Nonviolenza. Femminile plurale. 235



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 235 del 12 febbraio 2009

In questo numero:
1. Lea Melandri: Una violenza dalle molte facce
2. Delia Vaccarello: Johanna Sigurdardottir
3. Maria Teresa Carbone intervista Chimamanda Ngozi Adichie
4. Marina Forti: Donne in Iran
5. Felicetta Ferraro: Una bibliografia essenziale sull'Iran
6. Stella Morra: Domande
7. Benedetta Craveri presenta "Ventiquattr'ore di una donna sensibile" di
Constance de Salm
8. Silvana Mazzocchi presenta "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola
Estes

1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: UNA VIOLENZA DALLE MOLTE FACCE
[Dal sito www.zeroviolenzadonne.it riprendiamo il seguente intervento]

Negli stessi giorni in cui lo stupro avvenuto a Guidonia veniva gridato a
lettere cubitali sulle prime pagine dei quotidiani, passavano in sottofondo,
come "brevi di cronaca", violenze maschili meno spettacolari, ma soprattutto
meno dicibili: una donna maltrattata e costretta dal marito a prostituirsi,
due bambine violentate per anni dallo zio materno, una figlia insidiata dal
padre, un uomo che uccide la moglie e la sorella perche' "non gli davano
piu' soldi".
Nel primo caso, si tratta di un'aggressione che cade in un contesto sociale
che sembra fatto apposta per provocarla e per farne un uso distorto - una
citta' simile alle periferie urbane degradate, ostilita' crescente della
popolazione locale contro gli immigrati, forze politiche interessate ad
alimentare paura e insicurezza; negli altri casi, fa la sua comparsa una
violenza piu' insidiosa, perche' confusa con gli affetti famigliari, con i
bisogni elementari della sopravvivenza, con la fiducia infantile
nell'adulto, una ferita sopportata nella solitudine e nel silenzio, o
addirittura coperta dai genitori.
A Guidonia c'erano tutti gli ingredienti per inscenare una sorta di "stupro
etnico", e per accendere odi gia' esistenti tra bande opposte di
"guerrieri": il branco dei romeni stupratori e le squadre di Forza Nuova
pronte ad armarsi per difendere le "proprie" donne; l'umiliazione inflitta
non solo a una donna, a cui si puo' sempre imputare l'avventatezza di essere
uscita sola di notte, ma anche all'uomo che l'accompagnava, colpito nel suo
ruolo virile di difensore. A un atto di aggressione, imputabile a "invasori
barbari, animaleschi" - quali sono considerati oggi i romeni, ieri gli
albanesi -, la politica, quasi unanime, ha risposto non a caso disponendosi
in assetto di guerra, minacciando di assediare le strade, le piazze, i mezzi
di trasporto, i luoghi pubblici, con tutti i "corpi di Stato": poliziotti,
militari, vigili dotati di pistola, ma anche, come si legge nell'intervista
di Ignazio La Russa ("Il Giornale" del 25 gennaio 2009), polizia
penitenziaria, Forestale, Guardia di Finanza. La ripetitivita' della storia
e' tale che e' difficile non vedere, in questa parata di scudi, divise,
frecce appuntite, spasmi vendicatori, eretta a protezione di fragili corpi
femminili, il piacere che gli uomini hanno sempre trovato nel farsi la
guerra. Preda da catturare con l'insidia o vittima da proteggere, la donna
e' sempre quell'essere malriuscito che sta tra la natura e l'umano, risorsa
e merce preziosa quando se ne puo' disporre, pericolo e calamita' quando
passa in mano di altri.
Ma sono poi cosi' lontani i due scenari della violenza maschile, quello che
di tanto in tanto occupa vistosamente lo spazio pubblico, riaccende la
curiosita' morbosa dell'annoiato spettatore televisivo, permette ai
contendenti della politica di farsi grintosi contro l'avversario, e quello
che, al contrario, passa inosservato dietro il paravento ideologico dei
vincoli "sacri" o "naturali" della famiglia, una violenza destinata a
restare invisibile, o perche' confusa con l'amore, i legami di sangue, i
doveri coniugali e filiali, o perche' ridotta nelle sue forme manifeste,
come l'omicidio, a patologia del singolo? In alcuni commenti, usciti
domenica scorsa sui giornali, si contrapponevano due interpretazioni diverse
del "branco": nel suo editoriale su "La stampa", Barbara Spinelli ne parlava
come di una figura di gruppo diffusa, struttura presente un po' dovunque
nella societa' italiana, dalle sfere alte della politica, dell'economia,
della cultura, fino alla compagnia dei balordi di periferia; Giuseppe De
Rita, nell'intervista al "Corriere della sera", lo descrive invece come
l'effetto della disgregazione sociale. Le manifestazioni di solidarieta' e
affetto nei confronti di alcuni stupratori, da parte di un gruppo di amici e
di amiche, che ha destato disapprovazione e sorpresa, fa pensare a un'altra
ipotesi, piu' allarmante: nel declino dell'autorita' dei padri, capita
sempre piu' spesso che il familismo, le sue complicita', i suoi silenzi, il
suo controllo sul corpo femminile scambiato per protezione, si trasferisca
fuori dall'ambito domestico, svelando parentele antiche con tutte le civili
o criminali istituzioni della sfera pubblica.
Se e' ancora cosi' facile separare famiglia e societa', casa e luogo
pubblico, tanto da far passare nell'indifferenza, o nell'insignificanza in
cui sono tenute le vicende private, i dati ormai noti della violenza
domestica, e' perche' la cultura dominante, sia essa quella guerresca o
quella pacifica, democratica, solidale, continua a farsi forte della sua
"neutralita'". Questa e' anche la ragione per cui, pur essendo evidente a
tutti che il rapporto di potere tra i sessi richiederebbe processi lenti e
profondi di cambiamento, a partire dai primi anni di vita, nessuno sembra
aver voglia di percorrere questa strada, dove non si incontrano "belve"
assetate di sangue e di sesso, ma figure "normali" - padri, madri, fratelli,
mariti, figli, amici, amiche, maestre, colleghi - con cui tutti si possono
identificare, scoprirne il lato oscuro, il segno che vi ha lasciato una
catena secolare di soprusi.
Chi ha ben chiaro quale sia oggi la portata della trasformazione in atto
nella vita privata e pubblica e' quella parte dello schieramento cattolico,
sostenuto dalle gerarchie vaticane, che del corpo femminile ha fatto il
terreno di una feroce crociata quotidiana. Dall'aborto alla fecondazione
assistita, dal parto con taglio cesareo alla pillola del giorno dopo, non
c'e' manifestazione di liberta' che accenni alla nascita della donna come
persona, fuori da ruoli imposti come "naturali", che sfugga ai severi
amministratori della legge piu' antica dell'uomo.
Da dove comincia allora la violenza maschile? E' piu' feroce il branco che
si e' "civilizzato", senza mai poter cancellare del tutto la sua indole
remota, negando alla donna lo statuto di umano e di cittadino,
espropriandola di esistenza propria, facendo del suo corpo una merce
scambiabile con altri uomini, o chi continua a dargli il supporto di una
"verita'" indiscussa, naturale o divina, che chiede alla donna di morire a
se stessa, nel momento in cui da' la vita a un altro essere? Nel pretendere
che la donna assecondi quello che, secondo l'"Avvenire" (15 gennaio 2009) e'
l'"onere carnale e fisico" di mettere al mondo il figlio, lasciarsi
"invadere e cambiare senza riserve" dalla vita che ha generato, non ci sono
forse le premesse per quell'inspiegabile commistione di amore e odio
dell'uomo nei confronti del corpo che, dopo averlo partorito, si e' fatto
tutt'uno con lui una seconda volta, prolungando oltre l'infanzia dipendenza
e indispensabilita' reciproca?

2. MONDO. DELIA VACCARELLO: JOHANNA SIGURDARDOTTIR
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprndiamo il seguente articolo apparso su "L'Unita'" del 29 gennaio 2009
col titolo "Habemus Johannam" e il sommario "Islanda, la prima volta di
Johanna, una lesbica al governo"]

Per uscire dalla crisi l'Islanda punta su Johanna Sigurdardottir, ministro
piu' amato dagli islandesi. Designata per l'incarico di premier, strappera'
due primati in uno: la prima donna a capo dell'esecutivo in Islanda, la
prima donna lesbica premier al mondo. Capelli bianchi a caschetto, 66 anni,
ministro uscente per gli Affari Sociali, un passato di hostess, l'esponente
socialdemocratica sembra accendere le speranze di un'isola ricca che ha
fatto tilt, la cui economia basata su un sistema bancario smisurato non ha
retto alla crisi.
Buona parte dei 320.000 abitanti nelle ultime settimane ha manifestato a
Reykjavik chiedendo le dimissioni del governo, dopo che in ottobre
l'esecutivo era stato obbligato a nazionalizzare le prime tre banche del
paese a corto di liquidi, mandando all'aria posti di lavoro e risparmi. A
questi colpi non ha retto il governo del centrista Geir Haarde (tra l'altro
affetto da una grave malattia). Di qui l'incarico del presidente della
Repubblica per un nuovo esecutivo lampo che arrivi almeno a maggio e il nome
di Johanna lanciato dai socialdemocratici e approvato dai Verdi, con il
profilarsi di un appoggio esterno dei centristi.
Perche' Johanna? Perche' piace, sta dalla parte delle minoranze, conosce il
bisogno, le debolezze, la "gente comune". Tre su quattro dei cittadini
islandesi (73%) sono soddisfatti del suo operato secondo un sondaggio Gallup
dello scorso dicembre. Non e' tutto, rispetto ai colleghi e' la sola a dare
fiducia piu' dell'anno precedente: e' l'unico ministro uscente cresciuto in
popolarita' nel 2007. Parere significativo, visto l'epilogo del 2008. La
gente crede in lei, il responso delle urne potrebbe riconfermarla.
Il lesbismo? Non ne ha fatto mai mistero. Divorziata dal marito, ha due
figli grandi e da sette anni un legame regolato dalla "partnership" con la
giornalista e scrittrice Jonina Leosdottir. La sua vita privata, resa serena
anche da leggi per le unioni civili che l'Islanda condivide con gli altri
paesi scandinavi, non pesa sulla vita pubblica. In questo caso fa notizia
perche' e' la prima volta al mondo che una donna lesbica diventa premier. Ma
non e' la prima volta che a Johanna stanno a cuore i problemi del suo paese.
"Johanna e' una politica esperta, tutta l'Islanda la rispetta e la ama"
commenta la ministra dell'Ambiente, Thurunn Sveinbjarnardottir. Per molti
islandesi, e' l'unica che "si preoccupa della gente comune" ed e' noto
l'impegno profuso per difendere i diritti sociali e le opportunita' delle
minoranze. Alle spalle non ha una famiglia famosa ne' potente. Si e' formata
sui problemi del lavoro, facendo attivita' sindacale da hostess. Eletta in
Parlamento nel 1978, e' stata gia' ministro degli Affari sociali dal 1987 al
1994. E' una donna che sa scegliere e aspettare, lavorando. Nel '95 lascio'
il partito socialdemocratico dopo aver perso la corsa per la leadership,
dando vita a una propria formazione. Parlando dopo la sconfitta, guardo'
lontano e disse: "Verra' il mio momento". Aveva ragione.

3. RIFLESSIONE. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2009 col titolo "Conflitti
africani. Parla l'autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie" e il sommario
""I continui riferimenti alla tradizione orale, quando si parla di autori
africani, mi infastidiscono. Sono frutto di una visione romanticizzata della
nostra letteratura. La scrittrice, che ha ricevuto ieri il premio Nonino,
riepiloga i suoi libri, l'ultimo dei quali, Meta' di un sole giallo
(Einaudi), e' ambientato nella guerra del Biafra"]

Che la letteratura africana stia uscendo dal ghetto in cui e' stata a lungo
rinchiusa, e' indubbio: in Inghilterra, in America, in Francia, e ora anche
da noi, autori nigeriani, somali, congolesi si fanno largo nel catalogo
delle maggiori case editrici, abbandonando il recinto protetto delle sigle
indipendenti che avevano scommesso su di loro, vuoi perche' erano piu'
accessibili economicamente, vuoi perche' i piccoli editori hanno antenne
vibratili. Meno evidenti sono le ragioni di un fenomeno che colpisce per la
sua rapidita'. Solo una moda, sostengono alcuni, riluttanti ad accettare che
il canone letterario possa essere messo in discussione. E non si accorgono
che in mezzo secolo, da quando - se si vuole prendere una data di inizio -
usci' Things Fall Apart (Il crollo) di Chinua Achebe, lo scaffale africano
si e' arricchito enormemente, e una nuova generazione di giovani autori
avvertiti e preparati, e' pronta a scardinare i vari cliche' legati a una
"africanita'" di maniera.
Di questa generazione la nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie sembra il
perfetto prototipo: poco piu' che trentenne, ottimi studi fra il suo paese e
gli Stati Uniti, con due romanzi (lo splendido L'ibisco viola, Fusi orari, e
il piu' elaborato e sapiente Meta' di un sole giallo, Einaudi, ambientato al
tempo della guerra del Biafra) ha saputo conquistarsi un vasto pubblico
internazionale e ha rastrellato parecchi premi, l'ultimo dei quali, il
Nonino, le e' stato assegnato ieri a Percoto di Udine. Ed e' appunto alla
vigilia della premiazione che l'abbiamo incontrata.
*
- Maria Teresa Carbone: Di lei Chinua Achebe ha detto che possiede il dono
degli antichi cantastorie. Ritiene che le tradizioni orali abbiano in
effetti condizionato la sua scrittura?
- Chimamanda Ngozi Adichie: Essendo cresciuta in una citta' universitaria,
ho cominciato molto presto a leggere. Certo, mia nonna e mio padre amavano
raccontare storie, quindi potrei dire di essere stata influenzata anche
dalle loro narrazioni. Tuttavia i continui riferimenti alla tradizione orale
quando si parla di autori africani mi infastidiscono, sono frutto di una
visione "romanticizzata" della nostra letteratura. Tutti, non solo gli
africani, raccontano e ascoltano storie, e ne sono condizionati.
Personalmente sono curiosa, mi piace conoscere i dettagli della vita delle
persone con cui entro in contatto. Quando raccoglievo la documentazione per
Meta' di un sole giallo, ho letto tanti libri sulla guerra in Biafra, ma
questi materiali non mi erano sufficienti, volevo saperne di piu',
soprattutto sulla vita quotidiana di quel periodo. Cosi' sono andata in giro
a interrogare chi aveva vissuto quella esperienza, e nella elaborazione del
romanzo questo ha contato di piu' rispetto ad una astratta "tradizione
orale" africana.
*
- Maria Teresa Carbone: A cosa ritiene sia dovuto questo tenace stereotipo?
- Chimamanda Ngozi Adichie: Tutto nasce dall'idea che l'Africa sia
fondamentalmente diversa rispetto al resto del mondo e pare che dall'esterno
si sia sempre in cerca di dati che avvalorino questa ipotesi. Di continuo mi
vengono rivolte domande sulla cultura africana "autentica" e incontaminata,
trascurando il fatto che i rapporti commerciali con i portoghesi, per
esempio, risalgono al XIV secolo, e che - come in ogni parte del mondo - ci
sono stati scambi culturali che hanno portato a una costante evoluzione. Ma
quando si parla di Africa, forse perche' qui ha avuto inizio il genere
umano, tutto questo viene dimenticato, e si idealizza una presunta
"primitivita'", quanto vi e' di "selvaggio" e di "puro" nella nostra
cultura.
*
- Maria Teresa Carbone: Nel suo primo romanzo, L'ibisco viola, il padre
della protagonista, con la sua adesione fanatica alla religione, incarna una
visione dura e conservatrice, ma al tempo stesso e' il simbolo di una
rottura con il passato, perche' per il cristianesimo ha rinnegato la fede
tradizionale. Nella ideazione di questo libro si e' richiamata a Things Fall
Apart di Achebe, che ruotava appunto intorno ai traumatici cambiamenti
culturali legati alla colonizzazione?
- Chimamanda Ngozi Adichie: Nell'Ibisco viola alcuni critici hanno in
effetti visto un "seguito femminista" di Things Fall Apart, una lettura che
mi rende orgogliosa, anche se nella elaborazione del romanzo non c'e' stato
da parte mia un tentativo consapevole in questa direzione. Certo Achebe
rappresenta per me un punto di riferimento essenziale, e mi interessa il
tema della colonizzazione, non tanto dal punto di vista economico, ma per
gli effetti che essa ha avuto sulla mentalita' delle persone. Sono stati in
molti a convincersi, come il padre di Kambili nel romanzo, che il loro
passato e la loro cultura erano cattivi, e che in nome della religione
dovevano rinnegare i loro padri. Quello che mi preme capire e' come tutti
noi abbiamo interiorizzato questo processo, tanto piu' interessante perche',
accanto agli evidenti aspetti negativi, ha avuto lati positivi, che nel
personaggio si concretizzano nella sua sete di giustizia e di liberta'.
*
- Maria Teresa Carbone: In Meta' di un sole giallo il tema centrale e' la
guerra del Biafra, avvenuta quarant'anni fa, quando lei non era ancora nata.
Per quale motivo ha deciso di ritornare su questo conflitto, gia' trattato
dallo stesso Achebe e da altri autori nigeriani come Ekwensi e Saro-Wiwa?
- Chimamanda Ngozi Adichie: La guerra del Biafra mi ossessiona da quando ero
bambina: i miei nonni sono morti durante il conflitto, e in particolare la
figura di mio nonno paterno, che ho conosciuto attraverso le parole di mio
padre, mi coinvolge e mi emoziona. Scrivere questo romanzo ha significato
per me interrogarmi sulla mia storia, su un'eredita' importante che avevo
ricevuto, ma non conoscevo direttamente. In questo rappresento forse la mia
generazione, che della guerra del Biafra ha sentito parlare solo in termini
vaghi: ancora oggi e' un argomento controverso, che non viene trattato nei
libri di scuola, perche' molti dei protagonisti di allora sono ancora
attivi. Quando Meta' di un sole giallo e' uscito in Nigeria, il mio editore
temeva che ci sarebbero state reazioni violente. Invece, accanto a coloro
che hanno dichiarato pubblicamente di non voler neanche prendere in mano il
libro, in molti mi hanno ringraziato per averlo scritto. E mi piace pensare
che questo sia dovuto al fatto che nel romanzo non c'e' spirito di
propaganda: mi interessava solo il lato umano, e anche se il libro ha
evidenti simpatie per il Biafra, come e' naturale, essendo la mia famiglia
biafrana, ho evitato di dare a quella esperienza un alone romantico, che
troverei ingiustificato.
*
- Maria Teresa Carbone: L'unico personaggio bianco del romanzo, l'inglese
Richard, deciso inizialmente a scrivere un libro sul paese in cui vive e che
ama, rinuncia al suo progetto, e sara' poi Ugwu, il giovane servitore, a
farsene carico. Potrebbe essere una metafora di quello che sta accadendo in
Africa e nel mondo?
- Chimamanda Ngozi Adichie: Non credo che questo passaggio sia avvenuto, ma
di certo e' quello che auspico. In effetti, attraverso il personaggio di
Richard (un personaggio peraltro positivo) ribadisco che la storia
dell'Africa deve essere scritta dagli africani, mentre Ugwu rappresenta
l'enorme potenziale di cui dispongono le persone quando vengono offerte loro
opportunita' concrete. All'inizio Ugwu e' povero, non ha un'istruzione, ma
e' intelligente e percio' coglie con prontezza le occasioni di crescere e di
migliorare che gli vengono offerte dai suoi datori di lavoro Odenigbo e
Olanna. In un certo senso e' lui il vero eroe del romanzo, e mi sembra
giusto che sia lui ad assumere il ruolo del narratore di quanto e' accaduto.
*
- Maria Teresa Carbone: Nell'Ibisco viola come in Meta' di un sole giallo ci
sono degli intellettuali, osservatori critici della situazione politica e
sociale in Nigeria, che alla fine vengono sconfitti o decidono di andarsene.
Pensa che non sia possibile nessuna alternativa?
- Chimamanda Ngozi Adichie: Fra le poche cose che il regime militare e'
riuscito a fare bene in Nigeria c'e' stata la sistematica distruzione della
vita intellettuale, del dissenso. Pur di sopravvivere, molti intellettuali
si sono visti costretti a umilianti compromessi, hanno scelto di
collaborare, accettando incarichi governativi, o comunque la loro dignita'
morale ne e' stata danneggiata. Rispetto agli anni Sessanta, quando la vita
culturale in Nigeria era molto vivace, il clima e' oggi decisamente meno
stimolante. Ma ci sono segnali che lasciano intravedere un cambiamento. La
fine della dittatura ha allentato la tensione, e fuori dal paese gli editori
sembrano pronti a scommettere sulla nostra letteratura. Quando nel 2002
cercavo una casa editrice per L'ibisco viola, ho avuto molte difficolta',
tutti pensavano che un romanzo ambientato in Nigeria non avrebbe interessato
nessuno. Ma il successo del libro ha dimostrato che era possibile raccontare
l'Africa di oggi dall'interno, rivolgendosi anche a un pubblico
internazionale. Dentro il paese, poi, nascono nuove imprese editoriali
indipendenti, e aumenta il numero delle persone che scrivono: ai laboratori
di scrittura che organizzo a Lagos, per esempio, sono arrivate centinaia di
candidature. Qualcosa, insomma, si muove.
*
Postilla biobibliografica. Un esordio precoce tra la Nigeria e gli Stati
Uniti
Nata nel 1977, Chimamanda Ngozi Adichie e' cresciuta nella cittadina di
Nsukka, sede della University of Nigeria, dove insegnavano entrambi i
genitori. Dopo gli studi secondari nel suo paese, a diciannove anni Adichie
si e' trasferita negli Stati Uniti per studiare comunicazione a Philadelphia
e scienze politiche nel Connecticut. Alla laurea nel 2001 la scrittrice, che
aveva gia' pubblicato una raccolta di poesie e una piece teatrale, ha
seguito un master di scrittura creativa a Baltimora: in questo periodo ha
preso forma il suo primo romanzo, L'ibisco viola (Fusi orari 2006), fra i
finalisti del Commonwealth Writer's Prize 2005. Ma e' con Meta' di un sole
giallo (Einaudi 2008) che la giovane scrittrice ha consolidato la sua fama
internazionale. Attualmente Chimamanda Ngozi Adichie si divide tra la
Nigeria e gli Stati Uniti dove a Princetown e Yale si occupa di Studi
africani e si dedica a progetti sull'esperienza dei connazionali emigrati in
America.

4. MONDO. MARINA FORTI: DONNE IN IRAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 febbraio 2009 col titolo "Il rovescio
del chador" e il sommario "Istruite e combattive, le donne alla conquista
dello spazio pubblico"]

Stanno compiendo una lunga marcia, le donne iraniane: e' cominciata
all'indomani del 1979, quando molte avevano preso parte alla rivoluzione per
poi sentirsi dire che il loro posto era a casa, segregate dalla societa'
piu' ampia, nel piu' tradizionale dei ruoli: e' quando la rivoluzione
iraniana e' diventata "islamica", e il velo e' divenuto legge dello stato.
Restera' famoso un discorso nel 1979 dall'ayatollah Khomeini, fondatore e
Guida suprema della repubblica islamica: "Ogni volta che in un autobus un
corpo femminile sfiora un corpo maschile, una scossa fa vacillare l'edificio
della nostra rivoluzione...". Nuove leggi abbassarono l'eta' del matrimonio
(cosa che non sta scritta nel Corano ma in tradizioni arretrate, obiettarono
alcune), abolirono il diritto delle donne di divorziare (mentre i mariti
possono ripudiare la moglie), adottarono l'apparato di norme fatte
discendere dal Corano riguardo lo statuto legale delle donne - eredita'
dimezzata rispetto ai fratelli, la testimonianza di una donna vale la meta'
di quella di un uomo, perfino il "prezzo del sangue" (il risarcimento che un
omicida paga alla famiglia dell'ucciso, per evitare la galera) e' meta'.
Contraddittoria rivoluzione, pero': perche' coperte dai loro chador molte
bambine degli strati piu' bassi e tradizionalisti della societa' sono
finalmente andate a scuola (oggi sa leggere e scrivere quasi l'80% delle
iraniane sopra ai sei anni, erano il 35% nel 1976). Perfino l'attivismo
islamico e' stato una via per uscire dalle pareti domestiche. La riconquista
dello spazio pubblico e' stata lenta, ma inesorabile. L'ideologia diceva
alle donne di stare a casa, gli eventi le hanno spinte fuori: la lunga
guerra tra Iraq e Iran (1980-'88), le crisi, la necessita' di lavorare. Poco
a poco, la generazione che aveva dovuto subire il chador ha trovato vie
d'uscita: prima nelle fondazioni "rivoluzionarie" istituzionali, poi
nell'impressionante numero di organizzazioni indipendenti nate negli anni
'90: gruppi d'ogni tipo, chi assiste i bambini di strada e chi promuove
corsi di pittura o attivita' culturali, quasi sempre retti da donne. Chi
aveva una professione l'ha ripresa. Magistrate escluse dalla carica di
giudice sono diventate avvocate per difendere i diritti delle donne. Di
recente qualche magistrata ha potuto prendere ufficio, benche' solo come
giudice a latere in cause civili. Le generazioni cresciute sotto l'hijjab
cercano strade di indipendenza. Intanto una piccola pattuglia di deputate ha
portato in parlamento battaglie sul divorzio e l'affido dei figli, o contro
il matrimonio delle bambine.
Un segno che il clima era cambiato fu l'intervista che il presidente
Mohammad Khatami, appena eletto nel 1997, concesse al mensile "Zanan"
("Donna"), in cui riconosceva alle iraniane un ruolo protagonista nella
societa'. E protagoniste sono: dall'universita' dove il 65% di iscritti sono
ragazze, alle professioni, alla scena culturale, al cinema, al giornalismo
online, alle organizzazioni sociali.
Certo, l'attivismo femminista resta contrastato. Nel 2000 per la prima volta
delle donne hanno celebrato l'8 marzo in una libreria di Tehran: c'erano
giornaliste, editrici, giuriste, nomi noti e meno noti, attiviste per i
diritti umani, in un momento di scontro durissimo in Iran tra un governo
riformista e un sistema politico che resiste al cambiamento (infatti poco
dopo due di loro, l'editrice Shahla Lahiji e l'avvocata Mehranghiz Kar,
furono arrestate: avevano partecipato a una conferenza a Berlino, su invito
dall'Istituto Heinrich Boell, sul futuro delle riforme politiche e sociali
in Iran). Le manifestazioni si sono ripetute, anche di piazza, sfidando
attacchi e arresti.
Nel giugno 2005 un gruppo ha manifestato davanti all'Universita' di Tehran
per chiedere di modificare la Costituzione: "Chiediamo uguali diritti in
modo che gli strumenti legali ci diano il potere di fermare i matrimoni
forzati nei vari angoli del paese, garantire alle madri la custodia dei loro
figli, prevenire la poligamia ufficiale e non, garantire la parita' nel
divorzio, abolire la norma legale che assegna alla donna meta' del valore
dell'uomo, espandere il diritto delle giovani donne a decidere per la
propria vita, prevenire i suicidi di donne disperate, i delitti d'onore, la
violenza domestica", dicevano. Questa e' diventata la piattaforma di una
campagna sviluppata negli ultimi due anni: "Un milione di firme per mettere
fine alle leggi discriminatorie".
La lunga marcia continua. Le donne sono saldamente nello spazio pubblico.

5. LIBRI. FELICETTA FERRARO: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULL'IRAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 febbraio 2009 col titolo "Bibliografia
minima. Capire l'Iran: libri e immagini]

Alberto Negri, Il turbante e la corona. Iran, trent'anni dopo, Tropea 2009;
Pier Luigi Petrillo, Iran, Il Mulino 2008; Renzo Guolo, Generazione del
fronte e altri saggi sociologici sull'Iran, Guerini 2008; Marcella Emiliani,
Marco Ranuzzi de' Bianchi, Erika Atzori, Nel nome di Omar. Rivoluzione,
clero e potere in Iran, Odoya 2008; Sara Hejazi, L'Iran s-velato.
Antropologia dell'intreccio tra identita' e velo, Aracne 2008; Antonello
Sacchetti, Misteri persiani. I volti nascosti dell'Iran, Infinito 2008;
Andrea Duranti, Il rosso e il nero e la rivoluzione della modernita'. Breve
storia del pensiero iraniano contemporaneo, Aracne, 2007; Ervand Abrahamian,
A History of Modern Iran, Cambridge University Press, 2008; Delphine Minoui,
Les Pintades a' Teheran. Chronique de la vie des Iraniennes, Editions
Jaob-Duvernet 2007; Trita Parsi, Treacherous Alliance: The Secret Dealings
of Israel, Iran, and the United States, Yale University Press 2007; Ray
Takeyh, Hidden Iran: Paradox and Power in the Islamic Republic, Macmillan
2007; Yann Richard, L'Iran. Naissance d'une republique islamique, Editions
de La Martiniere, 2006; Frederic Tellier, L'heure de l'Iran, Ellipses 2005;
Yann Richard, 100 mots pour dire l'Iran moderne, Maisonneuve & Larose, 2003;
Bernard Hourcade, Iran. Nouvelle identites d'une republique, Belin, 2002;
Iran. Sous le voile des apparences, documentario, regia di Michel Thierry
Iran. Une revolution cinematographique, documentario, regia di Nader
Homayoon, 2006.

6. LIBRI. STELLA MORRA: DOMANDE
[Dal mensile "Letture", n. 654 del febbraio 2009 col titolo "L'uomo del
Duemila e i suoi travagli"]

"Un tempo m'interesso' la teologia, ma da tale fantastica disciplina (e
dalla fede cristiana) mi svio' per sempre Schopenhauer, con ragioni dirette,
Shakespeare e Brahms, con l'infinita varieta' del loro mondo" (Jorge Luis
Borges, Deutsches Requiem)
*
Davvero Schopenhauer, Shakespeare e Brahms rischiano di sviarci dalla
teologia e persino dalla fede cristiana? Davvero non si puo' essere uomini e
donne di questo tempo, intelligenti e persino un po' colti, e insieme
conservare una fede, se pur pensosa e forse travagliata? Cosa ci sta
succedendo, in questo tempo, in cui pensieri, parole e gesti credenti
sembrano diventati strani ed esotici, quasi folcloristici, ed estranei ad
ogni quotidianita'?
Vorremmo dunque offrire dei libri (il primo sui pensieri, altri tre sulle
parole e gli ultimi due sui gesti cristiani) che prendono le mosse
esplicitamente da queste domande che sono cosi' spesso anche le nostre.
*
La ricchezza di un secolo
Cominciamo con i pensieri: Giuseppe Angelini e Silvano Macchi (ed.), La
teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni aperte, Glossa, 2008,
pp. 804, euro 70; si tratta di un libro arduo, ma che vale tutta la fatica
che chiede per essere letto. Nel Novecento la teologia cristiana ha avuto
una vicenda complessa e molto varia, sempre piu' accelerata nei dibattiti e
nei problemi, e i pensieri cristiani si sono susseguiti in dialogo serrato
tra loro e con gli altri e a volte si sono espressi anche in scontri
conflittuali: il rischio e', per noi, perdersi in questo labirinto e perdere
in questo anche la ricchezza e la complessita' di tante intelligenze
amorosamente dedite allo studio della fede. Il bilancio che questo libro ci
presenta ci aiuta a orientarci e a desiderare di conoscere di piu' e ci
invita a rimettere in moto anche i nostri pensieri e le nostre intelligenze.
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Doni di parole
E veniamo alle parole. Il primo libro e' un piccolo gioiello: Carlo Maria
Martini e Georg Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul
rischio della fede, traduzione di Francesca Gimelli, Mondadori, 2008, pp.
124, euro 17; si tratta di parole scambiate tra un gesuita studioso,
pastore, anziano e un gesuita piu' giovane, attivamente impegnato con i
bambini di strada, parole scambiate di notte quando nell'oscurita'
l'immaginazione e i sensi si affinano, nel luogo, Gerusalemme, dove tutto ha
avuto inizio.
Le prime righe danno il tono del tutto: alla domanda: "Cosa dice a chi non
crede in Dio?" il cardinal Martini risponde: "Avrei molte domande da
porgli". Ecco il primo dono di parole di fede scambiate: domande, non
risposte.
Avendo come interlocutori ideali i giovani, e interrogandosi (come dice il
sottotitolo) sul rischio della fede, Martini invita ad alzare lo sguardo
perche' lo Spirito e' all'opera, invita alla scoperta della Parola di Dio,
incoraggia a sentirsi protagonisti nella Chiesa per contribuire a farle
prendere il largo nel mare agitato del mondo e impegna ognuno a non tirarsi
mai indietro nella sfida per la giustizia e per la pace.
Il secondo libro di parole: Armando Matteo, Come forestieri. Perche' il
cristianesimo e' divenuto estraneo agli uomini e alle donne del nostro
tempo, Rubettino, 2008, pp. 76, euro 14, ci mostra con rigore e insieme
eleganza come la fede cristiana ormai non si intenda piu' da se'. Ma ha
ancora qualcosa da dire e da insegnare agli uomini e alle donne di oggi?
Anche questo autore sostiene che esso ha si' da dire, ma anche da imparare
da essi, per poter "far risuonare in modo rinnovato la parola che attesta la
prossimita' di Dio all'avventura umana [...]. In realta', allora, Dio serve
(al)l'umano che siamo e per questo si puo' ancora ragionevolmente puntare
sulla bonta' del cristianesimo".
Ci viene detto che Dio serve perche' ci rivela la verita' di questo mondo,
perche' spezza il tentativo di fissare in un istante la verita' di e su noi
stessi, perche' si fa garante del fatto che la vita umana vale per l'amore
di cui e' capace. Ecco il secondo dono di parole di fede scambiate: benedire
la vita.
Il terzo libro di parole e' piuttosto diverso dai primi due; si tratta di:
Ermanno Genre, Con quale autorita'? Ripensare la catechesi nella
postmodernita', Claudiana, 2008, pp. 222, euro 17; una raccolta di saggi di
un autore protestante, che possono essere letti a partire da tre questioni
decisive: la liberta', l'ecclesialita' e la laicita'.
Forse i lettori cattolici possono trovarsi un po' a disagio con qualcuna
delle affermazioni di questo autore, ma sono posti comunque di fronte a un
serio tentativo di riflettere sulla cultura religiosa, su come si trasmette,
su dove si trasmette, su chi la trasmette; ma, soprattutto, si trovano
confrontati con una ricerca interrogativa e dialogica, convinta che in
catechesi, se la fede e' ricerca piu' che trasmissione, non e' mai detta
l'ultima parola. Ed e' il terzo dono delle parole della fede: la
possibilita' di diversita' che si interrogano.
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Gesti di grazia
Ed eccoci ai due ultimi libri, quelli che riguardano i gesti della vita
cristiana, i gesti propri e della fede nella liturgia; il primo: Theodor
Schneider e Martina Patenge, Sette sante celebrazioni. Breve teologia dei
sacramenti, traduzione di Donald De Marco, Queriniana, 2008, pp. 229, euro
20,50, si presenta come una semplice, ma densa, introduzione pratica ai
sacramenti, a partire dall'idea che in alcuni momenti della nostra vita
avvertiamo che essa e' legata a contesti che esistevano prima di noi e che
ci saranno dopo di noi.
In questa esperienza di una vita "dilatata" il rito ci sostiene e ci
accompagna nelle relazioni con gli altri e noi stessi e il sacramento ci
aiuta a dare forma a simili momenti di passaggio, segno del divino presente
nell'umano, della presenza di Dio nella vita umana.
Un libro davvero utile per riprendere in mano alcune questioni fondamentali
circa il senso e il posto di gesti cristiani, unici (come il battesimo o il
matrimonio) o ripetuti (come l'Eucaristia), ma che comunque ci accompagnano
e che spesso sono confinati alla preparazione catechistica della nostra
infanzia.
Ed eccoci all'ultimo libro: Andrea Grillo, Grazia visibile, grazia vivibile.
Teologia dei sacramenti "in genere ritus", Edizioni Messaggero di Padova,
2008, pp. 400, euro 26; si tratta di un testo piu' complesso e articolato
che cerca di leggere i sacramenti in genere ritus, cioe' all'interno
dell'azione liturgica e nella logica della celebrazione, come azioni
simbolico-rituali, per ricollegare vista e vita, visibilita' e vivibilita',
per fare sintesi tra il fenomeno, la forma e la forza e per uscire dalle
sterili alternative tra un tradizionalismo senza storia e un progressismo
senza dogmi.
Questa sintesi, tra grazia visibile e grazia vivibile, e' stata anticipata
dal grande gesto di autocoscienza e di riforma del Concilio Vaticano II;
essa attende, anche dalla nostra generazione, una fedelta' creativa e una
pazienza audace, un rispetto critico e una liberta' modesta, una gioia
assennata e una lucida follia.

7. LIBRI. BENEDETTA CRAVERI PRESENTA "VENTIQUATTR'ORE DI UNA DONNA
SENSIBILE" DI CONSTANCE DE SALM
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente recensione apparsa sul quotidiano "La Repubblica"
del 22 novembre 2008 col titolo "I turbamenti di una dama"]

Nel corso di una serata musicale, una giovane vedova del bel mondo parigino
osserva inquieta l'amante corteggiare un'altra signora e partire con lei in
carrozza. Tornata a casa, la dama aspetta inutilmente di essere raggiunta
dall'uomo amato e, in preda "alla confusione e al turbamento", gli scrive
per avere una spiegazione. Ma anche l'indomani egli non da' notizie di se' e
a quel primo biglietto seguiranno, il giorno successivo, altre quarantatre
missive che registreranno come un sismografo il crescendo di ansia, di
gelosia, di follia della donna che si crede abbandonata e che non riesce a
capacitarsene. Pubblicato nel 1824, Ventiquattr'ore di una donna sensibile
(Neri Pozza, 2008) di Constance de Salm si inscrive nella lunga tradizione
del romanzo epistolare, riprendendo la formula monodica messa in voga dalle
Lettere di una monaca portoghese (1669), modello archetipico del genere.
Eppure lo stesso virtuosismo tecnico della narrazione, che si attiene
rigorosamente alla regola delle 24 ore del teatro classico, accentua il
timbro moderno di una confessione privata assai vicina all'intonazione del
diario intimo. E se pure questo lungo e coinvolgente monologo riserva un
inatteso lieto fine, il suo ansimare angoscioso ci ricorda quello
dell'eroina della Voce umana di Cocteau.
Originale e romanzesca e' anche la personalita' dell'autrice di questo breve
romanzo ingiustamente dimenticato. Bella, spregiudicata e anticonformista,
Constance Marie de Theis, principessa di Salm (1767-1845) condusse, come ci
informa Claude Shopp nella sua postfazione, una esistenza avventurosa e fu
una poetessa ammirata e una femminista convinta. Eppure - e' lei stessa a
dichiararlo - questo suo "studio del cuore di una donna" intendeva essere in
primo luogo "una lezione" sui pericoli propri alla "sensibilita'" femminile.

8. LIBRI. SILVANA MAZZOCCHI PRESENTA "STORIE DI DONNE SELVAGGE" DI CLARISSA
PINKOLA ESTES
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo la seguente recensione apparsa sul quotidiano "La Repubblica"
del 29 novembre 2008 col titolo "Storie di donne, la speranza e la forza"]

Gia' con Donne che corrono coi lupi, libro straordinario tessuto di poesia,
spiritualita' e psicanalisi, Clarissa Pinkola Estes aveva regalato a tutte
le donne una sferzata di energia e ribellione, viatico per l'autostima
femminile. E, tramite il mito della "donna selvaggia", gia' in quel libro
che ha accompagnato una generazione, la psicoterapeuta junghiana ne aveva
evocato le origini con un linguaggio immaginifico e straordinario. Un essere
istintuale, potente e fortissimo era in principio la donna. Intelligente,
indomita e dalle inesauribili risorse, ma in seguito sottomessa e vinta da
secoli di cultura avversa, fino a ritrovarsi subordinata e ingabbiata nello
stereotipo del sesso debole. Ora, a vent'anni di distanza da quel clamoroso
caso editoriale, Pinkola Estes torna con un'antologia, Storie di donne
selvagge (Frassinelli, 2008), che arricchisce ulteriormente il percorso
allora intrapreso. E, a parte le sempre suggestive "tre favole senza tempo"
che aprono il volume e gia' note al pubblico, sono soprattutto due testi
inediti, "I maghi della pioggia" e "Care anime coraggiose... non perdetevi
d'animo" a gettare nuova luce sull'interpretazione di se' e dei rapporti
interpersonali. Il messaggio e' ancora una volta rivolto alle donne (ma
anche agli uomini che vogliono stare al passo con le compagne "che
corrono"). A loro e' diretto un monito chiaro e come sempre fondante: le
donne devono saper individuare e fare emergere la forza che hanno dentro di
se' e la devono saper nutrire. Non e' necessario andare in fretta; si puo'
anche fare un passo alla volta, l'importante e' scoprire nella propria anima
la speranza e la potenza irriducibile della vita.
Clarissa Pinkola Estes, insegnante e di professione analista, dall'11
settembre 2001 si occupa di dare sostegno psicologico a coloro che hanno
subito le conseguenze dell'attentato alle Torri Gemelle.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 235 del 12 febbraio 2009

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