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Minime. 730
- Subject: Minime. 730
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 13 Feb 2009 01:05:58 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 730 del 13 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 0. Comunicazione di servizio 1. Maria G. Di Rienzo: Ronde 2. "Famiglia cristiana": Italia verso leggi razziali 3. Annamaria Rivera ed altre ed altri: Signor Ministro, ci quereli per antirazzismo 4. Ermanno Paccagnini: Jose' Saramago (1999) 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO Il server che gestisce il programma di diffusione del notiziario ha avuto un guasto e solo ieri sembra esser tornato in funzione. Dell'inconveniente ci scusiamo con chi ci legge, e rassicuriamo - e ringraziamo - chi nei giorni scorsi ci ha scritto per chiedere notizie. 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: RONDE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questo intervento scritto per un quotidiano locale] Grazie alle esternazioni dei politici locali ho finalmente tutto chiaro, grazie. Le ronde, pardon, "i volontari per la sicurezza", sono un aiuto alle forze dell'ordine "senza finanziamenti, mezzi e organico". Sempre per la mia fissazione sulla logica elementare mi verrebbe da dire che bisogna potenziare finanziamenti e mezzi e organico, non creare corpi paramilitari paralleli, ma tant'e'. Se c'e' da dare una mano credo che come cittadini anche noi possiamo fare qualcosa. Volete aiutare la polizia? Ho qualche umile suggerimento: smettete di andare allo stadio come se la partita fosse una questione di vita o di morte e la tifoseria avversaria l'esercito nemico da sterminare. Molti piu' agenti potranno fare indagini e controlli invece di cercare di prevenire tafferugli e danneggiamenti. Smettete di nutrire la cultura dell'emarginazione e del disprezzo, smettete gli atteggiamenti sessisti e razzisti, insegnate il rispetto nei confronti propri e altrui ai vostri figli. Molti piu' agenti potranno fare indagini e controlli invece di dover intervenire "a frittata fatta" quando le vostre esplosioni di odio insensato lasciano sul terreno cocci e feriti e morti. Smettete di pensare e dire che il concetto di legalita' e' autoritarismo di destra, o giustizialismo di sinistra o freno per le imprese, perche' cio' degrada e umilia chi quella legalita' deve difendere per mestiere. Smettete di avallare il progetto di distruzione dell'indipendenza della magistratura: a voi non ve ne verra' in tasca nulla, e i corpi delle forze dell'ordine verranno ridotti a scherani del principe in carica. Volete aiutare la polizia? Smettete di credere di potervi sostituire ad essa solo perche' lo volete. Anche l'agente con il grado piu' basso, o meno capace, ha sostenuto un addestramento ed ha acquisito abilita' e saperi che voi non avete. Se pretendete che la salute del vostro corpo sia tutelata da un medico con tanto di laurea e tirocinio e specializzazione, perche' la salute del vostro territorio dovrebbe essere tutelata da apprendisti stregoni? 2. DOCUMENTAZIONE. "FAMIGLIA CRISTIANA": ITALIA VERSO LEGGI RAZZIALI [Dall'agenzia di stampa "Asca" riprendiamo la seguente anticipazione dell'editoriale di "Famiglia cristiana"] (Asca) - Roma, 9 febbraio 2009 - "Famiglia Cristiana" di questa settimana dedica il suo editoriale d'apertura agli ultimi provvedimenti del Governo sulla sicurezza. Scrive "Famiglia Cristiana": "Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba, che spira nelle osterie padane, e' stato sdoganato nell'aula del Senato della Repubblica. E dire che Beppe Pisanu, ex ministro dell'Interno con la schiena dritta, aveva messo in guardia circa quella brama di menare le mani, gia' colpevole attorno ai tavoli del bar. Nessuno ha colto il suo grido d'allarme e l'Italia precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari, al pari dei 'bravi' di don Rodrigo, registri per i barboni, prigionieri virtuali solo perche' poveri estremi, permesso di soggiorno a punti e costosissimo". "La 'cattiveria', invocata dal ministro Maroni, e' diventata politica di Governo, trasformata in legge - polemizza ancora l'editoriale - Cosi' questo Paese, gia' abbastanza 'cattivo' con i piu' deboli, lo diventera' ancora di piu': si e' varcato il limite che distingue il rigore della legge dall'accanimento persecutorio. Il ricatto della Lega, di cui sono succubi maggioranza e presidente del Consiglio, mette a rischio lo Stato di diritto. La fantasia del 'cattivismo' padano fa strame dei diritti di uomini, donne e bambini venuti nel nostro Paese in fuga da fame, guerre, carestie, in attesa di un permesso di soggiorno (a margine: che credibilita' ha il progetto di un'Italia federalista in mano alla Lega?)". "Eppure - conclude il periodico dei Paolini - nessuna indignazione da parte dei cattolici della maggioranza, nessun sussulto di dignita' in nome del Vangelo: peccano di omissione e continuano a ingoiare 'rospi' padani senza battere ciglio, ignari della dottrina sociale della Chiesa, la Lega, invece, esulta. Finalmente, il 'bastone padano', evocato da Borghezio nel 1999, oggi e' strumento d'ordine autorizzato dal Parlamento". 3. APPELLI. ANNAMARIA RIVERA ED ALTRE ED ALTRI: SIGNOR MINISTRO, CI QUERELI PER ANTIRAZZISMO [Da varie persone amiche riceviamo il seguente appello promosso da Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) ed altre ed altri] Signor Ministro Roberto Maroni, abbiamo letto della Sua volonta' di intraprendere un'azione legale nei confronti del direttore del settimanale "Famiglia cristiana", che Lei accusa di averLe recato offesa personale per aver definito "leggi razziali" i provvedimenti del Governo verso i cittadini stranieri e le fasce piu' deboli della societa'. Noi sottoscritti/e, uomini e donne di nazionalita' diverse, nei nostri rispettivi ambiti di lavoro, di ricerca, di studio, di impegno sociale e politico, abbiamo sempre contrastato pubblicamente e nel nostro agire quotidiano l'intolleranza, la xenofobia e il razzismo. Percio' continueremo a denunciare le retoriche xenofobiche e le politiche razziste messe in atto dal Governo di cui Lei fa parte. Riteniamo, infatti, sia nostro dovere personale, professionale, civile rispettare la Carta costituzionale e batterci per una societa' rispettosa dei diritti di tutti/e, indipendentemente dalla loro provenienza, nazionalita', condizione sociale. Le schedature di adulti e bambini rom, le classi differenziali per gli alunni stranieri, l'obbligo al personale medico di segnalare gli stranieri "irregolari", il reato d'immigrazione clandestina, il permesso di soggiorno a punti, le norme restrittive sui ricongiungimenti familiari, la legalizzazione delle ronde padane, il carcere fino a quattro anni per gli irregolari che non rispettino l'ordine di espulsione, il divieto d'iscrizione anagrafica e la schedatura presso il Suo Ministero non solo dei senza domicilio fisso, ma anche di tutti coloro che abitano in dimore diverse da appartamenti: l'insieme di queste misure lede profondamente i diritti fondamentali delle persone e i principi dell'uguaglianza e della democrazia. Queste misure configurano una forma di razzismo istituzionale, tanto piu' grave e intollerabile per il fatto che, per sostenerle, un ministro della Repubblica, Lei stesso, auspica la cattiveria nei confronti dei piu' deboli. Noi siamo quella parte della societa' civile che condivide il giudizio espresso da "Famiglia cristiana" e che continuera' a perseverare nel proprio impegno antirazzista. Se vuole essere coerente, Signor Ministro, denunci anche noi. 4. PROFILI. ERMANNO PACCAGNINI: JOSE' SARAMAGO (1999) [Dal mensile "Letture", n. 553, gennaio 1999, col titolo "Jose' Saramago. Il Nobel saggista che scrive romanzi" e il sommario "Idea fissa dello scrittore portoghese e' ridare dignita' agli umili, scardinando la linea tra storia e invenzione. Un ateo che di continuo s'interroga sulla propria natura, senza darsi risposte, e che affida un ruolo salvifico alle donne"] Premio Nobel 1998 con una motivazione che definisce le sue opere: "parabole sostenute da immaginazione, sensibilita' e ironia" con le quali l'autore "ci insegna continuamente a cogliere una realta' illusoria", la narrativa di Jose' Saramago, a dispetto delle tante edizioni e riconoscimenti internazionali, ha faticato non poco a imporsi, se si va a curiosare tra enciclopedie e storie letterarie, anche portoghesi ed edite in anni post-salazariani, ove capita di vederlo registrato anche solo come traduttore. Del resto, la storia letteraria di Saramago non e' priva di aspetti singolari. L'inizio data al 1947, quando pubblica Terra del peccato, un romanzo di tono neorealista, successivamente rifiutato, cui segue un ventennio di silenzio creativo, interrotto solo nel 1966 da Os Poemas Possiveis, la prima delle sue tre raccolte poetiche (1970: Provavelmente Alegria; 1975: il lungo poema in prosa O Ano de 1993). In tale arco temporale Saramago, nato ad Azinhaga il 16 novembre 1922 ma presto trasferitosi con la famiglia a Lisbona, fa di tutto: interrotti per difficolta' economiche familiari gli studi, si guadagna da vivere come fabbro, disegnatore, funzionario di sanita' e della previdenza sociale; quindi come operatore editoriale (direttore letterario e di produzione; traduttore); infine col giornalismo: critico letterario alla rivista "Seara Nova", poi (1972-73) redattore, commentatore politico e, per alcuni mesi, coordinatore del supplemento culturale del "Diario de Lisboa"; infine, tra aprile e novembre 1975, direttore aggiunto del "Diario de Noticias". Sono gli anni dei suoi quattro volumi di cronache: Desde Mundo e do Outro (1971), A Bagagem do Viajante (1973), As Opinioes que o "Diario de Lisboa" teve (1974), Os Apontamentos (1976), gli ultimi due dei quali risentono maggiormente del fervore ideologico determinato dalla situazione politica post-rivoluzionaria (la rivoluzione dei garofani che il 25 aprile 1974 rovescia il regime salazarista: oggetto tra l'altro del dramma La notte, del 1979, in cui mette in scena l'impatto immediato che la rivoluzione democratica ha, nella notte del 24-25 aprile, in una redazione e tipografia di un giornale). * Le mille versioni della notizia Nei primi due volumi (una scelta antologica di Bagagem e' ora in Il perfetto viaggio, Bompiani 1994) prende invece gradualmente corpo nella pagina di cronaca la oggi ben nota disposizione narrativa a "giocare con le verita'" e con le "mille versioni possibili della notizia", ribaltando dall'interno l'elemento cronachistico per trasferirlo dall'accaduto al probabile o possibile, a cio' autorizzato dal vivere "la commedia di inganni che e' la nostra vita". All'opera narrativa Saramago torna nel 1977 col romanzo Manuale di pittura e calligrafia (Bompiani 1994), dando il via a una produzione che vedra' alternarsi romanzi, racconti (Oggetto quasi, 1978; Poetica dos Cinco Sentidos. O Ouvido, 1979) e piece teatrali (La notte, 1979; Cosa ne faro' di questo libro? 1980; La seconda vita di Francesco d'Assisi, 1987; In nomine Dei, 1993: ora in Teatro, Einaudi, 1997). Al centro del Manuale sta la presa di coscienza da parte di un mediocre "ritrattista dei protetti e dei protettori di Salazar e di Marcelo e delle loro forme di oppressione" fra censura e polizia segreta, che cio' che fa "non e' pittura", una presa di coscienza espressa in forma di romanzo-meditazione, ben sottolineata dal titolo stesso, di ironica fuorvianza, e prima di una serie di analoghe formule (Memoriale del..., Storia del..., Saggio sulla..., Poetica dei..., Il Vangelo secondo...) che tendono a denotare un approccio narrativo di matrice saggistica, segno d'una modalita' di scrittura da lui stesso riassunta come: "Non sono un romanziere, ma un buon saggista che scrive romanzi". Giocato sull'effetto di straniamento del pittore-scrittore, che Saramago ottiene oggettivando(si) e delineando un romanzo a tutti gli effetti di formazione (il testo dura "il tempo necessario perche' si concludesse un uomo e ne iniziasse un altro"), il Manuale procede infatti tra componenti di riflessione autobiografica, interrogazioni estetiche sulle problematiche connesse alla creazione artistica, domande sulle ipostasi di tale creazione, che risiede nella verita', sincerita' e onesta' del pittore o scrittore, e le deposita nella vicenda di un artista che avverte la propria realta' fallimentare, "il deserto" ormai piu' interiore che di committenti, il quale, attraverso la scrittura, cerca di recuperarsi a se stesso per tornare, ma solo a quel punto, alla creazione, indipendentemente dalle commissioni ("E adesso il ritratto, l'autoritratto, l'autopsia, che significa innanzitutto indagine, contemplazione, esame di se stessi. Da questo lato, lo specchio; da quest'altro, la tela. E io nel mezzo"). Definito dalla critica (ma solo posteriormente al successo dei futuri romanzi) "un libro ponte, un libro cerniera, un libro confessione, un libro programma che gia' contiene in se' tutti i motivi e i fermenti dei libri futuri" (Luciana Stegagno Picchio), il Manuale si propone pero' con una scrittura ancora laboriosa, affaticata, e una struttura intricata, tortuosa nel suo recuperare anche elementi come "il racconto di viaggio" in Italia (un tratto comunque che prelude al futuro Viaggio in Portogallo, del 1994; Bompiani 1996). Quanto poi a tematiche e invenzioni narrative preannuncianti successivi sviluppi, e' forse piu' agevole rinvenirle nei coevi racconti riuniti nel 1978 in Oggetto quasi (Einaudi 1997): e penso a certe scene telegiornalistiche di "Cose", che anticipano quelle analoghe della Zattera di pietra; alla ribellione delle automobili di "Embargo", con scene da film muto, che potrebbe preludere alla catastrofica epidemia di Cecita'; piu' in generale, alla visione apocalittica legata alla perdita della dimensione umana, schiacciata dalla "cosita'" che puo' uccidere, che trasforma da uomini a uomini-oggetto-quasi, pur in una dimensione conclusiva comunque aperta alla speranza del riacquisto della propria umanita', in senso non solo individuale, esistenziale e sociale, ma pure politico (tra i racconti va segnalato il primo, "Sedia", metafora scandita al rallentatore del crollo del regime di Salazar e della sua stessa morte, esemplata nel lento sbriciolarsi d'una poderosa sedia d'ebano su cui sta seduto un vecchio "che ha molte e svariate ragioni per dubitare della propria umanita'). In realta', ci si muove ancora in una fase di preparazione; ed e' lo stesso Saramago, nella nota introduttiva a Teatro, a ricordare che "solo nel 1980, con la pubblicazione di Una terra chiamata Alentejo (Levantado do chao), avrebbe iniziato a definirsi un percorso personale e un progetto narrativo chiaramente caratterizzato". Anche se non va comunque dimenticato quel passaggio del Manuale in cui Saramago fissa - entro la maturazione conclusiva del suo protagonista - uno dei principi della sua poetica e del suo lavoro di narratore: "Ogni opera d'arte [...] deve essere una verifica. Se vogliamo creare qualcosa, dobbiamo alzare i coperchi che [...] lo occultano. Ebbene, io credo che non saremmo granche' come artisti (e, ovviamente, come uomini, come esseri umani, come individui) se, trovata per caso o a fatica la cosa tanto cercata, non continuassimo ad alzare il resto dei coperchi, a rimuovere le pietre, a fugare le nuvole, tutte, fino alla fine. [...] Verificare, secondo me, e' la vera regola d'oro". * Echi di Pirandello e Verga E la verifica, trasferita dal piano personale a quello sociale e storico, avviene a partire da Una terra chiamata Alentejo del 1980 (Bompiani 1992), lo stesso anno in cui col "pirandelliano" Che faro' con questo libro? (protagonista il grande poeta portoghese Camoes e i suoi Lusiadi) offre al recente teatro portoghese uno dei migliori drammi storici. Una terra chiamata Alentejo e' una saga contadina la cui potenziale cifra realistica, comunque sempre rilevabile, si stempera in una oralita' narrativa in cui l'assenza di interpunzioni e virgolette a marcare i dialoghi, caratteristica da li' in poi di tutti i suoi libri, si fa un segno (a lungo andare anche un vezzo) d'una affabulazione transindividuale, propriamente da lezione verghiana (oltre al ricco ricorso ai proverbi, piegato nelle opere piu' tarde anche all'autoironia, e' il nome stesso della famiglia protagonista, Mau-tempo, ossia Maltempo, a richiamare i Malavoglia del siciliano). Il romanzo narra, attraverso quattro generazioni di Mau-tempo (Sara e Domingos; Joao e Faustina; Antonio Gracinda e Manuel Espada; Sigismundo Canastro), l'epopea sociale delle terre dell'Alentejo, per eccellenza terre del latifondo. Questo viene qui personificato come un Moloch da un Saramago che ne recupera i tratti storici, con rinvii ai secoli precedenti e al loro perpetuarsi come regno e modalita' di sopraffazione, superando la trama realistica gia' di Terra del peccato grazie a una visionarieta' poetica sostenuta da uno stile affabulatorio procedente per parabole, che mescola ricostruzione storica e visionarieta' pittorica, drammatica o allegorica, e poggia su adeguati e sorprendenti mutamenti di stile narrativo e verbale. Storie individuali e storie sociali narrate con un procedere del narratore avanti e indietro nel tempo, tra analessi e prolessi, ricordi e racconti, in un continuo scambio di punti di vista dentro e fuori i personaggi, tra storie e piccole epopee nella grande epopea. Saramago disegna un processo dalla non-coscienza alla coscienza (di classe) da parte dei contadini, visti come "sangue di bestie", "piscio del padrone" e "delinquenti", i quali tra stenti, ingiustizie, sogni e speranze lottano per vivere meglio, per "rialzarsi dal suolo" (questo il titolo originale), per acquisirsi nella coscienza della propria dignita' di uomini. A disegnare, insomma, un processo che e' l'idea cardine di tutti i suoi romanzi, gia' dal Manuale sino a Tutti i nomi: si' che le sue opere si possono leggere anche come tanti romanzi di formazione. La caratterizzazione consiste in una nuova forma di scrittura orale, obbediente a un criterio che e' insieme stilistico e ideologico (ma nei tratti piu' ideologicamente connotati il grande fascino di questa affabulazione tende a scemare), in quanto obbediente alla volonta' di una rappresentazione dal basso e soprattutto dall'interno della struttura mentale dei personaggi, pur in una realta' da narratore onnisciente: di qui da un lato il dato ironico, il chiosare espressioni e parole anche con una battuta (aspetto che si conservera' nelle opere successive), preannunci autocensurati con rinvii al dopo; dall'altro il ricorso alla proverbialita' o alla onomastica (tra l'altro, i nomi di molti personaggi di Saramago passano o si preannunciano da un romanzo all'altro: se qui compare Ricardo Reis, nel Settecento di Memoriale si affaccera' un Juliao Mau-tempo, mentre dallo stesso Memoriale passa nell'Assedio di Lisbona Bartolomeu de Gusmao). Acquisita la cifra stilistica della scrittura orale e dei segni interpuntivi a essa strettamente legati, col successivo Memoriale del convento (1982; Feltrinelli 1984) il livello espressivo si eleva ancor piu', siglando tra l'altro un particolare aspetto del suo rapporto con la realta' storica, che e' quello dell'interazione tra dato reale e sua possibile variante utopica. Una narrativa storica in cui Saramago manifesta una grande capacita' di ricostruzione di ambienti, con minuziosa descrizione di vari strati della societa' portoghese del tempo, sia cortigiana che popolare, anche nei suoi risvolti cerimoniali sacri e profani: un romanzo storico-sociale che pero' e' sempre pronto a sfociare con estrema naturalezza nella reinvenzione fantastica della storia, a sua volta minuziosamente documentata (che e' poi quanto continuera' a fare nei successivi Ricardo Reis e Assedio di Lisbona); per un realismo fantastico che arricchisce il dato propriamente reale di una valenza metaforica che fa del Portogallo di ieri lo specchio di quello odierno (non per nulla la figura di re Giovanni V e' richiamata piu' volte nel Reis ambientato nel Portogallo di Salazar). * I poteri magici di Blimunda Il ricco scenario non si limita pero' a recuperare narrativamente un fatto storico (il tentativo del re di ingravidare Maria Ana per avere un erede, con promessa a Dio di erigere a Mafra un grandioso convento), ma lo ravviva ricostruendo in parallelo, come in un grandioso e musicale polittico, la vita del popolo, utilizzando come scandaglio la figura di Baltasar Mateus, il Sette-Soli, il soldato monco che conosce e ama Blimunda, dotata di poteri magici che le consentono di vedere dentro la gente, nella loro anima (una anticipazione della moglie dell'oculista in Cecita': la sola a vedere in un mondo di ciechi), e che viene in contatto con padre Bartolomeu Lourenco de Gusmao, il quale sotto la protezione del re cerca di inventare la "passarola", una macchina per volare, prima di fuggire in Spagna per morire a Toledo (1724). Una vicenda che si apre all'insegna d'una nascita (1713) e si chiude nel segno della morte (l'autodafe' del 17 ottobre 1739 in cui soccombono il personaggio d'invenzione Baltasar e quello storico, il drammaturgo Antonio Jose' da Silva), dettata da un narrare fluido, concentrico, sempre ricco e vigoroso, continuamente cangiante e anche picaresco, al pari dei punti di vista tra linguaggio alto e linguaggio basso proprio di un fastoso polittico, dall'intrecciarsi continuo e a libera spirale di vicende d'ambito ora colto (Bartolomeo il Volatore e Domenico Scarlatti), ora popolare (Baltasar e Blimunda): tra ricchi esterni e poveri interni, solitudini e grandi masse in movimento, giustizie visibili e invisibili, regno di un barocco insieme fastoso e funereo, tra scienza e misticismo, razionalita' e magia, commedia e tragedia. Racconto dei fatti in senso trasversale, dei grandi come dei piccoli, dei documenti come delle favole, della storia scritta come del racconto orale, il senso di epopea viene ridonato attraverso uno stile "parlato" da chi sa entrare dentro la vicenda giostrando tra i punti di vista dei vari locutori, ma la racconta dal di fuori, e quindi con tutto quanto attiene alle variazioni, ai salti, alle giustificazioni, alle pause, alle riprese, alla conoscenza di quanto verra' secoli dopo (la storia dell'aviazione, la Nona di Beethoven); e con un distacco ironico anche da se stesso in quanto narratore onnisciente. Intreccio di dialoghi ma soprattutto di monologhi, individuali e di gruppo, a ridonare la circolarita' delle sensazioni e delle emozioni, attese come paure e sorprese, con salti di tempi verbali e mescolanza di piani narrativi. Se con i due testi precedenti Saramago fa letteratura con la storia (grande e piccola, reale e rivisitata), con L'anno della morte di Ricardo Reis fa letteratura, oltre che con la storia, con la stessa letteratura. Protagonista e' appunto Ricardo Reis, medico quarantottenne, che dopo sedici anni di Brasile il 29 dicembre 1935 risbarca in una Lisbona triste e tetra ("Se sei venuto per dormire, questa terra va proprio bene"), spinto dalla nostalgia e dalla notizia della morte di Pessoa. Un Pessoa che ha dato vita a Reis come personaggio altro da se' (Reis e' uno dei suoi eteronimi); al quale ora Saramago conferisce una dimensione umanamente vitale, portandolo anche a visitare la tomba dello stesso Pessoa e a farlo incontrare con lui per le vie di una Lisbona che celebra le prosperita' salazariste, nel corso degli otto mesi di vita concessigli da Saramago in parallelo con gli otto mesi di circolazione come ombra in terra offerti in bonus a Pessoa dopo la sua morte. Eppure il vero protagonista del volume non e' tanto Ricardo Reis, che incarna il ruolo di spettatore delle cose del mondo, e neppure dal vivo ma attraverso quanto scrivono i giornali; un uomo anche vile e sfuggente alle responsabilita' (come quelle della paternita', quando Lidia gli confessa d'essere incinta). Protagonista e' piuttosto l'anno 1936. O forse, ancor piu', protagonista e' lo spettacolo offerto dal mondo in quel nefando 1936 segnato in Portogallo dal clima del sospetto nei confronti del diverso e dell'estraneo. Un 1936 scandito nei suoi passaggi di settimane e mesi, dapprima con riferimenti al tempo del protagonista, e poi con gli avvenimenti stessi: i compleanni di Hitler o della dittatura di Salazar, la conquista dell'Etiopia, l'Anschluss, la guerra civile spagnola, la morte di Respighi e cosi' via; in una dimensione narrativa che pare sospesa nel vuoto, come si addice a un personaggio che e' e che non e'; che "e' finzione di se stesso"; che non sa scegliere (neppure tra le due donne: Lidia, che lo ama e gli si dona; e Marcenda, da lui vanamente amata); straniato e indifferente nella sua regola aurea di essere spettatore dello spettacolo del mondo ("ci entra nel corpo la tentazione del silenzio, il fascino dell'immobilita', stare come stanno gli dei, zitti e tranquilli, solo ad assistere"). Uno spettacolo che, proprio in quanto tale, chiede e ottiene da Saramago di essere espresso con un procedere stilistico che s'affida a minuziosita' descrittive di oggetti, azioni, dialoghi e psicologie entro un'atmosfera quasi monotona, grigia, malinconica, nella riuscita volonta' di rendere mimeticamente il clima politico del tempo: "Fulminee istantanee della solitudine e del grottesco dell'esistenza, dal possente affresco epocale del Portogallo di Salazar a una parabola universale della condizione umana intrecciata alla trama dell'ambigua, provvisoria, inafferrabile storia contemporanea" (Claudio Magris). * Polemica con l'Europa Se il Ricardo Reis si da' come romanzo d'intensa e malinconica poesia, La zattera di pietra (Feltrinelli 1988; Einaudi 1997) e' invece un racconto picaresco che cela, sotto il suo ora giocoso e ora malinconico sorriso, una volonta' polemica nei confronti del "potere macroeuropeo crescente che assoggetta tutto all'economia" e a cui il Portogallo, con l'ingresso nell'Unione Europea, rischia di pagare un mortale dazio in termini di identita' iberica. Nasce da qui la metafora della scissione tellurica che vede la penisola staccarsi dall'Europa e, come una enorme "zattera di pietra", vagare per l'Atlantico alla ricerca di una propria identita' e un nuovo destino. Il racconto introduce quindi una pausa nella riflessione narrativa di Saramago, quasi a dar corpo a realta' piu' particolari come il ruolo e il futuro del Portogallo in Europa e nel mondo. Una metafora che Saramago popola di magie e prodigi, a scandire una realta' pero' quotidiana in cui si fanno presenti anche le preoccupazioni di ordine ecologico. Un magico quotidiano in cui reale e irreale, naturale e soprannaturale si arricchiscono o si smentiscono a vicenda; in un'atmosfera di giocoso sorriso narrativo dietro il quale pero', se si scava, si puo' rinvenire "la metafora esistenziale e politica, l'impennata tutta borghese di chi crede solo a meta' in un Portogallo ultima spiaggia d'Europa e addita sub velamine nuove soluzioni atlantiche e di solidarieta' ibero-afro-americana" (Stegagno Picchio). Dalla Zattera di pietra Saramago torna pero' al suo consueto universo narrativo riportandone una "straordinaria allegria interiore" (Stegagno Picchio), che gli fa costruire un personaggio per diversi aspetti dialettico, doppio dello stesso Saramago e al tempo stesso esattamente l'altra faccia di Ricardo Reis. Tanto quest'ultimo infatti non sa scegliere, limitandosi ad "assistere", tanto Raimundo Silva e' disponibile ad accogliere la tentazione e a optare per la "decisione cattiva" dell'errore, in tal modo anticipando la figura del Jose' di Tutti i nomi e per taluni aspetti la moglie non cieca di Cecita'. * La relativita' del vero Raimundo, infatti, nel momento in cui, come revisore di bozze, decide di cedere alla tentazione di introdurre volutamente il "non" che da' senso opposto all'originale (i crociati aiutarono/non aiutarono i portoghesi a liberare Lisbona dai Mori), cosi' dando corpo ai propri dubbi sulla scrittura storica, sceglie di scherzare: ossia di vivere, cambiando con quel "non", oltre che la storia dell'assedio, la sua stessa vita (smettera' persino la personale falsificazione della tintura dei capelli); conscio comunque che la sua contraffazione non diverge da quella operata dalle fonti su cui sono costruite le odierne verita' cristallizzate. La storia infatti, per Saramago, non in quanto fatti o avvenimenti, ma come racconto, relazione, rapporto sui quei fatti, e' sempre falsificazione e deviazione, e comunque invenzione ("il problema che io devo risolvere e' diverso, quando ho scritto 'non' i crociati se ne sono andati, percio' non mi serve a niente cercare una risposta al perche' nella storia che chiamano vera, devo inventarla io stesso, diversa perche' possa essere falsa, e falsa perche' possa essere diversa"). Si e', con Storia dell'Assedio di Lisbona, nel campo della relativita' del vero, che sta nella intercambiabilita' delle certezze, nella possibilita' di conciliazione del "non" col "si'", ma anche col "forse" o col "comunque" dell'accadere: si' che la trasformazione d'una monografia storica in romanzo puo' rivendicare diritto di credibilita' pari alla monografia stessa. Ma l'Assedio non e' solo un romanzo sulla verita', la credibilita' o la verosimiglianza della scrittura storica o romanzesca e sull'"inquietudine di sapere che nulla e' vero e che bisogna fingere che lo sia, almeno per un po', finche' non si possa resistere all'evidenza incancellabile del cambiamento" (con quanto ne viene di rapporti di specularita' tra il passato e un presente da ricostruire dopo la dittatura salazarista; una specularita' che passa anche attraverso i personaggi, l'Ouroama dell'ieri e la Maria Silva di oggi, e le situazioni: le grida del muezzin contrapposte ai clacson delle odierne auto). L'Assedio e' pure un tenerissimo romanzo d'amore tra Raimundo e Maria Sara, la direttrice editoriale: punto di maturo approdo d'una linea attenta a delicate storie affettive, sempre presente nei romanzi di Saramago, e qui declinata con stretta tensione e insieme grande ariosita', nel consueto stile di "oralita' scritta" che si piega rispettosa sui personaggi che la pronunciano, dotti o dimessi che siano, e sui vari registri impiegati, nel consueto gioco di narratore ora onnisciente, ora dichiarante la propria ignoranza su fatti e sviluppi. Storie d'amore o, nel caso in cui siano a senso unico (come in Ricardo Reis; per taluni aspetti nella Maddalena del Vangelo; o in Tutti i nomi: Jose' verso l'innominata), storie di innamoramento. * Il libro dello scandalo E a ben vedere non diverso da quello dell'Assedio e' il procedere di Saramago nel Vangelo secondo Gesu' (1991; Bompiani 1993), il libro dello scandalo, qualificato come blasfemo dal mondo cattolico, cui il governo nega la partecipazione al premio dell'Unione Europea, con conseguente abbandono del Portogallo da parte dello scrittore che si ritira a Lanzarote, nelle Canarie (di qui i tre diaristici Cuadernos de Lanzarote, 1994-'96). Un procedere che e' poi quello del Jose' di Tutti i nomi, col suo scardinare fatti, date e nomi che pretendono di fissare la realta' una volta per tutte, e cancellando gradualmente la linea che separa la storia dall'invenzione: nel caso di Jose', la linea che separa la morte dalla vita; per il Vangelo, la linea che separa il divino dall'umano. Come per l'Assedio, cioe', Saramago da un lato rispetta i dati offertigli da sinottici e apocrifi, dall'altro li riscrive nel segno di una storia parallela (come accade col Ricardo Reis e, per la mescolanza come la' di reale e sovrannaturale, storia e invenzione, naturale, magico e visionario, col Memoriale del convento), anche fattualizzando cio' che nei vangeli era solo contenuto di parabole. E, paradossalmente, a essere resi con miglior tensione sul piano narrativo ed evocativo sono proprio gli episodi che possono parere piu' blasfemi o dissacranti: l'iniziazione alla sessualita' di Gesu' da parte della Maddalena; o la mancata risurrezione di Lazzaro perche' nessuno e' tanto peccatore da meritare di morire due volte (un episodio musicato da Corghi ed eseguito in San Marco a Milano per la Pasqua 1995), mentre suonano forzati e stancanti gli incubi prima di Giuseppe e poi di Gesu'. Il libro si propone di descrivere "un uomo in crisi per la scelta fatta da Dio su di lui" (intervista ad "Avvenire") e quindi disegna un Gesu' che vive un duplice conflitto con la doppia figura paterna (la terrena di Giuseppe, accusato di non aver impedito la strage degli innocenti; e la divina di un Dio padre-padrone, che lo invia deliberatamente al sacrificio in una Palestina da riscontri narrativi piu' vetero che neotestamentari). Ma il difetto letterario del libro (a parte una espressivita' a volte andante) sta proprio in questa costruzione un po' scolastica, che finisce per fare di Giuseppe il doppio di Gesu', morendo a sua volta a 33 anni in croce, pronunciando le medesime parole, e lasciando al figlio l'eredita' degli incubi per la strage degli innocenti non evitata per "egoismo" e "vigliaccheria", con relativo senso di colpa (ma la descrizione della strage stessa per via psicologica in Giuseppe e Maria e' notevole): un delitto per il quale non c'e' perdono perche' "Dio non perdona i peccati che ordina di commettere". L'ateo Saramago, insomma, attraverso la figura di un Gesu' di cui sottolinea in continuazione il dato umano, i bisticci con la madre e i fratelli, "ne' un'aquila, ne' un portento di intelligenza", disegna la realta' di un uomo che si interroga sulla propria natura senza ricevere risposte, che soffre e vive la paura; e di contro a lui raffigura la paternita' di un Dio crudele. Una costruzione nella quale mi pare di leggere non tanto una voluta irreligiosita' di fondo, quanto piuttosto un trasferimento su Dio della pratica inquisitoriale e di potere della Chiesa, argomento anche dei drammi La seconda vita di Francesco d'Assisi e soprattutto In nomine Dei: con un Gesu' Cristo ricreato a mo' dei suoi personaggi problematici (la Blimunda del Memoriale) a emblematizzare chi in questa Chiesa-istituzione si interrogava. * Relazione sulla cecita' La condizione umana torna ancora direttamente al centro della riflessione di Saramago col ciclo di romanzi formato da Cecita' (1995; Einaudi 1996), Tutti i nomi (1997; Einaudi 1998) e La caverna, titolo in fase di stesura che si richiama al mito platonico. Un ciclo aperto, le cui connotazioni apocalittiche suonano ben piu' gravi di quanto e' dato leggere in questa "relazione sulla cecita'" (tale il titolo originale; e il rinvio e' anche alla figura interna del personaggio dello scrittore che, pur cieco, continua a scrivere, perche' ha l'obbligo della testimonianza), la quale, pur configurandosi come eziologia della societa' umana, stando alla dichiarazione di Saramago, sarebbe "appena una pallida immagine della nostra realta'". Per rappresentarla egli ricorre alla forma della parabola, che (e si possono richiamare La peste di Camus ma, soprattutto, L'angelo sterminatore di Bunuel) disegna il graduale diffondersi nella citta' dell'epidemia di "mal bianco" che a poco a poco rende tutti ciechi (i primi contagiati sono significativamente rinchiusi in un ex manicomio), risparmiando solo una donna, la moglie di un oculista. E, come conseguenza, lo stadio di ferinita' della natura umana, che nella piu' ripugnante promiscuita' da' corpo a scene d'orrore, stupri, omicidi, soppressione di ogni valore morale, predominio della legge del piu' forte, dell'ingiustizia, della violenza gratuita, con corollari di cinismo da parte dei politici e di egoismi sul piano personale (se ne salvano solo alcune donne). Il lettore procede cosi' gradualmente in una lettura metaforicamente angosciante che Saramago sostiene con un elevato ritmo narrativo qua e la' rallentato da incursioni nell'ironico, e con immagini semplici deposte in una scrittura di singolare densita', in cui voce del narratore e voce dei personaggi (tutti anonimi, a sottolineare la perdita di identita' in un mondo disumanizzato, e designati per la loro professione o parentela) si mescolano in un monologo "corale". E' la metafora della cecita' umana in un mondo che ormai pare aver deciso di abdicare alla ragione (come dice il medico: "Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono"), ove la conservazione della vista da parte della moglie del medico segna invece la conservazione della coscienza, della capacita' di amare e di aver coraggio. E in tutta la narrativa di Saramago, a partire dall'Alentejo, le donne si trovano spesso assegnato simile ruolo salvifico; cosi' come altra presenza costante nei romanzi e' la figura del cane, qui il "cane delle lacrime", a designare per contrasto l'innocenza delle creature della terra. * In cerca della Sconosciuta Ed e' ancora una volta una figura femminile, anonima e sfuggente, a rivestire un ruolo salvifico in Tutti i nomi: destando dal torpore e portando a vivere pericolosamente lo scritturale Jose' (in cio', parente stretto di Raimundo Silva dell'Assedio). Jose' e' il solo personaggio del romanzo a essere designato con un nome, peraltro tanto comune da rasentare l'anonimato, mentre per tutti gli altri persiste l'identificazione con perifrasi. Tutti i nomi e' un affascinante e singolarissimo romanzo, che Saramago sviluppa per quattro diversi luoghi, segno del ciclo vitale (Conservatoria generale dell'anagrafe, scuola, citta', cimitero), calati in atmosfere buie, spesso umide e piovose, pervase da un senso di freddo spettrale, e ricorrendo a una tecnica da thriller e a un ritmo da inchiesta poliziesca: con interrogazioni continuamente sollevate (con trasfusione nel metafisico), in una articolazione labirintica, ove ogni presunta fine rilancia un nuovo inizio di ricerca. Una ricerca, quella di Jose', scritturale ausiliario presso la Conservatoria, tutto dedito al lavoro e rispettoso delle burocratiche e anonime gerarchie e col solo svago del collezionismo di notizie su persone famose, che si traduce ben presto in una ricerca sulla Sconosciuta, che e' soprattutto un viaggio interiore, raccontato senza cedimenti sentimentali, e con grande equilibrio emotivo, in un clima fortemente realistico nella designazione del labirinto burocratico della Conservatoria (per non perdersi spunta anche un "filo d'Arianna"). Quasi asettico nella trasfigurazione in un fantastico dalla distillata interiorizzazione da parte del protagonista, il quale, improvvisamente, si trova "con il destino davanti" e cede all'inquietudine, alla trasgressione e alla scommessa dell'"assurdo". Un racconto che, come in Cecita', opta per un registro linguistico piu' basso, in cui narrato e parlato si fondono in modo perfettamente calzante alla figura umile di Jose', impegnato in un ennesimo romanzo di formazione. Un viaggio che pare riprendere il problema-verita': "vita e morte sono tutt'uno", gia' posto da Pessoa a Reis, e che qui si accampa come momento centrale del libro. Un libro che si fa romanzo sulla memoria e sul suo valore. Sul significato della morte. Ove, nella specularita' di Conservatoria e cimitero, si afferma la verita' ultima: che solo l'oblio e' la morte definitiva. E che l'autentica umanita' e' l'insieme dei morti e dei vivi. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 730 del 13 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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