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La domenica della nonviolenza. 207
- Subject: La domenica della nonviolenza. 207
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 15 Mar 2009 10:32:49 +0100
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 207 del 15 marzo 2009 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Kallawaya 2. Nunzia Valeria Scognamiglio: Daniel Pennac (1998) 3. Paola Capriolo presenta "Friedrich Hoelderlin. Vita, poesia e follia" di Wilhelm Waiblinger 4. Valentina Parisi presenta "Congedo dai genitori" di Peter Weiss 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: KALLAWAYA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Lo studio dei linguaggi generalmente non e' interessante se non per le persone che se ne occupano gia', a livello professionale o amatoriale. Ma anche se la linguistica non mi interessasse, mi darebbe sempre un brivido sapere che ogni quattordici giorni una lingua umana scompare. Assieme ad una lingua, se ne va ben di piu' che una serie di parole. Le lingue muoiono in gran parte grazie alla colonizzazione e all'oppressione: i bambini smettono di parlarle perche' a scuola se ne parlano altre, gli adulti perche' non sono quelle che permetteranno di trovare un lavoro, e gli anziani evitano di insegnarle e le usano solo con altri anziani, magari vergognandosi un po' di questa "roba vecchia", che comunque sparira' con loro. Forse il kallawaya delle Ande sopravvivra'. Meno di cento persone oggi lo parlano, e non e' un linguaggio che si apprenda nell'infanzia. Solo se decidi di essere un guaritore o una guaritrice lo impari: e' il linguaggio che si apprende ascoltando le erbe e gli animali, e' il linguaggio del canto, dei rituali, della cura. Ed e' cosi' vero: solo quando ti poni nel mondo in ascolto sai dire altre parole. 2. PROFILI. NUNZIA VALERIA SCOGNAMIGLIO: DANIEL PENNAC (1998) [Dal mensile "Letture", n. 548, giugno-luglio 1998, col titolo "Daniel Pennac. L'allegro capo espiatorio" e il sommario "Una societa' perennemente in crisi presuppone la sua vittima, sul lavoro come in famiglia. Ma nella tetralogia dello scrittore francese, Malaussene si difende con ironia, giochi di parole, nomi, parentesi e figure retoriche"] Daniel Pennac nasce come giallista. I suoi primi romanzi, Il paradiso degli orchi, La fata carabina, sono pubblicati nella collana poliziesca, "serie noire", delle edizioni Gallimard, ma il rifiuto di qualunque classificazione di genere lo spinge prima a stravolgere gli stereotipi e le regole linguistiche e strutturali dell'etichettato romanzo giallo, noto in Francia come polar, e poi nelle ultime opere (Ultime notizie dalla famiglia, Signori bambini) ad abbandonarlo del tutto. Affermato nella letteratura per l'infanzia (Abbaiare stanca, L'occhio del lupo; e tutta la serie su Kamo), Pennac trasferisce nel suo polar quei toni tipici del mondo fiabesco con i quali ha acquisito un'íestrema familiarita', partito dalla convinzione che polar e favola condividono una sorta di magia infantile: al momento opportuno c'e' l'arrivo dei poliziotti per l'uno, della fata per l'altro. L'intreccio di poliziesco e fiaba, realta' e finzione, diventa un elemento distintivo del suo stile e, nello stesso tempo, una ripresa ironica dei topos triti e ritriti del romanzo giallo. Pur aderendo in parte alla struttura di questo genere, omicidi plurimi, polizia, indagini, suspense e soluzione finale, Pennac la stravolge grazie alla sapiente commistione di stili diversi. Commistione che nasce dalla volonta' dell'autore di ribellarsi al diktat semiotico-strutturalista degli anni Settanta in cui tutto doveva produrre significato, dunque divieto implicito di raccontare una storia solo per il gusto di farlo, inventare personaggi e situazioni lavorando di semplice fantasia. Ironia, comicita', suspense, caos, fervida fantasia supportata da un linguaggio familiare e personale, guidano il lettore nei meandri della travagliata esistenza del piu' celebre dei personaggi dello scrittore: Benjamin Malaussene, componente di una famiglia piuttosto numerosa, che e' stata protagonista dell'intera tetralogia che ha reso Pennac famoso non solo in Francia ma anche in Portogallo, Spagna, Olanda, e ovviamente Italia, fin dal 1990. * Un mestiere assurdo Stravagante e singolare, protagonista di vicende inverosimili e straordinarie, Benjamin Malaussene svolge una professione apparentemente folle ma inconsapevolmente realistica: e' capro espiatorio. Proprio questo l'inconfessabile e assurdo mestiere del povero Ben, il quale ufficialmente veste l'abito del controllore tecnico in un grande magazzino parigino, ma ufficiosamente non controlla proprio niente. Quando arriva un cliente lamentando il cattivo funzionamento di un prodotto acquistato, Malaussene e' immediatamente convocato a recitare la sua parte: subire una valanga di umiliazioni, attribuendosi ogni responsabilita' e rischiando inizialmente non solo di risarcire personalmente il cliente, ma anche di perdere all'istante il lavoro. Ma la padronanza dell'attore, consolidata da uno studio assiduo e costante della parte, ottiene l'effetto desiderato, e la vittima Ben diventa carnefice: il cliente commosso preferisce rinunciare alla propria garanzia piuttosto che vedere sulla strada l'unico sostegno di una famiglia numerosa. Ben, conteso e adescato, continua a curare le relazioni pubbliche, ruolo che presenta il duplice vantaggio di limitare il numero dei posti di lavoro e di risolvere la maggior parte delle controversie in via amichevole, come sostiene il suo direttore Sainclair, anche quando cambia lavoro, si fa per dire, diventando critico letterario di una casa editrice. Stipendio triplicato, ufficio personale, promozione a direttore, e' del tutto cambiata l'apparenza, la scena e' nuova, ma la sostanza del copione e' immutabile: caduta la maschera, emerge sempre il capro espiatorio, con l'ingrato compito, questa volta, di comunicare agli scrittori esordienti che il loro manoscritto e' stato rifiutato. La firma che ha sancito il rifiuto e' proprio la sua, Benjamin Malaussene. Un carnefice senza scrupoli? Naturalmente no. Anche lui e' stato vittima e prima di tutti gli altri, in quanto autore di decine e decine di opere tutte inevitabilmente respinte. Solo la perseveranza gli ha permesso di andare avanti, per cui sotto sotto il messaggio per ogni aspirante scrittore e': non ti scoraggiare ma continua. Scrittura e'... pazientare a lungo. E' con questo stratagemma, la maschera del capro espiatorio, che Pennac riprende una teoria cara a Pirandello: ognuno costruisce la sua personalita' secondo i diversi ruoli che deve assumere o che gli sono imposti dalla vita sociale. Ma nessuno di questi e' l'intera persona: sono solo maschere di cui si compone la realta' individuale del soggetto o, per dirla con Shakespeare, il mondo intero e' un palcoscenico, in cui uomini e donne sono solo attori che recitano molti ruoli allo stesso tempo. Nel costruire questo personaggio, Pennac ha moltiplicato questa teoria: Benjamin Malaussene e' infatti madre, padre, fratello, amico, insegnante, tecnico, scrittore, critico letterario, investigatore involontario e, uno per tutti, un grande attore, cosi' come richiede la scena. E' in questo modo che l'autore lo rende un perfetto camaleonte, un ectoplasma che assume la forma-ruolo che gli si offre. La maschera del capro espiatorio, che riproduce sul piano della narrazione l'apparente semplicita' del piano linguistico, e' l'abito della vittima indifesa: pronto a difendersi dagli altri e apparentemente privo di protezione. Ma la sua e' una personalita' ben piu' complessa, variegata e scaltra. Nei romanzi di Pennac c'e' di tutto: scoppio di bombe, vecchietti in crisi di astinenza e pronti a tutto pur di procurarsi un'altra dose di droga, prostitute straziate da un maniaco che vuol recuperare i tatuaggi stampati sulla loro cute, evaso in fuga da un carcere modello, omicidio di un cognato non proprio voluto, e prove e indizi e testimonianze, il tutto un po' travisato, che convergono verso l'unico possibile sospettato, chi? Benjamin Malaussene! Qualunque cosa accada, in qualunque parte della citta', se si cerca un responsabile, una vittima, un capro espiatorio, insomma, Ben ha tutte le chances di essere il prescelto. Un capro espiatorio che, benche' protagonista, rifiuta qualunque coinvolgimento nelle indagini poliziesche, ma suo malgrado ne resta sempre intrappolato. Finalmente a casa dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro, Malaussene nemmeno qui puo' liberarsi del suo costume, perche' e' atteso da una balzana ma simpatica famigliola di fratelli e sorelle, lasciatagli in eredita' dalla sua giovane madre, il cui scopo nella vita e' fuggire per amore, mentre l'immancabile frutto di queste relazioni passionali e' depositato puntualmente a casa di Benjamin Malaussene, il fratello maggiore, che provvede non solo ai bisogni ma anche alle fastidiose sventure in cui fratelli e sorelle sono costantemente coinvolti. Esigenze economiche e vincoli affettivi lo costringono a una espiazione interminabile di peccati altrui. E come se il tutto non bastasse, casa sua diventa anche un pensionato per vecchietti soli, depressi e bisognosi di cure affettive. Non che Ben l'abbia voluto, non che Ben l'abbia chiesto, ma, spalle al muro per volonta' della donna che ama, costretto questa volta dall'unica dipendenza umana, l'amore, Ben, in un modo o nell'altro, continua a subire. Dalla tetralogia di Pennac, il capro espiatorio emerge come una tremenda necessita' sociale, che nasce nel momento stesso in cui un qualunque gruppo si costituisce. Una societa' perennemente in crisi come la nostra ha gia' il presupposto, la crisi, per l'identificazione di una vittima. Se Malaussene accetta di giocare come capro espiatorio e' perche' e' sicuro di non cadere nel ruolo ma di potersi difendere egregiamente sostenuto dalla sua cara amica: l'ironia. Non a caso ironia, giochi di parole, parentesi, figure retoriche, espedienti linguistici cari a Pennac, diventano gli strumenti di difesa schierati da Malaussene ogniqualvolta c'e' una battaglia da sostenere. Strumenti che gli permettono di scindere quella che deve essere l'apparenza e quello che e' il suo essere, di conservare allo stesso tempo lucidita', sicurezza e padronanza in ogni circostanza. Malaussene riesce sempre a schivare l'olocausto, quei sacrifici in cui la vittima e' completamente consumata, e quando tutto sembra perso, non c'e' piu' nessuna speranza, la fine e' vicina, come una fenice riemerge dalle sue stesse ceneri piu' sicuro e forte che mai. L'ironia consente a Malaussene di non impegnarsi, perche' ironia e' disimpegno, restare al di fuori e al di sopra di tutto e di tutti, senza lasciarsi coinvolgere in situazioni critiche o pericolose. E' dal desiderio di non compromettersi che nasce la parentesi come rifugio del proprio pensiero, parentesi che diventa anche indice esplicito, grafico, della sua ironia. La spiccata razionalita' di cui Pennac ha dotato il suo personaggio gli consente, anche nei momenti in cui dovrebbe essere particolarmente vulnerabile, di scindere il pensiero e ponderare cio' che si puo' dire e cio' che e' meglio tacere, di ignorare tutto cio' che non e' detto esplicitamente, scrollandosi in questo modo almeno di una parte di responsabilita', assecondando in apparenza tutti ma conservando la lucidita' della propria opinione, perche' l'accesso in parentesi ai giochi di parole e all'ironia e' consentito solo al lettore. Un tale personaggio ha inevitabilmente un carattere doppio: non puo' considerare seriamente ne' la propria funzione ne' le proprie parole. La parentesi diventa, quindi, un'esigenza per separare il piano della finzione-apparenza da quello della realta'-essere, confluendo in uno stile ambiguamente intrecciato. * Il morto non crede agli spiriti L'interesse di Pennac per questo segno grafico, che accompagna tutta la sua produzione, letteratura per i piu' giovani e saggi critici inclusi, e' consolidato anche nell'ultimo dei suoi romanzi, Signori bambini, in cui questo ambito riservato e privato diventa voce privilegiata di un personaggio si', ma narratore, e peraltro un personaggio-narratore esclusivo, come sempre in Pennac, perche' e' un fantasma, il papa' di uno dei ragazzi protagonisti, Igor. Igor riesce, vincendo l'incredulita' del padre che e' scettico della sua stessa esistenza, a parlargli ogniqualvolta ne sente il bisogno. Tipica di Pennac la contraddizione: il morto non crede agli spiriti e perfino si sorprende trovandosi in tali abiti, mentre il ragazzo, vivo, non solo accetta il fantasma come l'essere piu' ovvio e scontato di questo mondo, ma e' attraverso la sua cieca fiducia che lo spirito si materializza e acquista la vita. La parentesi precisa, conferma, ribadisce, commenta diventando anche elemento distintivo del personaggio. Foiriez, per citarne uno, e' costantemente accompagnato da una parentesi che cita le sue parole: "non si corre nei corridoi". Con questa frase Foiriez e' stato tipizzato: e' un individuo noioso e petulante, o almeno e' cosi' che e' visto dagli studenti. Appiccicandola al suo nome, debitamente virgolettata - Foiriez "non si corre nei corridoi" -, e ripetendola ogni volta che il personaggio e' citato, Pennac ironizza, perche' la ripetizione ostentata e' ironia, la frase perde il suo valore letterale e diventa solo una cantilena di cui burlarsi, poiche' i ragazzi continuano a fare cio' che l'insegnante vieta: correre per i corridoi. Se in tutta la tetralogia della famiglia Malaussene Pennac conserva un'apparenza verosimile di un mondo potenzialmente credibile, in Signori bambini cade qualunque barriera, si supera qualunque confine, non per la presenza di un fantasma - non ci vuole mica tanto a mettersi in contatto con i morti, lo fanno tutti! -, ma per l'improvvisa trasformazione dei tre bambini protagonisti, Nourdine, Joseph, Igor, dopo aver svolto un tema scolastico: "Vi svegliate un mattino e constatate che nella notte siete stati trasformati in adulti. Spaventati vi precipitate in camera dei vostri genitori: i quali sono stati trasformati in bambini". Una tale circostanza e' frutto puro della fantasia, priva di qualunque aderenza o contatto con la realta'. Non c'e' piu' niente di verosimile, di probabile o possibile. Avvolti e travolti da questo improvviso sviluppo, i ragazzi correranno, non piu' nei corridoi della scuola, alla ricerca della chiave del mistero, desiderosi di ripristinare l'ordine stravolto. Uno stravolgimento che ha rispettato le indicazioni del compito per tutti, ma non per Crastaing, l'insegnante ossessionato dai rapporti familiari e dall'infanzia, il quale e' stato semplicemente ristretto nelle sue misure corporee, vestito incluso, ma non e' ritornato bambino. Crastaing non poteva ritornare all'infanzia perche' non ha mai avuto un'infanzia. E' da qui che nasce la sua ossessione e il suo attaccamento morboso ai ricordi infantili altrui, ed ecco perche' nel "Viale delle donne" e' cosi' ben conosciuto, tanto che lo chiamano tutte, in tono confidenziale, Albert, anche se quando arriva scappano tutte: non e' certo il cliente preferito. Bramante e affamato, afferra le ragazze una a una e, senza anestesia, le costringe a raccontare della loro infanzia spesso dolorosa, per ore e ore. Signori bambini ha una trama semplice e lineare senza intrecci secondari, diversamente dall'elaborato groviglio di personaggi e avvenimenti che in generale Pennac predilige, ma che ha caratterizzato in modo particolare Monsieur Malaussene. Se da un lato la semplicita' e' la trappola che imprigiona il lettore in questo mondo spumeggiante in cui comicita', esuberanza e divertimento sdrammatizzano la realta' di un'esistenza ben piu' dolorosa, d'altro canto e' un espediente che vela, al fine di svelare meglio, cultura e padronanza letteraria dell'autore. Personaggi (Mister Hyde, Zorro, Madame Bovary), attori (Vittorio De Sica, Catherine Deneuve), politici (Antonio Gramsci, George Bush, Khomeyni), citazioni letterarie (poeti e scrittori, classici, moderni, occidentali e talvolta perfino orientali, Carlo Emilio Gadda, Edgar Allan Poe, Jules Laforgue, Chester Himes, Oscar Wilde, Emile Zola, Virgilio, Sigmund Freud, e tanti altri, provenienti da ogni dove) affollano i testi di Pennac, riproducendo sul piano letterario quella multietnicita', approvata e condivisa, che caratterizza sia la Belleville della realta' che quella della finzione. L'estrosita' linguistica e il dichiarato spirito comico sono giocati da Daniel Pennac anche nei e con i nomi dei personaggi. Nomi simpatici (Chabotte, variante di Gatto con gli Stivali), stravaganti (C'Est-Un-Ange, E'-Un-Angelo), storici (Verdun), onomatopeici (Coudrier, Cercaire), in ogni caso nomi che non solo assolvono alla tradizionale funzione identificativa ma portano nel loro lemma i principali e piu' significativi aspetti della personalita' e del temperamento dei personaggi. Verdun, l'ultima arrivata dei fratelli Malaussene, e' la guerra, non solo per il richiamo alla storica battaglia del 1916, che fu una delle piu' sanguinose della storia per le ingenti quantita' di uomini e di mezzi impiegati, ma perche' la piccola e' ribelle, esigente, autoritaria e prepotente. Quando e' sveglia esige che tutti le siano intorno, ognuno impegnato nel soddisfacimento di un suo bisogno. Non transige, non aspetta, il suo pianto e' impetuoso e la sua agitazione e' rabbiosa, proprio come uno shrapnel, non un proiettile qualunque ma uno particolarmente violento, che fa tremare il mondo, per cui e' necessario tutto l'eroismo e il coraggio dei componenti familiari, Benjamin, Therese, Jeremy, Clara, per superare il pericoloso momento, ed evitare lo scoppio minacciante della granata. Bisogna essere all'erta, prevenire l'attacco per meglio fronteggiarlo. L'indomabilita' innata di Verdun diventa ancora piu' evidente quando al suo fianco avra' il nipotino C'Est-Un-Ange, il bimbo nato da Clara, la fotografa, e Clarence, il direttore del carcere modello immischiato in affari illeciti, ma che comunque per un po' e' stato le claire, come vuole il suo nome, cioe' il chiarore, la luce dei detenuti. I due bebe' costituiscono la coppia degli opposti, cio' che e' l'uno non e' l'altra. Se lui e' dolce, tranquillo e remissivo, in altre parole un angelo, lei e' prepotente, autoritaria e aggressiva, in altre parole una battaglia. Con i nomi dei due commissari di polizia, Coudrier e Cercaire, Pennac crea un gioco antitetico sulle rispettive personalita'. Cauto, analitico, riflessivo, con l'ufficio in costante penombra Coudrier. Presuntuoso, impulsivo, brutale, con l'ufficio sempre illuminato a giorno Cercaire. "Il commissario Coudrier assomiglia al suo nome". Le coudrier, in francese, e' il noccioleto. Si vuole quindi mettere in risalto la perseveranza con la quale il commissario conduce il suo lavoro. E' un osso duro o meglio una testa dura, determinato a non lasciarsi sfuggire niente. Ma Coudrier e' anche, foneticamente, molto vicino a coudre (cucire), che tutto sommato e' il lavoro compiuto durante le indagini: lentamente e pazientemente il commissario ricostruisce, o meglio ricuce gli indizi fino a risolvere il caso. Il nome diventa una sorta di messaggio, un segno linguistico, contenente informazioni per il soggetto e per gli altri. Cercaire. Dopo la presentazione attraverso i velati apprezzamenti dei suoi colleghi, piuttosto deludenti, a conferma di quanto detto, come sintesi riepilogativa e chiarificatrice, un altro poliziotto evoca il significato letterale del nome dell'ispettore: "Un cercaire, e' una larva schifosa che cresce nelle risaie. Ti penetra nella pelle e ti rode dentro fino a farti pisciare sangue, ecco l'effetto che mi fa Cercaire", afferma il valido e stimato poliziotto vietnamita, che per scovare il maniaco le escogita tutte, fino a travestirsi da anziana nonnina e girare per le strade della citta' per adescarlo. Cercaire, che sia l'ispettore o la larva, e' in ogni caso un verme divoratore, un parassita che logora pian piano l'uomo, lentamente, fino a distruggerlo. Incredibile, ma Cercaire e' fiero del suo nome. E' un poliziotto corrotto, un razzista che si avvale di metodi violenti e brutali, non ha alcuna forma di rispetto per gli altri, in particolar modo se sono indiziati, e i suoi indiziati preferiti, prima di conoscere Malaussene, sono gli extracomunitari. Per un momento Ben Tayeb e' il capro espiatorio della polizia, ma, non essendo una vittima preparata, il suo ruolo non dura a lungo. La sua confessione sara' accettata molto presto, e considerando che e' saldo, quasi fraterno, il legame tra Ben Tayeb e Benjamin, l'accusa investira' Malaussene quasi naturalmente, in quanto frequentatore abituale e assiduo di una minoranza etnica: proprio strane le sue amicizie! Chabotte. E' una variante di Chat botte', (Gatto con gli Stivali), e il gatto e il ministro ne hanno di cose in comune. In Le Maitre Chat ou le Chat botte', e' questo il titolo di Ch. Perrault, la definizione di maitre e' esaustiva della funzione sia del gatto che del ministro. Maitre e' un dominatore, e' una persona che non solo ha potere e autorita' ma che sa anche gestirlo, imponendo agli altri la propria volonta'. Il ministro domina in prigione, esercita potere e autorita' governando, e impone la sua volonta' a Malaussene. La sua non si discosta molto dall'astuta manovra del gatto: servirsi di un oggetto non ancora investito di valore, romanzi di cui l'autore ignora il prestigio, per ottenere un estremo vantaggio individuale. Gatto e ministro entrambi inventano un personaggio. Il ministro inventa J.L.B.; il gatto fa del figlio di un mugnaio un marchese. La regia in loro e' innata: Chabotte organizza la conferenza stampa di Malaussene, e il gatto l'annegamento del marchese. Registi astuti, maliziosi e calcolatori, quali maitre, personalita' dominanti, manipolano le persone con macchinazioni strategiche. Cissou la Neige e Suzanne O'Zyeux bleus sono due soprannomi, perche' Jeremy "quando non denomina soprannomina". Il soprannome nasce o da un'attitudine, intellettuale o comportamentale dell'individuo, o da una sua caratteristica fisica, e in questo Jeremy ha rispettato le regole. Suzanne O'Zyeux bleus (Susanna dagli occhi blu) perche' i suoi occhi sono di quel colore. Cissou la Neige (Cissou la Neve) e' un consumatore abituale e costante di cocaina, che bianca come la neve "si rifugia nelle sue narici facendolo decollare". Con il nome si ribadisce la personalita' del soggetto: Clement Clement (Clemente) e' uno e doppio, un solo significante ma due significati, perche' funge da nome e cognome, per ribadire la dolcezza, la generosita', l'umanita' di cui il personaggio con quel nome diventa portatore. E' uno dei pochi casi in cui e' ancora evidente l'elemento lessicale da cui il nome si e' formato o e' derivato. Sebbene la ricerca di Pennac sia proprio rivolta al reperimento di queste eccezioni, nel momento in cui non e' possibile, la sua fantasia supplisce. Una fantasia feconda che pesca a piene mani anche dai linguaggi televisivi, dalla pubblicita'. Infatti e' proprio una tecnica del linguaggio pubblicitario il raddoppiamento della parola; raddoppiamento che intende veicolare espressivamente il concetto che il prodotto designato e' l'unico, il vero, l'esclusivo. * Un trio di nomi eccentrici Il nome e' ripetitivo: Titus e Silistri (ben tre lettere ripetute: t,s,i) per una coppia di ispettori che conduce le ultime indagini. Dove l'uno finisce in s, l'altro inizia. Ma le lettere devono essere necessariamente tre, perche' tre sono i componenti, infatti entrambi sono coadiuvati da una terza persona, una santa, una ex suora protettrice di prostitute, ma ora ispettore di polizia per soddisfare il desiderio di un padre ormai morto, e il suo rimorso per averlo trascurato. Anche sainte ripete le stesse tre lettere di Titus e Silistri. Un trio concatenato dal vincolo delle indagini: scovare il maniaco omicida. Legendre (Il genero) e' il commissario di divisione che succede a Coudrier, ma di cui e' appunto il genero. Questo personaggio non puo' avere altro nome perche' e' incapace nel suo lavoro e commettera' una serie lunghissima di errori; non e' autonomo ma dipende dal suocero, perche' non e' che un suo riflesso e ricopre quella carica grazie ai vincoli familiari acquisiti, e solo l'intervento e il ritorno del suocero porteranno chiarezza nelle indagini. La bizzarra eccentricita' di questi nomi e' un'allusione, ovviamente ironica, alla ricerca, da parte di numerosi individui, di nomi inusuali, non comuni ed esclusivi. Esigenza soddisfatta talvolta attraverso il ricorso ai nomi stranieri, o, come e' in uso piu' che altrove negli Stati Uniti, alla combinazione parziale di nomi diversi. Con lo strepitoso successo ottenuto in Italia come in Francia, Pennac si e' guadagnato un pubblico di ammiratori fedeli che lo apprezza anche nei rapporti sociali e accorre ogni qualvolta e' possibile incontrarlo di persona. E' sufficiente la sua presenza perche' librerie, teatri, cinema e anche trasmissioni televisive (Mai dire gol) si affollino incredibilmente, registrino il tutto esaurito o facciano salire gli indici di ascolto. E' con l'intento di sfruttare nel migliore dei modi questo successo, soddisfare la richiesta del pubblico e consolidare il rapporto con il palcoscenico, che i personaggi di Pennac sono arrivati in teatro. In Italia le prime opere ad andare in scena sono state L'occhio del lupo (Teatro dell'Archivolto), e poi Ultime notizie dalla famiglia, che traduce con poca fedelta' il titolo francese Monsieur Malaussene au theatre, in cui e' gia' dichiarato, ma perso nella traduzione, il desiderio dell'autore di vedere Malaussene su di un palco, o meglio di rivederlo. Si', perche' Benjamin come personaggio era gia' comparso in Signor Malaussene, e nell'immancabile intento di collegarsi al passato dei suoi romanzi Pennac sceglie l'espediente del teatro. Una rappresentazione in due atti, il cui argomento e' tratto dagli episodi precedenti (Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola), che vede in scena parenti, amici e colleghi a interpretare il proprio ruolo, tutti tranne Benjamin Malaussene che e' interpretato da un attore. Suggerimento teatrale bello e servito! A Genova, alla fine di gennaio, e' iniziato il Festival Pennac, una rassegna di spettacoli tratti dalle opere di Pennac, per la regia di Giorgio Gallione. Claudio Bisio interpreta Monsieur Malaussene. Le altre opere sono: Blu cielo tratto da Il giro del cielo, in cui Pennac racconta una storia attraverso la descrizione di 12 quadri di Miro'; L'occhio del lupo, tratto dall'omonimo libro per ragazzi; e Come un romanzo, conferenza-spettacolo ispirata al saggio critico sulla lettura. Pennac a Genova ha inaugurato una tournee che e' continuata fino a maggio su e giu' per l'Italia, mentre a marzo e' uscito, edito da Feltrinelli, il suo ultimo romanzo, Signori bambini. * Il merito delle traduzioni La popolarita' che puo' vantare in Italia non e' riscontrabile in Gran Bretagna. I diritti di traduzione della tetralogia sono stati acquistati piuttosto tardi, e La fata carabina e' stata accolta con scarso entusiasmo. I motivi di questo insuccesso possono forse essere attribuiti alla traduzione, che potrebbe non aver riprodotto la stessa forza esilarante, lo stesso spirito e divertimento che caratterizzano la versione originale, e che Yasmina Melaouah, che ha tradotto per la Feltrinelli tutti i romanzi di Pennac, ha saputo trasmettere nel testo italiano; o e' stato forse il freddo humour degli inglesi che non ha voluto cogliere quel divertimento linguistico che e' peculiare nell'autore. Se il linguaggio in Pennac e' uno strumento manipolato al fine di produrre effetti sul piano linguistico e sul piano semantico e letterario, quando esso viene meno meta' dell'opera e' andata persa, lasciando tutto solo quel groviglio di eccentrici personaggi con le loro estrose avventure e peripezie, che talvolta fanno amare Pennac, ma che altre volte lo rendono troppo rocambolesco. Meno negativo e' stato l'impatto con il saggio sulla lettura Come un romanzo, che ovviamente in Italia ha sfondato. Il singolare decalogo dei diritti del lettore e' quasi sconvolgente, non a caso il primo diritto e' proprio quello di non leggere, e poi saltare pagina, non finire un libro, e leggere o rileggere non importa cosa. Il messaggio lanciato e' il diritto alla liberta' di leggere senza costrizioni o impedimenti, ma ritrovare nella lettura solo il piacere puro in tutta la sua semplicita', perche' il verbo leggere non ha imperativi. * Critico con la naja e scrittore per bambini Daniel Pennac e' nato a Casablanca nel 1944. Figlio di un ufficiale coloniale, trascorre un'infanzia felice in giro per il mondo (Africa, Asia, Europa). Si laurea in Lettere, si trasferisce a Nizza dove inizia la sua carriera di insegnante, che dal 1969 continuera' in un liceo parigino. La sua prima pubblicazione risale al 1973, quando dopo il servizio militare scrive Le service militaire au service de qui?, un'analisi critica sull'utilita' e il valore della naja, in cui la caserma e' vista come una tribu' impegnata nei suoi rigidi e intransigenti rituali. Piu' tardi, in collaborazione con altri, si dedica alla letteratura per l'infanzia. Nel 1985 pubblica il primo romanzo della tetralogia Malaussene. Le sue principali opere sono: Le service militaire au service de qui?, Seuil, Paris, 1973. Cabot-caboche, Nathan, Paris, 1982; Abbaiare stanca, Salani, 1993. L'Oeil du loup, Nathan, Paris, 1984; L'occhio del lupo, Salani, 1993. La vie a' l'envers, Bayard-Presse, Paris, 1985. Au bonheur des ogres, Gallimard, Paris, 1985; Il paradiso degli orchi, Feltrinelli, 1991. Le Grand Rex, Centurion-jeunesse, Paris, 1986. La fee carabine, Gallimard, Paris, 1987; La fata carabina, Feltrinelli, 1992. La petite marchande de prose, Gallimard, Paris, 1989; La prosivendola, Feltrinelli, 1991. Kamo et l'agence Babel, Gallimard, Paris, 1992; Kamo l'agenzia Babele, Emme, 1994. L'evasion de Kamo, Gallimard, Paris, 1992; L'evasione di Kamo, Emme, 1995. Kamo et moi, Gallimard, Paris, 1992; Io e Kamo, Emme, 1995. Kamo l'idee du siecle, Bayard-Presse, Paris, 1992; Kamo l'idea del secolo, Emme, 1996. Comme un roman, Gallimard, Paris, 1992; Come un romanzo, Feltrinelli, 1993. Le tour du ciel, Calmann-Levy, ill. Joan Miro', Paris, 1994; Il giro del cielo, Salani, 1997. Monsieur Malaussene, Gallimard, Paris, 1995; Signor Malaussene, Feltrinelli, 1995. Monsieur Malaussene au theatre, Gallimard, Paris, 1996; Ultime notizie dalla famiglia, Feltrinelli, 1997. Messieurs les enfants, Gallimard, Paris, 1997; Signori bambini, Feltrinelli, 1998. Inoltre Pennac ha scritto in collaborazione con altri autori: Pennac Daniel, Eliad Tudor, Les enfants de Yalta, Lattes, Paris, 1978. Pennac Daniel, Eliad Tudor, Pere Noel, Grasset, Paris, 1979. Nacray, J.B. (pseud. Daniel Pennac, Jean-Bernard Pouy, Patrick Raynal), La vie duraille, Fleuve noir, Paris, 1985. Autori Vari, Sous la robe erre le noir, Le Mascaret noir, Bordeaux, 1989. Pennac Daniel, Doisneau Robert, Les grandes vacances, Hoebeke, Paris, 1991. Pennac Daniel, Tardi Jacques, Le sens de la houppelande, Futuropolis, Paris, 1991. Pennac Daniel, Doisneau Robert, La vie de famille, Hoebeke, Paris, 1993. 3. LIBRI. PAOLA CAPRIOLO PRESENTA "FRIEDRICH HOELDERLIN" DI WILHELM WAIBLINGER [Dal "Corriere della sera" del 5 marzo 2009 col titolo "Hoelderlin mi chiamava maesta'" e il sommario "Poesia e follia. Ritorna il primo ritratto biografico scritto da Wilhelm Waiblinger. Un'anima schiacciata dalla tensione verso il divino"] In un angolo quieto e appartato della citta' di Tubinga sorgeva una "casa costruita ad arte", che gli arnesi sistemati davanti all'uscio facevano riconoscere a colpo d'occhio come la dimora di un falegname; qui, il 3 luglio 1822, giunse con un amico il diciottenne Wilhelm Waiblinger, studente di teologia nonche' poeta e scrittore in erba. Come altri suoi contemporanei, veniva a compiere una sorta di pellegrinaggio, e possiamo immaginare con quale tesa inquietudine seguisse su per le scale la giovane figlia del falegname che faceva strada a lui e al suo compagno. Infine, eccoli di sopra: "Una porta aperta ci mostro' una piccola stanza imbiancata, a forma di anfiteatro, priva di qualsiasi ornamento, nella quale si trovava un uomo con le mani infilate nei pantaloni abbassati sui fianchi e che non smetteva di salutarci cerimoniosamente. La ragazza sussurro': 'E' lui'". Il "lui" in questione si chiamava Friedrich Hoelderlin, benche' da tempo sembrasse aver dimenticato il proprio nome, ed era stato uno dei piu' grandi poeti della Germania prima che la follia gli offuscasse la mente, riducendolo a quella stralunata, compita marionetta che ora si rivolgeva all'ospite con il titolo di "vostra maesta' reale" e alternava parole francesi a suoni inarticolati. E' vero che i suoi scritti gli avevano procurato scarsi riconoscimenti e ancor piu' scarsa fortuna (nonostante l'interessamento di Schiller, non era riuscito neppure a ottenere una cattedra di greco all'Universita' di Jena); ma il piu' famoso, il romanzo Iperione, un giorno aveva avuto la ventura di capitare tra le mani di un tale Ernst Zimmer, falegname a Tubinga e proprietario appunto di questa "casa costruita ad arte", trovando in lui un lettore entusiasta. Cosi', quando aveva appreso che il venerato poeta, ormai pazzo, era ricoverato in una clinica della sua stessa citta', Zimmer si era recato a trovarlo e aveva deciso di prenderlo con se', offrendogli un rifugio in quella stanza a bovindo, appollaiata in cima al torrione e affacciata sulla ridente valle del Neckar, dove Hoelderlin sarebbe vissuto per trentasei anni, uscendone solo per passeggiare nella campagna circostante e dove tranquillo, senza agonia, avrebbe chiuso gli occhi il 7 giugno 1843. In quei trentasei anni furono in molti a visitare l'illustre malato, ma tra loro Waiblinger riveste un'importanza particolare. Scorgendo nel destino del grande poeta un pauroso presagio del proprio, il diciottenne sembra addirittura ossessionato dalla sua figura. "Non posso vivere", annota nel suo diario, "senza descrivere un folle", o piu' precisamente quel folle, reso tale "dall'amore e dalla tensione verso il divino". Questo senso di sgomenta e affascinata immedesimazione, oltre a trovar sfogo nel romanzo che proprio allora Waiblinger stava scrivendo, gli detto' le pagine di Friedrich Hoelderlin. Vita, poesia e follia (traduzione di Elena Polledri, postfazione di Luigi Reitani, Adelphi, pp. 100, euro 10), che apparve nel 1831 e rappresenta la prima biografia dedicata all'autore dell'Iperione. L'inizio, forse, della sua postuma fortuna: poiche' nulla seduce l'immaginazione degli uomini quanto quell'oscuro connubio di genio e follia in cui gia' Platone ravvisava il segreto del dire poetico. "Comprendo l'uomo solo adesso che gli sono lontano e vivo nella solitudine", disse un giorno il pazzo al giovane visitatore; e qualche traccia, sconnessa e commovente, di questa comprensione si trova in quanto ci e' rimasto dei versi che egli continuo' sempre a scrivere nella sua stanza sulla torre, cosi' dissimili, per semplicita' e candore, dalle eccelse poesie con cui la sua mente ancora intatta tentava di dare espressione al "tempo indigente" dell'assenza degli dei; ma splendenti di un'infantile meraviglia, la stessa, forse, che gli faceva ricercare la compagnia dei bambini e scoppiare in pianto quando quelli fuggivano dinanzi al suo volto sfigurato dalla follia. 4. LIBRI. VALENTINA PARISI PRESENTA "CONGEDO DAI GENITORI" DI PETER WEISS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 marzo 2009 col titolo "Conflitti generazionali in casa di Peter Weiss" e il sottotitolo "Romanzi. Ripubblicato dopo oltre quarant'anni di assenza"] Peter Weiss, Congedo dai genitori, postfazione di Clemens-Carl Haerle, Cronopio, pp. 120, euro 16. * "Ho cercato spesso di stabilire in me un colloquio con l'immagine di mio padre e con quella di mia madre, oscillando tra rivolta e sottomissione. Ma mai ho potuto cogliere e capire l'intima natura di queste due sfingi poste a guardia della mia vita". E' intorno alla lucida ammissione di questo fallimento che si snoda Congedo dai genitori, l'ultimo tassello della ricognizione che l'editore Cronopio ha dedicato all'opera di Peter Weiss a partire dal pregevole Inferni (2007). Se in quei saggi dedicati a un'attualizzazione della Commedia dantesca Weiss rivelava l'ubicazione terrena degli inferi, situandoli fisicamente nel campo di Auschwitz, qui lo scrittore tedesco si concentra su un inferno immateriale e privo di coordinate geografiche: quello dei rapporti familiari. "Non mi attiravano i chiusi ovili della concordia" - con questa frase icastica l'autore definisce la propria estraneita' alla mentalita' asfittica dei genitori, a quell'idillio borghese fondato sul binomio casa-lavoro che i coniugi Weiss avrebbero tentato pervicacemente di ricostruire durante le loro peregrinazioni per l'Europa. Se per il giovane Peter l'emigrazione non e' che la sanzione storica di un disancoramento piu' profondo al reale, d'altro canto la guerra e l'esilio finiranno per renderlo schiavo di quel mondo ormai al tramonto, costringendolo a mettere temporaneamente da parte la sua vocazione di pittore e poeta per impiegarsi nell'azienda paterna: "Anch'io ero prigioniero di un inesorabile ingranaggio, e se pure ero di quelli che fuggivano, tuttavia anch'io mi ero fuso con quell'interminabile passo di marcia, come se fin dal principio fossi rimasto sul ciglio della strada, a veder sfilare quella massa di uomini testardamente incatenati gli uni agli altri". Benche' Weiss si dipinga come un spirito ribelle, e' pur sempre vero che nella sua ansia di distacco dai genitori "non procede mai oltre quel confine che renderebbe vano l'inseguimento" - come scrive Giorgio Manganelli nella prefazione a un altro monumento all'incomunicabilita' tra padri e figli, il carteggio tra Giacomo e Monaldo Leopardi. Il giovane artista non riesce a trattenersi dal mostrare alla madre i propri quadri appena terminati. Pur consapevole che il loro violento espressionismo destera' in lei solo sconcerto e imbarazzo, non sa negarsi il piacere sadico di scandalizzarla. Tuttavia restera' annichilito quando, alla vigilia dell'ennesima partenza, la madre si "vendichera'" distruggendo a colpi di accetta le sue opere. La donna teme infatti che il carattere cupo, quasi morboso, delle tele del figlio possa insospettire i doganieri, tradendo l'origine ebraica dei Weiss, la loro non appartenenza al mondo degli ariani felici di esistere e di votare altri allo sterminio. In Congedo lo scontro generazionale si delinea come un corpo a corpo vano e degradante e nondimeno indispensabile per costruire la propria identita'. Di tutte le emozioni che intessono questo libriccino densissimo forse la piu' incancellabile e' il senso di angosciosa vicinanza fisica che Peter adolescente prova la mattina in bagno, costretto a lavarsi accanto al padre; quell'intimita' umiliante che gli riporta alla mente le punizioni dell'infanzia, quando l'imprenditore tessile Eugen Weiss lo sculacciava, stringendolo "in un amplesso pauroso". Impossibile non pensare alla Lettera al padre di Kafka; eppure qui non c'e' nessuna forma di allocuzione, nemmeno a posteriori, solo la consapevolezza dell'assenza di una lingua in comune. Non a caso, il conflitto si risolvera' soltanto con la scomparsa del padre e la constatazione della terribile superiorita' che la morte conferisce a chi resta: "Guardavo in viso mio padre, io ero ancora vivo...". Di fronte alle fisionomie ieratiche, quasi indistinguibili, dei genitori, all'impossibilita' di attingerne conforto o comprensione, il protagonista si rifugia fin da bambino nella trasfigurazione fantastica della realta'. La materia dolorosamente autobiografica di Congedo si illumina cosi' di ampi squarci onirici, accelerazioni improvvise e intermezzi chiaramente allucinatori trasposti in italiano con notevole efficacia da Francesco Manacorda. Intuendo la violenza implicita in quel marchio che i genitori vorrebbero imprimere sulla sua esistenza, l'io narrante si barrica in giardino, cercando perfino di dimenticare il proprio nome per non dover piu' rispondere al richiamo degli adulti. Oppure esplora l'universo tumultuoso della citta', tenendosi stretto alla mano della rassicurante domestica Auguste, "vecchia, anzi antica", sorta di contraltare alla personalita' inafferrabile della madre. Proprio in queste pagine centrate sulla sensibilita' infantile iniziano a delinearsi i tratti di quell'"estetica della resistenza" che, nel romanzo omonimo composto negli anni '70, Weiss avrebbe trasposto sul piano politico della lotta di classe. Nell'universo individualistico di Congedo dai genitori, invece, il concetto di resistenza coincide con la strenua difesa del proprio Io e della propria vocazione, innanzitutto dai meccanismi ricattatori di chi ha messo al mondo una nuova vita e se ne crede padrone. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 207 del 15 marzo 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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