Voci e volti della nonviolenza. 298



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 298 del 7 febbraio 2009

In questo numero:
Cristina Caffeo: Tim Burton (2000)

CINEMA. CRISTINA CAFFEO: TIM BURTON (2000)
[Dal mensile "Letture", n. 570, ottobre 2000, col titolo "Tim Burton" e il
sommario "Nato in California nel 1958, il celebre autore di tanti fortunati
film, a cominciare da Batman, ha sempre avuto uno straordinario talento per
il genere che lo ha portato al successo: fantastico? orrore? grottesco?..."]

Un panorama stregato, in una notte tempestosa; un essere filiforme dalla
testa di zucca, forse solo apparentemente inanimato; un primissimo piano del
volto di un signorotto di campagna di due secoli fa (Martin Landau)
schiacciato dall'angoscia. Ognuna di queste immagini immersa nella musica
incalzante, onirica e delirante di Danny Elfman. Termina il preludio e cede
il passo all'azione: entra in scena un orrore mortalmente affilato, che
colpisce implacabile e violento. Infine, tutto tace e l'immagine si riforma
in un primo piano: e' Ichabod Crane, investigatore del dipartimento di
polizia di New York. Il pallore innaturale del suo viso e il costume
settecentesco preannunciano un ruolo da eroe oscuro e tormentato,
protagonista di qualche macabro dramma neoromantico.
I primi minuti de Il mistero di Sleepy Hollow sembrano un manifesto della
poetica di Tim Burton, dove gran parte dei punti chiave dei film del regista
statunitense si trovano radunati in un grande festival del neogotico. Sleepy
Hollow e' una cittadina americana della fine del í700 isolata dal resto del
mondo da fitti boschi, da un clima uggioso e da una cultura fondata sulla
superstizione. Potrebbe essere l'antico nucleo rurale su cui e' stata
costruita Gotham City, lugubre e angosciante metropoli, i cui abitanti hanno
un'incrollabile determinazione nel lasciare che il male agisca indisturbato,
un degno scenario degli eventi di Batman e Batman - Il Ritorno. Un cavaliere
senza testa, mirabilmente interpretato da Christopher Walken, terrorizza la
ormai piangente localita' decapitando cittadini facoltosi a colpi di spada.
In realta', la povera anima dannata e' costretta a fare questo da una
strega. A venire a capo dell'intricato mistero e', naturalmente, Ichabod
Crane (Johnny Depp, che sembra essere l'unico attore autorizzato a ricoprire
il ruolo del protagonista assoluto dei film di Tim Burton). Il fragile
detective soffre di depressione ed e' afflitto da un sogno che ogni notte
gli fa incontrare la defunta madre. Cio' nonostante, Crane giunge alla
verita', in tempo per salvare l'ultima vittima del cavaliere senza testa, la
bionda, angelica e ricchissima Katrina Van Tassel, interpretata da Christina
Ricci.
La forte concentrazione di simboli iconografici tipicamente burtoniani, come
teste di zucca sghignazzanti, boschi perennemente autunnali e alberi che
fungono da porta verso un'altra dimensione, presente nel Mistero di Sleepy
Hollow e' evidente; allo stesso tempo, pero', non si puo' negare che questo
lungometraggio sia una nuova splendida prova dell'abilita' di Tim Burton
nell'agire sull'estetica dell'immagine cinematografica. Come dimostra
l'utilizzo di una luce temporalesca nell'illuminare le scene in modo da
attenuare, quasi annullare, tutti i colori; ottenendo per contrasto un
maggiore risalto drammatico delle sequenze in cui domina l'unica vera nota
di colore, il rosso sangue. E' il senso del film in se stesso ad apparire
debole: per la prima volta nella sua stupefacente carriera Tim Burton sembra
risentire delle sue origini disneyane. La sceneggiatura del Mistero di
Sleepy Hollow puo' tranquillamente essere definita come la versione dark di
un'avventura sfornata dalla Disney. Nel film non c'e' niente all'infuori di
un buon lavoro di trasposizione di un'opera letteraria. Le peripezie vissute
da Crane, a differenza di quanto accade a personaggi come Victor
(Frankenweenie) o i coniugi Maitland (Beetlejuice), non portano nessuna vera
evoluzione nella vita del protagonista, ne' modificano la realta' che lo
circonda. Crane riesce a salvare Sleepy Hollow da un incubo ma non la
sveglia; poi ritorna a New York, da dove e' partito, pronto a riprendere il
proprio lavoro.
Tim Burton nasce a Burbank, in California, il 25 agosto 1958 e mostra gia'
nell'infanzia un carattere inquieto e solitario e una grande passione per il
cinema dell'orrore. Il timido e introverso Tim e' affascinato dalla figura
di Vincent Price e dai film di Roger Corman ispirati ai racconti di Poe.
Trova insostenibile il ruolo di primogenito di una tipica famiglia piccolo
borghese del Middle West, tanto che a dodici anni lascia i genitori e un
fratellino per andare a vivere con la nonna. Forse grazie alla presenza
degli Studios disneyani a Burbank, Burton scopre di avere talento anche per
il disegno e si iscrive al California Institute of Arts, fondato da Walt
Disney, dove si diploma nel 1979. Nello stesso anno entra alla Disney come
apprendista e assistente animatore. Collabora alla realizzazione di Red e
Toby, nemici-amici e di Taron e la pentola magica; nel frattempo, propone la
realizzazione di diversi suoi soggetti che vengono sempre scartati.
Finalmente, nel 1982, Burton ha l'opportunita' di realizzare un
cortometraggio di animazione da una sua idea. Vincent dura cinque minuti, e'
in bianco e nero e si avvale della partecipazione, come voce fuori campo, di
Vincent Price. Il cortometraggio mostra le avventure di Vincent Malloy, un
bambino di sette anni che abbandona la realta' quotidiana per immergersi in
un mondo fantastico, ispirato alla letteratura e al cinema dell'orrore.
Vincent viene proiettato a Los Angeles, partecipa ai festival di Londra,
Chicago e Seattle e vince il premio della critica al festival di Annecy in
Francia.
*
Hansel e Gretel in versione tv
Nello stesso anno, Burton ha un'altra occasione come regista: gli viene
chiesto di realizzare una versione televisiva della favola di Hansel e
Gretel. In seguito, nel 1984, la Disney gli offre un budget di un milione di
dollari per realizzare, sempre su soggetto dello stesso Burton, un remake
cinematografico "formato bambino" del Frankenstein di Whale. Il risultato e'
Frankenweenie, cortometraggio di 25 minuti, in bianco e nero, che vede tra
gli interpreti Shelley Duvall.
La storia narrata in Frankenweenie si sviluppa intorno a un tema destinato a
diventare fondamentale nella poetica di Tim Burton, il contrasto tra
l'originalita' creativa potenziale del singolo individuo e la ristrettezza
mentale diffusa nella societa' statunitense. Victor Frankenstein, il
protagonista, e' un bambino che affronta la vita con fantasia, che ha molta
fiducia in se stesso, tenacemente convinto della validita' delle proprie
idee anche quando esulano dal comune buon senso. Grazie a queste qualita'
riesce a ridare la vita a Sparky, il suo amatissimo amico a quattro zampe.
Sfortunatamente, i vicini di casa si convincono che il cane redivivo e' un
pericolo per la comunita'. Ha dunque inizio una feroce caccia al mostro;
sviluppata in una sequenza che trae tensione non tanto dalle specifiche
azioni dei personaggi, ma dal fatto che sono loro a compierle. La chiave di
volta di Frankenweenie e' la separazione netta tra il mondo dei persecutori
e quello delle vittime, caratterizzata da Burton utilizzando soprattutto due
diversi registri. Da una parte gli scialbi abitanti del tranquillo quartiere
residenziale dove abitano i Frankenstein, paghi della propria banalita'; e
dall'altra il misterioso laboratorio frutto dell'ingegno del piccolo Victor,
la sua commovente determinazione nell'affrontare i pericoli della
sperimentazione. E' da questa contrapposizione che nasce la tragicita'
dell'inseguimento. Il finale non convince molto, dovuto probabilmente piu'
alla sindrome cronica da lieto fine della Disney che non all'intenzione del
regista. I vicini comprendono che le buone qualita' di Sparky non si sono
alterate resuscitando e danno perfino una mano a farlo rivivere una seconda
volta.
Frankenweenie viene distribuito dalla Disney nel 1984. Da questa esperienza
Burton trae impulso per proseguire nella carriera di regista; Shelley
Duvall, rimasta colpita dal talento del giovane artista, fa dirigere a Tim
Burton uno degli episodi della serie televisiva di cui e' produttrice,
Faerie Tale Theatre. Burton, realizzando il cortometraggio Aladdin and His
Wonderful Lamp, ha cosi' la sua prima opportunita' di lavorare al di fuori
dei rigidi schemi produttivi della Disney.
L'anno seguente (1985) segna per Tim Burton la svolta decisiva, in quanto la
Warner Bros gli affida un lungometraggio creato intorno al personaggio di
Pee-Wee, figura portante del programma tv per bambini, Pee-Wee's Playhouse.
Tra i collaboratori c'e' anche Danny Elfman, autore delle musiche, il quale,
in seguito, con la sola eccezione di Ed Wood, firmera' la colonna sonora di
tutti i film di Tim Burton. Pee-Wee's Big Adventure e' una commedia
incentrata sulla figura di Pee-Wee, nel film interpretato dal suo stesso
ideatore, Paul Reubens, un buffo personaggio adulto nel corpo ma bambino
nello spirito. Pee-Wee vive serenamente in un mondo coloratissimo dove tutto
e' gioco; un brutto giorno la sua adorata e superaccessoriata bicicletta
viene rubata. Il simpatico bambinone si prodiga per ritrovarla, andando
incontro a una serie di incredibili peripezie che gli fanno combinare un
sacco di guai. Alla fine tutto va per il meglio, Pee-Wee riconquista la
bicicletta e le sue avventure vengono addirittura trasformate in un film.
Pee-Wee's Big Adventure e' interamente giocato su una comicita' dal sapore
un po' surreale, espressa attraverso una serie di gag comiche slegate sul
piano narrativo ma unite dal medesimo registro stilistico. Sono gia'
presenti nel film alcuni degli elementi che caratterizzeranno la produzione
di Tim Burton, come la predilezione per le ambientazioni grottesche, l'uso
di colori saturi e il gusto per un'illuminazione basata sui forti contrasti.
Il film ottiene un successo di pubblico al di sopra di ogni aspettativa:
costato sette milioni di dollari, ne incassa quaranta.
Per Tim Burton ha inizio "l'era della notorieta'". Dirige un episodio della
serie di telefilm Alfred Hitchcock Presents, intitolato The Jar. Nel 1987,
il produttore David Geffen gli chiede di scrivere la sceneggiatura di
Beetlejuice, una ghost-story firmata da Michael McDowell che rovescia i
termini delle vicissitudini cinematografiche tra mortali e fantasmi: non
sono i viventi a difendere le proprie dimore da spettri sanguinari, ma due
sposini di campagna appena trapassati che si trovano a dovere contrastare
l'invadenza di una cinica famiglia newyorchese. Burton e' entusiasta del
soggetto, e si preoccupa di trovare il cast adatto. La scelta cade su attori
destinati a comparire piu' volte nei capolavori di Burton: Winona Ryder,
Jeffrey Jones e Michael Keaton, un giovane talento proveniente dal teatro.
Inoltre: Alec Baldwin, Geena Davis e Catherine O'Hara.
*
La passione per il grottesco
Come spesso gli accade, i problemi principali nella realizzazione del film
Tim Burton li affronta con la casa di produzione. Lo scontro piu' duro
avviene su un elemento apparentemente non decisivo, il titolo. Vince il
regista: sara' Beetlejuice. Ancora una volta, Burton esprime la propria
passione per il grottesco e la propria predilezione per l'anormalita' nel
teatro della pacifica provincia americana. Nel verde e tranquillo stato del
Vermont, i coniugi Maitland (Alec Baldwin e Geena Davis) si preparano a
godersi una meritata vacanza nella quiete del loro assolato nido d'amore. Un
incidente automobilistico mortale allunga la durata del riposo casalingo a
circa un paio di secoli, tale e' infatti il periodo che i fantasmi di Adam e
Barbara devono passare confinati nella loro ex casa prima di procedere verso
una ulteriore tappa della "vita ultraterrena". Dalla frenetica New York
arrivano i Dets: padre (Jeffrey Jones), figlia (Winona Ryder) e matrigna
(Catherine O'Hara) sono nevrotici, maniaci dell'ultima moda, molto depressi
e sono i nuovi proprietari di casa Maitland. Lo scontro e' inevitabile, ma
qui, a differenza che in Frankenweenie, la tragedia si consuma tra due
fazioni calate in una realta' avulsa dalla banalita' quotidiana. Casa
Maitland, che viene trasformata dai Dets in un santuario dell'arte
contemporanea, diventa il confine, sia spaziale che simbolico, tra la
normalita' e cio' che e' fuori del comune. Uno stadio inventato da Tim
Burton per praticarvi il gioco del grottesco, per escludere la luce della
mediocrita' e ottenere la vittoria del fascino delle tenebre. E' solo
all'interno dell'abitazione contesa che si sviluppano le fasi piu'
significative. Beetlejuice e' una commedia e per evidenziare il lato comico
Tim Burton si serve di una spietata ironia. Fondamentale in questo senso e'
il personaggio di Beetlejuice, il "bioesorcista" assunto dai Maitland per
scacciare i Dets che Michael Keaton caratterizza in modo geniale, rendendolo
un campione di volgarita' opportunista e malvagio. Un miscuglio, insomma,
delle qualita' che un americano di buona famiglia non deve mai mostrare in
pubblico.
A opera finita, Tim Burton si trova tra le mani un piccolo capolavoro.
Beetlejuice, 1988, si rivela un altro clamoroso successo commerciale: la
Geffen Film Company incassa oltre settanta milioni di dollari con una
pellicola che ne e' costata tredici e ottiene anche un Oscar per il migliore
make-up. Ma il piu' grande successo di botteghino della carriera di Tim
Burton deve ancora arrivare. Fin dal 1979 frulla nella testa di vari
produttori americani l'idea di realizzare un film su uno dei piu' mitici
personaggi del mondo del fumetto, Batman. Il progetto si concretizza subito
dopo la fortunatissima uscita di Beetlejuice, quando la Warner Bros offre a
Tim Burton la regia del film dedicato alliuomo pipistrello. Burton accetta e
immediatamente iniziano i problemi con la casa di produzione nel definire i
termini con cui realizzare il film Batman. I punti piu' in discussione sono
il taglio da dare al carattere del protagonista, quanto spazio deve avere il
"lato oscuro" della personalita' del giustiziere mascherato, e la scelta
dell'attore che dovra' impersonarlo. Nonostante Burton, in seguito, si
lamenti piu' volte di non avere potuto esprimere completamente le sue idee
nel dirigere Batman, di fatto, la scelta dell'attore protagonista cade su
Michael Keaton, candidatura sostenuta solo dal regista, e la sceneggiatura
del film e' satura di riferimenti espliciti o allusivi alla conflittualita'
interiore dell'uomo pipistrello e al suo modo cupo e grottesco di concepire
il mondo. Una vera fortuna che vada in questo modo, perche' cosi' facendo
Burton riesce a mettere a fuoco gli elementi essenziali del personaggio,
quelli che hanno originato l'immensa fama di Batman come fumetto. Burton
sceglie di puntare tutta la struttura narrativa del film proprio sulla
caratteristica che rende Batman diverso tanto da Superman (da sempre
considerato il suo diretto rivale) quanto da tutti gli altri super eroi: la
doppia vita di Bruce Wayne (l'uomo che si nasconde dietro la maschera del
pipistrello) non dipende dalla semplice esigenza di nascondere ai piu' la
sua attivita' di giustiziere ma dall'insopprimibile necessita' di vivere in
un mondo diverso, in realta' opposto, a quello che lo ha visto nascere come
"normale" membro della buona societa'. Burton da' un'ulteriore dimostrazione
del proprio talento sopportando le critiche della produzione che lo accusa
di togliere importanza al personaggio centrale del film per lasciare spazio
alla contestualizzazione delle due realta' di Batman. Perche' solo in questo
modo il regista puo' rendere convincente la lacerazione interiore del
protagonista, conteso tra un'esistenza diurna fatta di feste di beneficenza
e di conversazioni con l'amabile fidanzatina Vicky Vale (una Kim Basinger
veramente adatta al ruolo) e una vita notturna vissuta sul filo del rasoio,
ricca di avventure eccitanti e di incontri/scontri con il Joker (ennesima
strabiliante interpretazione di Jack Nicholson), gangster part-time e
psicopatico a tempo pieno. In quest'ottica, la scelta di lasciar cadere una
serie di indizi sulle similitudini caratteriali di Batman e del suo migliore
nemico, seguendo i quali si scopre che si tratta di un unico personaggio
sdoppiato in modo speculare, e' un colpo di genio. E diventano perfette le
scenografie "stregonesche" ottenute storpiando l'architettura gotica in
favore di un'accentuazione del macabro e del grottesco.
*
Il successo della Warner Bros
L'uscita di Batman (21 giugno 1989) e' devastante: a parte gli incassi
ottenuti che lo consacrano come il piu' grande successo della Warner Bros e
l'assegnazione di un Oscar per le scenografie, scatena una vera e propria
"batmania" che si manifesta con una proliferazione di gadget ispirati al
film con un giro d'affari che fruttera' oltre settecento milioni di dollari.
A questo punto, il ritorno di Batman e' inevitabile: Burton accetta di
girare Batman - Il ritorno, a condizione che gli vengano concesse tutte le
liberta' negategli durante la lavorazione del primo Batman. Cio' che Burton
rivendica per se' nel girare questo sequel e' di avere una maggiore
possibilita' di approfondire il lato oscuro della personalita' di Batman,
interpretando simbolicamente la confusione interiore dell'uomo-pipistrello
come quella di un uomo perduto tra le ombre della cultura statunitense
contemporanea. In Batman - Il ritorno la realta' diurna scompare quasi del
tutto, Bruce Wayne e il suo mondo sono solo dei brevi intermezzi tra
sequenze che si svolgono nella "bat-dimensione". Ne consegue un incupimento
stilistico dell'immagine e un'atmosfera generale del film a meta' tra il
surreale e l'onirico. Inoltre, la presenza di Batman (ancora Michael Keaton)
nel sequel e' piu' rarefatta rispetto al primo film. Poiche' sono le tenebre
il centro assoluto dell'attenzione, sono i suoi figli a essere prediletti
dal regista; cosi' l'eroe mascherato si ritrova circondato da una serie di
nemici formidabili: Catwoman (Michelle Pfeiffer), bellissima e mortalmente
pericolosa; il Pinguino (Danny De Vito), orribile nell'aspetto quanto
nell'animo; e Max Shreck (Christopher Walken), archetipo dell'uomo d'affari
privo di scrupoli.
Batman - Il ritorno fa incassi inferiori, pur restando su cifre molto alte,
rispetto a quanto accaduto con Batman. Di conseguenza, la Warner Bros decide
che la saga del pipistrello da combattimento proseguira' senza Tim Burton.
Cosa che si verifica puntualmente. Tra le due avventure cinematografiche
costruite intorno all'uomo-pipistrello resta sospeso un capolavoro scaturito
dalla sensibilita' artistica dello stesso Burton, un commovente affresco sul
tema dell'alienazione sociale in cui il regista di Burbank mescola elementi
autobiografici e sogni altrimenti inespressi.
*
Le "Mani di forbice"
Nel 1990 Burton ha finalmente l'opportunita' di dare forma a un'immagine a
cui e' legato da sempre: "Edward, mani di forbice e' nato piu' come un'idea
e un'immagine che non come progetto di film. Ho sempre amato disegnare e ben
prima di fare cinema questo personaggio aveva preso forma nella mia
immaginazione, l'avevo concepito graficamente. Pensavo che avrebbe potuto
dare origine a un dipinto o a un'opera [...]. Poi, quando ho cominciato a
fare del cinema, il progetto di un film su questo personaggio ha iniziato a
interessarmi" (Enrico Vincenti, Tim Burton si racconta, "Garage", p. 9,
Paravia Scriptorium). Edward e' una creatura umanoide concepita in un
tenebroso castello da un bislacco inventore (bellissimo cammeo di Vincent
Price) a meta' tra Frankenstein e un nonno affettuoso. La morte del
creatore, avvenuta prima che egli terminasse la sua ultima e piu' importante
invenzione, ha fatto si' che Edward si ritrovi orfano, ignaro del mondo e
con una serie di lame taglienti al posto delle mani. Come protagonista viene
scelto Johnny Depp, tanto perfetto per questo ruolo da iniziare con il
regista un sodalizio che finira' con il farlo diventare l'incarnazione
dell'eroe burtoniano.
La storia di Edward, mani di forbice si sviluppa nel momento in cui la
sfortunata creatura viene strappata dal maniero pseudogotico e presentata ai
suoi vicini di casa, gli abitanti di una cittadina californiana anche troppo
simile alla Burbank dell'infanzia di Burton; le ordinate casette
monofamiliari di cui e' composta sono colorate come in un cartone animato
della Disney, ma dietro questa facciata non c'e' allegria ne' spensieratezza
ma soltanto una serie infinita di ipocrisie. L'arrivo di Edward provoca
prima curiosita' e una superficiale voglia di essergli di aiuto; poi, quando
la sua estrema sensibilita' e il suo disperato bisogno d'amore si
manifestano, e non e' piu' possibile considerarlo un giocattolo esotico,
l'incapacita' di accettare "il diverso" si rivela in tutta la sua crudelta'.
A questo punto, ed e' tipico di Burton, nel film si palesa il rovesciamento
operato dal regista delle valenze simboliche dell'iconografia
cinematografica americana. L'inquietante Edward, pallido, con i capelli
cespugliosi e inguainato in un grottesco costume nero, diventa simbolo della
purezza di intenti di chi sa amare veramente; mentre la brava e onesta gente
che lo bracca (gia' apparsa in Frankenweenie), con i suoi colori smaglianti
e la sua esistenza immersa nel sole della California, non e' che una
mostruosa manifestazione di malvagita' affamata di vittime. La perfezione
formale e l'ineguagliabile originalita' creativa contenute in Edward, mani
di forbice sono incontestabili. Tanto che si puo' forse affermare che
Edward, mani di forbice rappresenta l'avvenuto raggiungimento della piena
maturita' artistica di Tim Burton.
Il tema dell'artista incompreso e' al centro anche di un lungometraggio che
Tim Burton realizza come omaggio alla carriera di Edward Wood Jr, il regista
noto per essere stato "il peggiore della storia del cinema". Per Burton,
girare Ed Wood e' essenzialmente un modo per celebrare la figura
dell'artista puro, per raccontare dell'entusiasmo toccante e della volonta'
incrollabile con cui si dedica alla realizzazione della propria arte. La
trama non e' una biografia completa, ma si concentra sui momenti piu'
significativi della vita di Ed Wood (Johnny Depp), il suo primo approccio
con il cinema, la sua amicizia con la stella horror Bela Lugosi (Martin
Landau) e la realizzazione di Plan 9 From Outer Space, il film per cui, nel
bene o nel male, sara' a lungo ricordato. Quanto serve al regista per
cogliere gli spunti necessari a evocare sullo schermo una dimensione
esistenziale in cui poco ci si cura delle bassezze materiali della vita di
tutti i giorni.
*
La figura di Edward Wood Jr
E per avere piu' agio nel ricostruire davanti alla macchina da presa il
"mondo a parte dell'artista", Burton sceglie di alterare in parte la realta'
dei fatti realmente accaduti; seguendo, in questo, i dettami del defunto Ed
Wood, sempre pronto a sacrificare un realismo poco esaltante alla propria
volonta' artistica. Sul piano stilistico, la cosa piu' notevole e' la
decisione di girare Ed Wood interamente in bianco e nero, invece che solo in
parte come era previsto; cosa che provoca l'allontanamento di una grossa
casa di produzione dalla realizzazione del film. Tim Burton non se ne cura
minimamente, ormai deve essersi abituato a questo genere di inconvenienti, e
prosegue sulla sua strada. Gli eventi successivi provano ancora una volta
che l'ex adolescente introverso di Burbank vede molto piu' lontano di
qualunque dirigente delle grandi case hollywoodiane. Ed Wood e', al momento,
il film di Tim Burton piu' osannato e premiato dalla critica statunitense;
ha ottenuto due premi Oscar, per il trucco (Rick Baker) e per il migliore
attore non protagonista (Martin Landau), e tre premi delle associazioni dei
critici di New York e Los Angeles.
Due anni dopo, nel 1996, Tim Burton gira Mars Attacks! Il film ruota intorno
all'incapacita' del cittadino americano di comprendere gli eventi che
esulano dalla consueta realta' quotidiana. I marziani sbarcano in forze sul
territorio degli Stati Uniti, provocando negli abitanti vari tipi di
reazioni che hanno pero' un denominatore comune: ognuno di loro inserisce
l'evento marziano all'interno dei propri schemi mentali e lo giudica secondo
criteri che non considerano minimamente il "fattore alieno". Elemento
fondamentale della storia e' anche l'assoluta immobilita' della mentalita'
statunitense, che non viene minimamente scossa nemmeno dalle atrocita'
perpetrate dai marziani, che sono dei "cattivi" veramente molto crudeli. A
invasione finita, sebbene ancora alle prese con i danni che ha causato, i
personaggi sopravvissuti si mostrano tali e quali a come erano prima che
tutto iniziasse. Da questa esperienza non hanno imparato nulla e non se ne
rendono minimamente conto.
*
Arrivano i marziani
I protagonisti di Mars Attacks! sono i bravi americani, considerati in un
campionario che va dal piu' importante cittadino statunitense, il
presidente, al cameriere di un drive-in. I personaggi anarchici, fuori dagli
schemi, hanno il ruolo degli antagonisti e sono, altro punto opposto alla
normale prassi narrativa di Burton, per il novanta per cento del film
assolutamente vincenti. Questo comporta delle novita' anche sul piano
stilistico. La piu' evidente e' che l'atmosfera generale in cui si svolge il
film e' decisamente solare, le scenografie di Mars Attacks! sono lineari
nelle forme e brillanti nella colorazione, gli esterni vengono girati tutti
sotto un cielo limpidissimo e perfino le scene notturne sono ambientate in
luoghi dall'illuminazione sovrabbondante (come i casino' di Las Vegas). Le
inquadrature seguono uno stile illustrativo, invece che espressivo, che
esclude la compartecipazione emotiva del regista. La presenza di grandi
attori in Mars Attacks! e' legata a personaggi che solitamente nei film di
Burton hanno ruoli e interpreti secondari, come conduttori televisivi (Sarah
Jessica Parker), alte personalita' (Glenn Close e Jack Nicholson) e forze
dell'ordine (Rod Steiger). Mentre i marziani sono tenuti a essere "talmente
alieni" che solo grazie all'abilita' degli operatori della Industrial Light
& Magic (divisione effetti speciali della Lucas Film) possono essere
impressi sulla pellicola. Insomma, un Tim Burton atipico.
Tim Burton e' anche sceneggiatore, produttore, consulente. La sua opera piu'
notevole in questo senso e' l'ideazione e la produzione di Tim Burton
Nightmare's Before Christmas, un film musicale in animazione. Un progetto
ciclopico che necessita dei migliori animatori e di oltre due anni di
lavorazione (dal 1991 al 1993). La produzione di Nightmare's Before
Christmas viene a costare trenta milioni di dollari; una volta uscito, ne
incassa oltre cinquanta, un risultato mai raggiunto prima per un film di
animazione.
Nel 1997 Tim Burton si scopre addirittura poeta, pubblicando The Melancholy
Death of Oyster Boy & Other Stories (pubblicato in Italia nel 1998 da
Einaudi con il titolo Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie).
Una raccolta di poesie in cui i versi raccontano storie di vita vissuta da
una giovane generazione di mostri. Il novello poeta della diversita' evoca i
raccapriccianti drammi esistenziali del bambino-ostrica e di altre creature
mostruose servendosi di una tecnica che istintivamente richiama alla mente
innocue filastrocche per bambini. A questo punto, resta da chiedersi se
esiste un limite irraggiungibile per la genialita' di Tim Burton.
*
Quindici film nei primi quarantadue anni
1958: Tim Burton nasce a Burbank, in California, il 25 agosto.
1979: si diploma al California Institute of Arts, fondato da Walt Disney.
Nello stesso anno entra alla Disney come apprendista e assistente animatore.
1982: inizia a lavorare come regista, sempre per la Disney. Firma il suo
primo cortometraggio di animazione, Vincent, di cui e' autore anche di
soggetto e sceneggiatura, e il film per la televisione, Hansel and Gretel.
1984: esce il cortometraggio, tutto suo, Frankenweenie.
1984: Aladdin and His Wonderful Lamp, un film per la televisione.
1985: cambia casa di produzione, passa alla Warner Bros. Esce il film
Pee-Wee's Big Adventure.
1985: The Jar, episodio della serie tv, "Alfred Hitchcock Presents".
1988: Beetlejuice (Beetlejuice - Spiritello porcello).
1989: Batman, con Michael Keaton e Jack Nicholson.
1990: Edward Scissorhands (Edward, mani di forbice).
1992: Batman Returns (Batman - Il ritorno); riprende la collaborazione con
la Disney, in particolare con la divisione di film per adulti, la Touchstone
Pictures.
1993: soggetto e sceneggiatura di Tim Burton's Nightmare Before Christmas.
1994: Ed Wood.
1996: Mars Attacks!
1999: Sleepy Hollow (Il mistero di Sleepy Hollow).
2000: attualmente sta dirigendo per la Twentieth Century Fox le riprese de
Il pianeta delle scimmie (titolo di lavorazione), un remake della pellicola
omonima del 1968.
*
I libri "di" e quelli "su"
1997: The Melancholy Death of Oyster Boy & Other Stories (Morte malinconica
del bambino ostrica e altre storie).
1999: My Art and Films.
Massimo Monteleone, Luna-dark, Le mani, 1996.
Mauro Di Donato, Tim Burton. Visioni di confine, Bulzoni Editore, 1999.
AA. VV., Tim Burton, "Garage", n. 4, giugno 1995, Paravia Scriptorium.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 298 del 7 febbraio 2009

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