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Voci e volti della nonviolenza. 308
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 308
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 3 Mar 2009 09:51:07 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 308 del 3 marzo 2009 In questo numero: 1. Giulio Marcon: Un governo razzista 2. Le persone del clan Antares del gruppo scout Bracciano 1: Una chiacchierata a Viterbo 3. Rocco Altieri: Una verita' misconosciuta. Presentazione de "Lo stato e la guerra" di Ekkehart Krippendorff 1. UNA SOLA UMANITA'. GIULIO MARCON: UN GOVERNO RAZZISTA [Dal mensile "Lo straniero" n. 105, marzo 2009 riprendiamo il seguente articolo (disponibile anche nel sito www.lostraniero.net)] I recenti provvedimenti in materia di sicurezza del governo Berlusconi esprimono quanto di peggio puo' dare una concezione poliziesca e criminogena dei problemi e dei fenomeni sociali. Non c'e' dietro questi provvedimenti solamente una visione becera, razzista e antidemocratica delle relazioni sociali, ma anche una strumentale e spregiudicata operazione di marketing politico con l'obiettivo del consenso delle parti piu' spaventate e retrive della societa' italiana. In questo contesto e' da non dimenticare la rinuncia della politica a esercitare il governo della complessita' e all'esercizio di un dovere di responsabilita' che storicamente e' il fondamento di una visione alta della politica. Si tratta di provvedimenti gravi e barbarici e nello stesso tempo sono degli spot, delle misure "usa e getta" e - tra l'altro - molte di queste sono inefficaci e inutili. Mettendo in fila i provvedimenti gia' approvati e quelli in discussione, l'elenco e' impressionante per quantita' e barbarie: l'aumento della tassa (una vera gabella) sui permessi di soggiorno, il reato di immigrazione clandestina, l'istituzione delle ronde, la schedatura dei senza fissa dimora, la condanna fino a quattro anni per chi non obbedisce alla disposizione del rimpatrio, la facolta' per i medici di denuncia degli immigrati irregolari che hanno bisogno di cure, la creazione di un secondo centro di detenzione (chiamiamolo per quello che e') a Lampedusa, la cancellazione nella manovra finanziaria dei fondi per l'inclusione sociale degli immigrati, la proposta delle classi differenziali, la proposta di una polizia regionale in Lombardia con il compito prioritario di dare la caccia agli immigrati, eccetera. Questo complesso di misure disegna un apartheid legalizzato e istituisce una sorta di razzismo di stato che viola i diritti umani delle persone. Le misure del governo Berlusconi sulla sicurezza alimentano maggiore insicurezza, ma forse gli garantiscono un buon ritorno politico ed elettorale. E inoltre hanno un'altra grave conseguenza: alimentano un clima allarmistico e razzista che fa sentire incoraggiati, quasi "autorizzati", i protagonisti di azioni xenofobe e razziste. Il controllo poliziesco di un fenomeno sociale si intreccia con una visione della sicurezza legata alla dimensione repressiva e liberticida. I mezzi che si mettono in campo sono propagandistici e inutili. Ad esempio l'ipotesi fatta da Berlusconi (dopo alcune vicende di stupri avvenuti nelle metropoli nel mese di gennaio) di schierare trentamila soldati nelle citta' (ce n'e' gia' qualche migliaio) e' puramente demagogica, ma soprattutto e' irrealistica, oltre che inefficace. Irrealistica perche' quei soldati materialmente non ci sono. Le forze armate gia' non riescono a garantire il turn over degli ottomila soldati all'estero, figuriamoci se possono rispondere positivamente all'appello di Berlusconi di trentamila soldati nelle citta' italiane. Sarebbe una misura comunque inefficace perche' i soldati non possono avere - per legge - quelle funzioni di investigazione, di controllo e di intervento proprie delle forze di Pubblica Sicurezza. Tra l'altro, non e' che non ne abbiamo: sono oltre trecentocinquantamila tra poliziotti, carabinieri e finanzieri. Sono piu' che sufficienti. Il problema e' che sono male utilizzati e dediti a mansioni improprie. Anche in questo caso e' l'effetto-annuncio ad avere importanza in un'operazione che ha solo un valore comunicativo e un sapore demagogico. Il rischio e' che questa folle corsa di provvedimenti securitari non abbia mai fine: le prossime tappe potrebbero essere - come sta gia' avvenendo - la trasformazione dei vigili urbani in guardie armate, il sostegno alla proliferazione delle security private e l'incentivazione alla diffusione del porto d'armi privato, la moltiplicazione delle carceri (magari privatizzate). Esattamente come e' successo negli Stati Uniti d'America. Salvo che tutte queste misure in quel paese non hanno affatto garantito maggiore sicurezza. In realta' e' la solita vecchia storia. Quando non si vuole affrontare un problema, o un fenomeno sociale, lo si criminalizza trasformandolo - per incapacita', calcolo politico o convinzione ideologica - in un problema di ordine pubblico. Era cosi' per i poveri nel Regno Unito nel Seicento (anche loro venivano rinchiusi nelle workhouse come ora gli immigrati nei cpt), per i neri negli Stati Uniti nel Novecento (anche loro senza diritti civili come oggi gli immigrati) o i lavoratori nella rivoluzione industriale (anche loro sfruttati in modo disumano come gli immigrati a raccogliere pomodori). Non c'e' niente di nuovo. Stupisce poi che anche una politica che dovrebbe avere un alto valore umanitario - come la cooperazione allo sviluppo con i paesi poveri - segua ormai la stessa logica securitaria: nelle linee guida per la cooperazione italiana del prossimo triennio si afferma infatti che l'obiettivo prioritario e' la "sicurezza globale". La cooperazione ha cioe' come obiettivo non sradicare la poverta', ma controllare i flussi migratori, evitare che ci siano tensioni violente o il diffondersi del terrorismo. E' come se - in ambito nazionale - si dicesse che l'obiettivo degli ammortizzatori sociali (indennita' di disoccupazione, cassa integrazione, eccetera) non e' quello di alleviare la condizione di poverta' e sofferenza sociale dei lavoratori, ma quello di evitare il rischio che questi si trasformino in delinquenti. Piu' in generale, il governo Berlusconi concentra anche in queste misure (insieme a quelle precedenti) le tre coordinate della sua filosofia delle politiche sociali: la riduzione di alcuni problemi sociali a questioni di ordine pubblico, la trasformazione del welfare dei diritti a welfare compassionevole, la rimercificazione di importanti beni sociali e collettivi. Colpisce in questo contesto la subalternita' culturale (e politica) dell'opposizione di centrosinistra al governo Berlusconi. Pur non rinunciando a esprimere le proprie critiche nei confronti delle iniziative del governo di centrodestra il Pd stampa manifesti in cui rimprovera Berlusconi di essere responsabile del raddoppio degli sbarchi di immigrati. Lo scavalca a destra! In realta' il centrosinistra nel corso di questi anni - attraverso la creazione dei cpt (Centri di permanenza temporanea) - e' stato corresponsabile dello sviluppo di un approccio negativo e puramente repressivo verso l'immigrazione. E ha la forte responsabilita' nei complessivi sette anni di governo (tra il 1996 e il 2001 e tra il 2006 e il 2008) di non aver fatto nulla per approvare due fondamentali leggi di inclusione sociale e di rispetto dei diritti umani: la legge sulla partecipazione al voto amministrativo degli immigrati e la legge sul diritto d'asilo. A livello locale, poi, il centrosinistra ha fatto ancora peggio, come dimostra la gestione di alcuni fenomeni di disagio sociale legati all'immigrazione (si guardino i casi di Firenze e di Bologna). E' certamente vero che i provvedimenti del governo Berlusconi vanno contestualizzati dentro una tendenza generale delle societa' contemporanee (tutte, anche molte di quelle povere) che progressivamente stanno accentuando la dimensione identitaria (religiosa, culturale, eccetera) a scapito di quella - chiamiamola cosi' - pluriversa, fondata sulle differenze, l'incontro e il meticciato. Il razzismo di stato qui si salda con il razzismo della societa'. Si alimentano reciprocamente. Sono tendenze che si fondano sulla paura e sugli effetti nefasti delle peggiori dinamiche della globalizzazione e di una secolarizzazione senza qualita' (fondata sul consumismo e l'individualismo) che in nome di una giusta lotta alle ideologie, ai fondamentalismi, ai fanatismi, eccetera li ha poi - per una sorta di nemesi - alimentati e incattiviti. Ed e' altresi' vero che la tendenza criminogena delle relazioni sociali si e' tradotta in provvedimenti e leggi securitarie in quasi tutti i paesi occidentali, anche in quelli guidati dai governi di centrosinistra. Ma la declinazione di queste tendenze in Italia, da parte del governo Berlusconi, ha degli aspetti incredibilmente rozzi e semplificati, accompagnati da una miopia nella gestione di questo problema sia nell'immediato che nel medio e lungo periodo. Un immane tema come quello dei flussi migratori non si affronta a colpi di spot, di operazioni mediatiche e annunci demagogici. Lo si vede in queste ore. E i problemi non vengono risolti; anzi vengono addirittura aggravati in una spirale perversa che la stessa politica alimenta a sua volta: maggiore emergenza sociale (almeno quella percepita), piu' paura nella societa', piu' provvedimenti-annuncio dentro una logica demagogica e di consenso. In realta' - per creare maggiore sicurezza sociale - bisognerebbe fare esattamente il contrario di quello che sta facendo il governo Berlusconi: rendere piu' facile l'accesso regolare degli immigrati, spendere piu' soldi per l'inclusione sociale, favorire il processo di cittadinanza degli stranieri, farli votare alle elezioni amministrative, coinvolgerli dentro un processo di integrazione multiculturale, eccetera. Ed e' proprio la mancanza di questa visione la conferma del limite - strutturale e, sembra, irreversibile - della politica odierna. La politica dell'era dei media e del mercato e' indissolubilmente sintonizzata sul "ciclo elettorale" (tra l'altro - a causa dell'intensita' delle votazioni - brevissimo) che richiede una continua e incessante verifica, ormai praticamente annuale. Il tema dell'immigrazione (come quello della cooperazione allo sviluppo) vive la schizofrenia della politica del "ciclo elettorale". Un fenomeno che ha bisogno di un approccio misurato sui tempi lunghi viene stritolato dalle necessita' elettorali e demagogiche: la "paura" (sociale) diventa una importante merce elettorale per il consenso. Si puo' trovare una via d'uscita a questo ordine di cose? E' questo il compito che un campo di forze democratiche e di sinistra dovrebbe avere in questo paese. Non e' vero che si tratta di un fenomeno "ingovernabile": lo si vuole ingovernabile per calcolo politico. Si tratta allora di coniugare una grande iniziativa politica, ideale ed etica (anche con la disobbedienza civile delle misure che violano i diritti delle persone) con un buon governo della complessita' sociale che questo fenomeno implica. E soprattutto - per il centrosinistra - si tratta di liberarsi dalla subalternita' culturale dimostrata in questi anni verso la cultura di destra, sia quella politica che quella che ha affondato in questi anni le radici nella societa'. 2. INCONTRI. LE PERSONE DEL CLAN ANTARES DEL GRUPPO SCOUT BRACCIANO 1: UNA CHIACCHIERATA A VITERBO [Ringrazio dal profondo del cuore le amiche e gli amici del clan Antares del gruppo scout Bracciano 1 per la chiacchierata (e la mangiata) che facemmo il 30 dicembre scorso, cui si riferiscono queste loro successive riflessioni. La conversazione comincio' riflettendo sull'espressione "Governare un gran regno e' come friggere pesciolini" (che si trova nel Tao Te Ching) e si concluse leggendo e meditando alcuni versi di Primo Levi: nel mezzo, ore di gioia nel reciproco ascoltarsi, nello stare in cerchio, nel consumare insieme il pasto insieme preparato. Mi inchino a queste amiche e questi amici, la cui bellezza e la cui bonta' mi commuovono fino alle lacrime, e pur arrossendo per le troppo gentili parole che hanno voluto dedicare alla mia persona, molto mi allieta poter leggere e proporre alla lettura i seguenti loro pensieri (peppe)] Lo scorso dicembre a conclusione di un'esperienza di quattro giorni, il clan Antares del gruppo scout Bracciano 1 ha avuto il piacere di incontrare Peppe e fare con lui una interessante chiacchierata. A seguito di tale incontro sono sorte riflessioni e pensieri che abbiamo deciso di mettere per iscritto. Queste sono le parole e le testimonianze del confronto di una comunita' in crescita e in continuo viaggio. * Governare un gran regno e' come friggere pesciolini E' bello fermarsi a riflettere sulla complessita' delle cose, anche quelle che ci portano a dare un giudizio frettoloso. In questa complessita' e' racchiusa l'importanza dello stare insieme davvero, non per "divertirsi" (nel senso "pascaliano" di allontanarsi, distrarsi), ma al contrario per concentrarsi, per conoscersi e riconoscersi. L'atto del pensiero che rende unici, diversi e che ci apre agli altri. Vederci in cerchio, curiosi di ascoltare il pensiero degli altri e' stata una vera lezione di nonviolenza. In un periodo in cui e' sempre piu' facile vedere le persone trincerarsi dietro un pensiero unico, "forte", infrangibile e impenetrabile, e' sorprendente scoprire il meccanismo della condivisione in un semplice cerchio di persone. Ciascuno ha semplicemente espresso il proprio pensiero, accolto ed elaborato dagli altri. Senza timore ne' ambizione, semplicemente con la fresca curiosita' di chi si apre alla conoscenza dell'altro. Ascoltare e riconoscere la verita' o le parti di verita' nelle parole di ognuno, non averne paura ma lasciarsi impregnare di tutte le idee e tutte le parole. Ripensandoci non so davvero piu' distinguere la mia interpretazione dalle altre cosi' come non ricordo l'interpretazione "ufficiale" della frase. E' una ricchezza che spero sapremo portarci dietro ancora a lungo. L'incontro ha portato una quantita' di spunti di riflessione che alla luce di questo primo scambio si moltiplica all'infinito. Ed e' bello, perche' sono troppi gli errori che si commettono, quando si pensa, anche solo per un istante, di essere arrivati. La bellezza sta nel trovare qualcuno in grado di mostrarti l'errore. Di piu', qualcuno capace di farti vivere quanto l'errore porti lontano dal poter apprezzare la verita' che vi e' in ciascuno, e quanto invece impoverisca, inaridendosi, la mente che si astiene dal confronto o dalla condivisione. Spunti personali e riflessioni sui "tempi che corrono" si sovrappongono, ma e' chiaro che ogni concetto che si espone ha tante interpretazioni quante sono le persone che con esso si confrontano. Ilaria * Cambiamento di prospettiva Punto fondamentale del percorso scout e' insegnare la criticita', capacita' di ogni persona di osservare le numerose tessere che compongono l'intricato mosaico della realta' che ci circonda da piu' punti di vista, di non accontentarsi di dare per vera la piu' scontata. Credo che il nostro incontro con Peppe sia un eccellente esempio di come sia possibile cambiare prospettiva. Innanzitutto, quando si partecipa ad una "chiacchierata" del genere l'ospite ha quasi sempre una posizione di rilievo, questa volta ho invece avuto la piacevole sensazione di essere li' perche' era importante che io contribuissi con il mio personale bagaglio di esperienze, questo perche' era stato creato da subito un rapporto paritario fra tutti i presenti. Quando si parla di criticita' spesso ci si riferisce ai massimi sistemi e non ci si rende conto che, invece, e' molto importante utilizzarla anche nell'osservare cio' che ci e' piu' prossimo; un esempio e' il fatto che tutti - o quasi - constatiamo che la societa' nella quale viviamo e' maschilista e in questo concordiamo, ma che dire del cinema, della letteratura e del mondo musicale? Parlando la nostra chiacchierata e' giunta anche all'antico testamento: chi di voi, leggendo di non guardare la pagliuzza nell'occhio del vicino quando non si vede la trave che e' nel proprio non si e' chiesto come fosse possibile andare in giro con un cosi' grande pezzo di legno nell'occhio senza accorgersene? Questo e' legato ad un problema di traduzione, in quanto dovrebbe essere tradotto come non guardare il ramoscello che e' nella cisterna che raccoglie l'acqua piovana del tuo vicino, quando non vedi il ramo piu' grande che e nella tua. Dulcis in fundo una bella chiacchierata sul tema vita/morte durante la preparazione del pranzo, ascoltare la posizione di Peppe mi ha fatto capire come io abbia dei forti pregiudizi, i quali - ovviamente - pregiudicano la mia obiettivita': credevo che in Italia fossero esclusivamente i cattolici ferventi ad essere contrari all'eutanasia, cosi' per scagliarmi contro il loro essere bigotti avevo perso di vista il vero problema e non avevo pensato che l'amore per la vita non appartiene a nessun sistema ideologico... Sara * La crescita, il ricordo Una pazza disse che gli esseri umani che dimenticano la loro esperienza sono obbligati a ripercorrere la stessa strada con gli stessi errori per poterne cogliere le "lezioni di vita". Forse e' la ragione per la quale ci ritroviamo in un mondo, direi piu' in una realta' in fase di "crescita illusoria". Cosi' e' bello riscoprire come in un pomeriggio passato seduti ad ascoltare, a parlare e a sentirsi ascoltati (essenziale per il nostro vivere) si riesca a viaggiare nel mondo della crescita. Quando ci ritroviamo sui banchi di scuola a studiare (o fare finta) storia, scienza, matematica o qualsiasi altra materia, apprendiamo sogni ed esperienze di esseri umani che hanno vissuto prima di noi e che ci hanno lasciato un messaggio ben chiaro: la loro vita. Il progresso e la crescita quindi si basano sul ricordo. Immaginiamo un oceano enorme, quasi infinito. Immaginiamo una pazza e un pazzo che decidono di costruire un ponte per raggiungere l'ignoto, per scoprire cio' che si cela oltre l'orizzonte. Essendo esseri umani il loro arco vitale sara' molto breve rispetto al tempo impiegato per la costruzione del loro sogno. Di conseguenza scriveranno sui libri, lasceranno testimonianze di come disporre una trave a nord piuttosto che a sud o come comportarsi in caso di uragano. La struttura potrebbe crollare se gli "architetti successivi" dimenticassero le direttive e i consigli lasciati, cosi' come potrebbe andare avanti, non senza problemi, se si tenesse conto del passato. Siamo creature che per natura hanno bisogno di sentirsi parte di una comunita'. Per questo motivo costruendo un ponte non dobbiamo calpestare i ricordi passati ma tuffarci in essi e carpirne i lati migliori. Solo in questo modo possiamo sperare di uscire dal ciclo in cui l'uomo e' immerso e dal quale non trova via di fuga ripetendo puntualmente gli stessi errori seppure in realta' diverse con mezzi diversi. Un incontro con Peppe dal quale siamo usciti "cresciuti", nel quale abbiamo ricordato, in cui ci siamo confrontati da strade diverse in una strada comune chiamata comunita'. Uno dei messaggi di quell'incontro e' stato chiaro: non dimenticare chi siamo, cioe' il risultato del vivere dei nostri predecessori, delle loro testimonianze, dei loro errori, senza perdere di vista il futuro di chi ci sostituira' nel grande ciclo chiamato vita. Simone * Qualcosa di prezioso Prezioso. E' l'aggettivo che mi viene in mente ripensando al tempo che abbiamo condiviso quella mattina. E vorrei ricordarlo il piu' a lungo possibile. Vorrei ricordarlo, quando qualcuno mi passa davanti, mentre sto facendo la fila per il caffe'; quando un uomo insulta un altro uomo per strada, per una sciocchezza; quando sulla metro una ragazza chiede l'elemosina e tutti la guardano con diffidenza o peggio, disprezzo; quando un senzatetto viene fatto scendere dall'autobus in malo modo perche' emana cattivo odore; quando leggo il giornale alla disperata ricerca di una buona notizia e... niente. Quando mi sembra che tutto sia costruito solo sulla violenza, grande o piccola, palese o occulta, vorrei ricordare quella mattinata. Per sentire ad un tratto piu' forte la mia voglia di cambiare le cose. Cosi' forte da sovrastare il rumore della violenza. Ecco perche' e' prezioso il ricordo delle nostre parole, i nostri gesti, le espressioni sui nostri volti, la meraviglia, l'emozione, le idee condivise, i pensieri che si incontrano e si mescolano, i brividi a scoprirci cosi' profondamente coinvolti l'uno con l'altro. Georgia * Una chiacchierata fra compagni Forse avrei potuto dire fra amici, ma penso che quando uno si ricordi l'etimologia della parola "compagno" (cum pane, cioe' le persone che condividono tra loro il pane) non possa non usarla per descrivere quella giornata e tutte le altre giornate in cui ci siamo ritrovati in cerchio a parlare. Forse il modo migliore di "condividere il pane" e trascorrere del tempo con altre persone e' condividere se stessi... Ma di sicuro penso che, se tentassi di immaginarmi una comunita', non potrei auspicare nulla di diverso. Il condividere insieme le proprie opinioni per dare corpo a un poliedro di interpretazioni della stessa frase, questo e' stato il nostro modo di iniziare quella giornata. Da un inizio cosi', non ci si poteva non aspettare una sospensione degna, si', preferisco chiamarla sospensione piuttosto che conclusione, poiche' ogni volta e' un continuare a rielaborare, e Primo Levi e' stato un ottimo modo di salutarci. Ed e' questo quello che e' stato fatto quel giorno da Peppe, Simone, Sara, Andrea, Ilaria, Andrea, Daniele, Amaniele e Georgia. Nulla di piu' di questo, ma soprattutto nulla di meno, e' stata una discussione nata da tutti quanti come risposta ad uno stimolo. Con questo non voglio sminuire ne' esaltare quel che si e' detto, ma penso che, come e' stato detto, sia molto importante; penso che questo sia lo "stimolo" cui abbiamo risposto, ovvero, rimanendo in tema di comunicazione verbale, e' stata la cassa armonica che ne ha amplificato l'intensita'. Perche' la comunicazione verbale e non, e' il nostro mezzo prediletto, e non ci si deve dimenticare che il mezzo e' importante quanto il fine, o come diceva Capitini: "Si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto". Amaniele * Esperimenti di coraggio Quando sono solo, perso nei miei pensieri, la sera, magari davanti ad un bicchiere di te', rifletto. Rifletto sul fatto che io questo mondo ho veramente l'intenzione di cambiarlo, di lasciarlo un po' migliore di come l'ho trovato. Ma quando vivo la mia vita, leggo i giornali, vedo i volti e ascolto le parole dei miei amici e assisto all'indifferenza delle persone, il coraggio di cambiare questo mondo, a volte, mi manca. Ma quando discuto con le persone, o partecipo ad incontri belli e profondi come quello che abbiamo fatto insieme, io il coraggio lo ritrovo, ritrovo gli occhi critici per giudicare quello che vedo e ritrovo il piacere nell'informarmi e la passione nel cambiare nel mettere sempre in discussione le mie convinzioni. Incontri cosi' mi aiutano a riflettere moltissimo, ma in queste chiacchierate io ritrovo il mio coraggio. Andrea U. * Una mattinata troppo breve... L'unica cosa di cui mi rammarico, quando penso al momento di confronto passato con Peppe, e' solo che e' finito troppo presto! E'í stata una "chiacchierata" meravigliosa, riguardante una miriade di argomenti. Cio' che mi ha fatto vivere con entusiasmo quei momenti, e' la straordinaria capacita' di Peppe di porsi in una posizione parallela nei confronti dell'interlocutore, facendolo sentire a proprio agio e quindi parte integrante della discussione, mostrando interesse nel pensiero altrui, e soprattutto, essendo sempre pronto a mettere in discussione le proprie idee. Quella mattinata passata assieme a Peppe per me non si e' dimostrata un semplice momento di riflessione, ma un ricchissimo punto di confronto tra idee diverse che mi ha regalato numerosissimi spunti di riflessione e di crescita personale. Andrea P. 3. LIBRI. ROCCO ALTIERI: UNA VERITA' MISCONOSCIUTA. PRESENTAZIONE DE "LO STATO E LA GUERRA" DI EKKEHART KRIPPENDORFF [Attraverso Francesco Pistolato (per contatti: fpistolato at yahoo.it) riceviamo e diffondiamo la presentazione di Rocco Altieri che apre il libro di E. Krippedorff, Lo Stato e la guerra, Centro Gandhi Edizioni, pp. 392, euro 30] "Perche' mi uccidete? - E che! Non abitate forse sull'altra sponda del fiume? Amico, se abitaste da questa parte, io sarei un assassino, e sarebbe ingiusto uccidervi in questo modo; ma poiche' abitate dall'altra parte, io sono un valoroso e quel che faccio e' giusto" (Blaise Pascal) (1) * Ekkehart Krippendorff e' da annoverare tra i grandi precursori a livello mondiale di quelle "scienze per la pace" che solo di recente hanno trovato accoglienza, pur tra tante incertezze e molte resistenze, nel mondo accademico italiano. Non e' casuale che il Centro Irene dell'Universita' di Udine, una di queste nuove promettenti realta', lo abbia voluto fin dagli inizi tra i membri piu' autorevoli del suo consiglio scientifico. Tra le opere di Krippendorff il libro qui pubblicato e', per sua stessa ammissione, il piu' importante. Benche' altri suoi saggi siano da tempo accessibili in italiano, si e' dovuto attendere piu' un quarto di secolo per realizzare l'attuale traduzione. Evidentemente il tema del libro e lo spirito "sovversivo e dissacratorio" con cui vengono trattati gli idola fori hanno spaventato e ritardato un'operazione editoriale che era quanto mai urgente e necessaria. Si e', percio', infinitamente grati al Centro Irene per il coraggio dimostrato nel sostenere questa difficile impresa e a Francesco Pistolato per aver realizzato con tenacia e grande maestria la traduzione italiana di Staat und Krieg. Concepito negli anni della massima escalation della guerra fredda in Europa, con il riarmo atomico delle superpotenze che rischiava di trasformare la Germania nello scenario catastrofico di una possibile guerra nucleare, il libro ha rappresentato il piu' efficace contributo culturale e scientifico da parte del movimento per la pace nel favorire quelle nuove politiche di disgelo, che hanno poi portato all'abbattimento del muro di Berlino. La validita' scientifica del libro non e', comunque, tramontata col passare di quell'epica stagione, in quanto gli avvenimenti internazionali di questi ultimi venti anni ne hanno confermato pienamente le analisi e le teorie, trasformandolo in un vero e proprio classico del pensiero pacifista, da cui non si puo' piu' prescindere. Il compito del traduttore non e' stato agevole, perche' il testo tedesco presenta una complessa costruzione narrativa, con un susseguirsi incessante e vorticoso di incisi e di richiami bibliografici, che non e' stato facile rendere intelligibili nel periodare della lingua italiana. La lunga esperienza professionale, la perfetta conoscenza delle lingue, la familiarita' con i temi della pace e della guerra, hanno permesso al professor Pistolato di conseguire un risultato finale davvero ottimo, che per tanti aspetti ha addirittura migliorato l'originale in lingua tedesca. Seguendo un'ottica puramente accademica e' difficile catalogare il libro in un ambito disciplinare ben definito. Per il suo approccio multidimensionale, infatti, non si puo' considerare ne' alla stregua di un manuale di storia, ne' di teoria politica e di diritto internazionale, ne' di sociologia degli stati e delle relazioni tra stati. Benche' non classificabile come un usuale libro di storia, esso consente al lettore di guardare alla storia con occhi diversi, liberi dai residui retorici del realismo politico e della politica di potenza. Il punto focale della ricerca e' il ruolo dello stato in rapporto allo scatenarsi della guerra e, a questo scopo, Krippendorff attraversa la storia della civilta' occidentale, similmente a un sasso che balza nell'acqua rapidamente, da un punto all'altro senza mai fermarsi, offrendo cosi' uno sguardo d'insieme, dall'antichita' fino ad oggi, funzionale a uno studio comparato delle dinamiche belliche, con uno stile narrativo pari a quello di un Weber, di un Toynbee, di un Sorokin, pregno di echi filosofici, giuridici e letterari, che spaziano tra Machiavelli e Shakespeare, da Tolstoj a Musil, e che approdano alla costruzione di una chiara ermeneutica dell'insensatezza della guerra nella storia. Inoltre, l'abbondanza delle fonti storiche e giuridiche, cui il libro attinge copiosamente, avvicina lo studioso italiano alla conoscenza di un'ampia letteratura per lo piu' ignota anche in ambito accademico. Gli episodi e i personaggi evocati nel procedere del racconto mettono in scena davanti agli occhi del lettore una vera e propria drammaturgia sulla "detronizzazione" del Leviatano, la mitica figura biblica, meta' uomo e meta' cetaceo, con in una mano lo scettro e nell'altra la spada, immagine utilizzata da Hobbes per rappresentare lo stato sovrano. Krippendorff lacera il velo del tempio e accumula prove su prove utili ad abbattere definitivamente il Leviatano dal suo piedistallo. Hobbes non viene mai citato espressamente, ma il libro e' una totale e argomentata confutazione della sua esaltazione dello stato come imperium rationis, cosi' rappresentato nel De Cive: "Nello stato e' il dominio della ragione, la pace, la sicurezza, la ricchezza, la decenza, la socievolezza, la raffinatezza, la scienza, la benevolenza" (2). Gia' numerosi studiosi (3) si sono soffermati sull'intima connessione tra la guerra e i processi di formazione degli stati moderni, con i relativi fenomeni di centralizzazione e di estensione del prelievo fiscale allo scopo di sostenere la corsa agli armamenti e gli eserciti, fino alla nascita del moderno complesso industriale-militare (4). I dati storici e le analisi sociologiche convergono nel sostenere inconfutabilmente che lo sviluppo degli stati e della guerra sono andati di pari passo, alimentandosi reciprocamente. Cio' che emerge di originale nel saggio di Krippendorff e' la dimostrazione di quella che potremmo chiamare, parafrasando la Arendt, la "banalita'" della guerra. Quella che e' indubbiamente la manifestazione del male, nella sua forma collettiva piu' eclatante e tragica, viene vissuta da coloro che la preparano e la mettono in atto come una normalita' "data per scontata", taken for granted come la chiama A. Schuetz con un'espressione divenuta famosa. Se anche la guerra e i suoi mostruosi apparati bellici, gli eserciti e l'industria bellica, sono dati per scontati, taken for granted, "al di la' di ogni questione cio' implica il presupposto fortemente radicato che fino a prova contraria il mondo andra' avanti sostanzialmente nella stessa maniera con cui e' andato finora" (5). L'idea dell'ineluttabilita' della guerra toglie ogni speranza di cambiamento e induce i popoli alla rassegnazione e alla passivita'. La fenomenologia sociale di A. Schuetz converge qui con quell'idea di habitus elaborata da Bourdieu per il quale: "Di tutte le forme di persuasione occulta la piu' implacabile e' quella esercitata semplicemente dall'ordine delle cose" (6). In alto vediamo sovrani e politici di professione che danno prova di inettitudine e inadeguatezza rispetto alla drammaticita' degli avvenimenti bellici che incombono. Si legga in modo paradigmatico quanto l'autore scrive in questo libro a proposito dell'approssimarsi della prima guerra mondiale. In basso la massa si dimostra inerte, accettando la fatalita' della guerra, lasciandosi suggestionare e manipolare dai miti della politica di potenza, secondo tutte quelle dinamiche gia' intuite da G. Le Bon nel suo saggio sulla psicologia delle folle(7). In cio' risiede il piu' grande merito del lavoro di Krippendorff, contributo straordinario di verita' e di onesta' scientifica: svelare la verita' rimossa dalla coscienza collettiva, smascherare il delitto di sangue che e' agli inizi della civilta', strage infinita su cui si fonda e si perpetua ogni struttura di dominio. In un pensiero tra i piu' penetranti di Pascal troviamo racchiuso il senso piu' profondo che ha ispirato l'indagine del nostro autore: "Il furto, l'incesto, l'uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato il proprio posto tra le azioni virtuose. Si puo' dare cosa piu' ridicola di questa: che un uomo abbia diritto di uccidermi perche' abita sull'altra riva del fiume e il suo sovrano e' in lite con il mio, benche' io non lo sia con lui? [...] La consuetudine fonda tutta l'equita' per la sola ragione che e' seguita: questo e' il fondamento mistico della sua autorita'. Chi tenta di ricondurla alla sua origine, l'annulla [...] Chi volesse esaminarne il fondamento, lo troverebbe cosi' debole e cosi' leggero ed evanescente che, se non e' abituato a considerare i prodigi dell'immaginazione umana, si stupirebbe che il tempo gli abbia procurato solennita' e rispetto [...] L'arte di fare la fronda, di sovvertire gli stati, consiste nello scuotere le consuetudini vigenti, frugando fino alla loro origine, per rivelare che mancano di autorita' e giustizia [...] Bisogna che il popolo si avveda della verita' dell'usurpazione: e' stata compiuta in passato senza ragione, poi e' diventata ragionevole. Bisogna farla credere autentica, eterna, e nasconderne l'origine se si vuole che non abbia una rapida fine" (8). Benjamin (9) ricorda come gewalt in tedesco indichi sia la violenza che l'autorita' costituita. Gli stati hanno bisogno di costruire dei miti delle origini per far dimenticare la violenza originaria e presentarsi come l'unica forza riconosciuta come legittima. Lo stato etico di Hegel, si presenta con un linguaggio dalle forti connotazioni religiose come l'incarnazione dell'ideale, il raggiungimento del bene, la manifestazione piu' pura della razionalita'. Esso e' la marcia di Dio sulla terra. L'uomo e' uno sbandato e solo se si da' allo stato come tutto riesce a trovare il suo posto. Si consuma in questo modo quella che Galtung (10) chiama violenza culturale o simbolica che giustifica e legittima la guerra. Sorel (11) e Pareto (12) hanno scritto ampiamente sulla funzione dei miti nella formazione della coscienza collettiva, elementi decisivi per il condizionamento e la mobilitazione delle masse. Sulla loro scia A. Ponsonby (13) nel 1928 ha scritto che, per ottenere il consenso in tempi di guerra, e' necessario creare uno stato di ipnosi condiviso. Di fronte all'affermarsi del nazismo E. Cassirer ha osservato che: "I miti politici hanno agito nello stesso modo di un serpente che cerca di paralizzare la propria vittima prima di attaccarla. Gli uomini sono caduti nelle loro mani senza nessuna resistenza. Sono stati vinti e soggiogati prima di aver compreso cio' che realmente era accaduto" (14). I tiranni sono ben consapevoli che i popoli sono mossi molto piu' facilmente dalla forza dell'immaginazione che dalla paura della coercizione. La retorica demagogica diventa, allora, parte essenziale della tecnica di governo, promettendo di continuo l'avvento di una nuova eta' dell'oro. L'uomo politico moderno agisce nello stesso tempo come homo faber e come homo magus(15), indovino e stregone, costruttore di nuove idolatrie capaci di plasmare per intero la forma della vita sociale. Guardando indietro alla Germania del 1933, Cassirer osserva come il riarmo fosse iniziato molto tempo prima, anche se era rimasto quasi inosservato. Infatti: "Il vero riarmo comincio' con l'inizio e con lo sviluppo dei miti politici. Il riarmo militare successivo non fu che un accessorio dopo questo fatto. E questo fatto era gia' un fatto compiuto da molto tempo: il riarmo militare non fu che la conseguenza inevitabile del riarmo mentale, determinato dai miti politici" (16). Le parole come simboli non hanno solo la funzione di descrivere uno stato di cose o di affermare un fatto, ma anche quello di generare un'azione. Le parole possono agire come enunciati performativi, come li chiama J. Austin (17), strutture strutturanti che hanno il potere, in quanto strumenti di conoscenza e di comunicazione, di rendere possibile il consenso sul senso del mondo sociale e contribuire fondamentalmente alla perpetuazione dell'ordine. Corpi di specialisti per la produzione culturale di legittimita' e di consenso sono in azione. V. Klemperer con la sua intelligenza di filologo ci ha lasciato nei suoi taccuini (18), scritti mentre assiste all'affermarsi del totalitarismo nazista, un testo esemplare sulla formazione della nuova lingua del Terzo Reich. Parole che prima venivano usate in senso descrittivo, logico o semantico, acquistano un significato nuovo, tale da indurre effetti trasformativi e mutare il corso della politica, enfatizzando i programmi con una mistica soteriologica del capo come messia che troneggia al di sopra di tutto. MacIver opportunamente rivela che ogni societa', anche quella democratica, e' fondata su un sistema di miti (19). I miti, infatti, alimentano e rafforzano un dato ordinamento sociale secondo le forme del pensiero dominante. Foucault (20) ha indagato acutamente la genealogia del sapere, riconoscendone la funzione di disciplina e di controllo sociale. Non si tratta solo di creare disinformazione e propaganda. Il dominio, infatti, e' insito nei rapporti sociali di comunicazione, affermando l'egemonia culturale del dominanti sui dominati nelle forme della moda e degli stili di vita, utilizzando la ragion di stato per mascherare e giustificare ogni crimine, giustificando infine il male minore in nome del realismo politico, fino a che anche la guerra, come scrive Arundhati Roy, viene chiamata pace (21). Il libro di Krippendorff si offre come eccellente strumento in ambito formativo, efficace antidoto ad ogni mistificazione, respingendo con chiarezza la retorica storica che ruota intorno alle idee di difesa della patria, vocazione di grande potenza, scontro di civilta', tutte espressioni che possono acquistare un'aurea magica, tale da suscitare emozioni che oscurano la ragione e contagiare le menti anche di grandi intellettuali, come e' accaduto in passato a M. Weber (22) e G. Simmel (23) posti di fronte al destino della Germania nella grande guerra. Agostino di Tagaste nel De Civitate Dei ha scritto pagine rivelatrici sulla verita' che sta a fondamento della citta' terrena: Caino uccide Abele, Romolo uccide suo fratello. Le parole usate da Agostino possono essere poste come un'illuminante epigrafe finale alle tesi sviluppate da Krippendorff in tutto il libro: "Bandita la giustizia, che altro sono i regni se non grandi associazioni di delinquenti? Le bande di delinquenti non sono forse dei piccoli regni? Non sono forse un'associazione di uomini comandati da un capo, legati da un patto sociale, e che si dividono il bottino secondo una legge accettata da tutti? Se questa compagnia recluta nuovi malfattori, se occupa un paese, stabilisce proprie sedi, se si impadronisce di citta' e soggioga popoli, prende il nome di regno; titolo che le viene conferito non perche' sia diminuita la sua cupidigia, ma perche' a questa si aggiunge l'impunita'. Cosi' disse un pirata, fatto prigioniero, con arguzia e verita' ad Alessandro Magno. Interrogato da questo sovrano con quale diritto infestasse il mare, egli con audace franchezza rispose: 'Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Perche' non ho che una piccola nave, sono chiamato corsaro, e perche' tu hai una grande flotta sei chiamato imperatore!'" (24). Se Bourdieu (25) ha visto, nel misconoscimento della violenza originaria, la condizione per la legittimazione dello stato e della guerra permanente, Krippendorff fa capire che senza abbattere gli idola fori, senza il riconoscimento del carattere arbitrario del realismo politico, non sara' possibile costruire un'autentica cultura di pace. Non e' possibile sottrarsi al dominio della violenza sostituendo un ordine statuale con un altro. Il pensiero ardito del libro si unisce a quello di Tolstoj (26) che invita a decostruire l'immaginario dominante, a fuoriuscire con l'obiezione di coscienza dalla logica degli stati e degli eserciti. Come ha riconosciuto R.M. MacIver, scrivendo alla fine della seconda guerra mondiale, cio' che e' stato finora dato per scontato puo' essere messo in discussione nelle situazioni di crisi. La situazione della guerra moderna invalida gli schemi interpretativi e i sistemi politici di riferimento. Nel corso di spaventosi conflitti, i motivi che li hanno scatenati, quali che siano, diventano irrilevanti. La guerra cessa di essere uno strumento utile alla politica (27). Infatti: "Le conseguenze di una guerra sono cosi' vaste, cosi' gigantesche e cosi' imprevedibili, che non c'e' piu' alcuna relazione con gli obiettivi che uno stato puo' cercare di raggiungere con la guerra stessa. Molto prima della fine del conflitto gli obiettivi iniziali diverrebbero insignificanti e perduti nell'immensita' e nel terrore della lotta [...] I sentimenti della maggioranza degli uomini sono favorevoli a quelle proposte che, con sempre maggiore insistenza, tendono ad eliminare la guerra come istituzione" (28). * Note 1. B. Pascal, Pensieri, a cura di A. Bausola, Milano, Bompiani, 2006, p. 143. 2. T. Hobbes, De Cive, X, 1, trad. it. Elementi filosofici sul cittadino, a cura di N. Bobbio, in Opere politiche, Torino, Utet, 1971, p. 211. 3. Tra la bibliografia cresciuta a dismisura su questo tema ricordiamo l'opera di C. Tilly, L'oro e la spada, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991. 4. Cfr. C. Wright Mills, La elite al potere, Milano, Feltrinelli, 1959. 5. Cfr. A. Schuetz, Collected Papers, vol. II, The Hague, Martinus Nijhoff, 1976, p. 231. 6. P. Bourdieu, Risposte, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 130. 7. G. Le Bon, Psicologia delle folle, Milano, Tea, 2004. 8. B. Pascal, Pensieri, cit., p. 143. 9. W. Benjamin, Per la critica della violenza, in Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962, pp. 5-30. 10. J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Milano, Esperia, 2000, p. 357. 11. G. Sorel, Riflessioni sulla violenza, in Scritti politici, Torino, Utet, 1963, p. 304. 12. V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Milano, Comunita', 1981. 13. A. Ponsonby, Falsehood in Wartime, London, George Allen & Unwin, 1978. 14. E. Cassirer, Il Mito dello Stato, Milano, Longanesi, 1996, p. 484. 15. Ibid., p. 476. 16. Ibid., p. 477. 17. J.H. Austin, Come fare cose con le parole, Genova, Marietti, 1987. 18. V. Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich, Firenze, Giuntina, 1998. 19. R.M. MacIver, The Web of Governement, New York, MacMillan, 1947, trad. it di L. Berti, Governo e Societa', Bologna, il Mulino, 1962, p. 8. 20. Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1998. 21. A. Roy, Guerra e' pace, Parma, Guanda, 2002. 22. M. Weber, Scritti politici, Roma, Seam, 1998. 23. Cfr. G. Simmel, Sulla guerra, Roma, Armando, 2003. 24. S. Agostino, De civitate Dei, libro IV, cap. 4. 25. P. Bourdieu, Langage e pouvoir symbolique, Paris, Seuil, 2001, pp. 201-211. 26. Cfr. L. Tolstoj, Perche' la gente si droga? e altri saggi su societa', politica, religione, Milano, Mondadori, 1988. 27. R.M. MacIver, The Web of Governement, cit., p. 395. 28. Ibid., pp. 383-384. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 308 del 3 marzo 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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