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Voci e volti della nonviolenza. 303
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 303
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 17 Feb 2009 11:09:07 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 303 del 17 febbraio 2009 In questo numero: Cristina Caffeo: Spike Lee (1999) CINEMA. CRISTINA CAFFEO: SPIKE LEE (1999) [Dal mensile "Letture", n. 558, giugno-luglio 1999, col titolo "Spike Lee, il duro del cinema nero" e il sommario "Rifiutati i codici espressivi della cinematografia bianca, specie hollywoodiana, insiste perche' la comunita' afroamericana si riscatti dall'interno e critica tanto i suoi quanto i razzisti. Polemiche a Cannes per Summer of Sam"] Shelton Jackson Lee nasce nel 1957 ad Atlanta, nel sud degli Stati Uniti d'America, da una madre insegnante d'arte e da un padre musicista jazz, entrambi afroamericani. Questi semplici dati anagrafici rappresentano, in realta', gli eventi determinanti della carriera artistica di uno dei piu' innovativi registi statunitensi. Spike (cosi' soprannominato dalla madre in virtu' del carattere "da duro" che dimostra di avere fin dalla prima infanzia) cresce sviluppando una forte passione per le arti visive e per la musica, costantemente spronato e sostenuto dai genitori che cercano in ogni modo di fargli capire l'importanza di avere una buona base culturale. A fare da contrappunto alla felicita' familiare di Spike Lee e' l'infelicita' sociale degli afroamericani di cui il futuro regista non tarda ad accorgersi, rendendosi conto gia' nell'adolescenza della dolorosa necessita' delle lotte combattute dai suoi fratelli neri per l'affermazione dei loro diritti. Una volta raggiunta la maggiore eta', Spike Lee decide di dedicarsi alla regia cinematografica con la specifica intenzione di correggere quella falsa immagine del popolo nero che il grande schermo statunitense si e' da sempre preoccupato di diffondere. Fin dai suoi primi passi nel mondo del cinema Spike Lee decide di lavorare mantenendo la maggiore indipendenza possibile dalle grandi case di produzione, poiche' le ritiene un territorio creato dagli statunitensi bianchi esclusivamente a uso e vantaggio dei propri simili e di conseguenza inadatto a valorizzare il talento artistico degli afroamericani. Per contribuire attivamente alla risoluzione di questo stato di cose, Spike Lee, nel 1984, con il preciso scopo di creare una struttura produttiva dove cineasti e attori afroamericani possano esprimersi al meglio delle loro capacita', fonda una casa di produzione indipendente, la Forty Acres and a Mule Filmworks. * Salva solo Scorsese e Fellini Spike Lee oppone un netto rifiuto anche alla maggior parte dei codici espressivi della cinematografia bianca (si salvano solo Martin Scorsese e Federico Fellini), soprattutto a quella di matrice hollywoodiana; si trova cosi' a dover ricavare dalla macchina da presa un nuovo linguaggio filmico che sia consono alle sue particolari esigenze di regista afroamericano. L'impegno e la serieta' con cui si dedica a questa particolare elaborazione creativa lo portano a rifiutare in blocco l'unico precedente tentativo simile, almeno nelle finalita', al suo; e cioe' la produzione cinematografica che fa capo a quella corrente sviluppatasi negli anni Settanta e conosciuta come Blaxploitation. "I hate that Blaxploitation shit, never went to it", queste sono le dure parole che Spike Lee riserva a dei lungometraggi considerati da molti esponenti di spicco della comunita' nera americana come dei cult movies della comunita' stessa. Secondo Spike Lee, gli autori della Blaxploitation non sono ne' in possesso della tecnica cinematografica sufficiente a realizzare un buon film ne', soprattutto, abbastanza equilibrati nella loro analisi da impostare un discorso critico e realmente costruttivo sulle dinamiche sociali interne alla comunita' afroamericana. La prima concreta realizzazione dei propositi ideologici e artistici di Spike Lee e' She's Gotta Have It (1986), lungometraggio di cui cura la regia, scrive la sceneggiatura e al quale partecipa interpretando un ruolo da co-protagonista; un modus operandi che inizialmente Spike Lee adotta a causa della scarsita' dei mezzi economici a sua disposizione e al quale, in seguito, rimane fedele anche quando, grazie al successo ottenuto dai suoi primi film, non ha piu' alcun problema di budget. She's Gotta Have It racconta la vita quotidiana di Nola Darling, una donna afroamericana sessualmente disinibita, che incontra serie difficolta' nei rapporti con l'altro sesso; in quanto gli uomini che frequenta (tutti afroamericani), pur rivendicando per se stessi una liberta' totale, non sono affatto disposti a concedere la stessa liberta' a Nola (che nella versione italiana del film diventa Lola). * L'ipocrisia sessuale maschile La particolare atmosfera metropolitana che viene ricreata nel film, decisamente valorizzata dallo splendido bianco e nero in cui e' girato She's Gotta Have It, e la frequente presenza di sequenze in cui gli stessi personaggi vengono mostrati piu' volte nel medesimo punto spazio-temporale della narrazione ripresi da diverse angolazioni, per sottolineare visivamente la necessita' di comprendere l'umano nella sua individualita', sono i fattori stilistici piu' notevoli di questo film; subito notato e accolto favorevolmente dalla critica, che ne apprezza la grande originalita' creativa. Il contenuto valido di She's Gotta Have It, comunque, non e' solo la qualita' degli elementi formali; Spike Lee, attraverso le disavventure di Nola, evidenzia in modo diretto e tagliente l'ipocrisia sessuale maschile, fortemente presente nella comunita' afroamericana, e mostra come l'intolleranza degli uomini di colore nei confronti dell'emancipazione femminile assomigli alle discriminazioni razziali operate dagli uomini bianchi. L'analisi e la critica delle contraddizioni presenti all'interno della comunita' afroamericana sono al centro anche del successivo film di Spike Lee, School Daze (1988), il suo primo e unico musical. Ambientato in un college statunitense frequentato e gestito da afroamericani, il film e' basato sugli avvenimenti che animano la vita quotidiana degli studenti universitari, l'elezione di Miss College, il campionato di football, le rivalita' esistenti tra le varie associazioni studentesche. Soprattutto di queste ultime Spike Lee si serve per sviluppare il tema centrale del film, le controversie e le dispute continue che separano gli afroamericani con la pelle molto scura da quelli con la pelle piu' chiara e i capelli meno crespi. Questi attriti, quasi sconosciuti al di fuori della comunita' afroamericana, hanno la loro origine nei giorni della schiavitu', quando ai "negri domestici", quelli con la pelle meno scura, venivano affidati i lavori meno pesanti da svolgersi all'interno della casa padronale; mentre i "negri agricoli", quelli con la pelle molto scura, dovevano raccogliere il cotone nei campi sotto il sole cocente. Spike Lee cerca di dimostrare come gli effetti di questo sistema di caste, creato e sostenuto dagli schiavisti, si facciano sentire ancora oggi e siano uno dei maggiori ostacoli che impediscono agli afroamericani di stabilire tra loro una reale solidarieta' e di acquisire il peso sociale e politico necessario a concretizzare l'uguaglianza tra gli statunitensi neri e quelli bianchi. A causa del messaggio veicolato da School Daze, Spike Lee riceve alcune tra le piu' aspre critiche della sua carriera, mossegli dai leader della comunita' afroamericana che lo accusano di lavare in pubblico i panni sporchi dei suoi fratelli neri. Commenti negativi su School Daze arrivano anche da parte della critica di settore. Gli aspetti del film piu' propriamente pertinenti al genere musical, gli arrangiamenti musicali e le coreografie, sono considerati banali; i personaggi principali, forse troppo numerosi, risultano schematici, privi di profondita' psicologica. Probabilmente parte della severita' dei giudizi critici e' dovuta alle troppo grandi aspettative create dal precedente successo di She's Gotta Have It, ma resta comunque il fatto che School Daze e', complessivamente, il meno riuscito dei film di Spike Lee sia come immediata risposta di pubblico sia se confrontato a posteriori con il resto delle sue opere cinematografiche. Lo stesso Spike Lee pare distinguere chiaramente i risultati ottenuti dai suoi primi due film; visto che la sceneggiatura immediatamente successiva viene a essere molto piu' sperimentale di School Daze e molto piu' simile a She's Gotta Have It. Si tratta di Do The Right Thing (1989), che e' ancora oggi considerato "il film" di Spike Lee. * Polemiche da Cannes Do The Right Thing viene presentato a Cannes nel 1989, non ottiene la Palma d'oro (che va a Sex Lies and Videotape di Steve Soderberg), ma scatena un'infernale polemica (e polemiche per le scene cruente suscita Summer of Sam, presentato a Cannes quest'anno, che racconta di un vero serial killer. Invano il padre di una vittima ha cercato di fermare il regista), a cui prendono parte critici, opinionisti, personaggi dello spettacolo e addirittura distributori cinematografici, e che tocca il culmine durante l'estate, quando il film viene distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi. Nessuna campagna pubblicitaria, per quanto costosa, avrebbe potuto far raggiungere a Do The Right Thing la notorieta' che gli procurano mesi e mesi di battaglie combattute sui quotidiani, sulle riviste e durante i talk-show; dispute che vedono da un lato critici, opinionisti e politici che vogliono il ritiro del film dalla circolazione, accusandolo di fomentare disordini sociali e di sostenere la legittimita' di alcuni atti criminosi; dall'altro lato il regista e gli attori, che sostengono che Do The Right Thing e' una panoramica sull'America urbana contemporanea, che si limita a prendere atto di una situazione di disagi e violenza gia' di per se' esistente. Il film viene lasciato in circolazione, ottiene un grande successo di pubblico sia negli Stati Uniti sia in Europa e mai, in nessun caso, si verificano incidenti collegabili alla proiezione di questa pellicola. La trama di Do The Right Thing e' semplice: sulla pellicola scorrono ventiquattro ore, a partire dalla mattina presto, di vita vissuta in un isolato di Bedford-Stuyvesant, una zona di Brooklyn (uno dei quartieri in cui e' divisa New York). Nel rione di Bed-Stuy abitano soprattutto afroamericani e portoricani; le persone appartenenti a questi due gruppi etnici condividono gli stessi disagi sociali, derivanti dall'essere considerati cittadini di serie B, e nonostante questo non mostrano alcun tipo di solidarieta' l'uno verso l'altro, hanno stabilito un rapporto di reciproca sopportazione. Del resto anche i rapporti tra Bed-Stuy e il resto della citta' non sono dei migliori: l'amministrazione cittadina lascia la zona nel piu' totale abbandono e gli abitanti degli altri quartieri hanno paura a mettervi piede, convinti che a Bed-Stuy abitino solo delinquenti e drogati. Da queste peculiarita' del rione (estendibili a tutto il territorio di Brooklyn) e da alcuni fatti di cronaca nera prendono spunto tutti gli avvenimenti del lungo giorno impresso sulla pellicola di Do The Right Thing. In una delle sequenze iniziali si vedono Sal e i suoi figli Pino e Vito, gli unici tre personaggi principali del film dalla pelle chiara, lamentarsi perche' l'aria condizionata della pizzeria che gestiscono e' rotta e il tecnico delle riparazioni si rifiuta di mettere piede a Bed-Stuy se non e' scortato dalla polizia. Poi, si assiste a diversi episodi di pura intolleranza razziale: un gruppo di giovani portoricani se la prende con un ragazzo nero; tre uomini afroamericani sono irritati dal fatto che nel quartiere c'e' un negozio di alimentari gestito da coreani; nasce una disputa tra Sal e Pino perche' quest'ultimo insiste che non riesce a lavorare in un quartiere di neri, che "e' come vedere ogni giorno il Pianeta delle scimmie"; e infine Buggin' Out, un afroamericano che nel quartiere ha fama di piantagrane, decide di organizzare un boicottaggio ai danni della pizzeria di Sal. * Brave persone a Bed-Stuy Inframmezzate a queste vicende, quasi una sorta di contrappunto, vengono raccontate le storie delle brave persone che sono nate a Bed-Stuy e che continuano a risiedervi facendo del proprio meglio per guadagnarsi un'esistenza degna di essere vissuta. Come Mother Sister, una pacifica anziana signora che osserva costantemente le attivita' di Bed-Stuy e offre il suo aiuto quando le cose si mettono male davvero; o Jade, una ragazza sveglia e indipendente che si preoccupa affinche' il suo squinternato fratello Mookie (interpretato dallo stesso Spike Lee) si assuma le proprie responsabilita' di uomo e di padre. Purtroppo, nonostante questi apporti positivi, le tensioni esistenti tra i vari gruppi di intolleranti aumentano sempre di piu' con il trascorrere delle ore e verso sera scoppia una violenta rissa nella pizzeria di Sal, che finisce con il diventare una vera e propria tragedia. Spike Lee ricostruisce molto realisticamente gli ambienti di Bed-Stuy, al punto da girare gli esterni del film direttamente sul posto, e usa soluzioni geniali per comunicare allo spettatore l'atmosfera culturale del rione, direttamente derivata dalle tradizioni dei Paesi d'origine dei suoi abitanti e quindi radicalmente diversa da quella che si respira nei quartieri abitati prevalentemente da statunitensi di origine anglosassone, ma non per questo peggiore. La stagione in cui si svolgono gli avvenimenti raccontati in Do The Right Thing e' l'estate, in una giornata particolarmente calda. Le dominanti cromatiche della pellicola con cui e' girato il film sono volutamente molto calde, per accentuare al massimo i colori solari che dominano nella scenografia e nei costumi. La colonna sonora e' basata sul rap, una corrente musicale dalla duplice matrice metropolitana e afroamericana, in cui si fondono i ritmi martellanti dei riti tribali e le sonorita' elettroniche degli strumenti musicali contemporanei. Naturalmente, Spike Lee si preoccupa di riportare fedelmente sul grande schermo anche le caratteristiche personali tipiche dei residenti di Bed-Stuy; creando una serie di personaggi piu' che verosimili nella propria caratterizzazione individuale e allo stesso tempo rappresentativi delle varie modalita' di comportamento riscontrabili nelle persone reali che abitano a Brooklyn. E dal momento che non si possono ignorare l'esasperazione e la violenza fortemente presenti in questi rioni, molti dei personaggi di Do The Right Thing sono violenti verbalmente e fisicamente. Dell'aggressivita' dei ragazzi di Bed-Stuy vengono mostrate sia le motivazioni, come la difficolta' di trovare un lavoro decente a causa del colore della pelle, sia le azioni vane e controproducenti a cui sono indotti. Spike Lee non esita a sottolineare le contraddizioni e l'autolesionismo che derivano dalla mancanza di controllo sulla propria rabbia. Un esempio significativo lo si trova nella sequenza finale di Do The Right Thing: durante un violento scontro con la polizia, giunta nella zona a seguito di atti di vandalismo e di un incendio doloso, Radio Raheem, un ragazzo afroamericano molto stimato a Bed-Stuy, perde la vita. Subito si scatenano isteriche invettive contro i "bianchi porci e assassini"; Smiley, anch'egli afroamericano, fa subito notare che "uno dei piedipiatti era nero" e altri personaggi sottolineano che ci sono stati atti di violenza gratuita da entrambe le parti. Questa accuratissima attenzione al reale che contraddistingue Do The Right Thing non e' fine a se stessa, ma e' funzionale a una proposta di analisi e comprensione della realta' stessa, vuole significare fino a che punto sia impellente prendere atto di alcuni fenomeni sociali e, soprattutto, agire per risolverli. E' fondamentale chiarire che il messaggio che Spike Lee invia non e' tanto una richiesta di aiuto dall'esterno, quanto la pretesa di un cambiamento dall'interno, che secondo il regista e' l'unica vera possibilita' di agire sul presente per cambiare il futuro della comunita' afroamericana. E' soprattutto allo scopo di farsi ascoltare dal pubblico che gli sta a cuore, i suoi fratelli neri, che Spike Lee elabora, realizzando Do The Right Thing, un linguaggio filmico che sia il piu' nero possibile; e i risultati che ottiene vanno molto oltre il conseguimento del suo primo obiettivo. Di fatto, con Do The Right Thing, il cinema nero americano compie una svolta decisiva sia dal punto di vista artistico che da quello ideologico; da questo momento in poi non solo la produzione cinematografica di Spike Lee ma anche quella degli altri registi, sceneggiatori e attori afroamericani parte da nuovi presupposti. * Un jazzista che non si droga Dopo Do The Right Thing, comprensibilmente, se si considera il clamore sorto intorno a questo film, Spike Lee sente la necessita' di prendere tempo, di dedicarsi a qualcosa di tranquillo. Inoltre, ci tiene a dimostrare la sua versatilita' come sceneggiatore e regista. In risposta a queste esigenze gli viene l'idea di realizzare un film dedicato al jazz, la musica nera per antonomasia. Un tema che fino a ora, cinematograficamente parlando, e' stato affrontato solo da registi e sceneggiatori bianchi, cosa che non puo' certo risultare gradita a un regista come Spike Lee, il quale sente il dovere di fare qualcosa a questo proposito e gira Mo' Better Blues (1990). L'intero film ruota intorno al personaggio di Bleek Gilliam, un afroamericano brillante suonatore di tromba e compositore di musica jazz all'apice della carriera. Il protagonista di Mo' Better Blues e' il prototipo del musicista puro: nella sua vita c'e' spazio solo per il jazz, a cui si dedica anima e corpo. Bleek non prende seriamente le relazioni sentimentali, non si cura delle esigenze dei musicisti che suonano con lui, ne' si preoccupa, almeno in apparenza, del proprio futuro. Se da un lato Spike Lee non risparmia evidenti critiche a questo modo di essere, che sacrifica la parte piu' umana dell'esistenza ai risultati in campo musicale; dall'altro il regista, con Bleek, porta sul grande schermo una figura di musicista afroamericano radicalmente diversa e per molti aspetti migliore dei suoi predecessori, dal momento che il protagonista di questo film non sente mai alcun bisogno di fare uso di stupefacenti o di alcolici. In Mo' Better Blues l'ambiente della musica jazz non viene in alcun modo accostato alla tossicodipendenza ne' all'alcolismo, rompendo uno standard consolidatosi nei precedenti film sullo stesso argomento che mostrano solo musicisti jazz afroamericani invischiati in esistenze poco pulite, senza peraltro preoccuparsi di specificare che si tratta di casi particolari e non di una regola generale (un significativo esempio e' Round Midnight di Bertrand Tavernier). Dopo questa parentesi di relativa distensione, almeno per un autore come Spike Lee, ecco che tornano alla ribalta le tematiche scottanti. La Forty Acres and a Mule Filmworks sforna Jungle Fever (1991), un mosaico di storie metropolitane attraverso le quali Spike Lee ritrae le varie forme che assume l'intolleranza nei confronti delle relazioni sentimentali interrazziali. Angela Tucci, un'italoamericana che abita con il padre a Bensonhurst, la zona di Brooklyn dove i residenti si vantano che nessun nero cammina sulle loro strade, ha una relazione con Flipper Purify, un collega di lavoro afroamericano che vive a Harlem con la moglie e la figlia. Quando le rispettive famiglie lo scoprono, si scatena il finimondo. La storia di per se' non e' particolarmente originale, ma lo e' il modo in cui Spike Lee la presenta. Angie e Flip non hanno molto spazio sulla pellicola, sono piu' che altro un'occasione per introdurre tutta una serie di discorsi intessuti da amici e familiari sulla loro storia d'amore. Spike Lee con Jungle Fever realizza una sorta di dibattito cinematografico a tema, nel quale vengono analizzati i piu' svariati punti di vista sulle coppie formate da persone appartenenti a etnie diverse. Un altro tema forte presente nel film e' la dolente constatazione della massiccia quanto devastante diffusione del crack nelle zone di New York dove risiedono prevalentemente afroamericani. Attraverso la tragica figura di Gator (magistralmente interpretato da Samuel L. Jackson che riceve un premio speciale dalla giuria di Cannes), il fratello tossicodipendente di Flipper, Spike Lee mostra in modo asciutto, senza veli ne' pietismo, l'annientamento irreversibile della persona a cui conduce il consumo di crack. Spike Lee fino a ora non ha mai lavorato a una produzione cinematografica di dimensioni imponenti; l'occasione giunge quando la Warner Brothers acquista i diritti per realizzare una versione cinematografica di The Autobiography of Malcolm X di Alex Haley e decide di affidarne la regia a Spike Lee. Per il film Malcolm X (1992) la Warner stanzia il budget piu' alto (trentaquattro milioni di dollari) con cui Spike Lee abbia mai lavorato, ma anche le pressioni che la casa di produzione esercita sul regista durante la lavorazione sono molto forti; a cominciare dal fatto che non viene concesso a Spike Lee di occuparsi della sceneggiatura, che viene affidata a James Baldwin e Arnold Perl. Solo in un secondo tempo, a sceneggiatura ultimata, Spike Lee collabora con gli autori per apportare delle modifiche. Questo, comunque, non impedisce che l'impegno dimostrato da Spike Lee durante le riprese sia enorme, cosi' come sconfinata e' la sua personale ammirazione nei confronti del leader afroamericano assassinato nel 1965. * La delusione di Malcolm X Purtroppo, i risultati finali sono, ancora una volta, al di sotto delle aspettative della critica e del pubblico. Il film e' diviso in blocchi contrassegnati da stili molto differenti tra loro, che disorientano lo spettatore e rendono quasi impossibile una lettura delle finalita' registiche. Le prime sequenze di Malcolm X sono girate avvalendosi di ricostruzioni scenografiche e soluzioni tecniche simili a quelle di un musical disneyano. Poi si passa bruscamente a uno stile cupamente realistico, viene eliminato quasi ogni spunto cromatico caldo e brillante, le inquadrature divengono molto piu' statiche e il montaggio e' fin troppo sobrio. Nel finale il linguaggio filmico muta ancora, fino ad assumere le connotazioni tipiche del film documentario. Grazie alla riuscita interpretazione di Denzel Washington, nel ruolo di Malcolm X, e a una linea narrativa di fondo solida e trascinante, Malcolm X in qualche modo si salva dal disastro; ma non e' sicuramente il bel film che ci si aspettava da Spike Lee. * Vita quotidiana a Brooklyn A Malcolm X fa seguito un breve periodo di assenza di Spike Lee dalle scene cinematografiche. Crooklyn (1994), un lungometraggio ambientato nei primi anni Settanta, segna il suo ritorno dietro la macchina da presa. E si ripresenta uno degli argomenti narrativi preferiti dal regista: la vita quotidiana come e' vissuta nelle "zone nere" di Brooklyn. Spike Lee scrive la sceneggiatura del film insieme ai fratelli Joie e Cinque, inserendovi molti elementi autobiografici relativi alla loro infanzia. Significativamente, la protagonista e' una bambina afroamericana di nove anni, di nome Troy, che sulla pellicola di Crooklyn vive l'evento principale della sua infanzia: la morte della madre. Prendendo come punto di vista la visione del mondo di Troy, osservatrice al tempo stesso acuta e ingenua, Spike Lee evoca un quadro suggestivo del clima culturale di quegli anni; i vecchi modi di dire, di vestirsi e di arrangiarsi degli afroamericani di Brooklyn, negli anni Settanta, sfilano davanti alla macchina da presa in un'atmosfera luminosa, nonostante la tristezza dei fatti narrati, dal sapore nostalgico. Con il film successivo, Clockers (1995), Spike Lee si sposta avanti nel tempo, ma resta fermo nello spazio; raccontando una storia metropolitana incentrata su uno dei piu' dolorosi problemi della societa' attuale, il traffico di stupefacenti. Diversamente che in Jungle Fever, dove il problema droga e' affrontato dal punto di vista di chi ne fa uso, in questo film si parla dello spaccio di stupefacenti nelle strade. Strike, un ragazzo afroamericano di Brooklyn, si guadagna da vivere facendo lo spacciatore (Clocker nel gergo locale), senza provare rimorso per la morte che vende ai suoi fratelli ne' per il dolore che la sua scelta di vita causa a sua madre. Apparentemente l'unica vera passione di Strike e' collezionare trenini elettrici, a cui si dedica con una cura maniacale. La verita' e' che il ragazzo ha una natura molto sensibile, che cerca in tutti i modi di nascondere perche' teme che nell'ambiente in cui vive sarebbe interpretata come debolezza. Quando suo fratello Victor, in preda a un esaurimento nervoso, compie un omicidio di cui lo stesso Strike e', seppure involontariamente, il mandante, Strike, posto di fronte a questa tragedia, acquista una coscienza maggiore del mondo che lo circonda, diviene piu' maturo e trova il coraggio di affrontare la realta' cercando di cambiarla. Spike Lee, sempre attento a interpretare il reale in modo preciso, caratterizza culturalmente i personaggi, servendosi di colori forti nei costumi, delle originali pettinature tipiche degli afroamericani e della musica rap, senza eccedere, evitando la caricatura; e fa un ampio e intelligente uso di riprese in soggettiva per concentrare l'attenzione dello spettatore sulle particolarita' caratteriali di ciascun personaggio. Clockers e' una tappa importante nella carriera di Spike Lee, dimostra come la sua tecnica cinematografica sia in evoluzione e perfezionamento continui e come egli prenda sempre piu' sul serio il ruolo di regista-psicologo che aveva gia' rivendicato per se' ai tempi di Jungle Fever. * Un milione di neri, ma divisi Anche Get On The Bus (1996) e' in gran parte dedicato all'interpretazione psicologica. Questo film e' girato quasi interamente su un autobus e i protagonisti sono i passeggeri e l'autista. L'autobus in questione viaggia verso la Million Men March, la marcia di un milione di uomini organizzata nel '95 da Louis Farrakhan, leader assoluto degli afroamericani musulmani; i passeggeri sono un gruppo di afroamericani che vogliono partecipare alla manifestazione. Ben presto si scopre che, a parte lo scopo del viaggio, i protagonisti non hanno molto in comune tra loro: sono diversi per eta', estrazione sociale e modo di pensare. Il gruppo rappresenta un campionario di tipologie di uomini afroamericani e, naturalmente, l'autobus finisce con il simbolizzare le possibili direzioni future verso cui puo' o deve incamminarsi la comunita' afroamericana. I passeggeri si interrogano a vicenda su questo argomento, riflettendo sul lontano passato in comune, i giorni della schiavitu', e commentando il presente di ognuno. Get On The Bus non ottiene un grande successo di pubblico, nonostante sia accolto favorevolmente dalla critica di settore; probabilmente la causa dell'insuccesso sono i troppo presenti intenti didattici del film che, per quanto lodevoli, ne appesantiscono notevolmente la visione. * L'operatrice di hot line Un altro pesante insuccesso di Spike Lee e' Girl 6 (1996), che viene massacrato dalla critica e guardato con sospetto dalla maggior parte dei fans del regista. Girl 6 racconta le avventure di Judy, un'aspirante attrice squattrinata, che decide di accettare un lavoro come operatrice di una hot line. Con il passare del tempo Judy e' sempre piu' coinvolta emotivamente dal suo lavoro e il suo equilibrio psichico si altera, comincia a perdere il senso della propria identita'. Il punto piu' critico lo raggiunge quando un cliente comincia a ossessionarla con ripetute minacce di morte; invece di crollare definitivamente, Judy si rende finalmente conto di quanto questo lavoro stia realmente distruggendo la sua vita e decide di abbandonarlo. Judy cerca di riprendere la sua carriera di attrice e si trova di fronte a un nuovo insuccesso, ma non si perde d'animo; se non altro, la sua passata esperienza e' servita a renderla piu' forte. Girl 6 e' interamente giocato sulla sovrapposizione continua del reale e della fantasia erotica; Spike Lee cerca di rendere visivamente evidente questo intrecciarsi di piani diversi elaborando le sequenze dei sogni erotici con vari tipi di effetti. Il regista si lancia in una lunga serie di sperimentazioni prive di uno scopo preciso, ottenendo risultati discontinui, a volte scadenti. In definitiva Girl 6 e' un film molto povero, che risente di una sceneggiatura debole e di scelte registiche poco equilibrate. Il 15 settembre 1963 a Birmingham, in Alabama, una bomba piazzata da un esponente del Ku Klux Klan esplode in una chiesa battista durante una lezione di catechismo; a seguito dell'attentato muoiono quattro bambine afroamericane. Piu' di trent'anni dopo, Spike Lee realizza un film-documentario su questa tragedia, 4 Little Girls (1997). Spike Lee ricostruisce i fatti lasciando molto spazio alle dichiarazioni dei parenti e degli amici delle bambine; il regista li fa parlare soprattutto della vita quotidiana che le bimbe conducevano, del carattere che avevano, perfino dei loro risultati scolastici. Quello che vuole e' ricostruire la sostanza umana che sta dietro ai quattro nomi riportati nei documenti sulla sciagura; la cosa a cui Spike Lee conferisce piu' importanza non e' tanto la brutalita' dell'attentato quanto il valore delle vite che sono andate perdute. Le inquadrature stesse di cui si serve per riprendere i monologhi delle persone che erano piu' vicine alle vittime sono finalizzate a dare spessore all'elemento umano; si tratta di una serie di primi e primissimi piani su sfondo neutro in cui il soggetto ripreso e' illuminato in modo da risultare completamente avulso dallo spazio materiale in cui si trova. E' una celebrazione dell'umano in se' e per se', volta a confermarne il valore indipendentemente dal contesto in cui e' calato. Il messaggio antirazzista promosso da 4 Little Girls non puo' che uscire pienamente valorizzato da questo particolare linguaggio filmico elaborato da Spike Lee. Nel momento in cui 4 Little Girls esce nelle sale cinematografiche, il successo torna a coronare l'opera di Spike Lee, che riceve nuovamente il plauso del grande pubblico. * Un fanatico del basket La piu' recente fatica cinematografica di Spike Lee e' un film dedicato al mondo del basket statunitense, He Got Game (espressione gergale usata per indicare un giocatore di talento). Spike Lee e' da sempre un fanatico del basket (la squadra per cui tifa sono, ovviamente, i New York Knicks), uno sport che ha praticato attivamente fino all'universita' e di cui conosce ogni segreto. Percio' non stupisce piu' di tanto che le sequenze del film dedicate al gioco nel suo svolgimento sul campo siano tra le migliori mai realizzate, capaci sia di soddisfare pienamente le esigenze degli spettatori esperti di questo sport sia di comunicare a chi non lo conosce l'essenza e la bellezza della pallacanestro. Come sempre, pero', la perfezione formale per Spike Lee non e' motivo sufficiente per fare un film. He Got Game (1998) sviluppa un'attenta riflessione sulla duplice natura del mondo della pallacanestro professionistica, che da un lato offre la possibilita' di emergere a qualunque atleta dotato di talento, e di conseguenza rappresenta una delle poche possibilita' di riscatto sociale per i giovani afroamericani provenienti dalla classe meno abbiente; e dall'altro e' un ambiente corrotto, frequentato da persone prive di scrupoli, tra cui molti manager e allenatori che, pur di ottenere denaro e successo, non esitano a sfruttare gli atleti nei modi piu' spregevoli. Inoltre, Spike Lee non manca di fare notare che, mentre gli atleti sfruttati sono quasi tutti afroamericani, la maggior parte degli sfruttatori sono bianchi. * Afroamericani responsabili Comunque, complessivamente, l'immagine del basket statunitense esce da He Got Game piu' esaltata che criticata; Spike Lee, piuttosto che condannare uno sport che ha dato molte occasioni importanti agli afroamericani, preferisce sottolineare le responsabilita' degli afroamericani stessi per lo stato delle cose. L'intera vicenda narrata in He Got Game va in questa direzione. Jesus, un ragazzo afroamericano, astro nascente della pallacanestro (interpretato da Ray Allen, un campione anche nella vita reale), e' di fronte a una delle scelte piu' importanti della sua vita: deve decidere a quale universita' iscriversi. A causa del suo grande talento di giocatore, ogni squadra di basket universitaria cerca di accaparrarselo con qualsiasi mezzo. A tutte le persone che sono piu' vicine a Jesus, tra le quali il padre, vengono offerti soldi e benefici di vario genere per fare pressione sul ragazzo e influenzare la sua decisione, e nessuno di loro si rifiuta di prendere parte a questo sporco gioco. Ancora una volta Spike Lee punta l'obiettivo all'interno della comunita' afroamericana, continuando a mostrarsi coerente con le motivazioni che lo hanno spinto a intraprendere la carriera di regista cinematografico, e il grande successo che He Got Game ottiene negli Stati Uniti conferma che finora ha fatto la cosa giusta. Aspettiamo una conferma dall'uscita di Summer of Sam. * Le cose giuste Questi i titoli dei film di Spike Lee: 1980: The Answer (produzione universitaria). 1981: Sarah (produzione universitaria). 1982: Joe's Bed-Stuy Barbershop: We cut Heads (produzione universitaria). 1986: She's Gotta Have It (Lola Darling). 1988: School Daze (Aule turbolente). 1989: Do The Right Thing (Fa' la cosa giusta). 1990: Mo' Better Blues (idem). 1991: Jungle Fever (idem). 1992: Malcom X (idem). 1994: Crooklyn (idem). 1995: Clockers (idem). 1996: Get On The Bus (Bus in viaggio). 1996: Girl 6 (Sesso in linea). 1997: 4 Little Girls. 1998: He Got Game. 1999: Summer of Sam. Su Spike Lee, si possono leggere: Spike Lee and David Lee, Five for Five: The Films of Spike Lee, Stewart, Tabori and Chang, New York, 1991. Alex Patterson, Spike Lee, Avon Books, Usa, 1992. Manthia Diawara, Black American Cinema, Routledge, New York, 1993. Mark A. Reid, Spike Lee's Do The Right Thing, Cambridge University Press, Usa, 1997. Fernanda Moneta, Spike Lee, Il Castoro, 1998. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 303 del 17 febbraio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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