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Voci e volti della nonviolenza. 289
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 289
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 21 Jan 2009 09:57:06 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 289 del 21 gennaio 2009 In questo numero: 1. Lorenzo Porta: Alcune considerazioni sulla questione israelo-palestinese dal punto di vista della nonviolenza 2. Annamaria Rivera: Le parole e i gesti contano 3. Peppe Sini: Per fatto personale (quasi una parodia) 1. LORENZO PORTA: ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA QUESTIONE ISRAELO-PALESTINESE DAL PUNTO DI VISTA DELLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Lorenzo Porta (per contatti: lorenzo.porta at cedasnonviolenza.it) per questo intervento dal titolo completo "Alcune considerazioni sulla questione israelo-palestinese. Autonomia, democrazia, diritti umani. Ruolo decisivo delle terze parti istituzionali e della societa' civile. Delusioni e speranze"] 1. La tragedia del ripetersi dei vecchi schemi del conflitto Da anni seguo e collaboro con persone che sono coinvolte nelle vicende israeliane, palestinesi e della piu' vasta area medio-orientale con costanza e non episodicamente, ad ogni tragica fiammata bellica. Il dramma di Gaza e della sua popolazione in questi circa trenta giorni di guerra e' sotto gli occhi di tutti. Come e' evidente che anche in questa occasione si sono riproposti i vecchi schemi di questo conflitto. Siamo ad un cessate il fuoco unilaterale proprio a pochi giorni dall'insediamento negli Stati Uniti di Barak Obama. Una formazione fondamentalista che ha conquistato l'egemonia politica su una parte della popolazione palestinese, che ha vinto le elezioni nel gennaio 2006 nei territori dell'Autonomia come i fondamentalisti in Algeria, condiziona fortemente la politica dell'area mediorientale. Alcuni eletti nelle liste di Hamas nelle ultime elezioni avevano mosso critiche pertinenti ai costumi politici di alcuni esponenti di Fatah, caratterizzati da pratiche corrotte. Il fatto e' che Hamas nelle sue dichiarazioni e nella sua prassi abbraccia il fanatismo religioso e pratica una politica assistenziale che in molti casi si rivela provvidenziale per le popolazioni rifugiate, ma che non da' alcuna autonomia politica ed economica alla popolazione. La struttura economica e sociale su cui si fonda, cementata dal linguaggio del fanatismo religioso, e' fortemente eterodiretta. L'Arabia Saudita ha tradizionalmente sostenuto economicamente Hamas, ora l'Iran sciita, divergente sul piano religioso, ma convergente nei suoi piani di destabilizzazione, fa scorrere i suoi copiosi petrodollari su questa formazione e sull'ala militare che sceglie unilateralmente i tempi della politica e della provocazione. Hezbollah in Libano, che non ha mai vinto le elezioni, riceve dalla stessa mano gli aiuti e si erge contro quella compagine laica e democratica della popolazione libanese che vuole il cambiamento, veramente eroica, ma esposta alle pressioni delle logiche delle potenze statuali confinanti e ancora poco sostenuta dalle forze occidentali. In questo quadro, poi, tutti vivono le conseguenze della politica bellicistica della destra statunitense, sconfitta solo di recente, ma che non ha esitato ad allearsi agli sciiti nella guerra in Iraq contro il dittatore Saddam Hussein. Una studiosa del calibro di Loretta Napoleoni, autrice di documentati testi sulle formazioni terroristiche, e altri autori come Bob Fisk, giornalista del britannico "Independent" da tempo ci dicono che nella guerra in Iraq le formazioni sciite erano entrate in possesso di codici militari segreti statunitensi che potevano essere utili per decifrare anche i codici informatici della difesa israeliana. Un aspetto questo accennato solo fugacemente dalla stampa italiana, mentre e' necessario accedere alla stampa estera per approfondirlo adeguatamente. Nella tragedia israelo-palestinese si ripetono i vecchi schemi: come fino all'88 l'Olp non riconosceva l'esistenza di Israele e conferiva a quel conflitto sempre piu' il carattere dello scontro per la sopravvivenza, accentuando la percezione per ogni israeliano che una concessione poteva essere un passo fatale per la propria cancellazione, cosi' Hamas ripropone la stessa logica astorica, tutta fanatica, collegata alle formazioni dei Fratelli Musulmani d'Egitto e ad una parte della rete degli Iman operanti in Europa che utilizzano la religione per seminare l'odio etnico. Israele e' prigioniero della logica dello stato-nazione che ricorre alla forza militare, nella quale mantiene una superiorita', ma che non puo' portare ad una soluzione del problema. Anzi la logica militarista non fa che aumentare l'odio e la disperazione nelle popolazioni, indebolisce la democrazia e la vivacita' della societa' civile israeliana, la mette di fronte alla violazione dei diritti umani, fornisce linfa ai gruppi fondamentalisti che prosperano sulla condizione disperata dei rifugiati condannati all'assistenzialismo. Quanti percorsi di pacificazione sono stati provati che hanno coinvolto le delegazioni delle due parti che si sono battute fino all'ultimo per una soluzione! Un generale poi premier politico come Rabin, aveva imboccato un percorso difficile di apertura, ma contro di lui erano schierati gli esponenti della destra religiosa nazionalista israeliana ed anche le formazioni come Hamas ed Hezbollah con i loro sostenitori, prodighi di petrodollari per le imprese di perpetuazione della guerra. Un altro esempio per tutti: il processo che dallo scoppio della seconda intifada (settembre 2000) fino al gennaio 2001 con gli incontri di Taba (ancora il secondo Clinton presidente che aveva condotto gli incontri di Camp David) in cui le delegazioni delle due parti erano giunte a posizioni vicine anche su quote di rientro dei palestinesi profughi, oltre che su questioni territoriali importanti, ma che furono fatte saltare dalle logiche opposte e convergenti delle parti estreme dei due contendenti, Arafat purtroppo d'accordo, in un contesto internazionale in cui negli Stati Uniti era prossimo a vincere G. W. Bush. L'elenco dei morti aumento' fortemente nel periodo Sharon fino alla sua forte decisione di far evacuare unilateralmente i coloni ebrei da Gaza (settembre 2005). Le due popolazioni sono prigioniere di una logica della guerra di cui da sole non riescono a disfarsi, ma che non appartiene loro strutturalmente. Abbiamo visto poco fa il dottor Izzeldin Abu al-Aish di Gaza, stimato ginecologo palestinese, che lavora in Israele all'ospedale di Sheba, piangere la morte di tre figlie, che nella casa a Gaza sono state colpite da una cannonata israeliana. Egli e le sue figlie hanno lavorato assieme a cittadini israeliani per la cura di bambini palestinesi. Ha detto: "che la morte delle mie figlie sia l'ultimo tremendo prezzo di questa guerra. Tacciano le armi". Struggente la poesia che pubblica la madre di un giovane soldato israeliano su www.haaretz.com sulla vicenda: "Sua madre disse" di Meir Wieseltier (19 gennaio 2009). Questo conflitto incancrenito costituisce la miccia, sempre pronto alla bisogna, in un'area cruciale per gli interessi petroliferi e per l'approvvigionamento energetico. E' noto che l'Italia e' un acquirente importante di petrolio iraniano e l'Europa dipende fortemente ancora dall'approvvigionamento petrolifero mediorientale, questo nonostante siamo vicinissimi al raggiungimento del picco petrolifero e al declino del petrolio come fonte di approvvigionamento. * 2. Rompere la spirale perversa: l'illusoria liberazione del fondamentalismo violento e di chi lo sostiene e la risposta militare di Israele che indebolisce la democrazia e viola i diritti umani Ma se i petrodollari dei paesi arabi vengono utilizzati per le citta' avveniristiche come Dubai, Abu Dhabi e Mansar, che si fondera' sull'energia solare, queste "citta' copertina" degli Emirati Arabi Uniti si fondano sulle fortune del petrolio, sfruttano la manodopera orientale che lavora stagionalmente in condizioni durissime (appena dal 2006 hanno abolito per legge la schiavitu'). Forse fa eccezione il Quatar, grande produttore di gas naturale, da far concorrenza alla Russia, che pure vive sullo sfruttamento di circa ottocentomila lavoratori orientali senza diritti e che almeno formalmente intende introdurre elementi di democrazia e diritti per le donne. Gli Emirati e l'Arabia Saudita sono prodighi nell'acquistare armi, i primi in particolare dall'Italia (338 milioni di euro di commesse nel 2006, la seconda gli eurofighter) e figurano tra gli azionisti di Mediaset, sono soci in affari del nostro premier Berlusconi. E' notizia fresca che l'Arabia Saudita fornira' due miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza: quali garanzie nell'uso del denaro? Quale progetto di ricostruzione? Quali garanzie politiche? Mi chiedo se non sia importante compiere un'analisi delle basi economiche del fondamentalismo: anche in questa guerra i missili di Hamas passavano i valichi dell'Egitto, grazie alle guardie corrotte egiziane, provenienti dal Sudan, paese islamico, tristemente famoso per la sua politica quarantennale spaventosa nel Darfur e per ospitare volentieri le attivita' economiche della famiglia Bin Laden. E' un fatto che la Lega Araba abbia assunto posizioni tutt'altro che compatte sulla guerra di Gaza. Sicuramente cio' che nuoce fortemente alla causa della pace per gli israeliani e per i palestinesi e' il risorgere dei vecchi pregiudizi e stereotipi antisemitici, qui in Europa, che si legittimano attraverso la maschera deformante dell'antisionismo. Sono le terze parti, sia istituzionali, sia della societa', civile che possono giocare un ruolo importante in questo conflitto senza farsi imbrigliare in animose contrapposizioni che sono le due facce della stessa medaglia, compresi i sentimenti anti-islamici preconcetti. Stupefacente e' che in alcune mailing list che si definiscono pacifiste si siano fatti notare sedicenti pacifisti che hanno abbondato nelle equazioni ebrei=israeliani=nazisti... Questi sono gli esiti di una mezza cultura che non sa approfondire le contraddizioni in atto e si pasce delle vecchie coazioni a ripetere del pregiudizio. Non e' da ora che e' presente nell'area pacifista. Ringrazio chi cerca di tenere alto il profilo della riflessioni proponendo letture che costringono a fare memoria storica di un conflitto che coinvolge la nostra coscienza critica di europei, che hanno il coraggio di confrontarsi con la storia dell'antisemitismo in Europa e la polemica fortemente antigiudaica gia' presente nei testi cristiani. * 3. Precisazioni importanti su Israele, gli ebrei e il sionismo nella letteratura nonviolenta Oggi, che fare? Concludo con una nota su chi maldestramente rispolvera i testi dei "maestri della nonviolenza" senza conoscerne la storia e l'evoluzione. Proporre la lettura dell'intervento di Gandhi del dicembre 1938, "Gli ebrei", sulla rivista "Harjan", e le sue critiche all'idea del ritorno in Palestina, nonche' le aspre rimostranze sulla condotta che essi assumevano nella lotta contro Hitler, senza conoscere la ritrattazione che Gandhi fece un anno dopo delle sue posizioni espresse nel '38, e' fare disinformazione. Egli accetto' le critiche del direttore del "Jewish frontier", Hayim Greenberg, estimatore di Gandhi che gli fece notare che la condizione degli ebrei in Germania nel '38 non era paragonabile per gravita' ne' a quella degli indiani sotto il giogo britannico, ne' all'apartheid in Sud Africa. Quanto alla concezione sionista gli amici Polak e Kallenbach, suoi collaboratori ebrei nel periodo sudafricano, contribuirono molto ad una revisione delle posizioni di Gandhi sugli ebrei in Palestina e sulla lotta contro Hitler. I testi principali sono contenuti nel n. 2 del 1991 di "MicroMega", che dedica un'ampia sezione della rivista a ricostruire questo dibattito e che certi nonviolenti "storici" dovrebbero ricordare. Comprese le importanti lettere a Gandhi di Martin Buber e Judah Magnes, gli esponenti dell'ebraismo piu' vicini a forme federate di presenza ebraico-araba in Palestina del febbraio 1939 e che Gandhi sfortunatamente non ricevette. Un testo di Gideon Shimoni, intitolato Gandhi, Satyagraha and the Jews. A formative factor in India's policy towards Israel in "Jerusalem papers on peace problems", nel 1977 ricostruisce dettagliatamente i rapporti tra Gandhi e i personaggi sopra citati spiegando l'evoluzione delle sue posizioni sugli ebrei. Se poi facciamo parlare Aldo Capitini dobbiamo risalire al 1967, ad un dibattito di ben 41 anni fa che e' stato documentato da Gabriella Mecucci sulla rivista "Nuova storia contemporanea", nel n. 3 del maggio-giugno del 2002. La ricercatrice ci riporta la storia di un appello che nel 1967 all'epoca della guerra dei sei giorni Lucio Lombardo Radice diffuse dalle colonne dell'"Unita'". Era il periodo in cui il Pci, influenzato dalle scelte dell'Unione Sovietica, cominciava, non senza contrasti interni, ad adottare la linea di considerare antimperialista la politica dei paesi arabi e imperialista quella di Israele. Lombardo Radice costruisce un appello che afferma apertamente il riconoscimento dell'esistenza di Israele, ma definisce "espansionismo strategico" la condotta dello stato di Israele. Diffonde il testo a molti intellettuali di area comunista e cattolica e anche ad Aldo Capitini. Quest'ultimo non firmera' l'appello e come sempre argomentera' la sua posizione. Non si puo' definire espansionismo quello israeliano: "mi sembra alquanto irreale, pensando ad un popolo di poco piu' di due milioni e mezzo di abitanti in mezzo a 50 milioni di avversari". Come poco si ricorda che i territori occupati allora erano sotto il comando giordano compresa Gerusalemme est (dal 1949 al 1967) e poi furono conquistati da Israele con la guerra dei sei giorni. Esprime un giudizio molto netto sulle "forsennate hitleriane minacce di Nasser", che non ritiene un anti-imperialista. Capitini tentava allora di introdurre un approccio che si smarcasse dalla visione bipolare del mondo. Lui era profetico, noi oggi con molto meno sforzo lo possiamo fare. Venendo all'oggi non e' il momento di riunire tutte quelle forze che laicamente si battono in Medioriente per l'affermazione della democrazia? I protagonisti della primavera libanese, le donne iraniane, come quelle marocchine, le tante associazioni presenti in Israele: Betselem, Hands in hands, Parent circle, i refusenik, e mostrare loro che almeno una parte delle istituzioni e della societa' civile in Europa vuole sostenere un modello di sviluppo che abbandoni il petrolio, che apra a modelli di sviluppo fondati sulle energie alternative decentrate, che combatta le teocrazie e le ideologie religiose, produttrici di uomini-bomba attraverso la predicazione dell'odio. Sempre da Firenze giunge un rilancio delle posizioni di Michael Lerner della rivista "Tikkun", persona che con Bruno Segre e Moni Ovadia avevamo invitato nella Sala dei 500 a Firenze nel 2005. In seguito a quell'invito avevamo cercato di stabilire un rapporto stabile con Berkeley (California), la sua universita', e il Corso di laurea "Operazioni di Pace" di Firenze, ma incontrammo ostacoli burocratici. Forse vale la pena di riprovare. 2. ANNAMARIA RIVERA: LE PAROLE E I GESTI CONTANO [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo dal titolo "Sinistra e Gaza: anche le parole e i gesti contano" apparso sul quotidiano "Liberazione" il 20 gennaio 2009] Guardate dal versante dei segni, delle parole, dei simboli, le reazioni italiane a "Piombo fuso" rivelano una sconcertante coazione a ripetere. A tal punto che a commento di cio' che accade oggi si potrebbe usare l'articolo del 1989 di Franco Fortini, ripreso dal "Manifesto" del 18 gennaio scorso. Io stessa, risparmiando la fatica di scrivere questo pezzo, avrei potuto riproporre, tale e quale, un mio articolo pubblicato da questo giornale nel 2003. Come in un teatro di burattini, identico da almeno vent'anni e' il canovaccio, uguali i personaggi, le parti recitate, le battute declamate, cosi' stereotipate ormai da essere divenute cliche'. Cio' che in questa recita manca o difetta e' la pietas verso le vittime, il pianto condiviso per una strage (non chiamiamolo "genocidio", per favore) che ha ucciso oltre 1.300 palestinesi e ne ha feriti oltre 5.000 civili, in gran parte bambini, donne, anziani, che ha distrutto case, moschee, scuole, ospedali, strutture dell'Onu e ridotto Gaza a una spettrale distesa di macerie. La compassione profonda per le vittime - imperativo morale elementare - avrebbe dovuto essere condivisa da tutti, anche se non tutti condividono la valutazione dell'aggressione militare di Tsahal: una spedizione punitiva, come e' stata definita - a mio parere correttamente - preparata con cura da almeno un anno e mezzo. Peccato che quella corretta definizione sia opera di chi mai ha rinnegato l'altrettanto cruenta e illegittima "guerra umanitaria"; peccato che fra i difensori dei diritti dei palestinesi vi sia chi mai ha fatto pubblica ammenda di un certo voto in parlamento in favore del rifinanziamento di una "missione", ugualmente punteggiata da stragi di civili. Ma ritorniamo all'assenza di pietas. Le dichiarazioni ufficiali israeliane, ripetute piattamente da rappresentanti del governo italiano e da esponenti della diaspora ebraica in Europa, lasciano trapelare la de-umanizzazione dei palestinesi, la loro riduzione a quantite' negligeable: le considerazioni sul sovraffollamento della striscia di Gaza e l'inevitabilita' delle stragi di civili, l'accusa infame ai palestinesi di farsi scudo dei bambini, la certezza fredda e tranquilla che sia lecito sterminare civili, perfino usando il fosforo bianco, se l'obiettivo e' distruggere Hamas, rivelano non solo cinismo, ma anche il rischio di scivolare verso un ordine semantico e ideologico di tipo totalitario. Quanto ai cliche' di questo tragico teatro di burattini, uno ben consolidato e' l'accusa di antisemitismo, rivolta a chiunque dissenta pubblicamente da un'aggressione militare feroce, cinica, di puro stampo coloniale. E non fa alcuna impressione che questa invettiva sia gridata anche da chi ha l'antisemitismo nella propria tradizione, mai rinnegata, e/o da chi nelle sue pratiche razziste odierne ne ripropone - consapevolmente o no - i dispositivi piu' classici: dalla profanazione dei luoghi di culto degli altri all'invocazione che siano "mandati ai forni" (la destra, soprattutto leghista), per non parlare del probabile varo di un testo di legge - detto "sulla sicurezza" - che ripropone una visione e alcune norme da leggi razziali di triste memoria. Ma anche altri nel passato non si sono sottratti a scivolamenti che riproducono strutture classiche dell'antisemitismo: dalla tesi della "radicale inintegrabilita'" di certe popolazioni immigrate a quella della "responsabilita' collettiva" dei crimini, imputati a intere comunita' rom o immigrate. Ricordate le dichiarazioni di esponenti del centro-sinistra dopo l'omicidio Reggiani e la convocazione urgente del consiglio dei ministri, quasi fosse un consiglio di guerra? Un'identica coazione a ripetere si ritrova anche nelle file dei sostenitori dei diritti sacrosanti dei palestinesi. Le sbavature semantiche che parlano di "genocidio", di "soluzione finale", di "Israele, stato nazista", l'esibizione nei cortei di svastiche sovrapposte alla stella di David sono tutti "errori" (per essere generosa) comunicativi e politici che indeboliscono la causa palestinese. Un errore altrettanto grave e' l'indistinzione fra l'analisi politico-sociologica di Hamas e il giudizio politico e morale. E' vero, non si puo' liquidare Hamas come un bubbone fondamentalista avulso dalla popolazione e percio' estirpabile con il bisturi della guerra, poiche' e' un fenomeno complesso che merita un'analisi e una considerazione complesse. Ma, una volta detto giustamente che e' con gli avversari che si tratta, dunque anche con Hamas, non si dovrebbe evitare di appiattirsi sulle sue posizioni? In realta', in alcune frange del movimento filo-palestinese dura a morire e' anche la pulsione pavloviana per cui "i nemici dei miei nemici sono miei amici": ricordate il silenzio di tomba sulle esecuzioni capitali in piazza, tra folle esaltate e festanti, subito dopo l'esordio dell'Autorita' nazionale palestinese? La verita' e' che l'infelice popolo palestinese ha avuto ed ha anche non pochi nemici interni della causa della sua liberazione (anche fra la "componente moderata" dell'Anp, che per alcuni sarebbe l'unico interlocutore possibile); e, all'esterno, ha avuto ed ha troppi amici dei suoi nemici interni. Restituire ai fatti il nome che meritano: questo dovrebbe essere uno degli imperativi fondamentali di chiunque abbia a cuore la soluzione del conflitto israelo-palestinese. "Piombo fuso" non e' l'operazione Zamosc (la feroce operazione di pulizia etnica perpetrata dai nazisti nel 1942 nel territorio polacco). E' invece una sanguinosa spedizione punitiva di stampo coloniale, compiuta dall'esercito di uno stato travolto dalla fobia dell'assedio degli assediati (e' vero che vi e' una dialettica perversa fra chi assedia e chi e' assediato, come fra vittime e carnefici). Uno stato che, accecato dal mito compensatorio della guerra-lampo, persegue come sola soluzione del conflitto quella militare, illudendosi della sua efficacia, e percio' rischia di divenire preda di una rovinosa degenerazione politica, culturale e morale. Contro le semplificazioni brutali, conviene distinguere, argomentare, precisare: non e' vero che e' un lusso che non ci si puo' permettere di fronte a una tragedia come quella che si e' consumata a Gaza, che si consuma nei territori palestinesi. La tendenza ad etnicizzare se non a razzializzare il conflitto, a interpretarlo e a dirlo in termini di essenze religiose immutabili e di scontri di civilta' e' essa stessa parte della guerra. E' proprio di una logica bellicista e razzista bollare come arretrata e fondamentalista l'intera popolazione palestinese, screditare chi ne difende i diritti, vedere un integralista in ogni musulmano che si genuflette a pregare. E' proprio di una logica bellicista e razzista l'uso totalizzante e indifferenziato della categoria di ebrei - che non fa distinzione fra stato, governo, cittadini di Israele, ebrei della diaspora - nonche' l'indifferenza verso le sofferenze, quantunque ben minori, soprattutto degli strati piu vulnerabili della popolazione israeliana. No, la Shoah non e' archiviabile, come alcuni sostengono. Quel "gigantesco esercizio di ingegneria sociale" (Zygmunt Bauman), partorito dalla razionalita' strumentale europea, e' stato l'esito estremo di un modello di razzismo ancor oggi esemplare, fondato principalmente su processi di de-umanizzazione degli altri che ancor oggi, purtroppo, sono all'opera. 3. PEPPE SINI: PER FATTO PERSONALE (QUASI UNA PARODIA) Comparendo questo scritto in un supplemento intitolato "Voci e volti della nonviolenza" mi corre l'obbligo di chiarire che non sono e non mi ritengo affatto ne' una voce ne' un volto della nonviolenza (ci mancherebbe), sono solo un vecchio e corrucciato militante politico e un povero ed amaro amico della nonviolenza, e naturalmente un pessimo carattere perennemente insoddisfatto di se'. E con cio' abbiamo messo le mani avanti (e' cosi' facile), ed ora inizino pure le danze. * Sono un vecchio militante antirazzista. Tra altre vicende, per aver espresso un impegno nitido e intransigente contro il razzismo, per ben due volte dirigenti scolastici cui evidentemente quell'impegno non andava a genio mi hanno tolto un incarico di insegnamento: mi e' successo nei primi anni '80, mi e' successo ancora lo scorso anno. Prendendo congedo dai miei studenti l'una e l'altra volta ho pianto per il dispiacere di lasciarli, ma per quanto riguarda la mia persona - devo essere sincero - non mi dispiace affatto di aver avuto anch'io il mio piccolo tozzo di persecuzione, ed anzi sono orgoglioso di poter ripetere quel che disse Simone Weil quando anche a lei capito' la stessa cosa (una volta sola, a me due - ma ho anche vissuto molto piu' a lungo di lei). Diversi anni fa, quando coordinavo per l'Italia la campagna di solidarieta' con Nelson Mandela detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano, avevo chiesto a Primo Levi - la prima e piu' autorevole voce che aveva espresso sostegno alla nostra iniziativa - di essere con noi a Viterbo il primo maggio 1987 alla manifestazione nazionale che stavo organizzando come momento centrale di quella mobilitazione. Mi aveva telefonato spiegandomi perche' non poteva muoversi da Torino, non insistetti. Pochi giorni dopo quella telefonata Primo Levi aveva cessato di vivere. Affranto dal dolore alla notizia, giurai a me stesso che per quanto sarebbe stato nelle mie forze per tutto il resto della mia vita avrei cercato di tramandare ad altri quello che da lui avevo appreso. Non so con quali risultati, ma e' quanto ho cercato e cerco di fare ogni santo giorno in cui la luce fiede i miei offuscati occhi. * Naturalmente sono anche un vecchio militante della solidarieta' con il popolo palestinese. Per aver scritto un articolo in cui protestavo contro chi negava il diritto di parola in Italia per il rappresentante dell'Olp, circa un quarto di secolo fa si scomodo' a denunciarmi addirittura il segretario nazionale del Partito radicale; ed ancora in questi giorni non manca chi non trova di meglio da fare che scrivermi lettere di insulti per la mia solidarieta' col popolo palestinese. Di esser recidivo mi compiaccio. * E naturalmente sono anche da sempre solidale con la popolazione israeliana (che e' altra cosa dai suoi sciagurati governi, cosi' come la popolazione italiana non e' riducibile alla mafia ed al berlusconismo). Anche perche' a me sembra evidente che l'esistenza dello stato di Israele e quindi della sua popolazione e' tuttora gravemente minacciata di distruzione (certo anche per responsabilita' di scelte politiche criminali di chi quello stato governa), e chi lo nega mente finanche a se stesso. Ed anche questo avverto chiaramente: che se non ci fosse lo stato di Israele i pogrom in Europa ed in altri luoghi del mondo ricomincerebbero subito. Sara' perche' ho una visione tragica della vita, sara' perche' sono un materialista che non si fa illusioni, sara' perche' mi sta a cuore la dignita' e la vita di ogni essere umano, questo sento, questo penso, questo affermo. E naturalmente ancora in questi giorni ci sono persone che ovviamente ignorando molte cose ma nondimeno persuase di sapere tutto, hanno pensato bene di coprirmi di contumelie per la mia solidarieta' col popolo di Israele. Sentitamente ringrazio. * Manco a dirlo sono anche un vecchio militante antifascista. Nel lontano '77 mi e' capitato anche di subire un pestaggio da un gruppetto di neofascisti. Or non e' guari, per aver chiesto qualche mese fa alle istituzioni competenti di non autorizzare una manifestazione di un'organizzazione neonazista sono stato querelato - giacche' alla sfrontatezza non c'e' limite - da un prominente in carriera di quella banda a capo, gia' a lungo latitante e poi rientrato in Italia perche' la sua grave condanna era caduta con gli anni in prescrizione. Apprezzo il progresso: almeno stavolta non mi hanno inseguito per la strada per rompermi la testa. * Perche' mi diletto a rievocare questi sbiaditi frammenti del mio fin remoto passato di povero vecchierello annoiando a iosa forse piu' di un gentile lettore? Perche' forse rendono piu' facile capire il mio punto di vista e la mia mancanza di diplomatici artifizi nell'esprimerlo. E detto questo non sara' sorprendente che tal punto di vista io qui riassuma una volta di piu' ad uso dei candidi e dei solerti. * 1. Non intendo in alcun modo essere complice dei nazisti comunque essi si travestano: e ad esempio i gruppi politico-militari del cosiddetto fondamentalismo islamico fascisti sono, e trovo abominevole che si possa dichiararsi con essi solidali. L'islam e' una grande religione della pace (come del resto anche l'ebraismo e il cristianesimo - che peraltro sono nella sua medesima genealogia), e coloro che in suo nome pretendono licenza di uccidere sono dei blasfemi, oltre che degli assassini (ovviamente lo stesso giudizio vale per i fascisti che pretendono di trovar giustificazione ai loro crimini nella religione cristiana, o ebraica, o in qualunque altra religione o ideologia). 2. Non intendo in alcun modo essere complice dei nazisti comunque essi si travestano: e ad esempio coloro che - talora pretendendo di essere democratici, di sinistra, pacifisti e fin "nonviolenti" - ripropongono il pregiudizio e la persecuzione antiebraica, talora finanche utilizzando la stessa identica retorica che fu usata dal nazismo. Chi sostiene o appoggia la tesi che lo stato di Israele vada distrutto, chi sostiene o appoggia la tesi che il movimento risorgimentale ebraico non ha diritto di esistere al mondo, chi sostiene o appoggia la tesi che la popolazione ebraica di Israele vada affogata in mare, chi sostiene o appoggia la propaganda dell'esistenza del "complotto ebraico mondiale dimostrato dai Protocolli eccetera", che se ne renda conto o meno si fa complice e servo del nazismo che torna. Non e' una bella cosa. 3. Non intendo in alcun modo essere complice dei nazisti comunque essi si travestano: e ad esempio tutti coloro che governando l'Italia dall'inizio del decennio violando il diritto internazionale e la legalita' costituzionale ci rendono criminali corresponsabili della guerra terrorista e stragista che insanguina l'Afghanistan; tutti coloro che governando l'Italia dalla fine del secolo scorso violando la dichiarazione universale dei diritti umani e la legalita' costituzionale hanno riaperto nel nostro paese i campi di concentramento ed attuano politiche razziste di persecuzione di migranti e nomadi. 4. Non intendo in alcun modo essere complice dei nazisti comunque essi si travestano: e quindi tengo per fermo il criterio seguente, che ogni essere umano ha diritto a non essere ucciso, che ogni essere umano ha diritto a una vita degna, che e' compito di ogni essere umano esercitare responsabilita' e solidarieta' nei confronti dell'umanita' intera e dell'unico mondo vivente che abbiamo e di cui siamo parte. * E non solo non intendo in alcun modo essere complice dei nazisti comunque essi si travestano, ma da molti anni mi sono persuaso che l'unica politica adeguata agli onerosi compiti dell'umanita' presente sia la nonviolenza. E quando dico nonviolenza (la lotta la piu' nitida e intransigente contro la violenza e per l'umanita': ahimsa e satyagraha, per usare i preziosi e dischiudenti termini - ovvero i compressi e polifonici concetti - gandhiani) intendo innanzitutto come sua esperienza fondamentale, come sua corrente calda, come decisivo riferimento, la riflessione e le lotte del movimento delle donne. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. Al lavoro, dunque. * Una postilla infine, per chiudere in modo meno solenne: so bene che le mie opinioni sul conflitto israelo-palestinese (e sul conflitto arabo-israeliano, sul conflitto nord-sud, eccetera: e decisiva e' un'analisi contestuale, concreta, complessa e - chiedo venia - dialettica) non sono di moda nella societa' dello spettacolo che e' la societa' dei mangiatori di carne umana di cui scriveva Lu Hsun; ma mi consola ed inorgoglisce che esse abbiano trovato a suo tempo ospitalita' su "A. rivista anarchica". Poiche' in verita' oltre ad essere un amico della nonviolenza (e per cosi' dire: taoista e cervantino, feuerbachiano e leopardiano), sono anche un vecchio e non riconciliato militante del movimento operaio legato alle posizioni della Prima Internazionale, e di Virginia Woolf, Hannah Arendt, Franca Ongaro Basaglia, Luce Fabbri e Vandana Shiva. Ed anche oggi ci siamo fatti qualche amico. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 289 del 21 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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