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Minime. 704
- Subject: Minime. 704
- From: Giacomo Alessandroni <g.alessandroni at peacelink.it>
- Date: Sun, 18 Jan 2009 11:12:09 +0100
- Organization: Associazione PeaceLink
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 704 del 18 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Cessate il fuoco 2. Barbara Spinelli: Il fardello 3. Moni Ovadia: Noi amici dei due popoli 4. Francesca Marretta intervista Jamal Zahalka 5. Annamaria Rivera: Esseri umani (2003) 6. "Keshet" 7. Aggiornato ed arricchito il sito www.coipiediperterra.org 8. Manuela Cartosio: Computer, internet, CO2 e rifiuti tecnologici 9. Dacia Maraini: Sotto la neve 10. Antonio Carioti presenta "Una ragionevole strage" di Mireille Horsinga-Renno 11. La newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino 12. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CESSATE IL FUOCO Mentre scriviamo giunge l'annuncio del governo israeliano di un "cessate il fuoco" unilaterale. E' un primo necessario passo. Cessino le uccisioni, si soccorrano i superstiti, si avvii un percorso di pace, di ricostruzione, di riconoscimento della dignita' e dei diritti di tutte e tutti, che porti al piu' presto alla nascita dello stato di Palestina, sovrano e democratico, al fianco dello stato di Israele, sicuro e democratico; un percorso di pace fondato sul rispetto di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani. La guerra e' nemica dell'umanita'. Ogni essere umano ha diritto alla vita, una vita sicura, degna, solidale. La nonviolenza e' la via. 2. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: IL FARDELLO [Dal quotidiano "La stampa" dell'11 gennaio 2009 col titolo "Il fardello dell'uomo israeliano"] Non molto tempo prima dell'offensiva contro Gaza, il premier israeliano Ehud Olmert pose a se stesso e al proprio popolo una domanda gelida, senza precedenti. Una domanda non concernente i valori e la morale, ma la pura utilita'. Era il 29 settembre, e in un'intervista a "Yedioth Ahronoth" denuncio' quarant'anni di cecita': quella d'Israele e la propria. Disse che era arrivato il momento, non rinviabile, in cui lo Stato doveva mutare natura e scegliere come vivere e sopravvivere: se guerreggiando in permanenza, o cercando la pace coi vicini. Non nego' le colpe di Hamas e di molti Stati arabi, ma invito' i connazionali a concentrarsi sul "proprio fardello di colpa". Il fardello consisteva negli automatismi del pensiero militarizzato: "Gli sforzi di un primo ministro devono puntare alla pace o costantemente aspirare a rendere il paese piu' forte, piu' forte, piu' forte, con l'obiettivo di vincere una guerra?". Aggiunse che personalmente non ne poteva piu' di leggere i rapporti dei propri generali: "Possibile che non abbiano imparato assolutamente nulla? Per loro esistono solo i carri armati e la terra, il controllo dei territori e i territori controllati, la conquista di questa e quella collina. Tutte cose senza valore". L'unico valore da ritrovare era la pace, perseguibile a un'unica condizione: liquidando le colonie, restituendo "quasi tutti se non tutti i territori", dando ai palestinesi "l'equivalente di quel che Israele terra' per se'". Alla Siria andava reso il Golan, ai palestinesi parte di Gerusalemme. Cosi' parlo' il primo ministro d'Israele, non un preconcetto nemico dello Stato ebraico e del suo popolo. Da queste parole sembra passato un tempo enorme e oggi non sono che fumo e fame di vento, come nel Qohelet. Allora l'opportunita' era imperativa, vicina. Nemmeno tre mesi dopo, la guerra e' decretata "senza alternative". Allora Olmert pareva ascoltare gli intellettuali contrari alle soluzioni belliche: da Tom Segev a Gideon Levy a Abraham Yehoshua che tra i primi, su "La Stampa", ha invocato negli ultimi giorni la tregua. Tre mesi dopo il pensiero militarizzato si riaccende e il dissenso si dirada. Non restano che Segev, Gideon Levy, Yossi Sarid. Perfino Yehoshua considera vana una reazione proporzionata ai missili di Hamas "perche' la capacita' di sopportazione e resistenza dei palestinesi e' infinitamente superiore a quella degli israeliani". La domanda gelida di Olmert, a settembre, era la seguente e resta valida: "Che faremo, dopo aver vinto una guerra? Pagheremo prezzi pesanti e dopo averli pagati dovremo dire allíavversario: cominciamo un negoziato". Secondo Olmert, Israele era a un bivio: "Per quarant'anni abbiamo rifiutato di guardare la realta' con occhi aperti (...). Abbiamo perso il senso delle proporzioni". Non poche cose s'intuiscono, anche se ai giornalisti e' vietato il teatro di guerra. Quel paesaggio che da giorni vediamo sugli schermi, alle spalle dei reporter, e' praticamente tutta Gaza: non piu' di 40 chilometri di lunghezza, 9,7 chilometri di profondita'. Con 360 chilometri quadrati, Gaza e' piu' piccola di Roma e abitata da 1,5 milioni di palestinesi. Inevitabile che in un lembo cosi' minuscolo i civili abbattuti siano tanti (meta' degli uccisi, secondo alcuni). Inevitabile chiedersi se i governanti israeliani non persistano nella cecita', quando negano che la loro guerra sia contro i civili e un disastro umanitario. Israele ha serie ragioni da accampare: i missili di Hamas sulle citta' del Sud, da anni e malgrado il ritiro unilaterale voluto da Sharon nel 2005, generano angoscia e collera indicibile, anche se i morti non sono molti. Ma ci sono cose non dette, in chi giustamente s'indigna: cose che questi ultimi nascondono a se stessi, dure da ammettere, non vere. Non e' vero, innanzitutto, che lo Stato israeliano reagisca senza voler penalizzare i civili. Bersagliando i luoghi da cui partono i missili di Hamas, esso sa che subito Hamas e i missili si sposteranno altrove, e che in quei luoghi non resteranno che i civili: vecchi, donne, bambini. Lo dicono essi stessi, ai giornalisti: "Quando parte un missile vicino alle nostre case, scuole, moschee, sappiamo che non Hamas sara' colpito, ma noi". La domanda e' tremenda: come spiegare agli abitanti di Gaza la differenza con rappresaglie che, come a Marzabotto, sacrificarono centinaia di civili al posto di introvabili partigiani? Secondo: non e' vero che non esistessero alternative all'attacco aereo e terrestre. Se la tregua con Hamas non ha funzionato, e' perche' mai inizio' veramente. Perche' i coloni avevano evacuato la Striscia ma Israele manteneva il controllo dei cieli, del mare, dei confini. Il cessate il fuoco negoziato a giugno prevedeva la fine del lancio di missili palestinesi ma anche la rimozione del blocco di Gaza, imputabile a Israele. I missili sono diminuiti, anche se non scomparsi: ne cadevano a centinaia tra maggio e giugno, ne son caduti meno di 20 nei quattro mesi successivi. Nulla invece e' accaduto per il blocco. Questo e' il "fardello di colpe" israeliane, non piccolo, e ancora una volta la geografia aiuta a capire. Dice il governo d'Israele che dal 2005 Gaza appartiene ai palestinesi, ma che non e' servito a nulla. E' falso anche questo, perche' Gaza essendo priva di autonomia non e' messa alla prova. Non le manca solo il controllo dell'aria, del mare. Ci sono sei punti di passaggio che dovrebbero consentire il transito di cibo, acqua, elettricita', uomini (lungo la frontiera con Israele il valico Erez a Nord, i valichi Nahal Oz, Karni, Kissufim, Sufa a Est; ai confini con l'Egitto il valico Rafah) e tutti sono chiusi. Per una briciola come Gaza e' impossibile vivere senza rapporti coll'esterno, ed essi sono bloccati da quando Hamas ha vinto le elezioni e rotto con Fatah. Anche in tal caso un'intera popolazione paga per i politici, e quando il cardinale Martino parla di campo di concentramento (altri parlano di prigione a cielo aperto) non s'allontana dai fatti. I tunnel servono a contrabbandare armi, e' vero. Ma anche a trasportare cibo, medicine, pezzi industriali di ricambio. Il disastro umanitario a Gaza non comincia oggi. E quel milione e mezzo e' li' perche' cacciatovi dall'esercito israeliano nel '48. La punizione e' parola chiave, in numerose guerre israeliane. Ma la punizione en masse dei civili non punisce in realta' nessuno, e accresce ire omicide nei contemporanei e nei discendenti. E' una sorta di vendetta esibita. E' guerra terapeutica che libera da inibizioni morali, guerra fatta per roteare gli occhi, scrive Yossi Sarid ("Haaretz", 9 gennaio). E' non solo feroce, ma vana. I missili di Hamas continuano a colpire e hanno addirittura allungato la gittata: ormai colpiscono Beer Sheva (36 chilometri dalla centrale atomica di Dimona) e la base di Tel Nof (27 chilometri da Tel Aviv). Gaza e Cisgiordania sono piu' che mai interdipendenti. Quel che accade in Cisgiordania ha pesato amaramente su Gaza, e pesa ancora. In questo caso si': non c'e' alternativa alla decolonizzazione e al ritiro. Anche Israele, come tanti imperi, deve passare di qui. Deve smettere di separare i teatri d'azione: di edificare nuove colonie ogni volta che negozia o ogni volta che guerreggia su altri fronti, in Libano o a Gaza. E' quello che teme anche oggi Dror Etkes, coordinatore dell'associazione israeliana Yesh Din (volontari per i diritti umani): "Posso certificare che proprio in queste ore stanno spianando terre in Cisgiordania per una nuova colonia presso Etz Efraim, e per un avamposto presso Kedumim". In un libro di Idith Zertal e Akiva Eldar (Lords of the Land, New York 2007) e' scritto che la pace e' irraggiungibile se non si riconosce che ogni singola colonia, e non solo i cosiddetti avamposti illegali, viola la legge internazionale; se non ci si spoglia dell'ossessione delle armi e delle terre idolatrate, che Olmert stesso ha denunciato poche settimane fa. 3. RIFLESSIONE. MONI OVADIA: NOI AMICI DEI DUE POPOLI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 17 gennaio 2009 col titolo "Il fardello delle proprie colpe"] Nei giorni scorsi sulla "Stampa" di Torino e' apparso un articolo a firma di Barbara Spinelli che dovrebbe essere letto da tutti coloro che vivono con dolore ed angoscia il conflitto che ha come teatro Gaza e i territori israeliani al suo confine. Lo scritto della Spinelli appassionato e lungimirante riporta le parole sconcertanti - sicuramente sfuggite ai piu' - di un Ehud Olmert insolito riprese da un intervista rilasciata dal primo ministro israeliano il 29 settembre 2008 a "Yedioth Aharonot", il principale quotidiano in Israele. In sintesi Olmert nell'intervista invitava la politica israeliana a concentrarsi sul proprio fardello di colpe, non per negare le colpe degli altri attori del conflitto, ma per abbandonare la logica ottusa e ossessiva della forza militare, per ritrovare l'unico vero valore: la pace, perseguibile solo al prezzo di smantellare le colonie e di restituire quasi tutti se non tutti i territori, compresa una parte di Gerusalemme ai palestinesi. Olmert riconosceva anche una certa cecita' israeliana con questi accenti: "Per quarant'anni abbiamo rifiutato di guardare la realta' con gli occhi aperti". Noi, amici dei due popoli e per questo solidali con i palestinesi non contro Israele, ma perche' Israele abbia un futuro di pace e non di gendarme di un popolo in una gabbia e di signore della distruzione, da lustri cerchiamo di spezzare le cecita' di una visione ottusamente nazionalista e succube dei coloni piu' estremisti per sollecitare a trovare la via del dialogo anche con Hamas invece che pretendere di cancellare con la forza una formazione politica democraticamente eletta. Molto piu' efficace sarebbe per contrastare democraticamente Hamas liberare dalle carceri israeliane Marwan Barghouti, forse l'unica figura di palestinese laico attualmente in grado di restituire credibilita' a Fatah e firmare una pace definitiva con Israele. 4. DOCUMENTAZIONE. FRANCESCA MARRETTA INTERVISTA JAMAL ZAHALKA [Dal quotidiano "Liberazione" del 17 gennaio 2009 col titolo "Jamal Zahalka presidente del partito Balad: Arabi fuori dalle elezioni. Questa e' politica razzista"] Gerusalemme. Mentre a Gaza non si ferma l'offensiva israeliana, nello Stato ebraico procede la macchina elettorale, in vista del voto per le elezioni politiche il prossimo dieci febbraio. Lunedi' scorso, il comitato elettorale della Knesset (il parlamento israeliano), su richiesta della coalizione di estrema destra, Ichud Leumi - Israel Beiteneu ed il partito centrista Itay Furman (ex Shinui), ha votato l'esclusione dei due partiti arabi di Israele Balad (Assemblea Nazionale Democratica della minoranza araba) e Taal (Lista Araba Unita), dalle ormai imminenti elezioni. Le due formazioni arabe sono state accusate di non riconoscere Israele come Stato ebraico e sostenere la lotta armata. Contro il provvedimento si sono schierati solo il partito di sinistra Meretz, che ha votato contro, ed il partito di sinistra a componente araba ed ebraica israeliana, Hadash (Fronte democratico per la pace e l'uguaglianza), che ha lasciato l'aula al momento del voto. La decisione di escludere i due partiti arabi e' stata presa dopo una acceso dibattito parlamentare, in cui sono volati pesanti insulti incrociati: "Ogni voto dato a Kadima e' una pallottola nel petto di un bambino palestinese" ha inveito contro i colleghi deputati in aula il leader della Lau, Ahmed Tibi, accusando Israele di essere "un paese razzista". Tibi ha dichiarato nella stessa seduta: "Gli arabi sono abituati a questo tipo di lotte e ne verranno fuori vincitori". Il presidente di Balad, Jamal Zahalka, si e' detto non sorpreso dalla decisione del comitato elettorale, dal momento "che si e' votato per ragioni politiche in un'atmosfera di guerra". Nelle ultime settimane erano state sottoposte alla Knesset tre diverse richieste per impedire al partito Balad, che conta attualmente tre seggi in parlamento, di presentarsi alle prossime elezioni. Balad ha presentato ricorso in appello all'Alta Corte di Giustizia per rovesciare il verdetto della Commissione elettorale centrale del Parlamento israeliano. Il Tribunale si pronuncera' la prossima settimana. "Ma in questo clima di guerra, non c'e' da aspettarsi nulla che riporti il paese al rispetto delle regole della democrazia", ha dichiarato a "Liberazione" Jamal Zahalka. * - Francesca Marretta: Che impatto avrebbe l'esclusione delle liste arabe dalla partecipazione alle elezioni? - Jamal Zahalka: Questa decisione e' stata presa da un comitato politico, il comitato elettorale centrale, che rappresenta tutte le forze presenti in Parlamento. Mettendo le componenti arabe nell'angolo credono di guadagnarsi a buon mercato il consenso di coloro che nel paese sono favorevoli a questa guerra, a spese dei palestinesi che vivono in Israele. Se l'Alta Corte dovesse avallare questo tentativo antidemocratico di tagliarci fuori dalle elezioni non esisterebbe piu' una rappresentanza in Parlamento della parte araba della popolazione di Israele. Noi vogliamo partecipare democraticamente al voto, ma se ci sara' impedito inviteremo al boicottaggio del voto tutta la parte araba del paese. Dal punto di vista legale l'Alta corte dovrebbe bocciare questa decisione della Commissione elettorale, ma io credo che nell'ombra di questa guerra il clima sia poco propizio per la democrazia e i diritti delle minoranze. * - Francesca Marretta: Sostenete Hamas, nel cui statuto si invoca la distruzione di Israele, come dice la maggioranza dei parlamentari israeliani? - Jamal Zahalka: Ci accusano di sostenere Hamas. La verita' e' che noi sosteniamo il popolo palestinese. Sosteniamo il diritto alla vita dei bambini palestinesi. Israele ne ha uccisi piu' di trecento in venti giorni di guerra. Noi pensiamo che Hamas faccia parte dell'arena politica palestinese. E sosteniamo che debba tornare all'unita' con Fatah. Noi non vogliamo il dominio di Hamas a Gaza, ma che i palestinesi ritornino ad un assetto istituzionale comune. Non siamo sionisti, ma siamo figli di questo paese, siamo nati qui. La verita' e' che le accuse che ci vengono mosse sono uno dei tanti aspetti della profonda crisi che esiste tra lo Stato di Israele e la componente araba della propria popolazione. Il premier Olmert, Barak e il capo di Stato Maggiore della difesa per noi si sono resi responsabili di crimini di guerra. * - Francesca Marretta: Come guardate al modo in cui l'Anp sta gestendo la crisi? - Jamal Zahalka: Non siamo affatto soddisfatti dell'atteggiamento dell'Anp. Potrebbe fare molto di piu', assumere toni molto piu' forti. Da quando e' cominciata l'aggressione a Gaza la gente scende in piazza a gridare la propria rabbia e i servizi di sicurezza dell'Anp reprimono le manifestazioni. * - Francesca Marretta: Qual e' il vostro orientamento sul ruolo dell'Egitto? - Jamal Zahalka: L'Egitto e' corresponsabile per l'isolamento di Gaza. Potrebbe aprire la frontiera di Rafah, ma non lo fa. * - Francesca Marretta: La decisione di escludere le liste arabe dalle elezioni trova consenso in Israele? - Jamal Zahalka: La decisione presa dalla commissione in parlamento riflette decisamente quello che accade nella societa' israeliana. Ma l'opinione pubblica israeliana dovrbbe capire che quello che accade oggi e' che uno come Lieberman (leader di Israel Beiteneu, partito russofono di estrema destra - ndr), un fascista, decide cio' che e' consentito o meno nella vita politica del paese, e capire davanti a quale minaccia per la democrazia ci troviamo. Lieberman e' il barometro del razzismo nella societa' israeliana. Quando si rafforza vuol dire che la societa' e' piu' intollerante. * - Francesca Marretta: Se l'Alta Corte avallera' la decisione della commissione elettorale, come vi organizzerete? - Jamal Zahalka: Credo che ci sara' un boicotaggio di massa delle elezioni da parte della comunita' palestinese. E a questo punto ci organizzeremo per avere un parlamento separato per i palestinesi in Israele. * - Francesca Marretta: Ma come potreste ottenerne il riconoscimento? - Jamal Zahalka: Credo che intanto possiamo crearlo. Ne abbiamo il diritto. In quanto minoranza araba in Israele sceglieremo indipendentemente la nostra leadership. Non ci resta altra scelta dato che ci viene impedito in maniera antidemocratica di partecipare democraticamente alle elezioni. Creeremo un parlamento arabo separato in Israele, in maniera indipendente e volontaria e ne chiederemo il riconoscimento al mondo arabo all'Europa e agli Stati Uniti. * - Francesca Marretta: Cosa accadra' tra popolazione araba di Israele e il resto del paese se la destra vincera' le prossime elezioni? - Jamal Zahalka: Vede, in Israele per vedere la differenza tra destra e sinistra bisogna munirsi di una lente di ingrandimento. E Livni e Barak, per quello che abbiamo visto con questa guerra, hanno dimostrato di essere piu' crudeli della destra estrema. 5. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: ESSERI UMANI (2003) [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo, apparso sul quotidiano "Liberazione" nel gennaio 2003] La querelle sulla "pigra sedimentazione antisemita" nella sinistra, per dirla con le parole di Umberto Terracini (1972), e' vecchia almeno quanto il Bebel che definiva l'antisemitismo come "il socialismo degli imbecilli". Quella querelle e' destinata a rinnovarsi allorche', per citare ancora il grande dirigente comunista, il corso della storia attraversa congiunture confuse e difficili, e "torbidi mulinelli" sollevano dal profondo quel sedimento latente. E tuttavia e' indubbio che cio' che ha sempre connotato la sinistra italiana - e ancora di piu' la connota oggi - e' la sua capacita' di riconoscere le manifestazioni (sempre limitate al piano del discorso) di quella "pigra sedimentazione" e di interrogarsi, spesso anche spietatamente, sui modi del suo superamento. Certo, non bastano l'ideologia antirazzista e la radicata cultura antifascista ad avere ragione di una cultura nazionale della quale sono parte le vecchie radici dell'antisemitismo cristiano. Dopo questa premessa troppo sintetica, almeno una cosa va detta riguardo chi oggi lancia l'intollerabile accusa di antisemitismo all'intero schieramento che sostiene le risoluzioni dell'Onu sulla Palestina e attivamente si adopera per aprire qualche spiraglio di pace. Come argomentava il grande Adorno, il pregiudizio antiebraico e' una delle mutevoli forme storiche del pregiudizio; e questo ha un carattere funzionale, indipendente dal suo oggetto empirico. Dunque, l'antisemitismo lo si sconfigge davvero solo indagando e avversando le cangianti e multiformi espressioni del pregiudizio e del razzismo. A questo proposito, troppo lungo sarebbe il catalogo delle nefandezze - non solo sul piano del discorso, ma anche, e quanto, su quello delle azioni - che connotano il passato e il presente di coloro che oggi straparlano di un antisemitismo "radicato a sinistra". Per parlare solo dell'oggi, conviene chiedersi quale patente antirazzista possa esibire quello schieramento politico che, per citare solo uno fra i tanti esempi possibili, nell'autunno del 2000 si rese autore della profanazione con orina di maiale del terreno concesso dal comune di Lodi per edificare una moschea: compiuto dalla Lega Nord insieme a gruppi neonazisti e ad altre componenti della "Casa delle liberta'", quel gesto riprendeva lo stile, la semantica, l'oscena ritualita' derisoria proprie dell'antisemitismo. Ancora uníosservazione. In tempi di memoria corta, conviene rammentare, se non la grande questione dello stretto intreccio fra la storia dei comunisti e quella dell'ebraismo e della difesa delle minoranze ebraiche, almeno la piccola cronaca recente: alcuni anni fa, l'intento dell'allora sindaco Rutelli di dedicare una piazza romana a Giuseppe Bottai, uno dei piu' sinistri figuri del regime fascista, fu sconfitto dalla convergenza fra la comunita' ebraica romana e le stesse associazioni antirazziste che oggi manifestano in favore dei diritti del popolo palestinese; e, successivamente, la vigorosa protesta contro la visita di Haider fu possibile grazie alla mobilitazione che vide insieme gli ebrei romani e un segmento importante di quello che oggi e' il movimento "no-global". Cio' detto, dobbiamo adoperarci in ogni modo per impedire che anche la rappresentazione del conflitto israelo-palestinese venga artatamente ingabbiata nella rozza quanto efficace logica binaria dello scontro fra civilta': da una parte l'Occidente moderno e democratico, dall'altra il mondo premoderno del fanatismo e del terrorismo. Contro le semplificazioni brutali, tocca a noi distinguere, argomentare, precisare; e avversare lo slittamento semantico, ormai dilagante nei media, per cui i palestinesi divengono i "musulmani" o gli "arabi", e gli israeliani "gli ebrei": una deriva che mira a etnicizzare se non a razzializzare il conflitto. Dovremmo sempre ricordare che non sono le religioni ne' le culture ad alimentare il fuoco dei conflitti; che anzi le rappresentazioni identitarie, religiose o peggio razziali dei conflitti vogliono occultare le reali responsabilita' e interessi politici, economici e territoriali che vi stanno dietro. Non e' vero che quando la situazione e' disperata, quando l'impietosa escalation della guerra sembra invincibile, le parole sono un lusso. Le parole non sono mai un lusso: il linguaggio scava nelle menti, modifica e deforma la realta', lentamente e inesorabilmente impone agli eventi quell'impercettibile sequenza di scarti che ne determina svolte che ci appaiono improvvise. Oggi che, come altre volte - quante volte, in Ruanda, in Jugoslavia, in Kosovo, lo abbiamo visto all'opera questo meccanismo maledetto - si affaccia la tentazione di declinare in termini identitari, etnici o addirittura razziali un conflitto e un'aggressione feroce che hanno radici squisitamente politiche, proprio oggi, alle parole, ai segni, ai simboli, alle immagini dovremmo prestare molta attenzione. Non e' affatto l'invito a usare un linguaggio neutro ed esangue o, peggio, a scegliere una posizione equidistante fra aggressori e aggrediti. Al contrario, se ci si vuole schierare con limpida fermezza dalla parte delle vittime, se si vuole allargare e rendere piu' incisiva la protesta contro la politica feroce e dissennata del governo israeliano, occorre essere severi tanto verso la logica dominante dello "scontro fra civilta'" quanto verso l'idiozia minoritaria di quei pochi che, per rozzezza, ignoranza, smemoratezza o per il gusto di spararla grossa, usano slogan e simbologie che echeggiano - benche' essi lo ignorino - quelle del revisionismo. Per quanto marginale esso sia all'interno del grande movimento contro l'occupazione armata del territorio palestinese e per "due popoli, due Stati", non e' tollerabile, dicevo, il linguaggio che definisce "nazista" quella che e' una spietata strategia coloniale, che associa la stella di David alla svastica, che bolla come "Stato di assassini", scritto con la doppia esse di nefasta memoria, il governo di Sharon e la sua politica di aggressione e di morte. Insomma, occorre rifiutare tutte le perversioni semantiche che declinano il conflitto in termini di essenze immutabili - etniche, razziali e comunque sottratte alla storia -, quasi vi fosse un'essenza araba in eterno e immemorabile conflitto con un'essenza ebraica. Usare in modo totalizzante e indifferenziato la categoria di "ebrei" (non distinguendo fra Stato, governo, cittadini di Israele, cittadini di religione o di cultura ebraica di altri paesi) finisce per configurare uno stereotipo razzialista. E, dall'altra parte, l'uso altrettanto arbitrario della categoria di "terroristi" o di "antisemiti" per denotare in sostanza l'intera popolazione palestinese e chiunque si opponga al suo annientamento - morale e politico, se non fisico - appartiene allo stesso ordine di discorso e concorre a disumanizzare le vittime e a screditare chi sta dalla loro parte. Di fronte a una guerra che, come ogni guerra, si accompagna a un potente meccanismo di manipolazione e di falsificazione, per quel poco che ci e' dato di fare, dovremmo usare parole e compiere atti che restituiscano al conflitto la sua dimensione storica e politica, e rendano a ognuno la propria umanita': conferendo pari valore alle vittime civili palestinesi e israeliane e adoperandosi per una risoluzione del conflitto che sia liberazione della popolazione palestinese come di quella israeliana. 6. RIVISTE. "KESHET" "Keshet. Vita e cultura ebraica" e' una delle migliori riviste che si stampano oggi in Italia. La dirige Bruno Segre, un maestro di rigore intellettuale e morale, e non vi e' fascicolo che io non trovi ammirevole e nutriente, un contributo prezioso alla cultura della pace. Per informazioni e contatti: direzione ed amministrazione, Galleria del Corso 4, 20122 Milano, tel. 0276016354, fax: 0276317246, e-mail: keshet at libero.it, sito: www.keshet.it 7. STRUMENTI. AGGIORNATO ED ARRICCHITO IL SITO www.coipiediperterra.org www.coipiediperterra.org - il sito del comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti - e' stato nuovamente aggiornato ed arricchito di ulteriori materiali di informazione, documentazione, riflessione. Nel sito sono stati inseriti gli ultimi fascicoli e sono disponibili tutti quelli fin qui usciti (oltre centocinquanta) del notiziario "Coi piedi per terra": notiziario su cui sono apparsi anche numerosissimi interventi di illustri personalita' del dibattito scientifico e culturale e approfonditi materiali di documentazione. * Il sito contiene sezioni di testi in italiano e in inglese. Sono presenti nel sito sezioni specifiche che presentano comunicati, relazioni, interviste, bibliografie e sitografie, una documentazione fotografica di alcune iniziative del comitato. E ancora: link utili e siti amici, e un'ampia cronologia. In evidenza nella home page vi sono alcune comunicazioni intercorse tra il comitato e varie autorita' istituzionali. Il sito ospita anche uno spazio dell'Isde di Viterbo (l'Isde e' la prestigiosa Associazione italiana medici per l'ambiente - International Society of Doctors for the Environment Italia) che reca anche vari materiali in ricordo dell'illustre scienziato Lorenzo Tomatis. Di particolare interesse un'ampia sezione di testi di studio, che presenta anche opere integrali di Gunther Anders, Piero Calamandrei, Aldo Capitini, Susan George, Martin Luther King, Alexander Langer, Primo Levi, Giulio A. Maccacaro, Jean-Marie Muller, Vandana Shiva, ed ancora altre autrici ed altri autori. * Il sito www.coipiediperterra.org e' uno strumento di informazione e documentazione a disposizione di tutte le persone interessate all'impegno in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti. 8. MONDO. MANUELA CARTOSIO: COMPUTER, INTERNET, CO2 E RIFIUTI TECNOLOGICI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 gennaio 2009 col titolo "Google emette CO2"] Anche Google inquina e un fisico statunitense si e' preso la briga di misurare quanta anidride carbonica contribuiamo ad emettere ogni volta che interroghiamo il motore di ricerca piu' grande del mondo. 7 grammi di C02, sostiene Alex Wissner-Gross, dell'universita' di Harvard. Per rendere piu' percepile l'impatto ambientale del googling, il professore fa l'esempio di un bollitore elettrico che per scaldare l'acqua necessaria per farsi una tazza di te' emette 15 grammi di CO2, poco piu' di quella emessa da due ricerche su Google. Sembra un'inezia, un peccato veniale. Pero' il peccato ambientale va moltiplicato ogni giorno per 200 milioni, quante sono le ricerche effettuate su Google. Wissner-Gross ha anche calcolato che ogni secondo di connessione con una pagina web emette 0,02 grammi di anidride carbonica. All'elettricita' consumata dal nostro personal computer va aggiunta quella consumata dai server di Google che, sparsi per il mondo, sono in competizione tra loro. La risposta ci arriva da quello piu' veloce che non e' necessariamente quello piu' vicino. Google mantiene il piu' stretto riserbo sia sulla localizzazione delle sue banche dati che sulla sua impronta carbonica. Interpellato dalla Bbc, Google replica che le sue banche dati sono le piu' efficienti del mondo sotto il profilo del risparmio energetico. Afferma che il tempo, e quindi l'elettricita', impiegati da un utente per fare una ricerca sono maggiori di quelli consumati dal motore per rispondere. In passato anche l'agenzia britannica carbonfootprint.org aveva stimato quanta CO2 emette una ricera su Google. Tra 1 e 10 grammi, secondo i calcoli del direttore John Buckley, a seconda che il pc debba essere avviato o no. Un report della Gartner, che fa analisi industriali, sostiene che l'intero settore dell'information technology genera una quantita' di gas di serra pari a quella emessa dalle linee aeree. Navigando in rete inquiniamo senza accorgercene. Invece, quando buttiamo via il vecchio pc, che e' pur sempre un oggetto materiale, sappiamo che stiamo contribuendo a inquinare il terzo mondo. Pc, stampanti, tv, monitor, cellulari una volta diventati tecno-rifiuti finiscono in discarica in Asia e Africa. Contengono piombo, cadmio, antimonio, pvc che oltre ad avvelenare terra e acqua sono pericolosi per chi - spesso sono bambini - smonta i rifiuti hi-tech per recuperare materiali ancora commerciabili. Fino a qualche anno fa la Cina era la piu' grossa importatrice di tecno-rifiuti. Da quando Pechino ha, almeno ufficialmente, bloccato questo tipo di importazioni, le navi cariche di e-waste fanno rotta verso l'India e l'Africa. Secondo Greenpeace, ogni anno nel mondo si producono 50 milioni di tonnellate di tecno-rifiuti (sommando elettrodomestici e prodotti elettronici). In Europa si perdono le tracce del 75% dei rifiuti tecnologici. L'associazione ambientalista la scorsa estate ha concentrato l'attenzione sul Ghana, dove ha visitato due enormi discariche a cielo aperto. Qui sono scaricati i container provenienti da Germnaia, Svizzera, Olanda, Italia. Dopo un primo smomtaggio a mano, i rifiuti vengono dati alle fiamme per separare i metalli dalla plastica che, bruciando, libera nell'aria sostanze tossiche. Una situazione destinata a durare finche' le aziende hi-tech non si faranno carico del corretto smaltimento dei loro prodotti. Post scriptum. Per scrivere questa rubrica ho consultato il sito della Bbc e del "Times" e sono andata un paio di volte su Google. E' come se mi fossi fatta due tazze di te'. 9. LIBRI. DACIA MARAINI: SOTTO LA NEVE [Dal "Corriere della sera" del 30 dicembre 2008 col titolo "La lezione di Fallada nell'America di oggi" e il sommario "L'autore tedesco racconto' la Germania prenazista. Ma e' ancora attuale"] New York sotto la neve rammenta le linee verticali e orizzontale di un quadro di Mondrian dai bianchi soffici e allungati, di neri chiusi nelle loro strettoie razionali. Gli alberi della citta' sono avvolti dentro una rete di lampadine minuscole che li fanno scintillare. Gli abeti natalizi sono ovunque, magnifici e colorati. Eppure la festa e' guastata dal continuo sinistro passaggio delle ambulanze. Una citta' di otto milioni di abitanti certo avra' i suoi feriti e i suoi morti. Ma il ritmo delle sirene e' ossessivo. Come a ricordare che la sofferenza non festeggia e il dolore passa correndo da una parte all'altra della citta'. Gli amici dell'Italia in questi giorni hanno celebrato una grande scrittrice: Elsa Morante. In occasione dell'uscita di una biografia fatta con piglio coraggioso dalla scrittrice americana Lily Tuck. "In Italia ho trovato cosi' poco materiale critico su di lei" si lamenta. In effetti escono biografie su scrittori di ogni genere ma sulla nostra piu' lucida e visionaria narratrice, come l'ha chiamata Lukacs, niente. In una New York coperta di neve si parla felicemente di lei e della sua spinosa infanzia e della sua morte precoce. Lily Tuck racconta amaramente come sia stato difficile raccogliere materiale, fotografie, malgrado la "gentilezza degli italiani". Peccato che la neve sulle strade si trasformi subito in fango e ghiaccio. Nonostante che i commessi dei negozi la spingano via con delle lunghe scope orizzontali, cacciandosi arditamente tra i piedi dei passanti. La citta' e' illuminata e in fermento ma il gran parlare che si fa sui giornali riguarda la crisi che sta invadendo tutti i settori della vita civile: il lavoro che manca improvvisamente, la penuria di alternative, lo scarso potere d'acquisto del dollaro. Qualche politico in televisione difende il diritto di tortura. Contro il terrorismo. Come se l'idea che il fine giustifica i mezzi non appartenesse proprio al terrorismo che vorrebbero combattere. Mi trovo a leggere un vecchio libro ristampato con tempismo dalla Sellerio: E adesso, pover'uomo? di Hans Fallada. Se qualcuno vuole sapere come puo' avvenire l'impoverimento di un Paese che sacrifica allegramente le sue classi medie per rincorrere un sogno di potenza; se qualcuno ha curiosita' di leggere come possa degradarsi la vita di un dipendente in balia di un datore di lavoro esoso e arrogante, legga questo libro, scritto nel 1932 nella Germania di Weimar ma oggi estremamente attuale. La tipologia sociale e' perversa: quando la domanda aumenta e i posti diminuiscono, chi ha il potere di dare uno stipendio sara' portato ad approfittare del suo privilegio, strangolando e ricattando chi e' disperatamente alla ricerca di un sostentamento pur che sia. Persino i sindacati si trovano in difficolta' di fronte all'incertezza del lavoro. Erano anni di crisi. Cominciati in sordina e trascinatisi, come sta avvenendo oggi, nell'incapacita' dei politici e nella passiva cecita' dei piu'. Anni che hanno portato al razzismo e all'intolleranza. E per finire, a una guerra atroce. Qualcuno se ne ricorda? 10. LIBRI. ANTONIO CARIOTI PRESENTA "UNA RAGIONEVOLE STRAGE" DI MIREILLE HORSINGA-RENNO [Dal "Corriere della sera" del 27 febbraio 2008 col titolo "La coscienza tranquilla di un medico assassino" e il sommario "Nazismo: disabili sterminati"] A volte la crudelta' ha un volto soave. Per esempio quello di un anziano colto, sereno e cordiale, appassionato di musica, ottimo conversatore. Un uomo di cui viene spontaneo dire che "e' invecchiato bene". Ma che cela nel suo passato crimini spaventosi. Avere una persona del genere come lontano parente, conoscerlo e imparare ad apprezzarlo, poi scoprirne il volto sinistro: e' l'esperienza toccata in sorte all'alsaziana Mireille Horsinga-Renno, che la racconta con tono inorridito e dolente nel libro Una ragionevole strage (Lindau, pp. 206, euro 15). L'eccidio riguarda i disabili eliminati in massa, sotto il Terzo Reich, da medici votati alla purificazione della razza. Uno di loro era Georg Renno, che agiva nel castello di Hartheim, in Austria, presso Mauthausen. Qui vennero sterminati oltre 18.000 portatori di handicap, colpevoli solo di essere stati penalizzati da madre natura. E un aspetto impressionante della vicenda e' l'assoluta mancanza di rimorsi del protagonista, che sostiene di aver liberato le sue vittime dalle loro sofferenze. D'altronde la coscienza umana e' capace delle piu' stupefacenti contorsioni e i percorsi individuali possono a volte sbalordire. Basti pensare che tra i massimi responsabili del programma T4 per l'eliminazione dei disabili c'era Karl Brandt, medico personale di Adolf Hitler, che da giovane voleva recarsi in Africa per assistere i malati insieme al filantropo Albert Schweitzer nell'ospedale di Lambarene'. 11. STRUMENTI. LA NEWSLETTER SETTIMANALE DEL CENTRO STUDI "SERENO REGIS" DI TORINO Segnaliamo la newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino, un utile strumeno di informazione, documentazione, approfondimento curato da uno dei piu' importanti e piu' attivi centri studi di area nonviolenta in Italia. Per contatti e richieste: Centro Studi "Sereno Regis", via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 e 011549004, fax: 0115158000, e-mail: info at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org 12. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 704 del 18 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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