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Minime. 707
- Subject: Minime. 707
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 21 Jan 2009 01:09:31 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 707 del 21 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Dell'inferno 2. Luciano Bonfrate: Ed i massacri della guerra afgana? 3. Giulio Vittorangeli: Da Beirut a Gaza 4. David Grossman: Uscire dalla trappola 5. Il sogno di Martin Luther King 6. A Frascati il 24 gennaio 7. Michele Sarfatti: Cosi' l'Italia esporto' le leggi antisemite 8. Franco Marcoaldi presenta "La morte moderna" di Carl-Henning Wijkmark 9. Daniele Piccini presenta le poesie di Ada Negri 10. Riedizioni: Giordano Bruno, Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L'immenso e gli innumerevoli 11. Riedizioni: Euclide, Gli elementi 12. Riedizioni. Johann Gottlieb Fichte, Scritti sulla dottrina della scienza 13. Riedizioni: Giuseppe Impastato, Lunga e' la notte 14. Riedizioni: Lucrezio, La natura delle cose 15. Riedizioni: Senofonte, Anabasi 16. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 17. La "Carta" del Movimento Nonviolento 18. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: DELL'INFERNO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Ogni tanto cerco di immaginarmi l'inferno. Com'e' ovvio, dapprima di esso mi saltano in mente le raffigurazioni classiche: oceani di fiamme, tizi zannuti con corna ed ali da pipistrello, urla e tormenti. Se pero' sostituisco zanne ali e corna con elmetti e fucili potrei essere ovunque sulla superficie del pianeta, e non sottoterra, ad esempio potrei essere in Iraq, o in Afghanistan, o in Palestina. Ma la questione e': perche' perdo tempo ad immaginare gli inferi? Semplice, perche' come donna e' la' che devo finire, ed io sono una tipa curiosa. Ci devo finire "a meno che", certo. A meno che non faccia esattamente cio' che benintenzionati patriarchi e le loro corifee mi suggeriscono in ogni angolo del mondo. Questa gente vuole avere cura di ogni donna, e proteggere ogni donna da se stessa e dalle innominabili cose che ella potrebbe fare se non avesse guida e tutela (sono innominabili ma io ve le nomino, tanto al giudizio non sfuggiro', sono cose tipo pensare, o sognare, o decidere). In questi giorni, in Arabia Saudita, infuria sui media il dibattito riguardante le spose bambine. I gruppi di attivisti per i diritti umani del paese hanno sollevato la questione, ma il bubbone e' esploso grazie alla determinazione di una madre di Oneiza, che ha chiesto il divorzio perche' suo marito ha dato in moglie la loro bimba di otto anni ad un uomo di cinquanta, e vuole che la figlia le venga restituita. Il tribunale ha trattato il caso in modo davvero perfetto: non puo' concedere il divorzio alla donna, e non puo' far nulla per la bambina proprio perche' e' una minore. Quando quest'ultima raggiungera' la puberta' potra' protestare legalmente lei stessa, dice la sentenza. E non dobbiamo far torto alle bambine, ha aggiunto a commento il gran mufti del paese, Abdul-Aziz Al Sheikh (lo riporta il quotidiano "Al-Hayat" del 14 gennaio 2009): il matrimonio serve a proteggerle da relazioni illecite, e se vengono allevate bene a dieci anni possono svolgere tutti i doveri di una moglie. Suppongo che uno stupratore pedofilo faccia scandalo anche in Arabia Saudita, ma com'e' che diventa onorevole e protettore delle bambine se gli diamo il titolo di "marito"? Be', certo, io sono occidentale e percio' colpevole a priori, non dovrei permettermi di ficcare il mio lungo naso in questioni che non mi riguardano, a tutto detrimento di venerabili tradizioni eccetera. Ma, chi lo direbbe mai, ci sono persino uomini sauditi che la pensano come me. Ad esempio Hani Harsani, il medico che ha impedito il matrimonio di una creatura di cinque anni nello scorso dicembre, rifiutandosi di prescriverle le analisi del sangue (che sono obbligatorie per poter contrarre matrimonio nel paese). "Come medico non posso impedire legalmente il matrimonio, ma posso almeno contribuire a ritardarlo. Spero in una legge che fissi l'eta' minima per sposarsi. Quando ho chiesto ai genitori perche' volevano dare in moglie una figlia cosi' piccola mi hanno risposto che doveva sposare un cugino per preservare i diritti proprietari della famiglia" (dal quotidiano "Al-Watan", 30 dicembre 2008). Prego? Il matrimonio quindi non serviva a proteggere la cinquenne da relazioni illecite (a quest'eta', deve trattarsi di turpi relazioni con l'orsacchiotto o la bambola)? Gira e rigira, se magari la piccola avesse il diritto di ereditare alla pari di un discendente di sesso maschile, la si potrebbe tenere a casa. Se pensassimo a lei come ad una persona completa, degna di amore e di rispetto, titolare di tutti i diritti umani di qualsiasi altro essere umano, non avremmo bisogno o motivo di darla via come un sacco di patate al mercato, che ne dite? Ma se la "femmina", per usare i termini del gran mufti che probabilmente non riesce a dire "donna" senza che la lingua gli bruci, e' mancante di qualcosa, costola di qualcos'altro, non una persona vera, allora dobbiamo... proteggerla. E si', sono incorreggibile, diavoli e fiamme mi aspettano ruggendo. Se solo potessi convincervi, signori, a smettere di "proteggere" le signore andrei ad affrontarli cantando. 2. LUCIANO BONFRATE: ED I MASSACRI DELLA GUERRA AFGANA? Ed i massacri della guerra afgana? su quelli ancora l'omerta' prevale giacche' l'Italia in quella si' lontana terra e' tra quanti seminano il male e fan raccolto della disumana messe di sangue e d'odio, un infernale rosario di delitti che si sgrana e che s'irradia e il mondo inonda e assale. Non e' anche quella una guerra stragista? Non sono le sue vittime persone? Non alimenta l'orgia terrorista? Non muovono quei morti a compassione l'illustre movimento pacifista? Nessuno a questo crimine si oppone? 3. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DA BEIRUT A GAZA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento] Le immagini terrificanti e dolorose di Gaza, fatte di bambini morti, mutilati, maciullati, ci hanno fatto venire le lacrime agli occhi e ci hanno fatto sentire tutta la nostra impotenza. Scriveva Alexander Langer, nel 1992 dopo la tragica morte di Gert Bastian e Petra Kelly, leader dei Verdi tedeschi: "Forse e' troppo arduo essere individualmente degli Hoffnungstrager - portatori di speranza: troppe le attese che si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l'umanita' e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra cio' che si proclama e cio' che si riesce a compiere". Le manifestazioni di Roma ed Assisi sono certo una prima risposta all'indecente massacro di Gaza; ma non sufficienti. Se l'iniziativa non torna alla politica non resteranno che guerre, disperazione, impotenza e risentimento insanabile. Se si continua a spargere il seme dell'odio inevitabilmente le bombe seguiteranno a dettare legge ed i massacri si moltiplicheranno. Occorre andare alla radice del conflitto isarelo-palestinese, porre fine all'occupazione israeliana e garantire la nascita dello stato di Palestina. Perche' se c'e' un popolo martoriato, nella storia recente, questo e' quello palestinese. * Valga per tutte la tragedia di Sabra e Chatila. Era il settembre del 1982, quando le milizie falangiste libanesi con il supporto e la copertura dell'esercito israeliano, entravano nei campi profughi di Sabra e Chatila a Beirut ovest, per "fare pulizia", dopo che erano stati allontanati i palestinesi armati dell'Olp. Donne, bambini e vecchi indifesi, furono spietatamente trucidati, a migliaia, dai miliziani. Israele non si strinse attorno agli autori della strage. Gran parte della stampa chiese immediatamente le dimissioni del premier Begin e del ministro della Difesa Sharon. I titoli dei quotidiani israeliani erano: "L'anno della vergogna si e' aperto per Israele", "Sbarazzarsi del governo dell'odioî", "Crimine di guerra a Beirut". Non solo, la commissione d'inchiesta israeliana avrebbe emesso nove comunicazioni giudiziarie, rispettivamente per il primo ministro, Begin; il ministro della Difesa, Sharon; il ministro degli Affari esteri, Shamir; il capo di Stato maggiore, generale Eytan; il direttore dei servizi segreti militari, Saguy; il direttore dell'Istituto per i servizi segreti e i progetti speciali del Mossad (il cui nome non poteva essere divulgato per legge); il comandante delle forze militari in Libano, generale Drori; il comandante di divisione di Beirut, Yaron; l'assistente del ministro della Difesa, Dudai. In Italia, ebbe un grande eco l'appello firmato da Primo Levi. * Oggi la situazione sembra essere profondamente cambiata, non solo in Israele; le organizzazioni che gestiscono la rappresentanza politica dei palestinesi sono in preponderante misura molto diverse da quelle laiche e di sinistra degli anni Ottanta. Gli integralismi, da una parte e dall'altra, dilagano e rischiano di schiacciare tutto; la "Palestina libera e rossa" di ieri, e' oggi una Palestina sempre piu' a pezzi. E restano vere le parole della giornalista Rita Porena, scritte proprio dopo Sabra e Chatila nel suo libro Il giorno che a Beirut morirono i panda: "Prova ad immaginare: un giorno si scopre, all'improvviso, che l'Olp ha ricevuto una mezza dozzina di panda. Il mondo si mobilita per salvarli: il Wwf, le associazioni per la protezione degli animali, l'Unesco, entrano in allarme. Si fanno dimostrazioni davanti alle ambasciate israeliane per far cessare i bombardamenti. Cominciano ad arrivare a Beirut eserciti di zoologi, di chimici, di biologi: tutti preoccupati di controllare se l'ambiente e' consigliabile per i preziosi animaletti, se l'acqua che noi beviamo va bene anche per loro. I palestinesi esibiscono i panda negli ospedali e nei campi di rifugiati. Il mondo freme: si teme per la vita degli orsetti, si fanno appelli a Israele e all'Olp. Israeliani e falangisti non reggono alla pressione dell'opinione pubblica mondiale che chiede di risparmiare Beirut per salvare i panda: i bombardamenti cessano; ci ridanno l'acqua e l'elettricita' e il blocco alimentare viene levato". 4. RIFLESSIONE. DAVID GROSSMAN: USCIRE DALLA TRAPPOLA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 gennaio 2009 col titolo "Israele parli anche con chi vuole distruggerci"] Come le volpi del racconto biblico di Sansone, legate per la coda a un'unica torcia in fiamme, cosi' noi e i palestinesi ci trasciniamo l'un l'altro, malgrado la disparita' delle nostre forze. E anche quando tentiamo di staccarci non facciamo che attizzare il fuoco di chi e' legato a noi - il nostro doppio, la nostra tragedia - e il fuoco che brucia noi stessi. Per questo, in mezzo all'esaltazione nazionalista che travolge oggi Israele, non guasterebbe ricordare che anche quest'ultima operazione a Gaza, in fin dei conti, non e' che una tappa lungo un cammino di violenza e di odio in cui talvolta si vince e talaltra si perde ma che, in ultimo, ci condurra' alla rovina. Assieme al senso di soddisfazione per il riscatto dello smacco subito da Israele nella seconda guerra del Libano faremmo meglio ad ascoltare la voce che ci dice che il successo di Tsahal su Hamas non e' la prova decisiva che lo Stato ebraico ha avuto ragione a scatenare una simile offensiva militare, e di certo non giustifica il modo in cui ha agito nel corso di questa offensiva. Tale successo prova unicamente che Israele e' molto piu' forte di Hamas e che, all'occasione, puo' mostrarsi, a modo suo, inflessibile e brutale. Allo stesso modo il successo dell'operazione non ha risolto le cause che l'hanno scatenata. Israele tiene ancora sotto controllo la maggior parte del territorio palestinese e non si dichiara pronto a rinunciare all'occupazione e alle colonie. Hamas continua a rifiutare di riconoscere l'esistenza dello Stato ebraico e, cosi' facendo, ostacola una reale possibilita' di dialogo. L'offensiva di Gaza non ha permesso di compiere nessun passo verso un vero superamento di questi ostacoli. Al contrario: i morti e la devastazione causati da Israele ci garantiscono che un'altra generazione di palestinesi crescera' nell'odio e nella sete di vendetta. Il fanatismo di Hamas, responsabile di aver valutato male il rapporto di forza con Tsahal, sara' esacerbato dalla sconfitta, intasera' i canali del dialogo e compromettera' la sua capacita' di servire i veri interessi palestinesi. Ma quando l'operazione sara' conclusa e le dimensioni della tragedia saranno sotto gli occhi di tutti (al punto che, forse, per un breve istante, anche i sofisticati meccanismi di autogiustificazione e di rimozione in atto oggi in Israele verranno accantonati), allora anche la coscienza israeliana apprendera' una lezione. Forse capiremo finalmente che nel nostro comportamento c'e' qualcosa di profondamente sbagliato, di immorale, di poco saggio, che rinfocola la fiamma che, di volta in volta, ci consuma. E' naturale che i palestinesi non possano essere sollevati dalla responsabilita' dei loro errori, dei loro crimini. Un atteggiamento simile da parte nostra sottintenderebbe un disprezzo e un senso di superiorita' nei loro confronti, come se non fossero adulti coscienti delle proprie azioni e dei propri sbagli. E' indubbio che la popolazione di Gaza sia stata "strozzata" da Israele ma aveva a sua disposizione molte vie per protestare e manifestare il suo disagio oltre a quella di lanciare migliaia di razzi su civili innocenti. Questo non va dimenticato. Non possiamo perdonare i palestinesi, trattarli con clemenza come se fosse logico che, nei momenti di difficolta', il loro unico modo di reagire, quasi automatico, sia il ricorso alla violenza. Ma anche quando i palestinesi si comportano con cieca aggressivita' - con attentati suicidi e lanci di Qassam - Israele rimane molto piu' forte di loro e ha ancora la possibilita' di influenzare enormemente il livello di violenza nella regione, di minimizzarlo, di cercare di annullarlo. La recente offensiva non mostra pero' che qualcuno dei nostri vertici politici abbia consapevolmente, e responsabilmente, afferrato questo punto critico. Arrivera' il giorno in cui cercheremo di curare le ferite che abbiamo procurato oggi. Ma quel giorno arrivera' davvero se non capiremo che la forza militare non puo' essere lo strumento con cui spianare la nostra strada dinanzi al popolo arabo? Arrivera' se non assimileremo il significato della responsabilita' che gli articolati legami e i rapporti che avevamo in passato, e che avremo in futuro, con i palestinesi della Cisgiordania, della striscia di Gaza, della Galilea, ci impongono? Quando il variopinto fumo dei proclami di vittoria dei politici si dissolvera', quando finalmente comprenderemo il divario tra i risultati ottenuti e cio' che ci serve veramente per condurre un'esistenza normale in questa regione, quando ammetteremo che un intero Stato si e' smaniosamente autoipnotizzato perche' aveva un estremo bisogno di credere che Gaza avrebbe curato la ferita del Libano, forse pareggeremo i conti con chi, di volta in volta, incita l'opinione pubblica israeliana all'arroganza e al compiacimento nell'uso delle armi. Chi ci insegna, da anni, a disprezzare la fede nella pace, nella speranza di un cambiamento nei rapporti con gli arabi. Chi ci convince che gli arabi capiscono solo il linguaggio della forza ed e' quindi quello che dobbiamo usare con loro. E siccome lo abbiamo fatto per cosi' tanti anni, abbiamo dimenticato che ci sono altre lingue che si possono parlare con gli esseri umani, persino con nemici giurati come Hamas. Lingue che noi israeliani conosciamo altrettanto bene di quella parlata dagli aerei da combattimento e dai carri armati. Parlare con i palestinesi. Questa deve essere la conclusione di quest'ultimo round di violenza. Parlare anche con chi non riconosce il nostro diritto di vivere qui. Anziche' ignorare Hamas faremmo bene a sfruttare la realta' che si e' creata per intavolare subito un dialogo, per raggiungere un accordo con tutto il popolo palestinese. Parlare per capire che la realta' non e' soltanto quella dei racconti a tenuta stagna che noi e i palestinesi ripetiamo a noi stessi da generazioni. Racconti nei quali siamo imprigionati e di cui una parte non indifferente e' costituita da fantasie, da desideri, da incubi. Parlare per creare, in questa realta' opaca e sorda, un'alternativa, che, nel turbine della guerra, non trova quasi posto ne' speranza, e neppure chi creda in essa: la possibilita' di esprimerci. Parlare come strategia calcolata. Intavolare un dialogo, impuntarsi per mantenerlo, anche a costo di sbattere la testa contro un muro, anche se, sulle prime, questa sembra un'opzione disperata. A lungo andare questa ostinazione potrebbe contribuire alla nostra sicurezza molto piu' di centinaia di aerei che sganciano bombe sulle citta' e sui loro abitanti. Parlare con la consapevolezza, nata dalla visione delle recenti immagini, che la distruzione che possiamo procurarci a vicenda, ogni popolo a modo suo, e' talmente vasta, corrosiva, insensata, che se dovessimo arrenderci alla sua logica alla fine ne verremmo annientati. Parlare, perche' cio' che e' avvenuto nelle ultime settimane nella striscia di Gaza ci pone davanti a uno specchio nel quale si riflette un volto per il quale, se lo guardassimo dall'esterno o se fosse quello di un altro popolo, proveremmo orrore. Capiremmo che la nostra vittoria non e' una vera vittoria, che la guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor piu' i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondita' della trappola in cui siamo imprigionati. 5. RIFLESSIONE. IL SOGNO DI MARTIN LUTHER KING Domani ragioneremo su cio' che Obama dovrebbe fare, e come. Ed ancor piu' dovremo ragionare su cio' che noi dobbiamo fare, noi che non deleghiamo ad altri la lotta per la dignita' e i diritti di ogni essere umano ma sappiamo che questa lotta ogni persona deve condurla in un comune impegno. Oggi godiamoci la felicita' di questo passo grande compiuto dal popolo americano, di aver eletto e di avere insediato un presidente della repubblica (la res publica, la cosa che e' di tutti) figlio del sogno di Martin Luther King. 6. INCONTRI. A FRASCATI IL 24 GENNAIO [Da Enrico Del Vescovo (per contatti: enricodelv at fastwebnet.it) riceviamo e diffondiamo] Sabato 24 gennaio, alle ore 18, all'Auditorium delle Scuderie Aldobrandini, in Piazza Marconi a Frascati (Roma) si svolgera' un incontro-dibattito con Paul Connett, scienziato, professore di chimica ambientale alla Saint Lawrence University di New York e promotore della rete internazionale "Rifiuti Zero". Tema dell'incontro: Emergenza rifiuti: il modello "Rifiuti Zero". Conduce Enrico Del Vescovo, presidente di Italia Nostra Castelli Romani e promotore dell'iniziativa. * Con tale iniziativa ci proponiamo di promuovere una nuova concezione delle merci, del consumo e dei rifiuti, per uno sviluppo sostenibile del pianeta e dell'essere umano. Riteniamo che il tema sia fortemente attuale, visto le recenti vicende in Campania (e non solo), ma anche vista la minaccia incombente di prossima costruzione di un impianto di incenerimento nei pressi del comune di Albano Laziale. Il professor Paul Connett, candidato al premio Nobel nel 2008, e' docente di chimica ambientale e tossicologica alla Saint Lawrence University di New York. Negli ultimi venti anni ha studiato le problematiche legate alla gestione dei rifiuti, con un'attenzione particolare ai pericoli derivanti dall'incenerimento dei rifiuti ed alle alternative di non combustione piu' sicure e piu' sostenibili. Da quindici anni cura la pubblicazione del bollettino "Waste not" (Rifiuti zero) ed e' considerato uno dei massimi esperti internazionali sulla gestione dei rifiuti. * Organizzano: Associazione culturale Alternativamente ed Italia Nostra Castelli Romani. Per informazioni: tel. 3331135131. 7. MEMORIA. MICHELE SARFATTI: COSI' L'ITALIA ESPORTO' LE LEGGI ANTISEMITE [Dal quotidiano "La Repubblica" del 19 dicembre 2008 col titolo "Cosi' l'Italia esporto' le leggi antisemite" e il sommario "L'influenza internazionale del fascismo nella campagna contro gli ebrei. Budapest e Bucarest, Tirana e la Spagna di Franco. Sono diversi i paesi che guardarono al modello italiano. Un terreno ancora da esplorare. Pubblichiamo parte dell'Introduzione di Michele Sarfatti al numero speciale de 'La rassegna mensile di Israel' sulle leggi antisemite del 1938"] Sulla legislazione antisemita del 1938 possiamo osservare che sono da tempo disponibili alcune indagini sulla reazione degli italiani antifascisti in Francia e un primo approfondimento sull'intera comunita' italiana negli Stati Uniti. Ma ci manca una panoramica generale dettagliata, tale cioe' da dare conto sia dell'insieme dei comportamenti nei vari paesi, sia delle tante specifiche vicende. Quasi nulla poi e' stato scritto sulle reazioni degli altri governi: gli alleati/alleandi tedesco e giapponese (quest'ultimo indubitabilmente "non ariano"), quelli sotto effettiva influenza italiana, quelli sui quali l'Italia intendeva esercitare influenza, quelli neutrali od ostili, quelli che rientravano nella classificazione di "semiti", pur se "non ebrei", quelli "latini" a tendenza autoritaria. Per comprendere quanto estesa possa essere l'utilita' di queste ricerche e riflessioni, basti richiamare alcune considerazioni sviluppate da Klaus Voigt, pur in un volume dedicato precipuamente al trattamento degli ebrei tedeschi nell'Italia fascista antisemita: "Non si e' finora riflettuto sui contraccolpi che la complicita' di Mussolini nella politica razziale ebbe sulla situazione degli ebrei in Germania. Con l'introduzione delle leggi razziali in Italia, l'alleanza veniva rafforzata al punto che Hitler poteva dare senz'altro inizio a una fase di piu' violenta persecuzione degli ebrei. Siamo quindi autorizzati a chiederci se il pogrom della 'notte dei cristalli', che ebbe luogo un mese dopo la seduta del Gran consiglio del fascismo, avrebbe assunto le stesse dimensioni se Hitler avesse dovuto ancora corteggiare Mussolini". La domanda e' stata formulata quasi venti anni or sono, le risposte non sono ancora pervenute. Il divieto radicale di celebrazione di matrimoni del "cittadino italiano di razza ariana" con "persona appartenente ad altra razza", inserito dal regime fascista nel decreto legge 17 novembre 1938 n. 1728, costitui' anche una notevole svolta nelle complesse relazioni tra regime fascista e Santa Sede. Infatti nel gennaio 1937 il governo aveva optato per non inserire tale divieto nel decreto legge sui "rapporti fra nazionali e indigeni" nelle colonie, motivando la decisione con "considerazioni di opportunita' in rapporto allo spirito informatore dei Patti Lateranensi". (...) Ebbene, questo nuovo divieto italiano, questo successo mussoliniano del novembre 1938, ebbe un'influenza grave e reale fuori d'Italia: venne infatti esplicitamente richiamato in occasione della sua introduzione in altri Paesi. Cosi', il 2 novembre 1940, mentre l'Ungheria si stava appunto predisponendo a varare tale normativa (nei confronti dei soli matrimoni tra "ariani" ed "ebrei"), il Nunzio a Budapest Angelo Rotta riferi' a Roma: "L'esempio poi dell'Italia riesce qui molto funesto". (...) Gli Stati europei sottoposti a una netta influenza italiana erano pochi, nonche' in genere piccoli e di limitato peso specifico. E pero' essi esistettero. Ne deriva che e' oggi legittimo e doveroso indagare quanto quell'influenza concernesse anche l'antisemitismo e il razzismo. In attesa che vengano sviluppate ricerche a carattere ampio e approfondito, si possono intanto richiamare alcuni documenti isolati, testimonianti volta a volta o l'intenzione del governo fascista di esportare la propria legislazione, o la volonta' degli altri governi di tenerne conto, almeno in parte. Ad esempio, poco prima dell'invasione italiana dell'Albania dell'aprile 1939, l'ambasciata di quel Paese a Roma comunico' a Tirana di avere "l'impressione che il governo italiano non vede di buon occhio la venuta degli ebrei nella nostra terra e tantomeno la loro sistemazione". Lo studioso che ha reperito il documento, Artan Puto, ritiene che i provvedimenti albanesi del 1938-1939 contro l'immigrazione di ebrei erano motivati piu' dalla volonta' di mostrarsi allineati all'Italia che dalla crescita dell'antisemitismo nella popolazione o nel governo. (...) Dalla parte opposta del Mediterraneo vi era la Spagna del vittorioso Francisco Franco, con il governo insediato a Burgos. Questo seguiva i nuovi avvenimenti della penisola con grande attenzione e non poche preoccupazioni, dipendendo dal sostegno italiano e necessitando altresi' di ottimi rapporti con la Santa Sede. Uno studio di Isidro Gonzales Garcia illustra in particolare due casi, entrambi concernenti persone battezzate e non italiane. Il primo, un avvocato ventottenne, intenzionato a lavorare presso la stessa compagnia assicuratrice che lo impiegava in Italia, venne ammesso. La seconda, una giovane che intendeva sposare un italiano non ebreo, da tempo combattente per Franco, no. Il motivo addotto per quest'ultima decisione e' proprio il divieto legislativo italiano di matrimoni "razzialmente misti". Pur essendo ella raccomandata da un vescovo italiano, nel suo caso Burgos scelse esplicitamente di non porsi in contrasto col regime fascista. (...) Tirana, Burgos e San Marino costituiscono un'area internazionale di influenza diretta decisamente modesta. Ma si e' detto che quella indiretta raggiungeva Budapest e Bucarest. Insomma, l'Italia di Mussolini ebbe un qualche ruolo nell'estensione della normativa antiebraica. Vale la pena di studiarlo e conoscerlo meglio. 8. LIBRI. FRANCO MARCOALDI PRESENTA "LA MORTE MODERNA" DI CARL-HENNING WIJKMARK [Dal quotidiano "La Repubblica" dell'8 gennaio 2009 col titolo "Quando la morte diventa utile" e il sommario "Un libro provocatorio dello svedese Wijkmark. Una questione terrificante: le societa' di massa dovranno quantificare anche le morti di cui hanno bisogno per far tornare i propri conti"] Se nelle societa' contemporanee, democratiche e di massa, tutto finisce per soggiacere a un'ideologia angustamente utilitarista, e' inevitabile che a un certo punto quel "tutto" includa anche il problema della morte. Per essere ancora piu' chiari; il consorzio sociale dovra' giungere alla quantificazione precisa delle morti di cui ha bisogno per far tornare i propri conti, si' che "giusta" risulti la proporzione tra la percentuale della popolazione produttiva e quella che non lo e' (vecchi, malati cronici, minorati mentali). Pena l'affondamento economico del paese. In estrema sintesi, e' questa la terrificante questione messa a tema dallo scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark ne La morte moderna (traduzione di Carmen Giorgetti Cima, postfazione di Claudio Magris, Iperborea, pp. 119, euro 11). L¥autore, per rendere piu' efficace il tratto indubitabilmente provocatorio della sua opera, sceglie la strada del "teatro", del "dramma". E a tal fine ci invita a partecipare a un ipotetico simposio a porte chiuse su "La fase terminale della vita umana", organizzato dal Fater, un comitato interno del Ministero degli Affari Sociali svedese, a cui partecipano esperti in campo sociologico e teologico, filosofico e biologico. Il direttore Bert Persson espone con flautata brutalita' i termini della questione: "La piramide demografica ha attualmente la forma di un sigaro, ma se tutto continuera' a procedere come ha fatto finora, rischia di passare rapidamente a quella di un fungo. I bambini di cui ci privano gli aborti, ce li ritroviamo moltiplicati per tre sotto forma di anziani improduttivi al vertice della piramide. Uno svedese su quattro e' in pensione di anzianita', e uno su otto in eta' produttiva e' in pensionamento anticipato. Il settantacinque per cento dei costi della Sanita' va alla cura di malati cronici o senza speranza, in un settore in cui il tetto e' stato raggiunto e sfondato da piu' di quindici anni". I politici, naturalmente, tacciono: perche' i voti dei pensionati fanno gola a tutti. Ma se ben indirizzati, saranno proprio i vecchi e i pensionati a capire - presto o tardi - che c'e' un momento in cui bisogna farla finita. E proponendo la stessa data per tutti si arrivera', democraticamente, alla formula dell'"obbligo volontario". Il che consentira' finalmente di ridurre i problemi dell'assistenza medica e di evitare scelte arbitrarie su chi e perche' e come salvare nella massa sempre piu' esorbitante di infartuati o di malati in dialisi. Se poi si riuscisse, argomentano ancora gli uomini del Fater, a superare la riluttanza dei familiari nel cedere alla comunita' i corpi senza vita delle persone care, si potrebbero mettere in atto anche delle grandi "stazioni terminali" per il riciclaggio dei cadaveri, con impensati benefici per lo sviluppo (anche in termini occupazionali) dell'industria farmaceutica e dei concimi. A ben vedere, conclude il moderatore, questa idea "non implica in qualche modo la realizzazione di uno dei sogni piu' antichi dell'umanita': la definitiva integrazione sociale della morte? Dall'altra parte del confine non ci attendono piu' potenze ignote, ma un ulteriore contributo alla comunita' in cui siamo vissuti (...) Questa morte asettica e inodore nella cella frigofera della stazione terminale - non e' forse la morte moderna nel vero senso della parola? E tutti seguiamo lo stesso cammino, non alcuni nelle fiamme e altri nella terra. Macinati, ridotti in polvere fine, saremo sparsi su vasti campi della societa' e le daremo nutrimento". L'unica voce dissonante in questo agghiacciante consesso di pianificazione mortale democratica e' rappresentata da Roenning, lo scrittore che incarna i valori non negoziabili della vita umana. Le sue parole, improntate a un senso compassionevole di umanita' e giustizia, portano ovviamente il lettore tutto dalla sua parte. Ma ha ragione Magris nel sottolineare l'oggettiva debolezza di quelle nobili parole. Una volta infatti che l'idea di "utilita' collettiva" impone precisi tempi sociali anche alla morte (negando in tal modo la stessa, eventuale scelta individuale dell'eutanasia), il richiamo al valore irriducibile di ogni singola vita e di ogni singola morte, fatica a sostenere il confronto con chi si appella a una presunta razionalita' egualitaria di ordine meramente quantitativo. L'abilita' di Wijkmark sta esattamente in questo: nella capacita' di inscenare un irresolubile dramma incardinato in uno scenario futuribile (ma nient'affatto improbabile), dove un delirante imperativo economico, applicato a una perversa idea di controllo democratico che si impone anche nel passaggio ultimo dell'esistenza, finisce per azzittire quel che resta della tradizione umanista. "Come mi disse una volta un vecchio in un reparto di lunga degenza", commenta compiaciuto uno dei partecipanti al simposio. "Nasciamo tutti alla stessa eta', perche' non dovremmo morire alla stessa eta'?". 9. LIBRI. DANIELE PICCINI PRESENTA LE POESIE DI ADA NEGRI [Dal mensile "Letture", n. 594, febbraio 2003, col titolo "Il senso religioso di Ada Negri"] Ada Negri, Poesie, Mondadori, 2002, pp. 184, euro 7. * Tra i motivi che hanno determinato il progressivo oblio dell'opera poetica di Ada Negri - sui quali si ferma a riflettere Silvio Raffo nell'introduzione all'"Oscar" antologico Poesie - va sicuramente annoverato uno strenuo tradizionalismo nella forma (quasi sempre regolare e' la metrica della Negri, fino a un esempio di vera e propria canzone come il Ritorno a Motta Visconti, da Maternita', 1904) oltre a una propensione al canto spiegato, alla declamazione che pote' risultare, in simbiosi con un linguaggio arcaizzante, via via meno adatto a reggere l'urto dei tempi. Difficile non risentire negli inni della maestrina nata a Lodi nel 1870 gli echi di Carducci e quelli piu' prossimi di D'Annunzio, uniti a una tramatura pascoliana. Il fatto, pero', e' che la Negri tende da subito a vivere con trasporto e intima partecipazione anche le forme piu' compromesse storicamente e, in certo modo e con gradi diversi, a farvi rifluire sangue fresco. Certo colpisce leggere in un'opera dell'anno stesso degli Ossi montaliani, I Canti dell'isola (1925, anche se il frontespizio reca la data 1924), versi come questi: "Il gran corale del luglio sale in clangori di trombe d'oro / a tua gloria; ed il mare ti cinge di fiamme, o tirrena Valchiria". Siamo, proprio, su un binario morto dal punto di vista della storia formale della poesia novecentesca. Tuttavia c'e' una potenza di fondo nell'immaginazione e nella costruzione negriana che riesce, non cosi' di rado, a informare di vivezza e intensita' le stesse architetture fin troppo artificiose della sua poesia. E c'e' anche qualche tenace motivo, non di superficie, che attraversa un po' tutta la sua opera, carsicamente dapprima, erompendo poi alla luce sul finire. Se, infatti, le tematiche accesamente civili, protestatarie e intonate alla musa socialista delle prime raccolte come Fatalita' (1892) e Tempeste (1895) si rivelano al nostro orecchio superate e retoriche (del resto Raffo esclude quasi completamente questo versante), gia' dalle prime raccolte (e se non altro da Maternita') si fa strada nell'autrice il sentimento potente e corrusco della inesauribilita' e misteriosa scaturigine della vita. Una sensibilita', insomma, religiosa: se si vuole sonante e grandiosa ma sincera che, semmai, incontra qualche ostacolo alla propria vena prorompente proprio in quelle raccolte apparentemente piu' moderne nella forma (come Il libro di Mara, 1919), che invece risentono fortemente tanto di D'Annunzio quanto del verso salmodiante di Whitman risultando piu' scolastiche e manierate di altre. Si leggano alcuni testi di Vespertina (1930) come Il prato o I candelabri e si avra' nozione del corpo a corpo intrapreso dalla Negri con il mistero, esprimibile per lei soltanto nelle forme plastiche della tradizione (spiace la presenza in questa edizione di qualche errore tipografico nei testi: vedi pp. 69, 164, 169). La solitudine della poetessa, morta nel 1945, la sua sfortuna critico-editoriale recente (che a Raffo appare anche maggiore di quel che e', ignorando egli l'antologia Mia giovinezza, uscita da Rizzoli a cura di Davide Rondoni nel 1995) non toglie insomma nulla alla sua vitalita' e, se non e' dir troppo nel suo caso, al suo enigma. 10. RIEDIZIONI. GIORDANO BRUNO: IL TRIPLICE MINIMO E LA MISURA. LA MONADE, IL NUMERO E LA FIGURA. L'IMMENSO E GLI INNUMEREVOLI Giordano Bruno, Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L'immenso e gli innumerevoli, Utet, Torino 1980, Mondadori, Milano 2009, pp. 830, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Con un'ampia introduzione del curatore Carlo Monti (anche perspicuo traduttore di queste opere latine di Bruno), come pressoche' tutti gli scritti bruniani questi testi procedono a strappi e per variazioni, per accensioni e precipizi, toccate e fughe, e sono scritture sovente involute ed oscure ed enigmatiche e tediosissime a chi legge: pure vi senti il pulsare di una lotta, per affermare una vertiginosa verita' e per affermare se stessi, per aprire la via al nuovo sapere magari nella forma - labirintica e speculare, come direbbe quel bonaerense - di un ritorno dell'arcaico, sognato o immaginato, scilicet a un'antiquissima e insieme modernissima sapienza che aggetta sull'infinita' dei mondi e sull'unica umana dignita'. 11. RIEDIZIONI. EUCLIDE: GLI ELEMENTI Euclide, Gli elementi, Utet, Torino 1970, Mondadori, Milano 2009, pp. 1044, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Attilio Frajese e Lamberto Maccioni un classico - o forse dovremmo dire: il classico per eccellenza - del pensiero matematico classico. 12. RIEDIZIONI. JOHANN GOTTLIEB FICHTE: SCRITTI SULLA DOTTRINA DELLA SCIENZA Johann Gottlieb Fichte, Scritti sulla dottrina della scienza, Utet, Torino 1999, Mondadori, Milano 2008, pp. 990, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Alcuni testi fondamentali di Fichte, per le cure di Mauro Sacchetto. E se posso esprimere una modestissima personalissima opinione, a Fichte io credo che ancora non sia stata resa giustizia. 13. RIEDIZIONI. GIUSEPPE IMPASTATO: LUNGA E' LA NOTTE Giuseppe Impastato, Lunga e' la notte. Poesie, scritti, documenti, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2002, 2008, pp. 232, euro 10. E' la quarta edizione ampliata della raccolta degli scritti di Giuseppe Impastato a cura di Umberto Santino. Che vivamente raccomandiamo (suggerendo anche, per una futura edizione, di includervi una sezione bibliografica ragionata che ampli la bibliografia di p. 32 includendo oltre i libri anche gli articoli ed i saggi sparsi che siano di valore e utilita'). Per richieste: Centro Impastato, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it 14. RIEDIZIONI. LUCREZIO: LA NATURA DELLE COSE Lucrezio, La natura delle cose, Rizzoli-Rcs, Milano 1997, 2009, pp. 632, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Nella traduzione di Luca Canali, col testo latino a fronte, il commento di Ivano Dionigi e un'introduzione di Gian Biagio Conte. E' il capolavoro, io credo, della poesia latina. Ed uno dei capolavori di tutti i tempi. E una delle tante felicita' o delle scarse consolazioni della mia vita. 15. RIEDIZIONI. SENOFONTE: ANABASI Senofonte, Anabasi, Rizzoli-Rcs, Milano 1997, 2009, pp. 512, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Con un'introduzione di Italo Calvino, premessa, traduzione e note di Franco Ferrari, testo greco a fronte. Di Senofonte si parla sempre male, come dell'allievo superficiale di Socrate, del mercenario greco al servizio dei persiani, e cosi' via. Ma in primo luogo il Socrate di Senofonte non mi e' meno caro di quello di Platone - e di quello di Aristofane; in secondo luogo non e' affatto quel rozzo sempliciotto e quell'ambiguo avventuriero che si racconta ai ginnasiali per spaventarli; in terzo luogo e' ovvio che non sia ne' Tucidide ne' Erodoto, ma sfido chiunque a sostenere che l'Anabasi - che gia' prefigura i favolosi libri di viaggi e di avventure dei secoli che verranno, e quel che si chiamera' romanzo - non sia appassionante e che certe sue pagine ti fanno vibrare, e tremare (e chi lo nega mente per la gola). 16. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 18. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 707 del 21 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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