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Minime. 725
- Subject: Minime. 725
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 8 Feb 2009 01:00:38 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 725 dell'8 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: In sette righe 2. Rosa Luxemburg: La nostra lotta 3. Cencio Cicorioni: La ronna 4. Romano Sacrimperi: A norma del pacchetto sicurezza 5. Alessandro Dal Lago: Fuori legge 6. Hannah Arendt: L'insabbiamento 7. Si e' svolto il 6 febbraio a Vignanello il convegno su "Arte, storia, ambiente e salute: le ragioni dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo" 8. Il "Cos in rete" di gennaio 9. Roberto Carnero: Silvio D'Arzo 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IN SETTE RIGHE Sono contrario all'uccisione degli esseri umani. Cio' che e' realmente in discussione oggi in riferimento alla tragica vicenda di Eluana Englaro e' nella sostanza questo, e non altro: uccidere una persona. Per quel che vale la mia opinione, io sono contrario. Capisco che per chi si e' espresso a favore della guerra stragista in Afghanistan, far ammazzare una persona in piu' non fa gran differenza. Ma io ero e sono contrario a quegli omicidi, a tutti gli omicidi, e quindi a questo anche. 2. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: LA NOSTRA LOTTA [Da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, p. 403. E' un passo da Militarismo, guerra e classe operaia, l'opuscolo in cui venne pubblicato il discorso tenuto da Rosa Luxemburg in tribunale il 20 febbraio 1914 quando fu processata per la sua opposizione alla guerra (e condannata a un anno di carcere)] Da decenni la lotta contro il militarismo forma l'oggetto principale della nostra agitazione. 3. LE ULTIME COSE. CENCIO CICORIONI: LA RONNA Grazzi'ar governo de la giovinezza co' mi' compari mo' ffamo la ronna e sse trovamo 'n mezzo a 'sta monnezza o 'n affricano, o uno de l'artra sponna mo' vegghi 'sto bastone se battezza mo' ssenti se la zucca te se sfonna te bbecchi 'sto pacchetto sicurezza e mo' lecchete er sangue che te gronna. Ah che goduria d'arifa' le squadre com'a li tempi de faccetta nera, e le capocce tonne falle quadre e quelle quadre tonne oppure a ppera a martellate, e sia gloria a ddiopadre che io te meno e tu ce vai in galera. 4. LE ULTIME COSE. ROMANO SACRIMPERI: A NORMA DEL PACCHETTO SICUREZZA [Dal console in pensione Romano Sacrimperi riceviamo per opportuna conoscenza il seguente esposto recante la richiesta urgente di arresto e deportazione in Libia dei ministri extracomunitari della Padania clandestinamente infiltratisi nel governo italiano in carica] Illustre Presidente del Consiglio, con la presente vengo a denunciare qualcosa che non si puo' tollerare: Lei tiene qual ministro e qual famiglio certuni, e molto me ne maraviglio, di razza longobarda! Al nostro lare italico non s'hanno da accostare! ch'io gli darei di piglio col runciglio. A norma del pacchetto sicurezza esigo li si arresti e poi deporti in Libia o in altro loco ove si spezza questa pretesa di venire ai porti e agli orti nostri, e cessi la sconcezza di essere invasi da 'sti beccamorti. 5. RIFLESSIONE. ALESSANDRO DAL LAGO: FUORI LEGGE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 febbraio 2009 col titolo "Fuori legge"] E' come se la politica della sicurezza in Francia fosse dettata da Le Pen. Le misure approvate al Senato descrivono il baratro in cui e' caduta l'Italia, oggi il paese occidentale in cui una parte consistente della popolazione residente e' letteralmente perseguitata in nome di un'ideologia xenofoba e del ricatto della Lega. Da oggi, la discriminazione degli stranieri diventa stigma ufficiale, un marchio legale impresso sull'esistenza, sui corpi e sulle possibilita' di vita di chi e' gia' privo di diritti, escluso o marginale. Una vergogna che ci coinvolge tutti e che rende oscena ogni mediazione tra opposizione e maggioranza, anche su qualsiasi altro argomento. Intendiamoci. Con queste misure, il governo va a caccia di guai e di ulteriore riprovazione internazionale. La possibilita' per i medici di denunciare i clandestini non potra' che ripugnare alla coscienza umana e professionale di chi si sente vincolato al giuramento di Ippocrate. Non e' difficile prevedere su questo punto una vasta obiezione civile. Quattro anni di carcere a chi si e' sottratto all'espulsione significano intasamento degli uffici giudiziari e delle carceri, nonche' nuove prigioni e Cpt. La tassa sul permesso di soggiorno e' una gabella rivoltante che una societa' opulenta impone a chi cerca solo di sopravvivere con il proprio lavoro. Le ronde, armate o disarmate che siano, sono uno scotto pagato alla brama di delazione e di menare le mani che spira direttamente dalle osterie lombarde. Quanto al registro dei senza tetto, eccoci tornati al virtuale imprigionamento dei poveri dell'Inghilterra settecentesca. Sono norme grottesche e in larga parte inattuabili, ma che diffonderanno il terrore tra chi vive gia' nell'angoscia dell'esclusione. Misure indegne della costituzione. E vedremo se passeranno il vaglio delle supreme autorita'. In ogni caso, dimostrano ampiamente quanto abbiano ragione, in Brasile o in Francia, quelli che dubitano della giustizia italiana. Una volta di piu', la responsabilita' di questa inarrestabile deriva razzista non e' esclusivamente della destra. Se un partito xenofobo impone le sue ossessioni a gente che ha la faccia tosta di proclamarsi cattolica o liberale, e' perche' sente il consenso di fondo di gran parte del ceto politico, compreso quello che e' minoranza in parlamento. Magari non sulle singole norme, ma sulla cultura che le sottende. L'oscena equazione "insicurezza uguale immigrazione", lo strepito bipartisan che ha visto metter alla gogna lavavetri, mendicanti, marginali, ambulanti e cosi' via. Un consenso che non evita all'opposizione un declino inarrestabile, in un paese che si contorce senza fine nella paura. 6. MAESTRE. HANNAH ARENDT: L'INSABBIAMENTO [Da Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999, p. 644. E' un frammento da una lettera di Hannah Arendt a Mary McCarthy del settembre 1974] Quasi quasi, sembrerebbe che non riesca l'insabbiamento dell'insabbiamento. 7. INCONTRI. SI E' SVOLTO IL 6 FEBBRAIO A VIGNANELLO IL CONVEGNO SU "ARTE, STORIA, CULTURA, AMBIENTE E SALUTE: LE RAGIONI DELL'OPPOSIZIONE ALL'AEROPORTO A VITERBO" Per iniziativa del Centro studi e ricerche "Santa Giacinta Marescotti" venerdi' 6 febbraio 2009 si e' svolto presso il Castello Ruspoli di Vignanello (Vt) un convegno sul tema: "Arte, storia, cultura, ambiente e salute: le ragioni dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo". Il convegno ha avuto una vasta ed appassionata partecipazione, un attento e qualificato uditorio ha gremito la sala che ospitava l'incontro; tra molte altre autorevoli personalita' il professor Osvaldo Ercoli, figura storica dell'ambientalismo viterbese e maestro di rigore morale e intellettuale per generazioni di allievi. * Dopo l'intervento di apertura della dottoressa Giada Ruspoli, animatrice del Centro studi che ospitava l'incontro, hanno presentato tre approfondire relazioni la dottoressa Antonella Litta, la scrittrice Marinella Correggia e il professor Alessandro Pizzi. La dottoressa Antonella Litta, portavoce del Comitato che si oppone al mega-aeroporto e referente dell'Isde (International Society of Doctors for the Environment - Italia) ha illustrato in particolare la situazione concreta dell'area termale del Bulicame a Viterbo che la realizzazione del mega-aeroporto devasterebbe irreversibilmente, ha descritto con dovizia di dati analitici la gravissima situazione di Ciampino che si vorrebbe assurdamente riprodurre a Viterbo, ed ha analizzato le gravi conseguenze ambientali e sanitarie provocate dalla struttura e dall'attivita' aeroportuale che si vorrebbe sciaguratamente imporre a Viterbo. La dottoressa Marinella Correggia, saggista di fama internazionale autrice di numerosi libri, ha inquadrato la vicenda viterbese nel piu' ampio contesto della riflessione culturale, ecologica, economica e scientifica internazionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni naturalistici, artistici e storici, e di promozione di un turismo ecocompatibile, adeguato e responsabile. Il professor Alessandro Pizzi, prestigioso studioso e gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino, ha sviscerato i profili scientifici ed afferenti al modello di sviluppo che la questione implica, con densi e precisi riferimenti alla piu' rigorosa e aggiornata letteratura scientifica internazionale. Dopo le relazioni vi e' stato un momento di convivialita'; successivamente i tre relatori hanno risposto alle domande e agli interventi di molti partecipanti all'incontro, interventi che tutti hanno contribuito all'approfondimento dei temi proposti. * Il convegno ha avuto un vivo successo e dimostrato ancora una volta come quando alla becera, ignorante ed irresponsabile propaganda dei novelli attila si contrappone il ragionamento coerente e veritiero, il rigore scientifico e morale, l'onesta' e la sollecitudine per il bene comune, con tutta evidenza emerge nitidamente la giustezza e la coralita' dell'opposizione della popolazione viterbese a un'opera dissennata e distruttiva, fuorilegge e avvelenatrice come il mega-aeroporto che una lobby speculativa vorrebbe imporre come ennesima umiliante e patogena servitu' a Viterbo e all'Alto Lazio. 8. RIFERIMENTI. IL "COS IN RETE" DI GENNAIO [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo] Cari amici, vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di gennaio 2009 del C.O.S. in rete, www.cosinrete.it Ricordando il C.O.S. (Centro di orientamento sociale) di Capitini, il primo esperimento di partecipazione democratica alle decisioni del potere locale e nazionale, raccogliamo e commentiamo una scelta di quello che scrive la stampa sui temi capitiniani della nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo. La partecipazione al C.O.S. in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo e-mail: capitini at tiscali.it o al blog: http://cos.splinder.com Il sito con scritti di e su Aldo Capitini e' www.aldocapitini.it 9. PROFILI. ROBERTO CARNERO: SILVIO D'ARZO [Dal mensile "Letture", n. 637, maggio 2007 col titolo "Silvio D'Arzo" e il sommario "Noto solo per il racconto lungo Casa d'altri nonostante si fosse cimentato con diversi generi letterari, Silvio D'Arzo venne rivalutato grazie ad alcuni scrittori come Tondelli che ne misero a frutto la straordinaria lezione di stile"] La vita di Silvio D'Arzo (che e' pseudonimo letterario), o meglio di Ezio Comparoni (come effettivamente era registrato all'anagrafe), e' povera di eventi eclatanti. Ezio Comparoni nasce a Reggio Emilia il 6 febbraio 1920 da Rosalinda Comparoni, originaria di Cerreto Alpi (sull'Appennino reggiano), e da padre ignoto. La condizione di figlio senza padre pesera' molto sulla psicologia del ragazzo, che percepira' l'assenza della figura paterna in senso negativo, come una sorta di peccato d'origine di cui vergognarsi. Le condizioni economiche di casa sono piuttosto disagiate. La madre, che non ha un'occupazione fissa, esercita svariati mestieri occasionali, tra cui quello di cassiera al locale cinematografo e anche quello di cartomante. Nonostante la poverta', Ezio frequenta regolarmente la scuola, anche grazie a numerose borse di studio, che vince non solo per requisiti di reddito, ma anche per il buon profitto. Solo quindicenne pubblica una raccolta di racconti, Maschere, e una di poesie, Luci e penombre. In regola con gli studi, si iscrive al ginnasio-liceo classico di Reggio Emilia. Frequentati normalmente il biennio ginnasiale e il primo anno del triennio liceale, nell'estate del 1936 decide di presentarsi da privatista agli esami di maturita'. Ottiene quindi la maturita' classica con due anni di anticipo sui suoi coetanei, e puo' cosi' iscriversi giovanissimo alla facolta' di Lettere dell'Universita' di Bologna. Gli studi universitari condizionano solo in minima parte la sua formazione culturale, visto che i suoi interessi spaziano ben al di la' degli angusti programmi accademici: in particolare legge i narratori inglesi e americani, all'interpretazione dei quali dedichera' negli anni successivi un'importante produzione saggistica. Si laurea in Lettere a ventun anni, il 6 novembre 1941. Ma la giovinezza di Silvio D'Arzo non e' fatta solo di studio, di letture e di attivita' letteraria. Un ruolo importante gioca l'amicizia, il sodalizio con alcuni coetanei di Reggio. In assenza di altri passatempi disponibili per i giovani, la lettura fornisce per lo piu' gli argomenti di conversazione: discussioni animate e prolungate sui libri preferiti, romanzi italiani ma soprattutto stranieri (Pavese e Vittorini facevano conoscere con le loro traduzioni proprio in quegli anni gli americani). Questa disposizione all'amicizia e alla conversazione intellettuale coesiste nel giovane Comparoni con una riservatezza che aveva talora del morboso. Massima era la riservatezza anche a proposito dell'attivita' letteraria: Ezio Comparoni a Reggio Emilia, almeno agli inizi, era conosciuto come professore di scuola, non certo come scrittore. La stessa scelta della pseudonimia e' dunque da riportare (oltre che a motivazioni letterarie) anche a questa disposizione di carattere. Con la guerra il tran tran provinciale si interrompe anche per Silvio D'Arzo. La cartolina di precetto, infatti, lo manda, nel luglio del 1942, come soldato semplice a Canzo di Como, da dove viene successivamente trasferito alla Scuola allievi ufficiali di Avellino. Li' si ferma dal 20 gennaio al 28 agosto 1943. L'8 settembre si trova a Barletta, dove viene catturato con altri ufficiali per essere avviato a un campo di prigionia. Riesce fortunosamente a fuggire dalla tradotta a Francavilla al Mare, per poi fare ritorno nel novembre nella sua citta', dove riprende a insegnare e a scrivere, pur sempre nel timore di essere arrestato. Gia' prima della guerra Silvio D'Arzo aveva cominciato a pubblicare alcuni racconti in diversi periodici e ad abbozzare canovacci e anche parti di romanzi, ma e' solo dopo l'esperienza bellica che la vocazione letteraria si chiarisce meglio e si sostanzia di piu' mature motivazioni alla scrittura. L'attivita' narrativa continua ora all'insegna di una mutata prospettiva esistenziale, che non si compiace piu' di fantastiche invenzioni allontanate nel tempo, ma che, pur non entrando in una militanza neorealista, ricerca, in ogni storia da raccontare, quello che l'autore chiama il "contenuto umano". Sul piano intellettuale, un evento significativo di questi anni, oltre alla prosecuzione del carteggio con Vallecchi, e' la conoscenza, prima epistolare e poi personale, di Emilio Cecchi. E' forse proprio dall'ammirazione per il critico Cecchi che D'Arzo concepisce l'idea di scrivere una serie di saggi su alcuni scrittori stranieri, soprattutto inglesi e americani, pubblicati su prestigiose riviste. Purtroppo questo lavoro era destinato a rimanere tristemente interrotto. Nel febbraio del 1951 si manifestano i primi segni del male (un linfogranuloma) che condurra' prematuramente al termine la vita di Silvio D'Arzo. Morira' il 30 gennaio 1952, all'eta' di trentun anni. Nello stesso anno, a pochi mesi dalla morte, uscira' quello che e' unanimemente considerato il suo capolavoro: il racconto lungo Casa d'altri. * Una metafora sulla diversita' Se si escludono due opere che appartengono piu' alla preistoria che alla storia dello scrittore - i racconti di Maschere e le poesie di Luci e penombre (entrambi i volumi furono pubblicati nel 1935) -, possiamo datare l'inizio dell'attivita' letteraria di D'Arzo al 1940. Tra il '40 e il '41 usciranno in periodici alcuni racconti e agli anni tra il '39 e il '42 risale la stesura del romanzo incompiuto L'uomo che camminava per le strade (edito postumo nel 1981). Un altro testo di questi anni e' Essi pensano ad altro, la cui prima pubblicazione risale al 1976, per la cura di Paolo Lagazzi. Essi pensano ad altro racconta dell'arrivo e del difficile inserimento a Bologna di Riccardo, giovane studente universitario di Lettere, che va a stare da Berto Arseni, di professione imbalsamatore, nonche' vecchio amico del padre. Con Arseni, Riccardo condivide un accentuato senso di diversita' e di estraneita' nei confronti della realta' circostante. Entrambi cercano qualcosa che consenta loro di evadere dalla realta' e da un mondo che percepiscono come ostile: per Riccardo si tratta del violino, mentre per Arseni sono gli animali (vivi o impagliati che siano). Li' Riccardo ha modo di incontrare e conoscere diverse persone, tutte piuttosto originali se non "strambe": i vicini di casa di Arseni, i saltimbanchi Nemo, suonatore di trombone, ed Enrico, ammaestratore di scimmie (che vive e morira' per dimostrare di saper ammaestrare le bestie e incantare gli spettatori ottusi). Anch'essi sono "diversi", ma manifestano una piu' accentuata disponibilita' all'integrazione sociale. Ci sono poi altri due personaggi di rilievo: Piadeni, il maestro di violino, che alterna momenti di razionalita' diurna a empiti notturni di ebbrezza e invasamento artistico-visionario, ed Ernestina, la cartolaia "dalle dita sporche di inchiostro". Il tema della diversita' (e della difficolta' di integrazione sociale che essa comporta) e' senz'altro quello centrale del romanzo: le bestie e il violino assurgono, per Riccardo e per Arseni, a simboli di due condizioni esistenziali particolari, eccezionali, che si pongono al di sopra della banalita' comune al resto degli uomini. Lo stile del romanzo e' intenzionalmente funzionale al tipo di narrazione che l'autore mette in atto. Come i temi e il significato del romanzo non sono - almeno a una prima lettura - del tutto chiari, cosi' lo stile (la lingua e i modi della rappresentazione) e' caratterizzato da una forte componente di ambiguita' semantica. L'impronta che lo scrittore vuole conferire al dettato e' quella di un'estrema rarefazione (in effetti prima sul piano dei contenuti che su quello della forma). * Settecento arcadico Ma se i testi di cui abbiamo parlato finora usciranno solo postumi, in questi stessi anni il romanzo All'insegna del Buon Corsiero verra' stampato e sara' destinato a essere l'unico libro di D'Arzo uscito vivente l'autore (1942, ma in realta' gennaio 1943). Il "Buon Corsiero" e' una locanda settecentesca, collocata in una non meglio precisata regione (che pero' da alcuni indizi disseminati nel testo sembra essere il Veneto), a cui si ferma una giovane marchesa con tutto il suo seguito (tra cui il lacche'-poeta Androgeo), durante un viaggio che dovrebbe portarla a incontrare un alto prelato (a cui deve far visita per conto del marito, il quale e' dovuto partire di tutta fretta essendo stato nominato ambasciatore a Parma). La locanda e' animata, oltre che dalla consueta folla di camerieri, sguatteri, avventori e viaggiatori, dall'imminenza di due eventi straordinari concomitanti: il matrimonio della figlia del locandiere, Mirandolina, e l'esibizione di un funambolo, che attraversera' sospeso a mezz'aria la piazza del paese. Soprattutto quest'ultimo avvenimento e' quello che determina una grande curiosita' e l'arrivo di molta gente anche da fuori, desiderosa di assistere allo straordinario prodigio. La presenza del Funambolo (d'ora in poi con l'iniziale maiuscola, come nel testo darziano) alla locanda e al villaggio origina pero' tutta una serie di fatti strani e inspiegabili: uno strano silenzio pervade gli uomini e le cose al suo apparire; Lauretta, l'altra figlia dell'oste, prima virtuosa e impeccabile (amata da Lelio, uno staffiere della locanda, che probabilmente ricambia), accetta ora di buon grado colloqui notturni con il forestiero; un bambino sempre diligente al catechismo e assai timorato di Dio si trasforma all'improvviso in un piccolo ladruncolo... Il Funambolo finalmente si appresta a tentare la prova, quando, posto il piede sul filo, nel bel mezzo della sua esibizione, questo si spezza ed egli precipita ammazzandosi. E' stato Lelio, che, geloso, ha reciso la corda con un coltello. Tuttavia la folla si convince che il Funambolo non e' morto, molti affermano anzi di averlo visto fare capolino qua e la'. In effetti incontrera' Lauretta e lo stesso Lelio. Finche' compare a un tratto sulla scena del teatrino allestito alla locanda, sotto la regia di Androgeo, per festeggiare le nozze di Mirandolina. A quel punto per Lelio non ci sono piu' dubbi: il Funambolo e' il diavolo. Incitata da Lelio stesso a dargli la caccia, la gente parte all'inseguimento del misterioso Funambolo. Ma un rapido riassunto di questo tipo e' poco significativo, perche' il fascino (e il senso) del romanzo si regge tutto sui silenzi e sulle attese, su fatti apparentemente marginali e sui sottili risvolti della psicologia dei personaggi. Fratello minore del Buon Corsiero potrebbe essere definito il romanzo breve L'osteria (pubblicato solo nel 1961). La vicinanza dell'Osteria al Buon Corsiero non e' solo di ordine cronologico, ma anche di tipo vagamente tematico. E', si potrebbe dire, un racconto tutto giocato sulle atmosfere. I personaggi o, meglio, le "figure" che compaiono sulla scena di questa lontana e fumosa osteria sono carrettieri, pescatori, contrabbandieri, di un paese mai sentito che suona Sivilek. Sia i nomi dei luoghi (Masurek, Novocek, Rikel...) sia quelli delle persone (Marek, Lepic, Maghit...) rimandano a leggendarie contrade slave. Contrade umide e piovose, spesso inondate dalle piene del fiume, in cui tutto e' "colore del sasso" e anche le lanterne sono "cose tristi". * La svolta dopo la guerra Possiamo considerare il racconto lungo incompiuto Un ragazzo d'altri tempi (scritto intorno al 1945, ma uscito solo nel 1983) come l'ultima opera della prima fase (quella pre-bellica) della narrativa darziana, e, almeno in parte, come la prima testimonianza del "nuovo corso": lo stile, infatti, piu' piano e "semplice" di quello dei lavori precedenti, avvicina gli esiti di questo racconto a quelli dei testi successivi. Gia' al 1943, appena stampato il Buon Corsiero, risalgono i primi segnali dell'inizio di un processo di un "ravvedimento" letterario, stilistico, in una parola di "poetica", di Silvio D'Arzo. L'insoddisfazione, la percezione dei limiti di quanto realizzato fino ad allora lo portano a nuovi progetti, da compiersi con nuovi intenti. Questa svolta programmatica del '43, testimoniata dalle lettere a Vallecchi dell'estate di quell'anno, rappresenta un momento decisivo dell'evoluzione del giovane scrittore: tutti i mutamenti in atto saranno nella direzione di una maggiore concretezza di contenuti e di stile. Tuttavia sara' solo qualche anno piu' tardi che D'Arzo parlera' all'editore del progetto di un vasto romanzo "generazionale", per il quale lo scrittore pensa anche a un titolo possibile: Nostro lunedi' di Ignoto del XX secolo, dove l'Ignoto e' D'Arzo stesso e, insieme, tutti gli uomini della sua generazione e del suo tempo. La valenza del progetto (che, nelle intenzioni dell'autore, non si sarebbe potuto realizzare in meno di seicento pagine) e' collettiva e generazionale. I particolari si precisano via via sempre meglio. Purtroppo la sua prematura scomparsa avrebbe impedito a Silvio D'Arzo di mantenere fede alla promessa (fatta a Vallecchi) di questa realizzazione. * Il capolavoro L'opera alla quale D'Arzo deve maggiormente la propria fama rimane comunque Casa d'altri, uscito postumo nel 1952. Il testo e' organizzato in quindici capitoletti. Sotto il velo di un'apparente immediatezza e semplicita', si cela un organismo narrativo strutturalmente complesso e assai sapientemente costruito. La storia, narrata in prima persona da un narratore che e' anche uno dei due protagonisti, comincia in medias res, con una scena di argomento funebre, alla quale, come si vedra', fara' da pendant un analogo motivo nell'ultimo capitoletto. Si tratta di un funerale, o meglio della veglia a un morto da parte di cinque donne e dell'io narrante, che e' il parroco di Montelice, il piccolo villaggio dell'Appennino emiliano dove si svolgono le vicende raccontate. La veglia, descritta pittoricamente come la scena di una lezione di anatomia (evidente, anche se non esplicitato, il richiamo al celebre dipinto di Rembrandt), viene interrotta dall'improvviso abbaiare di un cane, che segnala l'arrivo degli uomini dai pascoli. L'atmosfera luttuosa, i dialoghi tra le donne e il curato, l'arrivo dei pastori, l'aria viola della sera, tutto contribuisce a creare, con rapide pennellate sapientemente distribuite sulla tela, l'atmosfera che costituira' lo sfondo non indifferente del racconto. La figura del sacerdote si delinea bene nell'incontro/confronto, rappresentato nel secondo capitoletto, tra l'anziano parroco di Montelice e il giovane curato di Braino, il villaggio vicino, che si e' da poco insediato nella sua nuova parrocchia. Vestito di nuovo, il giovane pretino viene a informarsi dal confratello piu' anziano della situazione del luogo e ad ascoltarne i consigli. Ma il nostro vecchio curato e' ormai disincantato e reso cinico dai trent'anni trascorsi nella sua piccola comunita' senza che nulla di davvero importante sia mai accaduto. Ma in questo quadro di desolazione, a rompere la monotonia, interviene qualcosa di insolito. Gia' nel terzo capitolo incontriamo l'altra protagonista. Il parroco sta tornandosene a casa, al crepuscolo, da una passeggiata sui monti, quando scorge come un'ombra: e' una anziana donna china sul fosso a lavare dei panni. Il prete, che rivede la donna nello stesso luogo intenta allo stesso lavoro anche le sere successive, intuisce da subito che quella vecchia mai vista prima da quelle parti chiedera' prima o poi il suo aiuto. E al tempo stesso percepisce il senso della propria inettitudine, l'incapacita' di fare il primo passo, di andare incontro all'altro come la sua missione richiederebbe, l'inadeguatezza alle situazioni in cui un suo intervento sarebbe richiesto. La pur strana presenza della vecchia sta presto diventando cosi' anch'essa routine, finche' una sera Zelinda si reca in canonica per parlare con il parroco. Ma e' evidente che non riesce ad aprire il suo cuore al sacerdote. Inizia cosi' una sorta di singolare "corteggiamento" della vecchia da parte del prete, che va a trovarla mentre lei lava i panni al canale. Zelinda sembra indifferente e del tutto chiusa in se stessa, ma, ad acuire la suspense, una sera la donna lascia, mentre il prete e' fuori, una lettera in parrocchia, che pero', per un ripensamento, viene a riprendersi prima del ritorno del sacerdote, il quale capisce che essa conteneva la soluzione dell'enigma, la domanda fatidica. Ma il secondo e decisivo colloquio avviene - dopo tutta una serie di altri episodi di contorno aventi funzione ritardante - per iniziativa del sacerdote, di notte, sulla soglia di casa della donna. La "confessione" di Zelinda e' lenta e graduale; il nocciolo problematico si scopre a poco a poco, a partire dalla sua infelice condizione: cio' che intende chiedere al prete, come ministro della Chiesa, e' nientemeno che il permesso di suicidarsi, per porre cosi' fine alla sofferenza senza senso della sua condizione di totale solitudine e assoluta poverta'. La reazione del prete e' di sorpresa e stupore, e, per quanto cerchi dentro di se', non riesce a dire nulla che possa "salvare" la donna. Che succede a questo punto della povera Zelinda? La conclusione del racconto - dopo l'intermezzo di un capitolo a scopo ritardante - e' studiatamente ambigua. Apprendiamo che Zelinda e' morta, ma non ci viene detto come (suicidio? morte naturale?), e anche al prete viene sempre piu' da pensare che ormai anche per lui e' ora "di preparare le valige [...] e senza chiasso partir verso casa". Il racconto si chiude con una domanda retorica, non si capisce bene se triste o ironica: "Tutto questo e' piuttosto monotono, no?". Casa d'altri e' infatti un'opera molto particolare, la cui singolarita' si evidenzia soprattutto se si pensa a quelli che erano i filoni dominanti nella narrativa italiana del secondo dopoguerra. In anni di pieno Neorealismo, Silvio D'Arzo propone una storia tutta interiore di anime. Il genere letterario cui Casa d'altri appartiene e' stato individuato con estrema precisione da un lettore emunctae naris come Eugenio Montale. Secondo il poeta, questo testo e' un capolavoro assoluto nell'ambito del genere letterario del "racconto lungo". Quanto allo stile di Casa d'altri, ne sono state fornite valutazioni spesso contrastanti. Anche a una lettura silenziosa, non sfugge la quasi costante ritmicita' del dettato, una ritmicita' che talora diventa metrica, con versi di vario tipo (ma soprattutto decasillabi) disseminati qua e la' nel testo. Da cio' conseguono giudizi diversi a seconda di come si valuti questo aspetto sul piano del risultato estetico. Nella lingua di Casa d'altri si manifesta invece la tendenza dello scrittore alla semplicita', che e' qui la semplicita' del parlato popolare, giusta l'ambientazione montanara della vicenda. Da cio' le frequenti espressioni di derivazione fraseologico-popolaresca. L'interpretazione del significato di Casa d'altri ha sollecitato molteplici livelli di lettura. Ma sarebbe difficile oltre che fuorviante offrire una chiave di lettura univoca per un testo cosi' complesso, in cui temi come l'alienazione, l'incomunicabilita', l'esistenza stessa, la religione si intersecano in un fitto gioco di combinazioni. Da qui le interpretazioni di Casa d'altri da parte dei critici come racconto "religioso", "esistenziale" o "sociale", tutte definizioni in parte valide, tuttavia errate se prese in se' in senso assoluto. Da qui la possibilita' di leggere la stessa vicenda sia come "tragica" sia come "elegiaca". Oppure, peggio ancora, l'attenzione tutta spostata all'aspetto stilistico, quasi imbarazzati di fronte alla novita' e alla stranezza del tema che non si riesce bene a incasellare. * La narrativa per ragazzi Accanto alla linea principale di svolgimento della narrativa darziana, ne scorre un'altra parallela, quella dei racconti per ragazzi. Non un D'Arzo minore, pero', diciamolo subito: alcuni di questi testi, infatti, sono tra le cose artisticamente migliori dello scrittore, e testimoniano molto della sua personalita' di uomo e di narratore. La letteratura per l'infanzia non e' concepita da D'Arzo (che vi si dedica a partire dal 1943) in termini restrittivi e ghettizzanti, ma al contrario come possibilita' di parlare a tutti, adulti compresi, attraverso le sue storie per bambini. Il primo racconto a essere pubblicato e' stato, nel 1978, Penny Wirton e sua madre. E' la storia di un ragazzo, di nome Penny, figlio di una levatrice e di un padre ormai defunto, che lui crede, sulla scorta dei racconti della madre, essere stato un grande eroe morto gloriosamente in battaglia, mentre in realta' era un semplice sellaio. L'ombra del padre parla ogni sera con la moglie presso il cancello del cimitero: i defunti, come insegna Ugo Foscolo, sopravvivono finche' c'e' qualcuno a ricordarli; ma se il figlio, che e' colui che solo potrebbe perpetuare la memoria del padre, non ne conosce la vera identita', questa sopravvivenza postuma diventa impossibile. Ted Wirton e' cosi' preoccupato e vorrebbe che Anna dicesse al ragazzo la verita'. Ma Penny giunge a conoscerla una sera mentre assiste casualmente al colloquio tra l'ombra del padre e la madre: si sente tradito, ingannato, e percio' fugge di casa. Molto su D'Arzo ci puo' dire questo racconto. La sostanza autobiografica e' evidente: Penny (nome dalla duplice dimensione: vezzeggiativo per la madre, peggiorativo per gli altri) vive in poverta' e indigenza con la madre, senza la presenza di una figura paterna. Tuttavia questa materia autobiografica non esclude la presenza simultanea di tutta una serie di riferimenti letterari, nel disseminare i quali e' come se l'autore ammiccasse al lettore: James, Stevenson, Dickens, ecc. Anche nel Pinguino senza frac (scritto probabilmente nel '48, ma uscito solo nell'83), la componente autobiografica sembra dominante. La struttura e i temi sono simili a quelli di Penny Wirton: difficolta' di autoaccettazione e di interazione positiva con la comunita', fuga (seppure qui autorizzata, pur con amarezza, dai genitori), esperienze (le "prove"), ritorno, recupero di una moralita' fattiva e quotidiana: la normalita' non viene regalata al protagonista, ma e' una sua faticata conquista. Il terzo testo per ragazzi e' il racconto Tobby in prigione (scritto anch'esso nel '48 e uscito, insieme al Pinguino, nel 1983). Anche in Tobby in prigione ritroviamo situazioni e personaggi da vicino riconducibili - e a questo punto sara' evidente anche un certo carattere ossessivo di questo fenomeno cosi' ricorrente - alla situazione biografica dell'autore e al nodo di problemi irrisolti sul piano psicologico. * Poeta e saggista Sempre nell'ambito dell'attivita' creativa letteraria vera e propria, sta un altro aspetto della multiforme produzione darziana, ovvero quella in versi. In questo caso si', la qualificazione di "minore" appare appropriata, perche' D'Arzo, in verita', considero' sempre questo suo impegno nel campo della poesia come laterale rispetto alla centrale vocazione narrativa, di inventore di storie. Oltre alle poesie giovanili di Luci e penombre, D'Arzo ne scrisse negli anni successivi (presumibilmente tra il 1945 e il 1946) altre sette (piu' una traduzione da Yeats). Un terzo aspetto laterale all'attivita' letteraria di Silvio D'Arzo (oltre alla narrativa per ragazzi e alla poesia) e' dato da un'interessante produzione saggistica. A partire dal 1945-'46, egli va pubblicando una serie di saggi e interventi di critica letteraria su diversi scrittori stranieri, soprattutto di area anglo-americana e francese: tra gli altri, Villon, Shakespeare, Defoe, Henry James, Stevenson, Maupassant, Conrad, Kipling, T. E. Lawrence, Hemingway. Sono dei contributi molto interessanti, perche' l'atteggiamento di D'Arzo non e' mai quello del critico accademico, professorale, insomma di mestiere, ma piuttosto quello di un fine e sagace "lettore" che interroga i testi per scoprire o per travestire se stesso e le proprie ossessioni. Inoltre la scelta degli autori studiati da D'Arzo lettore ci dice molto, ovviamente, sulla stessa "poetica" di D'Arzo scrittore. * In libreria e in biblioteca Per un inquadramento complessivo della figura e dell'opera dello scrittore si rimanda a Roberto Carnero, Silvio D'Arzo. Un bilancio critico (Interlinea, 2002). Tra le edizioni dei testi darziani oggi in commercio segnaliamo le seguenti: Luci e penombre (a cura di Gabriele Pedulla', Diabasis, 2002), L'uomo che camminava per le strade (Quodlibet, 1993), Essi pensano ad altro (a cura di Roberto Carnero, Bompiani, 2002), All'insegna del Buon Corsiero (Adelphi, 1995), L'osteria (Quodlibet, 1998), L'aria della sera e altri racconti (a cura di S. Perrella, Bompiani 1995), Casa d'altri e altri racconti (a cura di Eraldo Affinati, Einaudi, 1999), Un ragazzo d'altri tempi (Firenze, Passigli, 1994), Penny Wirton e sua madre (Torino, Einaudi, 1978), Una storia cosi' (Diabasis, 1995), Contea inglese (a cura di Eraldo Affinati, Sellerio, 1987). I seguenti volumi, pure importanti, risultano invece reperibili solo in biblioteca: Nostro lunedi'. Racconti, poesie, saggi (a cura di R. Macchioni Jodi, Vallecchi, 1960) e Il pinguino senza frac e Tobby in prigione (Einaudi, 1983). Segnaliamo anche, tra le edizioni piu' recenti, un volume di Opere, contenente l'intera produzione narrativa, saggistica e poetica di D'Arzo (Mup, 2003) e uno di Lettere (a cura di Alberto Sebastiani, Mup, 2004), con documenti di straordinario interesse, sia per ricostruire la personalita' di D'Arzo, sia per ripercorrere la genesi delle sue opere (circa trecento lettere, tra le quali spicca il carteggio con l'editore Enrico Vallecchi, che nel '42 pubblica il romanzo All'insegna del Buon Corsiero). Per quanto riguarda Casa d'altri, importanti anche l'edizione "critico-genetica", a cura di Stefano Costanzi (Aragno, 2002), il quale da' conto della complessa situazione testuale del racconto, e una versione piu' lunga del testo ricostruita a partire da un dattiloscritto prima trascurato dagli editori (Casa d'altri. Il libro, a cura di Paolo e Andrea Briganti, Diabasis, 2002). * Una vita povera di eventi 1920 (6 febbraio) Ezio Comparoni (poi Silvio D'Arzo) nasce a Reggio Emilia da Rosalinda Comparoni e da padre ignoto. 1935 Escono i volumi Luci e penombre (poesie) e Maschere (racconti). 1936 Consegue la maturita' classica. 1940-1941 Pubblica alcuni racconti in quotidiani e riviste. 1941 Si laurea in Lettere all'Universita' di Bologna. 1943 (luglio 1942 - 8 settembre 1943) svolge il servizio militare prima a Canzo (Como) poi ad Avellino. 1942 (In realta' gennaio 1943) esce il romanzo All'insegna del Buon Corsiero. 1951 Si manifestano i primi sintomi del male per cui morra'. 1952 (30 gennaio) si spegne all'eta' di 31 anni; nello stesso anno, a pochi mesi dalla morte, uscira' (prima nel Quaderno X di "Botteghe Oscure" e poco piu' tardi a Firenze da Sansoni) quello che e' unanimemente considerato il suo capolavoro: il racconto lungo Casa d'altri. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 725 dell'8 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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