Minime. 702



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 702 del 16 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Fermare l'orrore. E tre nodi, e una coda
2. Eric Salerno intervista Tom Segev
3. Luisa Morgantini: Due ore a Gaza
4. Francesca Pierantozzi intervista Dalil Boubakeur
5. Giorgio Gomel: Martin Buber, un riferimento per la pace
6. La Giuntina
7. Ian Kershaw: L'esplosione della violenza
8. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: FERMARE L'ORRORE. E TRE NODI, E UNA CODA

I. La comunita' internazionale intervenga per fermare le uccisioni
Cessino le stragi a Gaza. E cessino gli attacchi missilistici nel territorio
di Israele.
La comunita' internazionale metta immediatamente in campo un impegno non
solo diplomatico per la cessazione delle stragi, degli attentati e delle
minacce, ma economico - di consistenti risorse, immediato e di lungo
periodo - per garantire soccorsi e ricostruzione, assistenza e benessere, a
tutte le vittime superstiti; per assistere il popolo palestinese e la
costruzione del suo stato che va proclamato e riconosciuto con la massima
urgenza; per garantire alla popolazione di Israele la sicurezza nel e del
suo stato.
Cessino le stragi a Gaza. E cessino gli attacchi missilistici nel territorio
di Israele.
*
II. Alcuni compiti della societa' civile e della solidarieta' internazionale
Vi sono tre urgenze intrecciate.
1. L'urgenza della solidarieta' col popolo palestinese.
L'urgenza non solo che cessi il regime di occupazione, non solo che cessi
ogni forma di aggressione e persecuzione da parte dello stato di Israele, ma
che nasca subito lo stato di Palestina, sovrano e democratico, dotato di
continuita' territoriale ed entro i confini precedenti alla guerra dei Sei
giorni coi necessari eventuali aggiustamenti concordati tra le parti.
Ma fa parte integrante della solidarieta' col popolo palestinese anche
l'opposizione ad Hamas ed a chi la finanzia e la arma. Il popolo palestinese
non e' Hamas: Hamas e' (non solo, ma anche) un'organizzazione
politico-militare fascista. A Gaza il popolo palestinese e' anche vittima e
ostaggio di Hamas. Che certo ha anche un consenso, che certo ha anche vinto
le elezioni: ma anche Hitler vinse le elezioni.
Occorre piena solidarieta' col popolo palestinese.
*
2. L'urgenza della solidarieta' con la popolazione di Israele.
L'urgenza non solo che cessino gli attentati, missilistici o in altre forme,
ma che cessi la minaccia - e la propaganda della minaccia - alla sua stessa
esistenza, minaccia sostenuta non solo da piccoli gruppi armati di persone
disperate, ma da organizzazioni dotate di ingenti risorse e finanche da
regimi che governano stati.
E fa parte di questa urgenza anche l'opposizione al governo di Israele, alle
sue insensate e sciagurate politiche razziste e assassine, politiche
criminali che non soltanto stanno massacrando il popolo palestinese ma
mettono in crescente pericolo la popolazione di Israele la cui sicurezza
richiede il progresso nell'area della Palestina storica e del Medio Oriente
della pace e della democrazia, del dialogo e della convivenza, del
riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
Occorre piena solidarieta' con la popolazione israeliana.
*
3. L'urgenza di contrastare il risorgente nazismo in Europa.
L'Europa e' il luogo di duemila anni di persecuzione antiebraica. L'Europa
e' il luogo della Shoah.
Gran parte degli stati europei sono stati colonialisti ed imperialisti ed
hanno sanguinosamente oppresso le popolazioni del Medio Oriente.
Scellerate politiche razziste sono tuttora presenti in Europa.
Se dai paesi europei come istituzioni e come societa' civile si vuole dare
un contributo alla cessazione delle stragi e alla costruzione della pace e
della convivenza in dignita' e sicurezza in Medio Oriente occorre in primo
luogo riconoscere ed assumersi le proprie responsabilita'.
Come non e' ammissibile avallare i crimini di guerra e contro l'umanita' del
governo di Israele, ugualmente non e' ammissibile avallare gli attentati
terroristici e la propaganda genocidaria dei gruppi armati del
fondamentalismo sedicente islamico. Occorre opporsi alla politica criminale
del governo di Israele anche in nome della solidarieta' col popolo di
Israele. Ed occorre opporsi alla politica criminale del fondamentalismo
sedicente islamico anche in nome della solidarieta' col popolo palestinese.
E con particolar riferimento ad alcune iniziative di questi giorni in Europa
e in Italia:
- non e' ammissibile manifestare contro Israele, occorre invece manifestare
a favore del popolo di Israele e quindi contro il governo di Israele;
- non e' ammissibile manifestare a favore di Hamas, occorre invece
manifestare a favore del popolo palestinese e quindi contro Hamas e chi la
finanzia e la arma;
- non e' ammissibile proporre il boicottaggio dell'economia, della societa'
e della cultura tanto israeliana quanto palestinese, occorre invece
aumentare la cooperazione, il dialogo, la fiducia, la solidarieta' con la
popolazione e la societa' israeliana cosi' come con la popolazione e la
societa' palestinese;
- non e' ammissibile tacere sul razzismo oggi al governo in Italia; e non e'
ammissibile tacere sulla guerra terrorista e stragista cui l'Italia sta
partecipando in Afghanistan.
Occorre contrastare il risorgente nazismo in Europa.
*
III. De te fabula narratur
E venendo ai compiti delle persone amiche della nonviolenza che in questi
giorni in Italia si stanno gia' impegnando o vogliono impegnarsi contro la
guerra e contro il razzismo, perche' cessino le stragi, si soccorrano i
superstiti e si arrivi alla pace in Palestina in giustizia, sicurezza e
dignita' per tutti i popoli e per tutte le persone: manifestare e' giusto e
necessario. Ma occorre manifestare per la pace con mezzi di pace: la
nonviolenza e' una scelta rigorosa e impegnativa di lotta contro la
violenza, contro tutte le uccisioni, per salvare tutte le persone.
- Trovo scandaloso che ci siano persone ed organizzazioni che si dicono
amiche della nonviolenza e che non contrastano le flagranti, abominevoli
pulsioni razziste e neonaziste che si vanno manifestando e dispiegando anche
in Italia in questi giorni di dolore.
- Trovo scandaloso che ci siano persone ed organizzazioni che si dicono
amiche della nonviolenza e che non dicono una sola parola per il diritto
alla vita degli israeliani oltre che dei palestinesi, per il diritto alla
vita dei palestinesi oltre che degli israeliani, ed anzi ammiccano - o
peggio: aderiscono - alle piu' oscene ed orribili e infami retoriche del
pregiudizio e della persecuzione antiebraica, o islamofobica, o globalmente
razzista.
- Trovo scandaloso che ci siano persone ed organizzazioni che si dicono
amiche della nonviolenza e che si prestano a sostenere l'azione scellerata
del governo di Israele.
- Trovo scandaloso che ci siano persone ed organizzazioni che si dicono
amiche della nonviolenza e che si prestano a sostenere l'azione scellerata
di Hamas e del fondamentalismo armato che si ammanta di pretese religiose ma
riproduce un'ideologia e una prassi nazista.
Son cose tristi, ma vanno pur dette.
A tutte le guerre e a tutte le uccisioni occorre opporsi.
La nonviolenza e' lotta contro la violenza, e' impegno per la giustizia che
salva le vite e riconosce ed invera la dignita' e i diritti di tutti gli
esseri umani, e si prende anche cura dell'unico mondo vivibile che abbiamo;
la nonviolenza o e' questa lotta, questo impegno, o non e' nulla. Nulla.
Vi e' una sola umanita', in un unico mondo che e' di tutte e tutti e cui
tutte e tutti apparteniamo.
La nonviolenza e' la forza della verita'.
La nonviolenza e' opposizione a tutte le ingiustizie, a tutte le
aggressioni, a tutte le sopraffazioni.
La nonviolenza e' la lotta piu' nitida e piu' intransigente contro tutte le
violenze.
La nonviolenza e' solidarieta' con tutte le vittime e lotta di liberazione
con e per tutte le vittime. La nonviolenza e' la scelta dell'umanita'.
La nonviolenza e' l'unica proposta politica adeguata a fronteggiare la
tragica situazione presente.
La nonviolenza e' un arduo necessario cammino.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. RIFLESSIONE. ERIC SALERNO INTERVISTA TOM SEGEV
[Dal quotidiano "Il Messaggero" del 14 gennaio 2009 col titolo "Criticare lo
Stato d'Israele non vuol dire essere antisemiti"]

"Le puo' sembrare strano. Ma chi critica Israele, o meglio il suo governo,
per la morte di tanti civili a Gaza non e' necessariamente un nemico
d'Israele o un antisemita. Al contrario lo puo' fare per amore d'Israele. Lo
puo' fare perche', come me, si vergogna di quello che sta accadendo". Tom
Segev e' uno dei cosiddetti "nuovi storici" israeliani. Ama il suo paese ma,
come storico, rifiuta i cliche' della storiografia ufficiale, romantica,
acritica, dei primi anni dell'impresa sionista. I suoi libri, tra i quali Il
settimo milione. Come l'Olocausto ha segnato la storia d'Israele, sono stati
tradotti in tutto il mondo.
*
- Eric Salerno: Lei, come cittadino d'Israele con genitori scappati dalla
Germania nazista, e' ovviamente autorizzato a criticare il suo paese. Trova
giusto che un non israeliano, o ancora peggio un non ebreo, che critica
Israele rischi di venire bollato d'antisemitismo?
- Tom Segev: Un problema e' che spesso si critica Israele invece di
specificare "il governo d'Israele". Io posso non essere d'accordo, per
esempio, con quello che fa il vostro Berlusconi, ma non per questo attacco
l'Italia. Certo, al momento, la maggioranza degli israeliani e' allineata
con il governo Olmert e, dunque, la distinzione sarebbe troppo sottile e non
necessaria. In generale, pero', bisogna capire che gli israeliani hanno
opinioni diverse tra loro e non necessariamente coincidono con la politica
di chi ci governa.
*
- Eric Salerno: Dunque, l'equazione antisionista, antisraeliano, antisemita
non funziona?
- Tom Segev: Certo, ci sono molti antisemiti che criticano Israele perche'
sono antisemiti. Ma si rischia di creare un pericoloso cliche' affermando
che la critica, giusta o ingiusta, della politica del nostro paese sia segno
di latente antisemitismo. E sono nettamente contrario a questo cliche'
perche' serve esclusivamente la causa di chi vuole spegnere ogni forma di
critica. Non ho alcuna simpatia per Hamas. Ma il male e' in chi fa del male
a un bambino di Sderot, come in chi fa del male a un bambino palestinese a
Gaza.
*
- Eric Salerno: Come finira' quest'ennesimo conflitto?
- Tom Segev: Finira'. E poi ricomincera'. Naturalmente, non siamo gli unici
colpevoli. Molta della responsabilita' per quanto sta succedendo e' degli
egiziani corrotti. Sono quelli, guardie o altri sul lato del Sinai di fronte
a Gaza, che hanno permesso e facilitato il contrabbando delle armi. Non
l'hanno fatto per sostenere la causa dei palestinesi, non per simpatia nei
confronti di Hamas. Soltanto per soldi.
*
- Eric Salerno: E Hamas?
- Tom Segev: Naturalmente anche loro sono responsabili. Sono anni che
lanciano missili contro i centri abitati israeliani e dovevano capire che
alla fine ci sarebbe stata una risposta. E la risposta e' stata forte
perche' e' cosi' che funziona quando un esercito si mette in movimento.
*
- Eric Salerno: C'era un'alternativa?
- Tom Segev: Dovevamo negoziare con Hamas molto tempo fa. Il governo dice,
come dicono altri governi, non si tratta con i terroristi, ma alla fine
tutti trattano. E lo faremo anche noi. Si sta ripetendo la storia dei nostri
rapporti con l'Olp. Prima nessun negoziato, poi la trattativa. Questa
offensiva israeliana ha tanto sapore di sottofondo di politica e questioni
di prestigio. Le cause dello scontro e della scelta del momento sono tre: il
lancio dei kassam, l'avvicinarsi delle elezioni in Israele, la fine dell'era
Bush. Lo si capisce anche dai bombardamenti. Hanno parlato d'attacchi
mirati, d'attacchi con precisione chirurgica. Non e' stato cosi'. E' stata
una pioggia, una tempesta di bombe. E' sbagliato parlare di giustizia fatta.
E' meglio parlare di vendetta. E, ripeto, mi vergogno perche' mi sento
impotente.
*
- Eric Salerno: Quanto andra' avanti ancora?
- Tom Segev: Finira' prima della parata della vittoria di Obama.

3. TESTIMONIANZE. LUISA MORGANTINI: DUE ORE A GAZA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 gennaio 2009 col titolo "Due ore
all'inferno" e la notizia redazionale "vicepresidente del Parlamento
europeo"]

Poco piu' di due ore ma sono bastate per vedere la distruzione e la
desolazione della gente di Gaza. Con otto parlamentari europei e un senatore
del Pd, siamo stati gli unici rappresentanti politici ad essere entrati
nella Striscia da quando e' iniziato l'attacco israeliano.
Siamo entrati attraverso il valico di Rafah grazie alla indispensabile
collaborazione dell'Unrwa e delle autorita' egiziane e forzando la volonta'
di quelle israeliane che hanno respinto la nostra richiesta. Colpi di
cannone e bombe sono caduti vicino alla sede dell'Onu in cui ci trovavamo,
malgrado ci fosse una tregua di tre ore. Non rispettata.
Cosi' come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,
respinto da Israele e da Hamas.
"Tutti e due si dichiareranno vincitori ma siamo noi a morire": e' un uomo
accasciato nel centro di raccolta degli sfollati dell'Onu che ci parla.
Responsabilita' di Hamas, ma l'asimmetria e' innegabile. Israele continua da
piu' di 40 anni ad occupare e colonizzare terra e popolo palestinese, con la
forza militare e la violazione del diritto umanitario e internazionale: a
Rafah ho visto esseri umani logorati dal terrore sfiniti dall'insonnia per
due settimane di duri bombardamenti, di ricerche disperate di cadaveri tra
le macerie e una fame antica quanto l'embargo che anche prima
dell'operazione "Piombo fuso" soffocava e costringeva in una punizione
collettiva i civili di Gaza. Sono attaccati dal cielo, dalla terra, dal
mare, nessuno e niente puo' dirsi al sicuro.
Ed e' la prima volta che persone bombardate non hanno dove fuggire, le
frontiere sono chiuse, aspettano di morire. E' cio' che mi ha detto Raed:
"Ogni volta prima di cercare di dormire, bacio mia moglie sperando di
ritrovarla il giorno dopo e di non morire sotto le bombe". Orrore e
impunita': la scuola dell'Unrwa di Jabalia e' stata centrata in pieno da un
missile da dove non sparavano i miliziani di Hamas e li' sono morti 45
civili. Gli obitori sono stracolmi di cadaveri come le corsie di feriti con
ustioni gravi provocate dal fosforo bianco e dalle armi Dime (sperimentali),
usate in Libano - l'ammissione e' di parte israeliana. Un medico ci dice che
i malati cronici non vengono piu' curati: non ci sono medicine. A Gaza le
madri assiepate a decine con i loro bambini in una piccola stanza ci
guardavano disperate, con gli occhi persi nel vuoto, ci mostravano i figli
ancora feriti e ci chiedevano "Perche'?". L'Unrwa denuncia la mancanza di
beni di base necessari.
Israele non permette il flusso necessario di aiuti. Ma nulla e nessuno e' al
riparo dalla scelta di Israele di continuare nell'illegalita'. Mentre si
bombarda Gaza aumentano i coloni illegali in Cisgiordania e cresce il Muro
che confisca terre e divide palestinesi da palestinesi. Continuare a tenere
viva la speranza per il diritto ad uno Stato, sui confini del '67 con
Gerusalemme capitale condivisa, e' sempre piu' difficile. Come far assumere
alla comunita' internazionale le proprie responsabilita'? Come far cessar il
fuoco subito? Come convincere Israele che non puo' continuare a violare la
legalita' internazionale ma che deve iniziare ad ascoltare al suo interno le
voci che chiedono pace, diritti e dignita' per il popolo palestinese, unica
via per la propria sicurezza? L'Unione Europea deve avere il coraggio e la
coerenza di fermare il potenziamento delle relazioni e cooperazione con
Israele, sopratutto quella militare.
Noi parlamentari europei lo chiederemo ancora una volta, insieme al cessate
il fuoco da tutte e due le parti e a forze internazionali per proteggere i
civili non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. E mi auguro che in Italia i
movimenti sappiano capire che essere uniti e' importante e che non si e' per
Israele o per la Palestina, ma per il diritto e la giustizia. Io continuo a
stare con quei palestinesi ed israeliani che dicono "ci rifiutiamo di essere
nemici - fermate il massacro - basta con l'occupazione".

4. RIFLESSIONE. FRANCESCA PIERANTOZZI INTERVISTA DALIL BOUBAKEUR
[Dal quotidiano "Il Messaggero" del 14 gennaio 2009 col titolo "Troppi
attacchi contro gli ebrei ma questa guerra deve finire"]

"Sentiamo la tensione salire, ogni giorno. Noi non possiamo far altro che
moltiplicare gli appelli alla calma, ma e' a Gaza che la guerra deve
smettere. O rischiamo di perdere il controllo della situazione anche nelle
nostre citta'". E' posato e ha il tono pacato di sempre, il rettore della
grande moschea di Parigi Dalil Boubakeur. Ma non nasconde che la guerra di
Gaza potrebbe non restare confinata dentro le tormentate frontiere della
Striscia. Dall'inizio dell'offensiva israeliana, 62 azioni antisemite sono
state recensite in tutta la Francia: peggio del 2001, ai tempi della seconda
intifada. Lunedi', 9 molotov sono state lanciate contro la sinagoga di Saint
Denis a nord di Parigi. Sul fronto opposto, giovedi', due quindicenni di
origine maghrebina sono finiti in ospedale, aggrediti fuori dal loro liceo,
nel XVI arrondissement di Parigi, perche' avevano rifiutato dei volantini
distribuiti da coetanei militanti della Lega per la difesa ebraica. Con
circa cinque milioni di cittadini musulmani e oltre 600.000 ebrei - le piu'
importanti comunita' in Europa - la Francia ha un coinvolgimento non
soltanto diplomatico, ma anche sociale ed emotivo, nel conflitto in Medio
Oriente. Uomo di dialogo, fautore di un Islam "alla francese" integrato
nella Republique, presidente fino all'anno scorso del Consiglio francese per
il culto musulmano, Boubakeur guarda a Gaza, con un occhio a Parigi, e
soprattutto alle banlieue, pronte ad esplodere. "Da quando e' cominciata
l'offensiva israeliana abbiamo tutti il netto sentimento di un aumento delle
tensioni tra le comunita'. C'e' la volonta' di esprimere il proprio sostegno
a Israele, c'e' la compassione per le vittime, le troppo numerose vittime
civili. Ci sono state manifestazioni importanti sia da parte musulmana sia
da parte ebraica. Cerchiamo di calmare le tensioni, ma non e' facile".
*
- Francesca Pierantozzi: Il dialogo e' aperto con i responsabili della
comunita' ebraica francese?
- Dalil Boubakeur: Assolutamente. Ieri io e il grande rabbino di Francia
Gilles Bernheim abbiamo lanciato un appello comune alla calma. Chiediamo che
il conflitto non si estenda alla Francia. Bisogna essere vigilanti, ma gli
incidenti continuano. Nove molotov domenica contro la sinagoga di Saint
Denis, lunedi' l'aggressione contro i liceali davanti al liceo
Janson-de-Sailly: si tratta di cose inammissibili.
*
- Francesca Pierantozzi: Ritiene che gli appelli alla calma dei responsabili
religiosi sia ascoltato?
- Dalil Boubakeur: Quello che fa piu' effetto sulla gente sono le immagini
di questa guerra. Le immagini atroci, terribili, delle vittime dei
bombardamenti. Degli uomini, delle donne, dei bambini uccisi. Queste
immagini piovono sull'Europa e non possono lasciare indifferenti. Le
informazioni arrivano da ogni parte, via satellite, via cavo, anche da radio
e tv palestinesi. Se questa guerra continua, finira' per creare tensioni non
controllabili ben al di fuori del Medio Oriente. Non sono i media che devono
temperare le informazioni, e' la guerra che deve cessare. Le emozioni sono
molto forti dovunque. Tutti lavorano per un cessate il fuoco: non soltanto
la Francia di Sarkozy, ma anche l'Europa, i paesi arabi, l'Egitto, hanno
proposto a Israele dei piani per una tregua. Speriamo che vengano ascoltati.
Confidiamo tutti molto nell'insediamento alla Casa Bianca di Barak Obama
come elemento pacificatore.
*
- Francesca Pierantozzi: I musulmani combattono con forza la falsa equazione
Islam-integralismo, che regolarmente si propone quando avviene un attentato
terrorista. Non crede che in questo caso le tensioni siano aumentate dalla
confusione tra la politica dello stato di Israele e gli ebrei?
- Dalil Boubakeur: E' difficile generalizzare. D'altra parte all'interno
della stessa comunita' ebraica francese ci sono voci critiche
sull'intervento israeliano. Noi responsabili delle comunita' ci sforziamo di
mostrare che il dialogo e' sempre possibile. Io non smetto di ricordare che
attaccare i simboli dell'identita' ebraica, i luoghi di preghiera, come le
sinagoghe, non soltanto e' inammissibile, ingiusto e inutile, ma anche nuoce
alle idee e alle cause che si vogliono difendere.

5. RIFLESSIONE. GIORGIO GOMEL: MARTIN BUBER, UN RIFERIMENTO PER LA PACE
[Da "Keshet" n. 3-4 del novembre-dicembre 2009 riprendiamo il seguente
articolo dal titolo "Il pensiero di Martin Buber, ieri e oggi" (1) e il
sottotitolo "Per la pace tra ebrei e arabi". Ringraziamo di cuore l'autore e
il direttore della rivista per avercelo messo a disposizione]

Il Leitmotiv di Buber fin dal 1898, quando appena ventenne aderi'
all'Organizzazione Sionistica Mondiale, fu una costante attenzione alla
"questione araba". Il fatto cioe' che la Palestina, che gli ebrei ritenevano
non soltanto il luogo di rifugio e di riscatto dalle persecuzioni ma anche
la loro antica patria, era nello stesso tempo il luogo di residenza di una
popolazione indigena araba che, soffrendo di condizioni di soggezione
coloniale sotto l'impero ottomano prima e poi sotto il mandato britannico,
aspirava anch'essa a una identita' nazionale indipendente.
La singolarita' di Buber va al di la' della sensibilita' etica rispetto alla
questione araba, ma si rivela piuttosto nelle sue implicazioni politiche. Il
suo messaggio si rivolgeva soprattutto alla leadership sionista, che tendeva
a porre in secondo piano la questione araba perche' intendeva innanzitutto
risolvere il problema della liberta' dell'immigrazione ebraica in Palestina
e dell'edificazione di una struttura statuale, nelle condizioni di estrema
fragilita' dell'Yishuv (2). Lo stesso Ben Gurion implorava intorno al 1930 i
compagni del movimento sionista di abbandonare il miope "sacro egoismo" e di
capire che "per centinaia di anni gli arabi sono vissuti in Palestina, i
loro padri e i padri dei loro padri... La Palestina e' il loro Paese, dove
essi intendono vivere in futuro... Questa consapevolezza deve essere
fondamento della comprensione e coesistenza fra noi e gli arabi".
Ben Gurion stesso e altri leader sionisti erano consapevoli che
l'autodeterminazione degli ebrei in Palestina sarebbe entrata in conflitto
con le analoghe aspirazioni degli arabi; ma ritenevano che bisognava
soprattutto affermare il diritto all'immigrazione ebraica da un'Europa
antisemita: un giorno si sarebbe conseguita una maggioranza ebraica in
Palestina e gli arabi l'avrebbero in qualche modo accettata.
Invece Buber insistette molto sul tentativo di comprendere il timore degli
arabi di un dominio ebraico, di uno Stato che si formasse con una
maggioranza ebraica, e che ne derivasse l'usurpazione della loro terra; per
lui era essenziale cercare di conciliare i diritti e le volonta' dei due
popoli. Gli ebrei, proprio in quanto sono coloro che immigrando invadono
parte di quella terra, dovrebbero ricercare la fiducia degli arabi, cercare
di cogliere aspetti della loro umanita', della loro cultura, con gesti di
buona volonta' volti alla conciliazione, al dialogo. L'obiettivo sionista di
conseguire una maggioranza ebraica, secondo Buber, era sbagliato perche'
avrebbe esacerbato i timori da parte degli arabi e provocato da parte loro
risentimenti, reazioni, violenze.
Il pensiero di Buber appare con chiarezza in una conferenza tenuta a Berlino
nell'ottobre del 1929, due mesi dopo gli eccidi arabi di Hevron e di Zefat.
Egli dice: "La nazione che e' divenuta nostra vicina in Palestina, e che
condivide un destino comune con noi, ci impone una responsabilita' maggiore.
Niente sarebbe piu' contraddittorio per noi di costruire una vita
organizzata nella nostra comunita' e allo stesso tempo escludere gli altri
abitanti del Paese, sebbene la loro vita dipenda, come la nostra, dal futuro
dello stesso Paese... Ci siamo stabiliti in Palestina accanto agli arabi,
non assieme ad essi, accanto. Quando due nazioni abitano nello stesso paese,
se quell''accanto' non diventa 'insieme', diventa necessariamente 'contro'.
Questo e' destinato ad accadere qui; non ci sara' ritorno a un semplice
'accanto'. Ma malgrado i tanti ostacoli che ci sono ancora, esiste peraltro
una via per raggiungere un'intesa 'accanto'. Se non conseguiamo cio', non
realizzeremo mai lo scopo del Sionismo" (3).
Negli anni successivi Buber emigra in Palestina. Nel '42, insieme con altri,
aderisce alla Lega per il riavvicinamento arabo-ebraico. Il programma della
Lega era quello di fondare in Palestina uno Stato binazionale arabo-ebraico
in cui non ci sarebbero state maggioranze e minoranze, in cui i diritti
civili e politici di ebrei e arabi sarebbero stati uguali e comunemente
condivisi sotto il mandato britannico. Il programma binazionale della Lega,
e in particolare dell'Ichud, uno dei suoi partiti costituenti animato da
Buber e Magnes, replicava quello della Lega per la pace (Brith Shalom)
fondata nel 1925 da Arthur Ruppin e Gershom Sholem, cui Buber aveva aderito
dalla Germania. Nel 1948, con la Dichiarazione d'indipendenza, Buber
accetto' il fatto che nascesse in Palestina uno Stato ebraico, anche se la
sua polemica politica in difesa della minoranza araba e della soluzione del
problema dei rifugiati palestinesi lo accompagno' fino alla morte, nel 1965.
*
Quali insegnamenti validi anche per oggi si possono trarre dal pensiero di
Buber? Il primo punto e' la filosofia del dialogo, idea fondamentale di
Buber anche sul piano filosofico: il rapporto con l'altro, l'altro in quanto
essere pari a noi. L'insegnamento che ne traggo e' il rifiuto della
disumanizzazione del nemico, dell'avversario, perche' questo e' destinato
inevitabilmente ad allargare il solco di ostilita' fra gli individui e le
comunita'. Ne discende il dovere del rispetto dei diritti umani e della
denuncia allorche' i diritti umani sono violati.
Noi ebrei abbiamo mancato a questo dovere etico in alcune occasioni in
questi anni di quotidiano, aspro conflitto fra Israele e i palestinesi.
Anche noi ebrei diasporici, legati da sentimenti di solidarieta' e sostegno
al popolo d'Israele, non siamo sempre stati disposti a una critica schietta
nei confronti di Israele quando Israele ha sbagliato violando i diritti di
un altro popolo. E' una cecita' questa, spesso in buona fede, dettata dal
retaggio delle persecuzioni subite, dal rifiuto di credere che persino noi
ebrei possiamo essere soggetti di ingiustizia, da una naturale ma non per
questo giustificabile indifferenza alle sofferenze altrui.
Il secondo punto e' quello dello Stato binazionale. Sarebbe irragionevole,
irrealistico parlare oggi di uno Stato binazionale unitario in Palestina.
Forse tra cento anni sara' possibile, in un mondo che si integri
politicamente ed economicamente. Come forse sara' possibile un'Europa
politicamente integrata, e' possibile immaginare che anche nel Medio Oriente
ci possa essere un'unita' politica nella regione. Ma non e' proponibile
oggi; ne conseguirebbe un conflitto intestino fra le due comunita', ebraica
e araba, un qualcosa di simile ai Balcani... Il principio ispiratore di una
soluzione negoziata del conflitto e' invece quello della separazione, o
meglio del divorzio, come disse Amos Oz molti anni fa: se non si vuole che
la guerra prosegua, che ci sia un annientamento reciproco tra i due popoli,
l'unica soluzione e' quella della spartizione della Palestina storica tra i
due popoli che ne contendono il possesso in virtu' di diritti di pari
dignita'.
I benefici di questo divorzio (pur con tutte le difficolta' che si
frappongono alla trattativa, e le difficolta' che ci sono di intendersi su
come dividere quella minuscola proprieta', forse magari conservando qualcosa
in condominio) eccedono largamente i costi.
E' chiaro che per Israele il prezzo da pagare per questo divorzio sara'
molto elevato e doloroso, in termini sia materiali che politico-psicologici.
Cio' spiega in parte la delusione per il fallimento del negoziato ben
quindici anni dopo gli accordi di Oslo. I costi materiali derivano da una
oggettiva disparita' sul campo: mentre il ritiro di Israele dai territori
occupati costituisce per i palestinesi un vantaggio materiale immediato, per
Israele i vantaggi si misurano soltanto nel lungo termine, quando si
coglieranno i frutti del consolidarsi della pace. Di qui l'insistenza
giustificata di Israele soprattutto sulle misure di sicurezza, sull'esigenza
di un periodo anche lungo di transizione per garantire che tali vantaggi si
realizzino.
Ma anche i costi politici e psicologici saranno rilevanti per il  conflitto
che opporra' una parte del Paese all'altra: i coloni e i loro sostenitori da
una parte, l'opinione pubblica moderata o pacifista dall'altra. Non sappiamo
quali saranno le forme e le "armi" di questo conflitto, se saranno legali o
extra-legali, violente o non violente, ma esso provochera' un solco molto
lacerante nel Paese, come alcuni segni dell'estremismo di frange virulente
dei coloni lasciano presagire.
D'altra parte, il costo che il ritiro dai Territori e lo sgombero delle
colonie imporra' a Israele sara' minore del costo dello status quo, del
mantenere l'occupazione, in termini di risorse, di vittime, di degrado della
societa' israeliana.
*
Note
1. Martin Buber, Una terra e due popoli. Sulla questione ebraico-araba, a
cura di Paul Mendes-Flohr, edizione italiana a cura di Irene Kajon e Paolo
Piccolella, La Giuntina, Firenze 2008.
2. In ebraico "Insediamento". Termine usato per descrivere la comunita'
ebraica in Palestina prima prima della fondazione dello Stato.
3. "Patria nazionale ebraica e politica nazionale in Palestina".

6. EDITRICI. LA GIUNTINA

La Giuntina e' una casa editrice che ha pubblicato molti libri fondamentali,
che e' indispensabile aver letto.
Dal sito della casa editrice La Giuntina (www.giuntina.it) riprendiamo la
seguente breve presentazione dal titolo "La nostra storia": "La Giuntina
nasce nel 1980 quando Daniel Vogelmann decide di pubblicare La notte di Elie
Wiesel che sara' il primo titolo della collana Schulim Vogelmann, dedicata
da Daniel a suo padre, sopravvissuto ad Auschwitz. Oggi, il catalogo della
Giuntina comprende 350 titoli ognuno dei quali rappresenta una porta
d'ingresso alla storia e alla cultura ebraica. La Giuntina e' l'unica casa
editrice europea specializzata in cultura ebraica che si rivolge a tutti i
lettori con l'intento di far conoscere la storia e le tradizioni ebraiche,
consapevole che solo una reciproca conoscenza tra le diverse culture e
religioni puo' assicurare a tutti noi una convivenza pacifica all'insegna
del rispetto. Con questa convinzione la casa editrice continua a lavorare
con passione da ormai 25 anni nonostante le difficolta' che un piccolo
editore indipendente trova oggi nel mercato dell'editoria. Gli argomenti
spaziano dalla letteratura ai saggi di storia, dai testi di esegesi biblica
alla musica, dal teatro alla cucina. Particolare attenzione viene data alle
testimonianze e ai testi sulla Shoa' nonche' alla lingua ebraica, offrendo
ai lettori la Bibbia con testo ebraico a fronte, la grammatica e il
dizionario ebraico-italiano".

7. LIBRI. IAN KERSHAW: L'ESPLOSIONE DELLA VIOLENZA
[Dal "Corriere della sera" del 19 luglio 2008 col titolo "L'epoca delle idee
genocide" e il sommario "Anteprima. Un nuovo libro di Ian Kershaw
sull'atteggiamento dei tedeschi verso la Shoah. Il circuito perverso fra
modernita' e violenza dal XX al XXI secolo"]

Per quanto si voglia considerare con pessimismo la storia mondiale piu'
recente, e' chiaro che l'ultraviolenza da cui e' stata caratterizzata la
prima meta' del secolo scorso non trova paragone nella seconda meta': e
questo nonostante gli ultimi decenni abbiano comunque assistito a situazioni
di violenza terrificante come la rivoluzione culturale in Cina, o la
Cambogia dei khmer rossi, o le stragi in Ruanda. (...) Ne nascono numerose
domande. La prima e' ovvia: che cosa ha causato la devastante esplosione
planetaria di questa immensa violenza istituzionalizzata, nella prima meta'
del XX secolo? Niente, nei decenni precedenti, aveva preparato il mondo a
quel che stava per accadere. Certo, la prima guerra mondiale rappresenta una
gran parte della risposta. Ma quella non puo' essere stata la sola causa.
Gli sconvolgimenti epocali, nella storia, di solito non hanno solo cause a
breve termine. E questa sicuramente non e' un'eccezione.
Un altro interrogativo riguarda la propensione alla violenza da parte di
certi Stati e delle societa' che essi pretendono di rappresentare. Perche'
cioe', per porre la questione nei suoi termini, gli Stati si sono ritrovati
piu' - o meno - disposti all'uso di una violenza cosi' estrema? La risposta
a questa domanda conduce a una terza. Visto che ogni secolo (o anche mezzo
secolo) nel corso della storia e' stato comunque violento in misura piu' o
meno grande, davvero e' stata solo la scala della violenza, resa possibile
da nuove tecnologie di distruzione, a rendere unico il XX secolo?
Assodato che la seconda meta' del XX secolo - almeno in Europa - e' stata
incomparabilmente meno violenta della prima, siamo di fronte a una domanda
ovvia: perche' e' successo? Eric Hobsbawm, il cui punto di vista nel libro
Il secolo breve non poteva essere se non globale, ha parlato di una "Eta'
della Catastrofe" che ha attraversato le due guerre mondiali, seguita da una
"Eta' dell'Oro" giunta sino alla crisi petrolifera degli anni Settanta.
(...) C'e' una statistica degna di attenzione. I civili morti durante la
prima guerra mondiale erano stati, secondo le stime piu' elevate, poco piu'
di un terzo del totale delle vittime: ma nella seconda, ed e' un calcolo
prudente, furono circa due terzi. Da cinque milioni di morti a qualcosa come
ventisette. (...) E ancora. Un Paese come la Polonia, dove la guerra
"combattuta" non duro' piu' di un mese, vide morire un quinto della sua
popolazione - la piu' alta percentuale di morti civili rispetto a ogni altro
Paese in guerra - nei sei lunghi anni successivi all'invasione tedesca del
1939.
(...) L'esaltazione della violenza come forma di protesta sociale e politica
contro la societa' borghese decadente, anche se istituzionalizzata nei
movimenti fascisti solo dopo il 1919, era iniziata prima della Grande
guerra. L'intellettuale fascista francese Pierre Drieu La Rochelle, piu'
tardi, considerando gli anni prima della guerra, rievocava quei "giovani di
tutte le classi sociali, incendiati da un concentrato di eroismo e violenza,
che sognavano di combattere... il capitalismo e il socialismo parlamentare".
Nel 1910 il nazionalista italiano Enrico Corradini usava terminologie e
analogie marxiste per parlare dell'Italia come di una "nazione proletaria",
argomentando che "dobbiamo insegnare all'Italia il valore della lotta
internazionale. Ma lotta internazionale significa guerra. Ebbene, guerra
sia! E che il nazionalismo risvegli nell'Italia la volonta' di vincere la
guerra". I futuristi italiani, il cui fondatore Filippo Tommaso Marinetti
rimase fedele a Mussolini sino alla fine, divulgarono il loro, per cosi'
dire, eccentrico punto di vista nel Manifesto del 1909: "Noi vogliamo
esaltare il movimento aggressivo... lo schiaffo e il pugno... Noi vogliamo
glorificare la guerra - sola igiene del mondo - e il militarismo, il
patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle idee per cui si
muore e il disprezzo della donna". (...) Prima del 1914 la Germania era una
societa' relativamente non violenta.
Dopo il 1918 la violenza divenne uno dei suoi tratti distintivi - ancora
lontana dai livelli della Russia, ma lentamente sempre piu' simile. (...)
Ormai il terreno era pronto ad accogliere con un vastissimo consenso
l'assalto nazista alla sinistra nel 1933, la costruzione dei campi di
concentramento, gli attacchi contro le minoranze (contro gli ebrei in
particolare) e l'indebolimento dei limiti legali all'esercizio del potere
statale. Quando, nel 1934, Hitler si dichiaro' apertamente responsabile
dell'assassinio di alcuni leader del suo stesso movimento, accusandoli di
tradimento, corruzione e pratiche omosessuali, incasso' una totale
approvazione nonche' l'esplosione della sua popolarita' personale.
Intanto un gran numero di tedeschi troppo giovani per aver fatto la guerra,
spesso con un'istruzione universitaria - e che credevano strenuamente
nell'uso freddo e razionale della violenza per purificare la Germania dalle
sue diversita' razziali, percepite come "malsane" - iniziavano a costruire
le loro carriere dentro la polizia di sicurezza e le SS. Piu' tardi
sarebbero diventati non solo i pianificatori del "nuovo ordine" nazista in
Europa orientale, con l'obiettivo di eliminare 31 milioni di slavi nei 25
anni seguenti, ma i vertici delle squadre di sterminio che lanciarono la
"Soluzione finale". Fu il culmine di un lungo processo nell'escalation della
violenza politica, il cui punto di partenza risaliva alla Prima guerra
mondiale.
(...) Ma fatemi tornare alla terza domanda che avevo posto. Nel XX secolo
c'e' stata semplicemente piu' violenza? Oppure e' stata anche una violenza
qualitativamente diversa, piu' moderna?
La maggior parte degli esperti concordano nel sottolineare la modernita' di
questo genocidio. Soprattutto Michael Mann ha sostenuto - in modo a mio
avviso convincente - che l'assassinio di massa nei confronti di civili (o
altre forme, magari non omicide, ma comunque brutali, di persecuzioni e
"pulizie") su basi ideologiche "in nome del popolo", sia per ragioni etniche
(vedi armeni, ebrei, bosniaci musulmani, albanesi, kosovari, tutsi e cosi'
via) sia per ragioni di classe (vedi il terrore staliniano anti-kulaki o lo
"sterminio di classe" di Pol Pot) rappresenta una componente cruciale di
cio' che rende "moderna", appunto, la violenza politica moderna.
Naturalmente nell'assassinio di massa dei civili non c'e' niente di nuovo. E
l'ideologia - anche se religiosa, non laica - e' stata usata per
giustificarlo sin dall'antichita'. Decine di migliaia morti ammazzati nella
crociata contro gli albigesi all'inizio del XIII secolo, le guerre di
religione francesi nella seconda meta' del XVI, e la Guerra dei trent'anni
nel XVII: tutte in nome della religione. Anche il sacco di Magdeburgo da
parte dei cattolici nel 1631, col verosimile sterminio di 30.000 tra uomini,
donne e bambini, e lo spietato assalto di Cromwell a Drogheda e Wexford in
Irlanda, dieci anni piu' tardi, quando 4.500 soldati della guarnigione
vennero passati a fil di spada in nome di Dio, furono massacri
particolarmente efferati e su vasta scala. Ma la violenza religiosa - o
meglio la violenza perpetrata in nome della religione - di solito, giunta ai
convertiti, si fermava.
(...) Considerando cio' che almeno nel contesto europeo sembra evidente al
di la' di ogni possibile errore, la differenza maggiore tra la violenza
nelle due meta' del secolo consiste nel diverso impatto prodotto dalle due
guerre mondiali. La seconda di queste guerre ha condotto cioe' al
contenimento, e persino allo sradicamento, delle principali fonti di
violenza di Stato su larga scala, almeno in Europa.
(...) Questo porta oltre il passato, verso il presente e il futuro. Ora,
all'inizio del XXI secolo, in conseguenza dell'attacco alle Twin Towers
dell'11 settembre 2001, siamo entrati in una nuova fase della violenza
politica. Quell'atrocita' non e' stata un atto convenzionale di guerra. E
tuttavia un atto di guerra lo e' stato - un tipo moderno di guerriglia, e
non da parte di uno Stato o di un gruppo terrorista legato a uno Stato, ma
di un'oscura organizzazione internazionale e sovranazionale, Al Qaeda, che
con i suoi tentacoli avvolge come un'idra diversi Stati, pur non legandone a
se' nessuno. (...) E' difficile immaginare che la cosiddetta "guerra al
terrorismo" possa essere vinta dagli Stati Uniti, o da chiunque altro: o
perlomeno e' difficile immaginarlo in senso militare. Colui che per qualcuno
e' un terrorista e', per qualcun altro, un combattente in nome della
liberta'. (...) La conseguenza di questo nuovo tipo di terrorismo sara' la
progressiva, inevitabile erosione delle liberta' civili: almeno fino a
quando i popoli impauriti saranno pronti a barattarle in cambio di una
salvaguardia tutta apparente della loro sicurezza.

8. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 702 del 16 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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