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Minime. 729
- Subject: Minime. 729
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 12 Feb 2009 10:25:12 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 729 del 12 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Enrico Piovesana: La guerra a Kabul 2. Gustavo Zagrebelsky: Il veleno nichilista che anima il regime 3. Guido Michelone: Nikita Michalkov (2001) 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA GUERRA A KABUL [Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo dell'11 febbraio 2009 col titolo "Guerra a Kabul" e il sommario "Talebani all'attacco contro i palazzi del potere. Testimonianza dall'ospedale di Emergency"] Questa mattina - alla vigilia della visita a Kabul di Richard Holbrooke, inviato speciale del presidente Usa Barack Obama - un numero imprecisato di uomini armati di kalashnikov, bombe a mano e giubbotti esplosivi ha attaccato i principali palazzi governativi nel centro di Kabul. I primi bilanci provvisori parlano di una ventina di morti e oltre cinquanta feriti. "La citta' e' bloccata e le informazioni sono ancora frammentarie e confuse", riferiscono a "PeaceReporter" dall'ospedale di Emergency a Kabul. "Per quel che sappiamo, due kamikaze si sono fatti esplodere al Dipartimento servizi penitenziari (4 morti e 16 feriti), quattro al ministero della Giustizia (7 morti e 8 feriti) e un altro e' stato ucciso dalla polizia prima che si facesse saltare in aria davanti al ministero dell'Educazione. Altri uomini armati hanno fatto irruzione nel palazzo presidenziale, dove pare siano ancora in corso sparatorie. Abbiamo gia' ricevuto tredici feriti, sia civili che poliziotti. Quattro sono morti. Gli altri sono tutti in sala operatoria". Ad Al-Jazeera, il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahed, ha rivendicato gli attacchi a nome del movimento affermando che sono stati ordinati in risposta al trattamento disumano dei prigionieri talebani nelle prigioni afgane. E' la prima volta dal 2001 che i talebani portano un attacco del genere al cuore del potere afgano. Ma non e' la prima volta che i talebani attaccono nel centro di Kabul: solo nell'ultimo anno c'e' stato l'assalto all'Hotel Serena, l'albergo di lusso degli stranieri (gennaio 2008: 6 morti), gli spari contro la tribuna presidenziale durante una parata militare (aprile: 6 morti), l'attentato suicida all'ambasciata indiana (luglio: 58 morti), al ministero della Cultura (ottobre: 5 morti) e all'ambasciata tedesca (gennaio 2009: 5 morti). 2. RIFLESSIONE. GUSTAVO ZAGREBELSKY: IL VELENO NICHILISTA CHE ANIMA IL REGIME [Dal quotidiano "La Repubblica" del 9 febbraio 2009 col titolo "Il veleno nichilista che anima il regime"] Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non e' in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sara' fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire - secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera - "modo di reggimento politico" e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c'e' "il regime". Ma che tipo di regime? Questa e' la domanda davvero interessante. Alla certezza - viviamo in "un" regime che ha suoi caratteri particolari - non si accompagna pero' una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere fondamentale, il "principio" o (secondo l'immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l'intima natura e per prendere posizione. Le definizioni, per la verita', non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell'unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia; governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si notera' che queste espressioni, a parte genericita' ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprieta' personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna. Ed e' una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d'un tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalita' e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti. Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andra' lontano. E' un'illusione pensare che cio' che e' stato ed e' possa poi passare senza lasciare l'orma del suo piede. La questione che ci interroga e' quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di cio' che di oggettivo e' venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e operera' in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi. Se, parlando di regime oggi, e' inevitabile che il pensiero corra a cio' che si denomina genericamente "berlusconismo", dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtu' personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia piu' in la'. Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un'essenza - giusti o sbagliati che siano - si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunita', sondaggi, eccetera. Ma tutto cio' in vista di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere cio' che qualifica l'essenza di un regime politico, cio' che gli da' senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c'e' un fine, e' puro potere, potere per il potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, e' introvabile. A meno di credere a parole d'ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa - liberta', identita' nazionale, difesa dell'Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere - il fine non si vede affatto, forse perche' non c'e'. O, piu' precisamente, il fine c'e' ma coincide con i mezzi: e' proteggere e potenziare i mezzi. Una constatazione davvero sbalorditiva: un'aberrazione contronatura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e fini, rapporto necessario affinche' il governo delle societa' sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d'essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere. A parte forse l'autore della massima "il potere logora chi non ce l'ha", nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in se' e per se stesso. "Il fine giustifica i mezzi" e' uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se "i mezzi giustificano i mezzi"? E' la crisi della ragion politica, o della politica tout court. E' il trionfo della "ragione strumentale" nella politica. Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all'occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalita', un altro illegalita'; cio' che e' detto un giorno e' contraddetto il giorno dopo. La coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioe' i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso. Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica e' l'uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l'uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch'egli come uomo nuovo. E' colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di la'. Cosi', si puo' fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un "centro" senza contorni; si puo' avere un'idea, ma anche un'altra contraria; ci si puo' presentare come imprenditori e operai; si puo' essere atei o agnostici ma dire che, comunque, "si e' alla ricerca"; si puo' dare esempio pubblico della piu' ampia liberta' nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si puo' essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il "politico" di successo, in questo regime, e' il profittatore, e' l'uomo "di circostanza" in ogni senso dell'espressione, e' colui che "crede" in tutto e nel suo contrario. Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimita' del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d'arresto puo' essere l'inizio della sua fine. Non sara' piu' creduto. Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo. La corruzione e la mistificazione della dura realta' dei fatti e della loro verita' e' nell'essenza di questo regime. Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere "disturbato". L'uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a se' alcuna natura esterna, poiche' diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sara' compreso, si sta parlando di "tipo ideale", cioe' di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria). Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo. L'abbiamo trovata? Forse si'. Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto cio' che supera l'ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d'essere intriso. Cio' che, invece, si fa fatica a comprendere e' come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato "relativismo" non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano. 3. CINEMA. GUIDO MICHELONE: NIKITA MICHALKOV (2001) [Dal mensile "Letture", n. 578, giugno-luglio 2001, col titolo "Nikita Michalkov" e il sommario "L'autore di Oci Ciornie, del Sole ingannatore e del Barbiere di Siberia ha avuto fortuna sia durante che dopo l'impero comunista senza mai rinnegare se stesso. Il segreto? Aggirare il sistema puntando sulle allegorie"] Parlare di Nikita Michalkov significa molte cose, non soltanto cinematografiche: con i suoi film si attraversano metaforicamente trent'anni di storia russo-sovietica, di rapporti tra arte e potere, fra industria e autore, fra immagine visiva e parola scritta, fra cultura autoctona e riconoscibilita' internazionale. Il cinema scorre in parallelo alla vita politica: accanto al trapasso epocale dal comunismo alla democrazia, con la scomparsa dell'Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e la nascita della Russia parlamentare, sia "prima" sia "dopo", insomma, Michalkov, con i sedici film che ha girato dal 1969 ad oggi, e' testimone sui generis di profonde metamorfosi nella vita intellettuale della madrepatria, verso la quale prova e mantiene un legame strettissimo. In tal senso la sua vicenda professionale e' emblematica di come l'artista russo abbia vissuto intellettualmente il ruolo demiurgico alle prese di volta in volta con un regime tirannico, con qualche apertura riformista, con l'anarchia di mercato, a seconda che i capi di stato si chiamassero Breznev, Gorbaciov o Boris Eltsin. In effetti si puo' "leggere" l'opera di Michalkov, al di la' del filo conduttore interno e di una coerenza espressiva che non lasciano dubbi sulla moralita' e sul valore del regista, sia come una risposta ai colleghi che nello stesso periodo hanno rinnovato il cinema russo-sovietico, sia come tentativo di restare comunque fedele a se stesso e alla propria poetica al di la' delle ingombranti evoluzioni, tanto nella realta' giornaliera quanto sul piano storico-politico. Forse le ragioni delle scelte di Michalkov, del regista che l'Occidente ha spesso osannato per certi lungometraggi (Schiava d'amore, Partitura incompiuta, Oblomov, Sole ingannatore su tutti), vanno rintracciate proprio nella storia cinematografica del suo Paese: Nikita e' dunque il piu' giovane nel novero di quel gruppo eterogeneo di registi esordienti che dagli anni Sessanta cercavano di rinnovare a fondo un cinema sovietico che da oltre quarant'anni non si staccava dai diktat del realismo socialista teorizzato da Zdanov e abbracciato coercitivamente tanto da grandi autori quanto da anonimi mestieranti. * La svolta di Kruscev La svolta di Kruscev con la denuncia dei crimini di Stalin al XX congresso del Pcus a Mosca era riuscita a imprimere alla cultura sovietica delle caute aperture, che sul piano cinematografico, dove l'industria era in mano allo Stato, cioe' al Partito e dunque soggetta a pesanti censure ideologiche, cominciava a permettere o tollerare qualche significativo cambiamento: tanto sul piano dei contenuti quanto in una prospettiva formale iniziava quello che i critici hanno subito chiamato il "cinema del disgelo", che globalmente voleva disfarsi della retorica propagandista, onde potersi relazionare al clima libertario, se non addirittura indipendente o anarcoide, delle "nuove ondate" europee: la nouvelle vague francese anzitutto, poi anche il free cinema britannico, e persino le giovani cinematografie dell'Est che dalla Polonia alla Cecoslovacchia, dall'Ungheria alla Jugoslavia, stavano lanciando registi, attori, lungometraggi apprezzati dappertutto, soprattutto in Occidente e nel Terzo Mondo. Il disgelo ha fatto conoscere registi importanti come Suskin, Tarkovskij, Paradzanov, Michalkov-Koncalovskij (fratello maggiore di Nikita). A parte Suskin prematuramente scomparso nel 1973, gli altri hanno pero' dovuto lottare non per imporre, ma quanto meno per difendere le loro poetiche dalle mani (dalle forbici, dalle mannaie, dalle catene) di un potere che, al di la' del liberalismo di facciata, non tollerava eccentricita' o devozioni anche sul piano artistico. Se si guarda alle storie personali di questi cineasti, si scopre infatti che, tranne Michalkov, tutti hanno avuto problemi con il centralismo sovietico (ancora stalinista nella pratica), al punto che la loro carriera ha subito pressioni cosi' forti da condurli al silenzio o all'emigrazione. * O l'emigrazione o il carcere Paradzanov, con l'accusa di omosessualita', ha trascorso diversi anni in carcere, riuscendo a portare a termine solo pochi (Sayat Nova, La leggenda della fortezza di Suram, Ashik Kerib) dei progetti cinematografici; Tarkovskij e' fuggito in Francia e poi in Italia (Nostalghia, Sacrificio), Ioseliani ha lavorato in Europa per lungo tempo (I favoriti della Luna, Un incendio visto da lontano) prima di tornare in Georgia; Koncalovskij addirittura ha ottenuto successo a Hollywood, trasformandosi in regista commerciale (A trenta secondi dalla fine, Tango & Cash). Solo Michalkov non ha abbandonato la madrepatria e non ha mai avuto seri problemi con la censura sovietica, la quale, come si sa, blocco', taglio', perseguito' veri e propri capolavori da Andrej Rubliev a Storia di Asia Kljacina. Sembra un "caso" al rovescio: perche' dunque Michalkov e' rimasto e ha avuto fortuna durante (e dopo) l'impero comunista, senza rinnegare il proprio pensiero e senza nemmeno divenire il regista ufficiale o il cineasta di regime? Le ragioni sono forse parecchie e complesse, ma si possono riassumere nella capacita' di adattarsi alle regole, di aggirare il sistema, di parlare (in questo caso di filmare) mediante simboli e allegorie, di rendere gloria alle tradizioni e al contempo di trasformare questi omaggi in esercizi di genuino spessore artistico. Un po' come accadde per Ejzenstejn negli anni dello stalinismo, quando, costretto ad adeguarsi all'estetica zdanoviana, si rifugio' in un formalismo di alta qualita' espressiva (Aleksandr Nevskij), trovando pure il modo di criticare il dittatore nel parallelismo storico (Ivan il Terribile, La congiura dei Boiardi), a prima vista edificante e propagandistico. Michalkov si e' invece "rifugiato" nella figura di un intellettuale non solo a lui piu' congeniale per affinita' elettiva, ma anche l'unico in grado di trasmettergli un senso di attualita', senza risultare ostentatamente moderno, in apparenza cristallizzato nella retorica di un classico della letteratura e del teatro: Anton Cechov (1860-1904). Il rapporto tra questo autore immenso e il regime sovietico non e' mai stato tra i piu' idilliaci: a lui si preferivano i romanzieri populisti, anche se l'enorme, unanime successo al di fuori dei patrii confini aveva costretto il regime ad accettarlo e a leggerne riduttivamente l'opera come "fuori dal tempo". Quanto nello scrittore poteva risultare simbolista, naturalistico, decadente, medio borghese veniva quindi rimosso fino a spurgarlo e farlo sembrare estraneo e inoffensivo. * La parola di Cechov Ma e' a questo punto che subentra Michalkov a riprendersi proprio il cote' piu' spontaneo, eversivo, strettamente contemporaneo del pensiero e della parola di Cechov, restituendone l'urgenza e la bravura, la dialettica e la problematicit' attraverso numerose trasposizioni di lavori celebri (drammaturgici e narrativi) e mediante una regia che persino nel trattare soggetti originali rimane intensamente cechoviana nell'anima e nel segno, addirittura nella tecnica e nel contenuto. Tutto cio' si deduce semplicemente rivedendo, per temi storici (e non in ordine d'uscita), la non vastissima filmografia dell'autore, in gran parte fortunatamente riprodotta in videocassetta anche sul mercato italiano. Innanzitutto ci sono i due film ispirati direttamente a Cechov: Partitura incompiuta per pianola meccanica da un dramma giovanile, Platonov e Oci Ciornie da alcuni celebri racconti (in particolare La signora col cagnolino, su cui s'innestano alcuni elementi di Una moglie, L'anniversario, Anna al collo); nel primo la trama ruota attorno ad Anna Petrovna vedova ancora piacente, la quale riceve alcuni ospiti, in un caldo pomeriggio estivo, nella villa di campagna: e qui Platonov, maestro del villaggio, ritrova la vecchia fiamma Sofia, verso cui manifesta astio e languore, fino a simulare un patetico suicidio; e' la padrona di casa a rimettere ordine (e serenita') tra gli invitati. Nel secondo, a bordo di una nave il cameriere Romano rievoca a un cliente le tormentate vicende sentimentali con una donna russa che si rivelera' la moglie dell'interlocutore. Vicende di uomini falliti della societa' borghese tra Otto e Novecento, un periodo storico che serve a Michalkov a introdurre l'immane tragedia del Novecento e che non a caso fa da cornice ad altri due lungometraggi, uno ispirato a una pietra miliare della narrativa russa, l'altro con un soggetto originale nel quale pero' affiorano echi e influenze della cultura ottocentesca; infatti da un lato gira Oblomov, liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Goncarov, dove Oblomov e' anche il nome del protagonista, l'abulico proprietario terriero che respinge l'amore di Olga presentatagli dall'amico Stolz, il quale a sua volta finira' per sposare la donna. Dall'altro lato, diversamente, ne Il barbiere di Siberia (solo il ritmo, melodrammatico, allude alla quasi omonima partitura rossiniana) e' una donna, la giovane americana Jane Callahan, giunta in Russia per affari, a soffrire per un cadetto dell'esercito, in mezzo a intrighi politici e vecchi spasimanti. * Il terrore stalinista I problemi individuali sembrano un riflesso, in epoca zarista, del dramma che incombe sull'intera societa' e che il regista mettera' in scena attraverso gli eventi di un passato ancora scottante. In Schiava d'amore, soggetto del fratello Andrej e di Gorenstein, nella Crimea del 1918 la rivoluzione non ha ancora vinto, anzi si gira un film come se niente fosse, tranne l'assassinio di un operatore, di cui s'era innamorata la diva sul set: fallimentare la sua vendetta. In Amico tra i nemici, nemico tra gli amici (soggetto di Michalkov con Volodarskij) il soviet invece ha appena trionfato, ma restano molti problemi, che sembrano quasi interamente rappresentati dalle avventure del protagonista, Silov, militare dell'Armata Rossa, ingiustamente tacciato del furto di un carico d'oro, compiuto invece dai controrivoluzionari Bianchi, alla fine smascherati dall'accusato medesimo. E' il momento di svelare altre falsita' e al regista tocca il compito di dirigere quello che forse e' in assoluto il piu' controverso film sul terrore stalinista: Sole ingannatore (scritto da lui assieme a Ibragimbekov) pare quasi una commedia degli equivoci tra Cechov e Shakespeare, dove nell'estate del 1936 Misia torna, dieci anni dopo, nella dacia tra il verde, fingendo di voler rivedere la bella Marussia, ora sposata a Kotov, eroe della rivoluzione; ma e' quest'ultimo a venir brutalmente tradito dal primo, membro della polizia segreta, ospite imprevisto per castigare e sopprimere. Del resto i fantasmi del passato ancora ritornano in Cinque serate, dall'omonimo dramma di Volodin, ambientato nella Mosca degli anni Cinquanta, con il camionista Ilin che giunge appunto nella capitale dopo diciott'anni di assenza per ritrovare la sua vecchia casa e scoprirvi la fidanzata d'allora, Tamara, in quello che e' diventato un alloggio collettivo: incerto sul da farsi, l'uomo non pensa che a ripartire, nonostante la scampanellata finale suggerisca il contrario. Dallo stalinismo all'attualita' il passo e' breve, secondo Michalkov: tuttavia, nel momento in cui parla dell'oggi, smette di occuparsi di stretta attualita', perche' dei quattro film legati al presente, non ne esiste nessuno che si riferisca alla cronaca o ad eventi significativi; l'eta' contemporanea e' raccontata attraverso momenti intimisti, rapporti interpersonali: come in fondo gia' accadeva a Cechov o, tranne un caso, nelle citate "ricostruzioni" storiche. Solo Urga e' in un certo modo un discorso metastorico, nel senso che si tratta di un omaggio alla terra e alla cultura di una Mongolia immutabile, nell'incontro tra i familiari del pastore Gombo e il camionista Sergej obbligato per un guasto al motore a fermarsi da loro e a condividere esperienze molto lontane, che si trasformeranno via via in sincera amicizia. Il tema citta'-campagna, che del resto affiora in quasi tutta l'opera di Michalkov, diventa principale in La parentela, dove un'anziana contadina si reca nella metropoli, per consolare la figlia abbandonata dal marito: un viaggio o meglio una sosta quasi iniziatica, perche' la vecchia incontrera' per strada gli uomini che, dal passato al presente, hanno avuto a che vedere con lei. Ancora incontri nel coevo Senza testimoni (dalla piece Conversazione senza testimoni della Prokofieva), il cui elemento affabulatorio e' circoscritto all'incontro tra una donna e il suo ex marito nove anni dopo la separazione: l'uomo e' piombato nell'appartamento di lei quando ha saputo che sta per risposarsi con un pezzo grosso. Sicuramente questo cinema di abbandoni, incomunicabilita', sconfitte denota un clima non solo esistenziale ma soprattutto sociopolitico: e' comunque attraverso una pellicola ancora piu' intimista, nello stile dei filmati genitoriali e dell'album di famiglia, che Michalkov giunge a dipingere esemplarmente un trapasso epocale, stavolta quasi morbosamente legato alla stretta contemporaneita': in Anna egli infatti ha ripreso ogni anno, dal 1980 al 1991, la figlia Anna, dai sei ai diciott'anni, ponendole ogni volta le cinque stesse domande di desideri, ideali, fatti storici: una riflessione originalissima sulla parabola russo-sovietica da Breznev a Eltsin e sull'avvenire di una nazione, alla quale l'autore non potrebbe mai rinunciare. * Record d'incassi al botteghino Oggi, dopo ammirazioni sfrenate da parte della critica occidentale, il cinema di Michalkov e' in netto ribasso, nonostante abbia ottenuto in patria, in America, in Europa prestigiosi riconoscimenti ufficiali e record d'incassi al botteghino (Il barbiere di Siberia due anni fa a Mosca e Pietroburgo aveva superato il Titanic nelle classifiche del pubblico). Per molti studiosi gli ultimi lungometraggi (con l'eccezione di Anna) sono eccessive concessioni ad uno spettacolarismo ridondante, che contrasta e snatura il minimalismo degli esordi, il teatro da camera, la visione familiare del mondo, che attraverso il resoconto della semplice quotidianita' o degli affetti intimi si caricano di valenze universali. A ben vedere, pero', non sussistono enormi differenze tra il Michalkov senza dubbio piu' facile, piu' melo, piu' spettacolare degli anni Novanta e quello precedente: in entrambi i casi il filo conduttore e' rappresentato, come gia' detto, dall'opera Cechov che gli serve non solo a livello formale e contenutistico, ma anche per raccordare il cinema con la letteratura e il teatro. Dice infatti Michalkov: "Mi sento molto vicino a Cechov perche' non da' risposte alle domande che pone. Il suo segno d'interpunzione preferito non e' il punto ne' il punto interrogativo o esclamativo, ma i puntini di sospensione". La letteratura di conseguenza per il regista "e' la madre del cinema. Ma l'opera letteraria di partenza non deve mai sopraffare il soggetto definitivo, piuttosto deve far 'sentire' l'autore". A proposito del teatro, la riflessione e' piu' complessa: "Amo molto il teatro. Del teatro mi interessa pero' soltanto un aspetto, che ritengo essenziale. E' il momento in cui il tempo dell'azione che si svolge sul palcoscenico si lega al tempo vissuto dallo spettatore in platea. Si tratta di frazioni di secondo, magari, ma sono attimi irripetibili. Quando un attore e uno spettatore vivono assieme, questo e' un miracolo. Se questo avviene, c'e' lo spettacolo. Un personaggio si muove da un lato all'altro del palcoscenico e va verso un altro personaggio: lo spettatore lo segue con lo sguardo e si chiede: che cosa succedera', adesso? Questo e' il teatro, per me". Anche tutta l'opera di Michalkov, al di la' delle dichiarazioni programmatiche, si fonda su queste tre costanti: la sospensione cechoviana, il fiato dell'autore in senso romanzesco (anche quando il soggetto non e' direttamente letterario), la simbiosi con il pubblico che viene colta nell'attimo fuggevole della teatralita' svelata catarticamente. Bisogna infatti considerare Michalkov come un autore che lavora su basi solide, che conosce il mestiere proprio nei risvolti narrativi e drammaturgici del linguaggio audiovisivo e che, in trent'anni di carriera, e' maturato con ogni suo film, un insieme da giudicare nell'iter cronologico anche come una specie di work in progress, dove il processo creativo globalmente inizia dal dato reale e giunge alla concretezza dello spunto e della realizzazione nella costanza del ritmo interno delle opere medesime. E per quanto riguarda la scelta dei soggetti, bisogna ricordare che il cineasta transita in mezzo ad argomenti spesso eterogenei, senza mai divagare, anzi dimostrando sempre un legame indissolubile e una continuita' inventiva da film a film, anche a considerarli nell'ordine di realizzazione. Cio' si intuisce fin dal primo (Amico tra i nemici, nemico tra gli amici) che pare riprendere la lezione del genere western, grazie alle dinamiche dell'allestimento e a un montaggio insolitamente rapido ed emotivo: ma si e' lontani dal western, perche' sotto il genere emerge il desiderio di sperimentare le risorse tecnico-espressive, fino alla volonta' di esternare il pieno controllo del mestiere registico. In tal senso i primi film mostrano anche qualcosa di piu': un autore (spesso pure attore) che sembra nato e cresciuto con la Settima Arte, perche' vede nelle immagini in movimento, piu' che nelle arti ereditate dai propri genitori, il mezzo ideale per esprimere se stesso e per rappresentare il mondo liberamente. * L'amore per il mestiere Che il cinema sia uno strumento d'autoanalisi e' confermato gia' dal secondo lungometraggio (Schiava d'amore), che non e' tanto uno sfoggio della sua indubbia cultura audiovisiva, quanto piuttosto un atto d'amore verso il mestiere e l'artigianato del cinema (un omaggio indiretto anche al Truffaut di Effetto notte), pure alle prese con un tema abbondantemente sfruttato (il film nel film). Da qui a Cechov il passo e' breve, nel senso che le scene d'interni richiamano gia' la poetica dello scrittore che, nella messinscena di Michalkov, a cominciare da Partitura incompiuta per pianola meccanica, assume un peso specifico attraverso le pause e i silenzi, mentre la parola viene quasi depauperata del tratto significante. Attraverso la pittura dell'ambiente i personaggi acquistano la giusta carica psicologica e il regista e' in grado di sostituirsi a Cechov nell'allestire quella tragedia della quotidianita' che arriva da amarezze, ironie, fraintendimenti. E' un tipo di approccio che a Michalkov consente pure di affrontare un grande romanzo come Oblomov, dalla complessa architettura psicologica, che viene riletta e trasposta in chiave di dramma del protagonista, l'uomo puro e straordinario senza via d'uscita, passivamente inserito nelle grigie atmosfere provinciali. D'altronde la descrizione di un mondo chiuso, quasi claustrofobico, avviene pure nel coevo Cinque serate, dove le ferite post-staliniste vengono segnate da un realismo venato di tenerezze e malinconie, con anti-eroi demoralizzati, pressoche' sconfitti. E sconfitto e' anche il protagonista di Oci Ciornie, innesto cechoviano sulla commedia all'italiana: la tragicomicita' del personaggio non fa pero' dimenticare lo spirito russo emblematico, dalla tristezza generale allo humour tipicamente michalkoviano. Tra Cechov e il regista ce' il divertissement narrativo, l'amarezza di fondo e una professione di saggezza. Come dice un attore del film: "Il bene e il male che abbiamo fatto ci seguono sempre". Dopo tanto pessimismo, una ventata di speranza: "Un artista che ha capito l'assurdita' del mondo, cosa puo' dare d'altro se non il suo amore?", dice parafrasando una frase di Renoir ("La sola cosa che posso dare a questo mondo, cosi' crudele e privo di senso, e' il mio amore"). E Urga e' un inno alla fratellanza, l'abbraccio a Madre Natura: "Urga - e' ancora Michalkov a parlare - e' una parola che per molti non significhera' nulla. Per alcuni e' quel bastone con cui i pastori guidano le bestie, ma per chi, da sempre, vive nella steppa urga e' il simbolo dell'amore, della solitudine e del potere su quello spazio sconfinato". Ma il regista non puo' fare a meno di rifare il suo Cechov, rileggendo la vertigine dello stalinismo: Sole inganatore fonde la retorica sovietica alla campagna fiorita, le parentesi comiche al fascino crepuscolare della musica e delle lacrime. Il film, secondo l'autore, "non vuole giudicare un'era, ma trasmettere la sua tragica dimensione. Gli eroi del film non vengono mostrati attraverso l'eco rivoluzionaria della lotta di classe, ma come personaggi al centro di una tragedia di cui sono completamente autori e attori-vittime". * Una Russia avventurosa Retorica, ma in un altro senso, in quello che si avvicina a un ideale di racconto epico che in passato Michalkov non aveva quasi mai favorito, e' la messinscena di Il barbiere di Siberia, che forse paradossalmente si riaggancia al modello western dell'esordio registico, proprio nell'offrire l'immagine di una Russia avventurosa, vitale, gaglioffa, al di la' delle intenzioni sin troppo ottimistiche dello stesso autore, quando dice di restituire al suo popolo, con questa storia, "dignita', senso della patria, orgoglio [...], perche' porto in giro nel mondo personaggi eleganti, allegri, colti e semplici, che cancellano il cliche' dei russi mafiosi, corrotti, ladri e prostitute". A molti il film e' sembrato una baracconata, a cui non hanno certo giovato, a proposito di contenuti, le dichiarazioni di Michalkov a favore di Alessandro III e dello zarismo, quando in Russia si stava meglio, perche' si viveva in pace e il rublo era forte (sono parole sue). Verrebbe da arguire che egli sia il regista che piu' di tutti ha interiorizzato le vicende russo-sovietiche degli ultimi anni e le ha fatte proprie, fin quasi ad assumersi il ruolo demiurgico della nazione martoriata in cerca di riscatto, ma in perenne contraddizione. Allora quale film se non Anna puo' rappresentare tormenti, ambiguita', inquietudini di un'esistenza collettiva filtrata dagli occhi dell'innocenza: magari il parallelismo tra la figlia e il piccolo Oblomov (citato direttamente con diverse sequenze del film omonimo) resta in fase di abbozzo, cosi' come della misteriosa anima russa sussiste una memoria solo letteraria; ma non si rimane di certo insensibili, sul piano visivo, di fronte all'intelligente dualismo tra le coreografie agghiaccianti del regime sovietico e il caos imperante degli ultimi anni. Ed e' per queste ragioni che forse Michalkov guarda, dal crollo del socialismo reale in avanti, a qualcosa di piu' alto: "Sono russo e non posso vivere senza speranza. C'e' sempre speranza. Ma abbiamo perso lo spirito religioso. Non parlo del rito e delle chiese - ortodossa, cattolica o musulmana - ma semplicemente della nozione di Dio, l'idea di essere visti dai cieli. Essere visti dai cieli deve provocare la vergogna; si deve essere a disagio per il male che si puo' fare. In Russia, se avevamo una sorta di democrazia era unicamente nella Chiesa, dove lo zar e il piu' povero erano uguali davanti alla legge. Per l'uno e per l'altro non c'era che una sola legge". * Su Nikita e dintorni Sauro Borelli, Nikita Michalkov, La Nuova Italia, Firenze 1982. Giovanni Buttafava, Nikita Michalkov o il cinema indiretto, in AA. VV., Film Urss '70, Venezia, Marsilio 1980. Piera Detassis, Nikita Michalkov, in "Ciak", n. 11, novembre 1991. Antonio Maraldi (a cura di), Il cinema di Nikita Michalkov, Il Ponte Vecchio, Cesena 1995. Vittoria Mason, Cinema dell'Est. Nikita Michalkov, l'identita' di un cineasta, in "Ciemme", n. 46, giugno 1982. Paolo Taggi, Il cinema secondo Nikita, in "Segnocinema", n. 28, maggio 1987. * Nato in una famiglia di artisti, prende il volo con il film Schiava d'amore 1945 Il 28 ottobre a Mosca nasce Nikita Sergeevic da una famiglia d'artisti. Il bisnonno Vasilij Surikov e il nonno Petr Koncalovskij erano pittori; il padre Sergej Michalkov, poeta (autore sia dell'inno sovietico sia di quello russo), la madre Natalja Konchalovskaja, scrittrice. 1963 Si iscrive all'istituto teatrale Scukin dove studia recitazione. 1964 Interpreta come attore A zonzo per Mosca di Georgij N. Danelija: un'attivita' che non abbandonera' mai, comparendo in tutti i suoi film (da protagonista o quale comparsa) e in celebri lungometraggi da L'armata a cavallo (1967) di Miklos Jancso' a Nido di nobili e Siberiade del fratello Andrej. 1966 Passa all'istituto moscovita di cinema Vgik, dove, assieme al fratello, frequenta i corsi di Michail Romm. 1968 Firma il suo primo film, il cortometraggio E io ritorno a casa. 1971 Si diploma al Vgik con il saggio Un giorno tranquillo alla fine della guerra. 1974 Esordisce nel lungometraggio con Amico tra i nemici, nemico tra gli amici. 1975 Gira Schiava d'amore che lo fa conoscere in Occidente e che ottiene il premio per la miglior regia al festival di Teheran dell'anno successivo. 1976 Presenta Partitura incompiuta per pianola meccanica, miglior film al festival di San Sebastian dell'anno successivo. 1978 Cinque serate. 1979 Oblomov. 1981 La parentela, inedito in Italia. 1983 Senza testimoni, premio Fripresci al festival di San Sebastian; inedito in Italia, trasmesso su Raiuno nel 1989. 1984 Ripudia il fratello Andrej in quanto si e' trasferito negli Stati Uniti dove rimarra' per circa sette anni, girando sei lungometraggi. 1987 Oci Ciornie, con il protagonista Marcello Mastroianni premiato quale miglior attore al festival di Cannes; del film esiste una versione assai piu' lunga, mai proiettata sugli schermi italiani. 1989 Illusione, film televisivo inedito in Italia. 1990 Elegia russa, mediometraggio commissionatogli dalla Fiat, gran premio al festival del film e video industriale di Washington. 1991 Urga, territorio d'amore, Leone d'oro al festival di Venezia. 1993 Anna, uscito in Francia nel 1995 e solo su videocassetta in Italia. 1994 Sole ingannatore, Gran Premio della Giuria del festival di Cannes. 1995 Riceve l'Oscar per Sole ingannatore, giudicato miglior pellicola straniera (primo film della Russia postcomunista a vincere la prestigiosa statuetta). 1995 Rassegna Il cinema di Nikita Michalkov presso il Centro culturale San Biagio di Cesena. 1996 Ricordando Cechov, inedito in Italia. 1998 Diventa presidente dell'Unione dei cineasti russi, che dirige con pugno di ferro. 1999 Il barbiere di Siberia. Il film apre, fuori concorso, il 52mo festival del Cinema di Cannes. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 729 del 12 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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