ambisce a essere un'esplorazione globale del mondo dei suoni in tutte le sue dimensioni. Certo, riconosco che si tratta di una sorta di utopia: contiene l'improvvisazione come il madrigalismo, l'urlo come la melodia piu' squisita, e' un'enciclopedia delle sonorita' possibili. Non a caso Laborintus II era nata nel '65 come omaggio a Dante: infatti uno degli elementi tenuti presente da Berio come da me nella preparazione testuale era la volonta' enciclopedica del poeta di abbracciare tutto il mondo dall'Inferno al Paradiso. 4. PROFILI. MAURO NOVELLI: EMILIO LUSSU [Dal mensile "Letture" n. 656, aprile 2009 col titolo "Emilio Lussu" e il sommario "Ottant'anni dopo la leggendaria evasione da Lipari, la figura e le opere di Lussu continuano a brillare, splendide e inattuali, indicando una via di coraggio, coerenza e rigore a quanti si ostinano a confidare nei valori civili"] "Mi era sempre sembrato che, per un uomo d'onore, richiedesse maggior coraggio la diserzione che l'eroismo di guerra". Non e' la provocatoria uscita di un anarchico, ma il fermo parere di Emilio Lussu, valoroso capitano della Brigata Sassari, al petto quattro medaglie guadagnate nel fuoco della Grande guerra. Non occorre altro per comprendere le difficolta' che si parano dinanzi a chi voglia inquadrare un personaggio eccezionale, che parrebbe sortito da un romanzo di Salgari. Dalle imprese in divisa all'attivita' antifascista, dalla clamorosa fuga da Lipari all'esilio francese, dalla guerra di Spagna alla Resistenza. E nel contempo, dall'interventismo democratico all'autonomismo sardo, da Giustizia e Liberta' al Partito d'Azione, dal Psi al Psiup, lungo un percorso quanto mai accidentato, nel quale brilla la cristallina coerenza di uno spirito inflessibilmente democratico. Uno spirito che si ritrova nei discorsi conservati negli Atti del Parlamento (dove sedette dal 1921 al 1926, e dal 1945 al 1968), ma anche nella sferzante ironia che accende le pagine scritte durante l'esilio, tra le quali spiccano due vette della memorialistica novecentesca, come Marcia su Roma e dintorni, lucidissima analisi della maniera in cui la malapianta fascista attecchi'; e Un anno sull'Altipiano, semplicemente il piu' bel libro italiano sulla Prima guerra mondiale, come ha scritto Mario Rigoni Stern. Peraltro, vale la pena di osservare come - prima di trovare posto nello scaffale che ospita i capolavori europei del disincanto, accanto a Il fuoco e Niente di nuovo sul fronte occidentale - Un anno sull'Altipiano sia rimasto nella penombra fino agli anni Sessanta, quando le ristampe, prima nei "Coralli" Einaudi, poi negli "Oscar" Mondadori, trovarono lettori indisponibili ad accettare l'accusa di disfattismo che troppo a lungo un malinteso amor patrio aveva rivolto al libro. Di li' a poco fiorirono le edizioni scolastiche, nonostante le perplessita' di Lussu, che riteneva le sue rievocazioni troppo scioccanti per un pubblico giovanile, ma - per una volta - rinuncio' all'isolana caparbieta' che ne contraddistingueva il carattere. L'importanza della Sardegna per Lussu, in effetti, va ben oltre il mero dato anagrafico, che lo vuole nato nel 1890 in una casa del piccolo borgo di Armungia. Come scrisse in vecchiaia, tra le irsute vallate del Gerrei, solcate dal Flumendosa, ebbe modo di conoscere "gli ultimi avanzi di una comunita' patriarcale, senza classi e senza stato", nella quale l'ordine pubblico era garantito da anziani pastori-contadini. Da essi, insieme alla tradizionale balentia, apprese i valori di egualitarismo e liberta' cui rimase sempre fedele, facendone la bussola che guido' le idee politiche maturate durante gli studi, a Roma e Cagliari, dove si distinse nelle manifestazioni a sostegno dell'intervento italiano contro gli Imperi centrali. Ad accenderlo non erano soltanto astratti furori irredentisti, ma la volonta' di estendere la democrazia in terra germanica, come rivendico' in un vibrante intervento pronunciato alla Camera, il 24 maggio del 1922: "Non tanto per un palmo di piu' lontana frontiera abbiamo gettato al vento la nostra giovinezza, ma per uno sconfinato senso e desiderio di liberta' e di giustizia". * Quell'anno sull'Altipiano In qualita' di ufficiale di complemento, nella Grande guerra Lussu aveva offerto numerose prove di abilita' e coraggio sui principali fronti italiani: dal Carso all'Altopiano dei Sette Comuni, dalla Bainsizza al Piave. Inquadrato nella strenua Brigata Sassari, costituita per lo piu' da contadini e pastori sardi, dovette tuttavia confrontarsi con una realta' assai distante dagli slogan che avevano infiammato il "maggio radioso" del 1915. La sostanziale estraneita' dei fanti agli ideali nazionalisti, e d'altra parte l'assoluto sprezzo manifestato dai comandi nei confronti delle loro vite, suscitarono in Lussu una dolorosa presa di coscienza. Fu questa a indurlo - vent'anni piu' tardi - a redigere una testimonianza palpitante, del tutto estranea alle ricostruzioni enfatiche e scioviniste accreditate nel frattempo dal fascismo. Si trattava piuttosto di demistificare, di considerare la guerra di trincea per cio' che in primo luogo fu: un immane massacro, a monte di ogni speculazione sulla sua presunta utilita'. Un anno sull'Altipiano nacque per un'esigenza di verita', nell'intento di accendere in Italia un barlume della consapevolezza da tempo diffusa tra le opinioni pubbliche degli altri Paesi che avevano pagato un altissimo tributo di sangue. Nel 1936, quando si pose all'opera, Lussu si trovava in un sanatorio svizzero, in attesa di una difficile operazione ai polmoni, sgomento dinanzi ai trionfi delle dittature in Italia, Germania e Spagna. Nel libro (uscito nel 1938 a Parigi, preceduto dalla traduzione in spagnolo, apparsa a Buenos Aires nel 1937) la fermezza della sua opposizione si coglie innanzitutto sul piano dello stile, indifferente ai pennacchi della retorica bellica allora dilagante, e teso piuttosto a dare un'impressione di asciutto decoro, sorretto da una sintassi lineare, cui Lussu non rinuncia neppure nei momenti piu' drammatici, sottolineati da efficaci anticipazioni. "Io ho dimenticato molte cose della guerra, ma non dimentichero' mai quel momento", scrive ad esempio con semplicita' prima di narrare la morte di un amico durante un momento di riposo, fulminato da un cecchino. All'episodio, accaduto dinanzi ai suoi occhi, non fa seguito alcun commento. Allergico al patetismo, Lussu lascia che la tragedia si sprigioni dai fatti, orchestrando magistralmente l'intollerabile alternanza di stati d'animo che logoro' i combattenti, sospesi tra angoscia e stupore di essere ancora vivi. Allo stesso modo, per restituire al lettore l'incubo della durata immensa di una guerra che era parsa senza fine, scelse di concentrarsi su un anno o poco piu', ritagliando il periodo che va dal giugno del 1916 all'estate del 1917. Al trasferimento iniziale dal Carso all'Altopiano di Asiago, dove gli asburgici avevano scatenato la Strafexpedition, fa dunque riscontro nell'ultima pagina l'ordine impartito ai "diavoli rossi" della Sassari di recarsi sul fronte orientale, in previsione della cruenta offensiva della Bainsizza. Di fatto, Un anno sull'Altipiano non si legge per sapere "come va a finire". Tiene piu' dell'epica e della memorialistica che del romanzo (non a caso Lussu si inalbero', quando alla traduzione tedesca venne apposta la dicitura Roman). D'altra parte alcuni episodi furono condensati o rielaborati, mentre altri nella realta' avvennero prima, o altrove, come hanno fatto notare alcuni storici militari. Ma non e' solo per questo che il capolavoro di Lussu andrebbe considerato un ibrido, come del resto suggerisce l'epigrafe, dedicata si' al tema della memoria, ma levata a Baudelaire: "J'ai plus de souvenirs que si j'avais mille ans". Ad avvicinare questa storia di fango e trincee alla narrativa, in particolare, e' il diffuso ricorso ai dialoghi, nel corso dei quali le contrapposizioni ideologiche emergono vigorosamente. Accade ad esempio nei confronti tra ufficiali, divisi tra quanti trattano i soldati come ascari e quanti li ritengono cittadini tout court. Tra questi ultimi e' il comandante della decima Compagnia, ovvero il medesimo Lussu, che nel capitolo XXV difende - contro un collega incline alla sovversione - le ragioni dell'intervento, al di la' della stanchezza e degli orrori: "Perche' se cosi' non fosse, alcuni briganti ci avrebbero perennemente in loro arbitrio impunemente solo perche' noi abbiamo paura della strage. Che ne sarebbe della civilta' del mondo, se ingiusta violenza si potesse sempre imporre senza resistenza?". Una questione cruciale, e tanto piu' ai tempi in cui comparve l'opera. Dai discorsi diretti, inoltre, si comprende quanto l'arroganza, l'impreparazione, il cinismo dei superiori fossero la miccia di una carica dissacrante che puo' trovare un degno corrispettivo solo in certe pagine del Giornale di guerra e di prigionia redatto da Carlo Emilio Gadda. A demolire le folli pretese del generale Leone, o le grottesche pignolerie del generale Piccolomini, e' il veleno di un'ironia amara e corrosiva, almeno quanto l'alcol che scorre a fiumi dalla prima all'ultima pagina. Sia nelle bottiglie cercate con ansia dagli ufficiali sconvolti, o nelle botti recate alle truppe prima degli assalti, e' il cognac la vera benzina della guerra. Lo sanno bene i fanti, come si coglie dai loro concitati discorsi, ascoltati da Lussu in silenzio ("Ingrassano bene il porco prima di ammazzarlo". "Lo ingrassano bene!". "C'ingrassano bene!"). Stordirsi e' l'unica alternativa all'insostenibile consapevolezza della morte, quando non si scelga il suicidio o la diserzione. Proprio da cio', tuttavia, scatta la volonta' di resistenza del narratore, deciso a conservare la propria dignita' in un universo claustrofobico, nell'impatto con rumori, odori, visioni insostenibili. Non e' il coraggio o l'intelligenza a renderlo eroico, ma questa tenace umanita', che lo spinge a bere soltanto caffe', a leggere Ariosto tra scoppi di granate e sibili di pallottole, a conservare un aspetto decente, a vincere la tentazione di abbandonarsi all'inerzia, alla nostalgia, all'abbrutimento, all'ala della follia che pure lo sfiora in mezzo ai cadaveri, quando sente il "cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l'acqua agitata in una bottiglia". La scrittura di Lussu nasce di fronte alla terra di nessuno, al luogo in cui la violenza si fa norma, ogni morale e' sospesa, e l'avversario perde individualita' e diritti. Nasce di fronte al versante piu' buio e scosceso della modernita', al cospetto della natura: boschi e montagne impassibili, da dove giunge di lontano "il guaito della volpe, rauco e stridulo, simile a un riso sarcastico". * Irriducibile Le traumatiche esperienze vissute in divisa determinarono in Lussu una progressiva presa di responsabilita' politica, dalla quale scaturi' nel 1921 la scelta di fondare - insieme ad altri reduci - il Partito Sardo d'Azione: un movimento di matrice autonomista, teso a coinvolgere i ceti popolari intorno all'obiettivo di sradicare i residui feudali presenti sull'isola, in nome della redistribuzione di terre e pascoli, opportunisticamente promessa dai comandi in guerra e presto finita nel dimenticatoio. Il vento della sospirata riforma agraria, insieme alla fama di audace combattente, spinsero Lussu tra i banchi del Parlamento, appena trentenne. Qui tuttavia si trovo' a fare i conti con una situazione di stallo, nella quale andava emergendo il fascismo. Dopo un'iniziale sottovalutazione del fenomeno, all'inizio del 1923 i dirigenti sardisti si spinsero al punto di valutare un'eventuale fusione, alla quale Lussu dopo qualche esitazione preferi' sottrarsi, ritenendo le due fazioni incompatibili. Riconfermato deputato nel 1924, si distinse anzi tra i piu' acerrimi nemici di Mussolini, assumendo un ruolo di primo piano dopo il delitto Matteotti, quando partecipo' all'Aventino. Bersaglio di aggressioni e intimidazioni, Lussu fu incarcerato nel 1926 e spedito al confino l'anno successivo, a Lipari, dove non trovo' certo un'atmosfera di vacanza (come qualcuno oggi vorrebbe far credere), ma condizioni durissime. L'isolamento, le provocazioni dei sorveglianti, il rischio di umilianti punizioni corporali non valsero tuttavia a fiaccarne la tempra, tanto che nell'estate del 1929 riusci' a evadere dalle Eolie in motoscafo, per raggiungere Parigi, dove sfrutto' il clamore sollevato dalla fuga per riportare sulle prime pagine della stampa europea la disperante situazione politica italiana. I precipizi del totalitarismo furono inoltre denunciati da Lussu in un libello scritto e pubblicato a caldo, La catena: classico esempio di memorie dell'esule, pervase di sdegni danteschi, appena velati dal sarcasmo di certe notazioni sulfuree. Un solo esempio: grazie al duce, "il Consiglio dei ministri avrebbe potuto tenere seduta in una cabina telefonica, e sarebbe avanzato dello spazio". I medesimi toni pervadono Marcia su Roma e dintorni, un lavoro ben piu' vasto e articolato, pubblicato nel 1933 a Parigi, ma subito diffuso clandestinamente in Italia grazie ai militanti di Giustizia e Liberta', il movimento fondato da Lussu con Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli. Per raccontare il modo in cui il fascismo prese il sopravvento, Lussu vi adotta una prospettiva personale, lasciando sfilare gli eventi vissuti a Roma e in Sardegna nel decennio che va dal 1919 al 1929, senza fingere un'obiettivita' inverosimile: "Chi da' un colpo di sciabola, non provera' evidentemente le stesse impressioni di chi lo riceve. Non per tanto il colpo di sciabola sara' sempre un colpo di sciabola". La metafora si attaglia bene alla maniera coupe' dell'opera, che da' rilievo a intermezzi gnomici ("La tragedia, spesso, non e' nel battersi ma nel non potersi battere"), immagini icastiche (Mussolini, durante il discorso del 25 giugno 1922, "cosi' in alto, sembrava un avvoltoio accovacciato su una rupe") e stoccate impareggiabili. Come quella riservata a D'Annunzio, venuto a conoscenza della mancata concessione di Fiume all'Italia: "Debitore, poeta e guerriero si fusero in uno: egli decise l'impresa". La brevita' a effetto, ben piu' degli arzigogoli retorici, era particolarmente adatta a colpire il pubblico internazionale cui Lussu intendeva rivolgersi nel libro (presto tradotto in francese, inglese, portoghese), scritto in primo luogo per mettere in guardia le democrazie sopravvissute sino ad allora, perche' non ripetessero gli errori compiuti in Italia. Se il consolidarsi della dittatura poteva apparire in qualche misura inevitabile, in virtu' dei saldi accordi stretti con la monarchia, l'esercito e il Vaticano, non cosi' la presa del potere da parte delle camicie nere, che avevano approfittato dell'eccessiva confusione, debolezza, litigiosita' che allignavano negli apparati pubblici. Un discorso a parte e' riservato all'attitudine al trasformismo, mascherato da "crisi di coscienza", e alle responsabilita' dei troppi che si rivelarono inferiori ai compiti loro assegnati. A cominciare dal re, protagonista di un momento memorabile, allorche' le associazioni dei combattenti gli chiesero il ripristino delle liberta' costituzionali per sentirsi rispondere, dopo un attimo di silenzio: "Mia figlia, stamattina, ha ucciso due quaglie". Il biasimo sarcastico, occorre notare, oltrepassa la sfera delle autorita' statali, per dardeggiare quanti temevano i bolscevichi sino a credere che avrebbero socializzato anche le donne; e ancor piu' il rassegnato attendismo degli aventiniani, speranzosi - alle voci sull'ulcera del duce - che i microbi compissero l'opera da loro temuta. Il Lussu degli anni Trenta si era invece ormai convinto dell'improcrastinabile necessita' di combattere il fascismo con le armi. Arrivo' dunque a comporre un vero e proprio manuale sull'argomento, Teoria dell'insurrezione (pubblicato a Parigi nel 1936), nel quale passa in rassegna i moti dell'Otto-Novecento, con particolare attenzione all'Ottobre russo, traendone spunti per le azioni da realizzarsi. Scettico sull'ipotesi di una spontanea presa di coscienza antifascista delle masse, Lussu crede piuttosto nell'azione suscitatrice di un'avanguardia risoluta, che a suo parere avrebbe dovuto recuperare alla causa proletaria tanto l'universo contadino quanto la piccola borghesia, in nome dei diritti dell'individuo. E' questo, in effetti, il totem libertario per il quale Lussu si batte' sino all'ultimo, recisamente convinto che "all'infuori della democrazia non v'e' socialismo, ma terrore permanente". * Uomini e cinghiali Nella seconda meta' degli anni Trenta Lussu prese parte alla guerra civile spagnola, arruolandosi nelle Brigate Internazionali nonostante la salute malferma. Allo scoppio del conflitto mondiale ando' intensificando le attivita' cospirative, agendo col nome in codice di Mister Mills in mille angoli d'Europa, tra perquisizioni, inganni e sparizioni rocambolesche, di cui scrisse piu' tardi in Diplomazia clandestina (le medesime peripezie furono narrate a caldo e con verve dalla moglie, la scrittrice marchigiana Joyce Salvadori, in Fronti e frontiere). Dopo avere sperato invano di organizzare una rivolta popolare in Sardegna, con la collaborazione degli inglesi, Lussu rientro' in Italia nell'estate del 1943 per stabilirsi a Roma, dove assistette all'ignominiosa fuga del re e partecipo' alla Resistenza nelle file di G.L., poi confluita nel Partito d'Azione, di cui divenne un leader. Come tale, fu ministro con Parri e con De Gasperi nell'immediato dopoguerra, quando finalmente le sue opere principali furono stampate in Italia, dove si guadagnarono l'ammirazione di lettori del calibro di Benedetto Croce, Luigi Russo, Eugenio Montale. Non per questo negli anni successivi Lussu si lascio' tentare dall'attivita' letteraria. Preferi' piuttosto concentrarsi nel ruolo di senatore del Partito Socialista, guardando sempre con attenzione alle vicende della sua regione, perplesso dinanzi all'oblio sulla questione sociale e alla deriva separatista del Partito Sardo d'Azione, che lo ricambio' con un astio non ancora spento. Ci fu persino chi giunse a rimproverargli di non essere Grazia Deledda: di non avere cioe' posto i luoghi natii e il loro patrimonio di abitudini e mentalita' al centro delle sue opere. Senonche' si puo' rammentare un testo breve, l'unico racconto d'invenzione composto da Lussu, che fa eccezione. Alludo a Il cinghiale del diavolo, scritto negli anni Trenta ma pubblicato solo nel 1967, nel quale rievoca le battute di caccia cui partecipo' da ragazzo e le storie di incanti udite nelle pause intorno al fuoco. Certo sarebbe eccessivo legare a doppio filo l'intera condotta di una vita alle regole apprese nella societa' rurale ove Lussu ebbe la ventura di crescere. Eppure resta difficile sottrarsi alla suggestione del rimando, quando si pensi alla scena piu' celebre di Un anno sull'Altipiano. La scena del capitolo XIX in cui, non visto, il capitano Lussu riesce ad avvicinarsi alle trincee nemiche, abbastanza per sparare a colpo sicuro a un nemico, ignaro. "Tirare cosi', a pochi passi, su un uomo... come su un cinghiale!". Sarebbe un dovere. Ma ripone il fucile. * Un'imprevista primavera Negli ultimi anni la fortuna di Emilio Lussu ha conosciuto una sorprendente impennata, tanto in Italia quanto all'estero, dove sono da registrare le traduzioni in ebraico e giapponese di Un anno sull'Altipiano, che nel frattempo conosce regolari ristampe nei principali Paesi occidentali, al pari di Marcia su Roma e dintorni (di cui andra' citata almeno la versione introdotta da Antonio Tabucchi, comparsa nel 2002 presso le Editions du Felin a Parigi, dove nel 1933 usci' la princeps). In campo nazionale occorre in primo luogo menzionare l'importante iniziativa della casa editrice cagliaritana Aisara, che ha impostato un'edizione in sei volumi di Tutte le opere di Lussu. Al momento e' comparso il primo tomo, Da Armungia al Sardismo 1890-1926: quasi seicento pagine, ottimamente curate da Gian Giacomo Ortu, nelle quali ha trovato posto - insieme ai due lavori fondamentali composti durante l'esilio (disponibili singolarmente presso Einaudi) - Il cinghiale del diavolo, che ha conosciuto una versione illustrata (Su sirboni de s'aremigu, Condaghes 2008) e una ristampa approntata dai tipi di Ilisso, cui si deve inoltre una recente edizione di Un anno sull'Altipiano, con prefazione di Alberto Asor Rosa. Finalmente reperibile in libreria, dopo una lunga latitanza, e' anche Teoria dell'insurrezione, pubblicata con prefazione di Valerio Evangelisti da Gwynplaine nel 2008; mentre l'anno precedente Aragno ha ripescato La difesa di Roma di G.L., 9-10 settembre (a cura di Renzo Ronconi, con una testimonianza di Vittorio Foa), uscito anonimo a Roma nel 1943, come opuscolo di propaganda clandestina. Cruciali, per comprendere l'ottica politica di Lussu negli anni della Resistenza, sono pure i discorsi pronunciati in Sardegna nel 1944, raccolti da Adriano Vargiu (Iskra, 2006). Sugli anni della cospirazione rimane imprescindibile lo studio di Manlio Brigaglia, Emilio Lussu e "Giustizia e Liberta'". Dall'evasione di Lipari al ritorno in Italia, fresco di ristampa presso le Edizioni Della Torre. Una serie di "riflessioni, testimonianze, memorie" su Lussu sono state raccolte da Eugenio Orru' e Nereide Rudas in L'uomo dell'Altipiano (Tema, 2003). Altri rilevanti contributi figurano in un volume dal titolo Lussu: trent'anni dopo (Alfa, 2006). Alla ricorrenza del 2005 si deve inoltre l'organizzazione di due importanti convegni, il primo tenutosi a Sassari (Emilio Lussu 1975-2005. La scrittura, la memoria, l'identita'), il secondo a Grenoble (Emilio Lussu. Politique, histoire, litterature et cinema; gli Atti sono comparsi presso Alpes, nel 2007). In ambito cinematografico, vale la pena di ricordare che a Un anno sull'Altipiano guardo' Mario Monicelli nel girare uno dei suoi capolavori, La Grande guerra (1960), con Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Dieci anni piu' tardi, dal libro di Lussu Francesco Rosi trasse - insieme a Tonino Guerra e Raffaele La Capria - la sceneggiatura per Uomini contro, un film con Gian Maria Volonte' di cui firmo' la regia, guadagnandosi una denuncia per vilipendio dell'esercito, oltre a una serie di traversie distributive (ne e' stato ricavato un dvd, uscito con "L'Espresso" e per Minerva Classic). A detta di Rosi, Lussu avrebbe invece negato i diritti dell'opera a Stanley Kubrick, forse temendo una trasposizione troppo violenta e spettacolare. Quanto al materiale disponibile in rete, si possono segnalare le pagine web del Centro Studi Emilio Lussu (www.emiliolussu.it), nato nel 2003 all'interno dell'associazione culturale "I Sardi", nell'intento di recuperare e valorizzare le idee politiche dello scrittore. Per un primo avvicinamento alla sua figura resta consigliabile la lettura della biografia dedicatagli da Giuseppe Fiori, Il cavaliere dei Rossomori (ristampata da Einaudi nel 2000), non priva di venature agiografiche ma senz'altro godibile e puntigliosamente documentata. * Vita di un capitano 1890 Emilio Lussu nasce ad Armungia, tra le colline della Sardegna sudorientale, da Giuannicu, proprietario terriero, e Lucia Mereu, figlia di ambulanti cagliaritani, sposata contro il parere della famiglia. Emilio cresce con il fratello maggiore Peppino, tra scorribande all'ombra di un nuraghe, storie di caccia e balentias. 1902 Collegio salesiano a Lanusei. 1907-1910 Frequenta il liceo Mamiani di Roma, con risultati alterni. Ottiene la licenza da privatista al Dettori di Cagliari, per poi iscriversi alla locale Facolta' di giurisprudenza. 1911-1912 A Torino, allievo del corso ufficiali, presso il 92mo reggimento di fanteria. 1915-1917 Fresco di laurea, nel maggio del 1915 parte per il fronte con la Brigata Sassari, da poco costituita. Combatte sul Carso, sullo Zebio, sulla Bainsizza, ottenendo svariate promozioni e medaglie al valore. 1918 Il 28 gennaio e' seriamente ferito al Col del Rosso. Trascorre quattro mesi a Milano, ricoverato in un ospedale militare. A fine maggio torna in prima linea per difendere la linea del Piave. 1919-1920 A settembre, congedato, rientra in Sardegna, dove si impegna nelle associazioni di combattenti, schierandosi con piglio giacobino accanto a minatori, operai e contadini. 1921-1922 E' tra i fondatori del Partito Sardo d'Azione, con il quale entra in Parlamento, sedendo all'estrema sinistra. Si spende per l'autonomia e per i diritti del proletariato rurale. Vota contro il governo Facta. Avverso al fascismo, si salva per miracolo da un'aggressione, rimediando una commozione cerebrale. 1923 Partecipa alle trattative in vista di un'eventuale fusione tra sardisti e camicie nere, attratto da una serie di concessioni abilmente ventilate, ma deve presto ricredersi. In maggio a Roma presenta le dimissioni da deputato, che vengono respinte. 1924-1925 Rieletto a Montecitorio, dopo il delitto Matteotti partecipa all'Aventino, predicando invano forme di lotta piu' efficaci. 1926 Le pressioni dei fascisti si fanno insostenibili. Il 31 ottobre rischia il linciaggio, quando un gruppo di facinorosi tenta di irrompere nella sua casa di Cagliari. Viene arrestato per avere sparato a uno squadrista, che muore. 1927 Trascorre lunghi mesi in una cella malsana, dove si ammala ai polmoni. Al processo contro ogni previsione gli si riconosce la circostanza di legittima difesa. E' assolto, ma l'indomani viene condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a cinque anni di confino a Lipari, in quanto reo di attivita' sovversive. 1929 In estate riesce a evadere in motoscafo dall'isola, insieme a Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Raggiungono Tunisi e di qui la Francia, dove danno vita a "Giustizia e Liberta'". A Parigi scrive di getto La catena. 1930-1934 Anni di esilio, tra viaggi in incognito, complotti e mille difficolta'. Tra le poche fonti di reddito, i diritti per Marcia su Roma e dintorni, che esce nel 1933 a Parigi. 1935-1936 I malanni ai polmoni lo costringono a ricoverarsi in un sanatorio svizzero, dove viene operato. Durante la degenza scrive Teoria dell'insurrezione e Un anno sull'Altipiano. 1937 Raggiunge la Spagna, per aggregarsi alla Brigata Garibaldi. Rientra a Parigi alla notizia dell'assassinio dei fratelli Rosselli. 1938 Rivede Joyce Salvadori, conosciuta nel 1933 a Ginevra. Diverra' la compagna di una vita. 1940 Poco prima dell'occupazione nazista lascia Parigi per Marsiglia, dove si adopera per organizzare la fuga di antifascisti e perseguitati. 1941-1942 Viaggia clandestinamente in Portogallo, a Malta, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti. Accarezza l'idea di predisporre un'insurrezione popolare in Sardegna. 1943 In agosto rientra finalmente in Italia, per partecipare alla Resistenza. 1944 Sposa Joyce a Roma. Nasce il figlio Giovanni. In estate rimette piede in Sardegna, dove destano sconcerto le sue posizioni antiseparatiste. 1945 Ministro dell'Assistenza postbellica nel governo Parri. Ministro per i Rapporti con la Consulta nel successivo governo De Gasperi. 1946-1947 Nel Partito d'Azione difende posizioni filosocialiste, che causano l'uscita del gruppo liberalrepubblicano capitanato da Ugo La Malfa. Si batte senza successo per orientare in senso federalista la Costituzione. 1948-1968 Tramontato il Partito d'Azione, da' vita al Partito Sardo d'Azione Socialista, con cui entra nel Psi. Sotto le insegne dei socialisti viene eletto piu' volte senatore. Ostile all'intesa con la Dc, nel 1964 partecipa alla scissione da cui nasce il Partito Socialista Italiano di Unita' Proletaria. 1972 Contrario alla confluenza del Psiup nel Partito Comunista, si ritira definitivamente dall'attivita' politica. 1975 Muore a Roma. Dispone che il corpo venga cremato e le ceneri disperse nel Tirreno. Una lapide oggi lo ricorda, insieme a Joyce, al Cimitero degli Inglesi. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 210 del 5 aprile 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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