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Voci e volti della nonviolenza. 286
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 286
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 16 Jan 2009 08:14:43 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 286 del 16 gennaio 2009 In questo numero: 1. Bruno Gravagnuolo intervista Gianni Francioni 2. Guido Liguori presenta "Gramsci tra Mussolini e Stalin" di Angelo Rossi e Giuseppe Vacca 3. Guido Liguori presenta "Studi gramsciani nel mondo 2000-2005" a cura di Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru 4. Guido Liguori presenta "Antonio Gramsci in contrappunto" di Giorgio Baratta 5. La Fondazione Istituto Gramsci 6. La International Gramsci Society Italia 1. RIFLESSIONE. BRUNO GRAVAGNUOLO INTERVISTA GIANNI FRANCIONI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 7 maggio 2007 col titolo "Gramsci, viaggio infinito al centro dei Quaderni" e il sommario "Intervista a Gianni Francioni, storico della filosofia e direttore dell'edizione critica dei Quaderni del Carcere nella nuova edizione nazionale. Un'impresa filologica che riordina le note gramsciane con criteri nuovi e mirati all'ordine logico. 'Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte originali, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verita' gia' scoperte, socializzarle... e farle diventare... elemento di ordine intellettuale e morale'"] C'era una volta l'edizione tematica dei Quaderni del carcere in sei volumi, quella voluta da Togliatti nel 1947. Arbitraria ma utile, e ricavata da alcuni titoli indicati dallo stesso Gramsci: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, il Risorgimento, Note sul Machiavelli, etc. Poi nel 1975 venne la capitale edizione Einaudi di Valentino Gerratana in quattro volumi, oggi ristampata, rigorosamente cronologica e senza i quaderni di traduzione (4 quaderni su 33). Oggi, non senza polemiche in passato, arriva invece l'Edizione nazionale degli scritti, che include le traduzioni fatte dal prigioniero e tutti i carteggi paralleli (Gramsci, Schucht, Sraffa). E prevede per i soli Quaderni 6 o 7 tomi (Fondazione Gramsci - Istituto dell'Enciclopedia italiana). La novita', anticipata da "L'Unita'" lunedi' scorso, e' grossa e anche controversa. Poiche' il criterio non e' piu' solo cronologico, bensi' per "partizioni". Basato cioe' sulle distinzioni interne che Gramsci stesso in carcere "immaginava" per tutto il suo lavoro. Resta "l'unita'-Quaderno" ripristinata dallo scomparso Gerratana, e anche la sua cronologia, grosso modo. Tuttavia (con le traduzioni a parte) vengono separati i tipi di "quaderni": "miscellanei", "misti" e "speciali". E' un tentativo di radiografare l'ordine "ideale" e logico di una scrittura frammentaria e compressa dal carcere, ma aperta a un progetto continuo, fatto di "enunciati mobili". Un altro Gramsci? Anch'esso arbitrario? Il vero Gramsci? O un Gramsci piu' leggibile? Ne parliamo con Gianni Francioni, ordinario di storia della filosofia a Pavia, sassarese, 57 anni. Da oltre un trentennio sulle piste di un'impresa del genere, che oggi va in porto sotto la sua direzione (con Giuseppe Cospito e Fabio Frosini) proprio nel settantesimo della morte di Gramsci. * - Bruno Gravagnuolo: Professor Francioni, perche' nel riordinare i Quaderni del carcere nella nuova edizione nazionale, il criterio cronologico usato da Valentino Gerratana non bastava piu'? - Gianni Francioni: Ci ho lavorato per anni. Ma, detto in breve, mi sono convinto che esista un ordine dei Quaderni ideato da Gramsci stesso. E che sia stato l'autore stesso a conferire ad essi il carattere di un insieme strutturato in aree o settori abbastanzi precisi. E cio' sulla base del modo di stesura, dei vari sdoppiamenti dei Quaderni. Delle linee di sequenza. Ci sono infatti quaderni o blocchi di essi che nel momento di terminare, vengono proseguiti in un altro quaderno, e poi ci sono i ritorni all'indietro. Insomma, esiste una cronologia, ben ricostruita da Gerratana. Ma essa e' in larga parte indiziaria, ricavata da vari elementi presuntivi, tra inizio e fine. Cio' che ho cercato di fare in piu', e' vedere se tra un quaderno e l'altro vi fossero dei collegamenti, e se agli occhi di Gramsci l'insieme fosse strutturato in ambiti. Se cioe' lui stesso scorgesse queste aree distinte: traduzioni, quaderni miscellanei, speciali, etc. Il prigioniero era costretto dalle regole carcerarie a non poter disporre di piu' di quattro quaderni per volta, o cinque. Il che lo spinse a scegliere una certa struttura, inclusiva di cronologia e aree particolari, sovrapposte. * - Bruno Gravagnuolo: Nondimeno voi distinguete vari tipi di quaderni, separandoli in miscellanei, misti e speciali, pur nel dar conto della cronologia acquisita da Gerratana. E' una rivoluzione... - Gianni Francioni: Nel caso dei quaderni di traduzione il problema non si pone, perche' Gerratana non li aveva inclusi nella sua edizione, che collocava gli altri quaderni in sequenza cronologica di inizio. Scelta legittima. E tuttavia, allorche' si decide di inserire i quaderni di traduzione, estraendoli dagli altri, deve cambiare tutta la strutturazione. Cosa peraltro che rende meglio l'idea complessiva del lavoro di Gramsci in carcere. * - Bruno Gravagnuolo: Perche' e' utile distinguere strutturalmente quaderni "miscellanei", "misti" e "speciali", e in che cosa consiste la loro differenza? - Gianni Francioni: La distinzione e' data dal loro carattere. I quaderni speciali sono inventati da Gramsci nei primi mesi del 1932, in una fase in cui capisce che la mole di note che aveva scritto non era fruibile da un lettore a venire. Era persuaso che questa fosse la sua eredita' letteraria, e percio' la concepiva al futuro, per scongiurare il rischio di un puro zibaldone illeggibile. Lo "speciale" invece e' un tentativo di riordinare la materia, benche' per lui nessun quaderno di tal tipo fosse un libro o un saggio definitivo. Piuttosto una rielaborazione "in progress". * - Bruno Gravagnuolo: Si puo' dire quindi che i "miscellanei" fossero degli "archivi/progetto" da cui Gramsci attingeva per i quaderni sucessivi? - Gianni Francioni: Senza dubbio. Se non fosse stato in carcere avrebbe usato delle schede. E' proprio questo il carattere dei quaderni miscellanei. * - Bruno Gravagnuolo: Veniamo ai nuclei e ai titoli di possibili opere o monografie al futuro. Quali sono a suo avviso? - Gianni Francioni: Monografie in senso proprio nessuna. Gramsci parte con un elenco di argomenti principali ampio. Non con raggruppamenti di materie, come quelli usati dall'edizione Togliatti del 1947 ed enucleati piu' tardi rispetto all'inizio. Ecco l'elenco, dal Quaderno 1: teoria della storia della storiografia, sviluppo della borghesia italiana fino al 1870, letteratura popolare, Cavalcanti, l'Azione cattolica, il folklore... Questi sono i temi su cui si propone di scrivere note. Non c'e' l'idea di monografie: e' uno schedario di rubriche. Via via pero' Gramsci restringe e focalizza. Per esempio, quando nel 1930 compare il blocco di note intitolato "Appunti di filosofia, materialismo e idealismo", e' chiaro che non lo aveva previsto all'inizio. E che sta disegnando un ambito in cui condensare la sua idea del materialismo storico e della filosofia della prassi. Lo stesso vale in "Per la storia degli intellettuali italiani", note della fine del 1930, e anche qui sta abbozzando un altro ambito particolare di ricerca, come scrive a Tatiana in quel momento. Infine nel 1932 c'e' l'avvio dei quaderni speciali, nei quali tenta di riordinare tutto il materiale gia' elaborato. In pratica Gramsci non aveva un solo programma di ricerca, ma se ne da' di successivi. E nemmeno c'e' un tema dominante. * - Bruno Gravagnuolo: Impossibile circoscrivere un fulcro concettuale e tematico? - Gianni Francioni: Il fulcro ideale c'e' a mio avviso, e sono i quaderni filosofici: 10, 11, 12, 13. Su Croce e il suo rovesciamento, su Bucharin contro il suo marxismo popolare, sugli intellettuali e su Machiavelli. Sono queste le pagine piu' costruite e piu' lavorate. * - Bruno Gravagnuolo: E la questione dell'"economia-mondo", con quella del fordismo ormai egemone nel tempo moderno? - Gianni Francioni: Questo piu' avanti, in "Americanismo e fordismo" ad esempio, negli ultimi quaderni. Poi, ovunque e in parallelo, tanti altri temi: la letteratura, il folklore, il senso comune. Meno importanti rispetto ai quaderni filosofici e a quelli sul fordismo. Va detto che i quaderni del 1932 sono quelli piu' "energici" e lavorati. Da un certo momento invece Gramsci riversa e addirittura ricopia negli "speciali" elementi dei "miscellanei". * - Bruno Gravagnuolo: Ma quali sono le "rocce" vere e proprie nei pensieri di Gramsci? Quelle cioe' che parlano di piu' a un lettore contemporaneo? - Gianni Francioni: Stabilito un testo sicuro, la vera roccia e' il tratto di una scrittura continua e metodica. La capacita' di lavoro. Il riuscire, come lui dice, a "cavare sangue dalle rape", da una pagina di giornale, da un dettaglio. Per incontrare il vasto mondo. E il concetto a mio avviso piu' forte e' quello di "rivoluzione passiva", davvero epocale. Con il quale Gramsci cercava di revisionare il marxismo del suo tempo. * - Bruno Gravagnuolo: Rivoluzione passiva come dipendenza delle aree geopolitiche piu' arretrate da quelle piu' avanzate, dentro la connessione mondiale? E come inclusione passiva dentro la modernita' dei subalterni? - Gianni Francioni: Proprio cosi'. E non per caso Gramsci inizia i Quaderni traducendo una rivista tedesca che parla di forme di vita americana, di narrativa, costume, cinema. Era attratto da quel mondo, dalla sua egemonia globale, di mercato e non solo, rispetto alla vecchia Europa. Tutto cio' verra' rielaborato nelle note sul fordismo. Quella di Gramsci e' una teoria della modernita': dall'economia all'immaginario. Ecco cio' che la rende affascinante. Cosi' come sono affascinanti i concetti di "egemonia", di "Oriente e Occidente", diversi e interconnessi per morfologia e livelli di sviluppo. Una visione larga, che ci mostra come l'oriente bolscevico fosse arretratezza per lui. Inadeguato a fungere da modello per la politica e la rivoluzione ad ovest. * - Bruno Gravagnuolo: Filosofia delle classi subalterne per attrezzarle al governo, senza farsi scavalcare dai processi di modernizzazione? - Gianni Francioni: A questo tendono tutti i fili dell'opera di Gramsci, anche quelli apparentemente piu' episodici e casuali, dal senso comune al folklore. Una capacita' di vedere in grande la sua. Con l'idea che attorno alla teoria politica ruotassero tutta una serie di problemi "sovrastrutturali", cruciali per la politica e l'azione egemonica. * - Bruno Gravagnuolo: E se l'opera di Gramsci stesse proprio nella sua "macchina di scrittura"? In una teoria della modernita', sprigionata dalla critica delle forme di potere dominanti? - Gianni Francioni: Possiamo dire di si', senza esagerare. Visto che era condannato a essere uno scrittore di frammenti, in un mosaico infinito di tessere. Un modo a lui congeniale, per carattere e stile intellettuale, che procedeva per stratificazioni sucessive e aggiustamenti del tiro. Colpisce infatti nei Quaderni vedere come egli ritorni sugli stessi concetti, per limarli e modificarli. E poi aprire nuovi ambiti di ricerca. Una pratica di liberazione culturale, perseguita con coerenza e onesta', e coscienza di una provvisorieta' bisognosa di ulteriori verifiche. * - Bruno Gravagnuolo: E cosa replica a chi potrebe accusare la vostra edizione "non cronologica" di ricadere nella tematizzazione arbitraria? - Gianni Francioni: Intanto non e' un edizione tematica, come quella di Togliatti che smontava per temi i Quaderni, operazione allora meritoria. Bensi' la proposta di una diversa partizione, rispondente all'ordine stesso che Gramsci voleva dare al suo lavoro. Del resto il filologo, dinanzi a un testo inedito come questo, non puo' che rappresentarlo cercando di decifrare la volonta' dell'autore. Naturalmente tutto e' discutibile, ma e' una responsabilita' a cui lo studioso non puo' venir meno. 2. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "GRAMSCI TRA MUSSOLINI E STALIN" DI ANGELO ROSSI E GIUSEPPE VACCA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 luglio 2007 col titolo "Quello che non e' scritto nei Quaderni del carcere"] Data dagli anni Novanta un interesse reale per la vicenda carceraria di Gramsci, che accompagna l'ormai acquisita coscienza della necessita' di leggere i Quaderni in modo diacronico. Essa si nutre di nuovi ritrovamenti negli archivi di Mosca e di un'attenta riconsiderazione degli epistolari di Gramsci e dei suoi interlocutori. Perfetto esempio di questo approccio e' il recente libro di Angelo Rossi e Giuseppe Vacca, Gramsci tra Mussolini e Stalin (Fazi, pp. 245, euro 19) che presenta due documenti finora sconosciuti, scritti da Gennaro Gramsci dopo la celebre visita al fratello nel carcere di Turi, inviato da Togliatti per conoscere gli orientamenti del prigioniero in merito alla "svolta" del '29 che inaugurava la politica del socialfascismo. * Nuove ipotesi dai carteggi Sebbene non contengano rivelazioni eclatanti, questi documenti confermano sia l'interesse con cui Gramsci seguiva gli avvenimenti del "mondo grande e terribile" ("sono al corrente di tutto perche' le molte riviste che leggo... riportano tutti i fatti salienti della vita mondiale"), sia la netta presa di posizione contro la previsione di repentino crollo del fascismo propria della "svolta" ("non credo che la fine sia cosi' vicina. Anzi ti diro', noi non abbiamo ancora visto niente, il peggio ha da venire"). Gli autori si spingono avanti nello studio dei carteggi, per formulare nuove ipotesi su alcuni rilevanti passaggi della vicenda. Composto da quattro saggi, firmati dai due autori (ma scritti dichiaratamente dall'uno o dall'altro), il libro offre notevoli materiali e spunti di riflessione, qualche novita' di indubbio rilievo, e una serie di ipotesi interessanti pur se discutibili. In particolare, i quattro saggi sono dedicati al rapporto e alla comunicazione tra Gramsci in carcere e il partito, ai documenti inediti stesi da Gennaro dopo la visita del 1930 a Turi, alla ripresa del tema della Costituente (il "cazzotto nell'occhio") con cui Gramsci prospetto' nei colloqui con gli altri detenuti comunisti un'alternativa al rozzo ottimismo staliniano affermatosi nel 1928-'29 e, infine, all'analisi del 1933, l'ultimo anno trascorso a Turi, e alle ipotesi di liberazione del prigioniero per tramite di una trattativa interstatale. Ma vengono affrontati nel volume, spesso con acutezza, altri momenti topici della vicenda, quali il ruolo di Sraffa, la lettera di Grieco del '28, l'attenzione con cui Mussolini seguiva le cose di Gramsci, la vigilanza del prigioniero perche' mai un suo gesto potesse essere interpretato come capitolazione davanti al fascismo. * Sraffa comunista? E' noto come intorno al capo dei comunisti italiani costretto in carcere vi fosse una rete di persone non solo impegnate nell'aiutare il prigioniero, ma nel garantire una prudente comunicazione con il vertice del partito: il "circolo virtuoso" Gramsci-Tania-Sraffa-Togliatti (e viceversa). Ebbene, gli autori affermano che Sraffa non vi abbia preso parte solo in quanto fidato amico di Gramsci, antifascista e simpatizzante dell'"Ordine Nuovo", ma in quanto comunista "sotto copertura", non formalmente iscritto proprio per poter svolgere i compiti particolari affidatigli (lo stesso si afferma di Gennaro Gramsci). Sraffa acquista anzi - attraverso l'analisi della sua corrispondenza con Tania - un forte ruolo dirigente, che ridimensiona implicitamente quello della cognata. La tesi di Sraffa dirigente comunista - almeno nell'ambito dell'affaire Gramsci - e' suggestiva, forse non lontana dal vero, ma resta non suffragata da prove documentarie. Un secondo aspetto da ricordare e' quello dei codici di comunicazione che Sraffa e Togliatti avrebbero escogitato per dialogare con Gramsci. Su questo terreno, il libro non e' del tutto convincente. E' chiaro che il linguaggio gramsciano, a causa della censura, specie nelle Lettere, sia pieno di doppi sensi, di riferimenti impliciti, di messaggi tra le righe. Senza dire del carattere analogico e metaforico del ragionare di Gramsci. Ma che tutto questo si possa definire un codice appare forzato. Si tratta in molti casi di metafore trasparenti, di riferimenti all'attualita' appena velati. E' chiaro che se Gramsci ragiona sul ruolo di Croce, ha alle spalle un'elaborazione pregressa e condivisa con Togliatti. Per cui parlare di Croce in un certo modo costituisce anche una conferma della "politica di Lione" e dell'analisi della societa' italiana che essa aveva alle spalle. Che gli interlocutori di Gramsci fossero interessati a decifrarne le opinioni sull'attualita' e' evidente, come dimostra la lettera di Sraffa a Togliatti in cui si esplicita la volonta' di trovare temi di ricerca "il cui contenuto politico possa essere fatto passare sotto veste di letteratura". L'unico esempio che puo' essere segnalato come un tentativo di comunicazione codificata e' quello relativo allo studio gramsciano sul Canto X dell'Inferno. A tal proposito, viene da osservare che Gramsci non ha scritto in carcere centinaia di pagine su Dante e su temi analoghi al fine di ingannare la censura: sono argomenti che gli interessano in quanto tali. Ne' e' pensabile che egli possa aver piegato la propria interpretazione a motivi esogeni. E, d'altra parte, sembra ben povero il contenuto di tale comunicazione esoterica: come Cavalcante - farebbe intendere il prigioniero - sono preoccupato delle sorti di mio "figlio", il partito; ne' dovete farmi passare per eroe, voglio combattere anche per uscire vivo di galera... Tutto qui il messaggio "in codice" di Gramsci? Non sembra un granche'. Nonostante tali perplessita', va pero' detto che il lavoro ermeneutico degli autori resta importante per documentare l'attenzione gramsciana all'attualita' e la sua opposizione agli indirizzi prevalenti ai vertici dell'Internazionale. Esso fornisce convincenti esempi di interpretazione del carteggio, e indica la ricchezza di una lettura contestuale dell'intero epistolario e dei carteggi paralleli. Che non e' merito da poco. Un terzo punto di rilievo e' la sottolineatura dell'attenzione prestata da Gramsci al contesto geopolitico e al riavvicinamento temporaneo verificatosi tra Roma e Mosca dopo l'ascesa al potere di Hitler, anche in relazione alla lotta del prigioniero per ottenere la liberazione e salvarsi la pelle. I forti richiami a Tania (dunque a Togliatti, se non si dimentica il "circolo virtuoso") perche' si agisse a livello di Stati, senza coinvolgere il partito, viene spiegato con la consapevolezza gramsciana che il fascismo mai avrebbe concesso la liberazione se essa fosse sembrata un successo delle opposizioni. Questo era stato l'errore gia' della lettera di Grieco del '28. E molti danni vennero poi compiuti dall'iniziativa delle forze antifasciste fuori d'Italia: esse accusavano il Pcd'I di aver "abbandonato Gramsci", costringendo cosi' anche il partito a incrementare le proteste, che pero' sortivano effetti opposti a quelli desiderati. In questo quadro, sembra agli autori che sarebbe stata possibile la liberazione del prigioniero in occasione della visita a Roma del ministro degli esteri sovietico, nel 1933. E viene avanzata l'ipotesi che sia mancata solo, da parte comunista, la volonta' di compiere un preciso passo in questo senso. Gramsci vittima di Togliatti? O, come sembra suggerire il libro, di Stalin? Domande ancora una volta senza risposta. Ma senza supporto di prova resta tutta l'argomentazione. Si tocca qui, mi pare, un punto centrale di metodo: e' giusto avanzare ipotesi interpretative non suffragate da alcuna "pezza d'appoggio"? Non si rischia di scrivere cosi', per certi versi, un romanzo storico? Bisogna ovviamente distinguere da caso a caso. Ma una grande cautela e' necessaria quando non si hanno riscontri di fatto. * Esercizi di ermeneutica Molti altri spunti interessanti offre il libro di Rossi e Vacca. Vorrei ricordarne in conclusione solo un altro, che e' anche il piu' rilevante dal punto di vista teorico-politico: la questione della Costituente di cui ebbe a parlare Gramsci in carcere, il cui problema di fondo e' nella valutazione che essa contiene della "fase di transizione" e piu' in generale del fine della transizione stessa. A tal proposito Vacca scrive: "Sia la teoria dell'egemonia sviluppata nei Quaderni, sia la concezione della 'democrazia di nuovo tipo' (le posizioni di Togliatti e Dimitrov - ndr), implicano il superamento della teoria della 'rivoluzione proletaria' e della 'dittatura del proletariato', e comportano quindi una riformulazione del 'fine ultimo', se non il suo abbandono". A me sembra che se con cio' si vuole affermare che Gramsci opera in carcere una ridefinizione profonda dell'idea di rivoluzione, prendendo le distanze definitivamente dal modello bolscevico con una serie di categorie storico-politiche originali (egemonia, guerra di posizione, ecc.) si dice cosa inoppugnabile. Se invece si vuol dire che cosi' viene meno in Gramsci, novello Bernstein, il "fine ultimo" del superamento della societa' capitalistica, si dice qualcosa che - per quanti esercizi di ermeneutica si facciano - non troviamo scritto nei Quaderni. 3. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "STUDI GRAMSCIANI NEL MONDO 2000-2005" A CURA DI GIUSEPPE VACCA E GIANCARLO SCHIRRU [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 luglio 2007 col titolo "I concetti di Gramsci al filtro delle lingue straniere" e il sommario "Primo di una serie di annali che intendono offrire una rassegna delle ricerche su Gramsci fuori d'Italia, il volume Studi gramsciani nel mondo 2000-2005 a cura di Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru rivela l'attenzione internazionale rivolta ai Quaderni. Anche se, come nota nel suo contributo Marcus Green, non mancano letture incomplete e fraintendimenti"] La fortuna di Gramsci nel mondo, e la rilevanza numerica dei contributi su Gramsci in lingua inglese (dovuta ai cultural studies e ai subaltern studies, per i quali egli e' forse il massimo autore di riferimento), e' un dato acquisito, come e' stato dimostrato - in questo settimo decennale della morte - anche dal convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Gramsci in collaborazione con l'International Gramsci Society su "Gramsci, le culture e il mondo" lo scorso aprile; e dal convegno della stessa Igs su "Antonio Gramsci, un sardo nel 'mondo grande e terribile'", che si e' svolto a maggio in Sardegna con la partecipazione di oltre sessanta studiosi, di cui la meta' provenienti dall'estero (una decina dagli Stati Uniti, sei dall'Australia, cinque dal Brasile; e altri dal Regno Unito, dal Canada, dalla Romania, dalla Francia, dal Messico, dal Giappone). Se si va al di la' del dato quantitativo, quali sono i temi gramsciani che piu' hanno diffusione al di fuori del nostro paese? Un contributo di conoscenza e' dato da una pubblicazione della stessa Fondazione Gramsci, Studi gramsciani nel mondo 2000-2005, a cura di Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru (il Mulino 2007, pp. 345, euro 24,50), primo di una serie di annali che si prefiggono di offrire una rassegna degli studi su Gramsci scritti fuori d'Italia. Un comitato scientifico quale quello che presiede alla pubblicazione - con studiosi che operano in Francia, Giappone, Stati Uniti, Russia, Messico, Germania, oltre che in Italia - puo' monitorare l'evolversi degli studi su scala internazionale e operare una selezione di qualita'. L'osservazione che si puo' fare e' solo quella della necessita' di allargarlo a esponenti di altre aree geoculturali: l'assenza di rappresentanti di realta' come quella brasiliana e quella australiana sono pecche alle quali non sara' difficile porre rimedio. Il volume in questione e' composto da undici saggi, scelti con un duplice criterio: alcuni per il valore di rappresentativita' dei contesti culturali dai quali provengono; altri quali contributi specialistici di oggettiva rilevanza. Sul primo versante, gli scritti di Michaelle Browers su "societa' civile" e "intellettuale" nel mondo arabo, di Markus Bouillon sul declino del processo di pace in Medio Oriente, di Rupe Simms sulla Black Theology in Sud Africa e di Claire Cutler sulla concezione gramsciana del diritto globale hanno un valore soprattutto documentario. Indubbiamente interessante e' lo scritto di Amartya Sen sui rapporti di Sraffa con Gramsci e con Wittgenstein: il premio Nobel ricorda come Sraffa abbia influenzato la svolta teorica tra il Tractatus e le Ricerche (il fatto era noto), ma mette anche in rilievo come le idee sul linguaggio dell'economista italiano fossero quelle del suo amico Gramsci. Tesi affascinante anche se un po' aleatoria. Certo la collocazione di Gramsci in un consesso di tale livello - tra Wittgenstein e Sraffa - gia' di per se' aiuta a spiegarne la statura e l'enorme influenza del lascito intellettuale, rispetto alla quale persino l'accademia italiana inizia a mostrare qualche crepa: il successo del Centro interuniversitario di studi gramsciani, promosso dalla Igs Italia e presieduto da Pasquale Voza, ne e' un chiaro sintomo. Altri autori presenti nel volume sono nomi molto noti nel panorama degli studi gramsciani - da Joseph Buttigieg, curatore dell'edizione inglese dei Notebooks, a Juan Carlos Portantiero, da poco scomparso, antesignano con Arico' degli studi gramsciani in Argentina; da Dora Kanoussi, che in Messico ha portato a termine la traduzione in spagnolo dell'edizione critica dei Quaderni e poi le Lettere, al newyorkese Benedetto Fontana, uno dei migliori studiosi di teoria politica che si occupano di Gramsci. Accanto a essi, alcuni dei piu' promettenti studiosi delle nuove leve, quali lo statunitense Marcus Green e l'inglese Adam Morton. Il ventaglio dei temi e' ampio: si va dal Gramsci lettore di Machiavelli di Portantiero al Filosofo democratico: retorica come egemonia di Fontana, dalla Introduzione alle Lettere della Kanoussi alla teoria della nascita dello Stato moderno tentata da Morton con una strumentazione marxiana e gramsciana. Sono pero' gli scritti di Buttigieg e di Green a riportarci maggiormente alle considerazioni dalle quali siamo partiti: quali sono i concetti gramsciani oggi piu' usati nel mondo? I saggi dei due autori sono imperniati sulle due architravi di questa fortuna, che essi sottopongono ad argomentata critica, opponendovisi dall'interno: il concetto di "societa' civile" e quello di "subalterno". Buttigieg critica la concezione di societa' civile attribuita a Gramsci prevalente nel mondo anglofono, fondata sulla visione binaria Stato/non Stato tipica della tradizione liberale ma - sottolinea Buttigieg - estranea a Gramsci, che col concetto di "Stato integrale" vede invece come un unico filo di potere attraversi e unisca dialetticamente entrambi. Non solo, Buttigieg mostra come l'analisi gramsciana trovi una riprova proprio negli Stati Uniti di oggi, dove le forze conservatrici agiscono per formare l'opinione pubblica nella societa' civile in tutt'uno con la loro azione nelle amministrazioni repubblicane. Analogamente fa Green per il concetto molto diffuso di "subalterno", che viene da Gramsci e che grande fortuna ha avuto a partire dall'uso che ne ha fatto la scuola indiana cui appartengono fra gli esponenti piu' noti Ranajit Guha e Gayatri Spivak. Proprio con la Spivak polemizza l'autore fin dal titolo inglese del saggio - purtroppo non conservato nella traduzione italiana - Gramsci cannot speak, contrapposto al celebre scritto della Spivak Can the subaltern speak? L'accusa che egli rivolge alla celebre studiosa di Derrida e' quella di aver stravolto il concetto gramsciano, astraendolo dal contesto di lotta per l'egemonia in cui era immesso. Green ci fa capire come Gramsci sia stato letto in modo incompleto, e spesso frainteso, specie dagli studiosi che, non conoscendo l'italiano, spesso non possono leggerlo e studiarlo integralmente. Insomma, il panorama degli studi gramsciani fuori d'Italia e' variegato. Non e' solo nel nostro paese che e' viva l'attenzione al testo e al contesto storico-culturale, anche se e' soprattutto da noi che gli studi gramsciani hanno fortemente privilegiato questo versante: penso alle iniziative della Igs Italia - un seminario interdisciplinare sul lessico dei Quaderni che va avanti da diversi anni e che ha gia' prodotto un libro apprezzato come Le parole di Gramsci (Carocci) e il primo, grande Dizionario gramsciano di prossima pubblicazione; e a quelle della Fondazione Gramsci, come l'edizione nazionale delle opere, di cui e' uscito quest'anno il primo volume dei finora inediti Quaderni di traduzione a cura di Giuseppe Cospito e Gianni Francioni per i tipi dell'Istituto della Enciclopedia Italiana; e come l'impegnativo convegno in programma in autunno su "Gramsci nel suo tempo", nonche' la grande Bibliografia Gramsciana Ragionata (Bgr) a cui sta lavorando un gruppo di studiosi guidato da Angelo D'Orsi. Non necessariamente questi "due mondi" (quello dello scavo storico-filologico e quello soprattutto volto all'uso di Gramsci) devono essere intesi come contrapposti: il reciproco ascolto e' anzi necessario perche' si impari da una parte a usare Gramsci senza tradirlo, e dall'altra a studiare Gramsci senza farne un fossile, un "classico" del tutto estraneo alla politica e alla lotta per l'egemonia che egli non solo teorizzo', ma cerco' anche sempre di portare avanti in prima persona. 4. LIBRI. GUIDO LIGUORI PRESENTA "ANTONIO GRAMSCI IN CONTRAPPUNTO" DI GIORGIO BARATTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 marzo 2008 col titolo "Opera aperta al divenire dell'egemonia" e il sommario "Antonio Gramsci in contrappunto, un volume di Giorgio Baratta per Carocci editore"] Quale e' la situazione degli studi gramsciani oggi? I numerosi incontri e le pubblicazioni che hanno contraddistinto l'"anno gramsciano" 2007, in occasione del settantesimo anniversario della morte del comunista sardo, hanno delineato una duplice tendenza. Da una parte, la vitalita' del pensiero gramsciano e' oggi comprovata dal fatto che esso vive in contesti e culture lontani da quelli in cui ebbe origine. Non solo i "cultural studies", che ormai costituiscono una delle presenze piu' importanti e articolate del mondo degli studi nei paesi anglosassoni, o i "subaltern studies", che a partire dall'India hanno messo a tema una delle categorie piu' vivifiche del lascito gramsciano (anche se non da molto tempo sotto i riflettori), la categoria di "subalterno"; o gli "studi postcoloniali", tendenza inaugurata da Edward Said e dilagata nell'ultimo quindicennio; ma anche la persistente fortuna di Gramsci in alcuni paesi dell'America latina, tradizionalmente attenti a un suo uso piu' immediatamente politico. Dall'altra, il pensiero su Gramsci si e' oggi concentrato su una lettura sempre piu' analitica dei Quaderni, nel tentativo di comprendere meglio la complessa trama delle sue categorie, la riscoperta del loro reale significato, al di la' delle sedimentazioni ermeneutiche non sempre pertinenti e oggi utilizzabili che erano sedimentate in tanti decenni di interpretazioni. Queste due tendenze - e' palese - non sempre sono facili da conciliare, anzi spesso rischiano di dar vita a ottiche che non interagiscono, a movimenti che si escludono a vicenda. Il nuovo libro gramsciano di Giorgio Baratta, invece, le contiene e le arrichisce entrambe. Il suo titolo, Antonio Gramsci in contrappunto (Carocci, pp. 301, euro 22,50), allude a un approccio che - ancora sulla scorta di Said - preferisce rinunciare a una visione fortemente unitaria del mondo per scandagliare con il "metodo contrappuntistico" le sue "esperienze discordanti". I rischi di postmodernismo - che giustamente nella Postfazione sottolinea Fabio Frosini - son pero' per Baratta stesso da evitare: attraverso i "passaggi metodici" del metodo del contrappunto, il fine resta pur sempre quello di "ricomporre mentalmente l'unita' di un mondo lacerato dalle pretese di egemonia e di dominio". Senonche' - come Baratta sa benissimo - vi e' sempre una egemonia, una "concezione del mondo" che prevale: si tratta di vedere quale sia. Si accennava sopra alla ricchezza del volume. Esso e' in realta' un assembramento di piu' libri possibili. Vi e' il libro dedicato al dialogo con Said e dunque con le correnti piu' diffuse, fuori d'Italia, degli studi gramsciani (un altro autore scandagliato e' Stuart Hall). Vi e' il libro dell'analisi lessicale e concettuale, dove alcune fondamentali parole-chiave o coppie concettuali gramsciane sono passate al vaglio ravvicinato, da "cultura" a "americanismo e fordismo", da "subalterni" a "senso comune", a "folklore e filosofia" (qui e' evidente il nesso con l'attivita' piu' recente dei seminari sul lessico dei Quaderni della Igs Italia, di cui Baratta e' stato uno dei protagonisti). Vi e' il libro che maggiormente e' dedicato alla dimensione esistenziale di Gramsci, soprattutto alla dimensione del rapporto (che per Baratta e' assolutamente fondamentale) con la sua Sardegna. E vi sono infine le molte pagine dedicate alla Nuestra America, al vivere odierno del lascito gramsciano nel mondo latinoamericano. In primo luogo il Brasile, sul quale Baratta non per la prima volta getta vedute e ipotesi interpretative abbastanza inusuali e anche molto ardite (in alcuni casi forse troppo ardite), anche se sempre stimolanti. Ma anche il Venezuela, dove Chavez ha dimostrato di saper usare come pochi politici gli strumenti analitici gramsciani nella ricognizione del suo "territorio nazionale", mettendo a fuoco una lettura del rapporto Stato/societa' in quel paese tanto diverso dal contesto su cui Gramsci ebbe a riflettere. Su quest'ultimo tema le pagine barattiane hanno sollevato polemiche. Vi e' forse in alcuni una reazione scomposta verso tutto cio' che sappia di cambiamento e di volonta' rivoluzionaria. Vi e' probabilmente in altri qualche dubbio sulla possibilita' di un certo uso di Gramsci - il cui pensiero e' cosi' eurocentrico (sia pure in uno col riconoscimento della grande novita' "americana", ma dell'America anglofona) - da suonare strano se proiettato in un'ottica terzomondista. E' vero, occorre fare attenzione e procedere con cautela. Ma non sono stati due maestri anche di gramscismo come Nicola Badaloni e Valentino Gerratana a insegnarci che Gramsci - in quanto classico - ha una sua buona dose di efficacia anche in contesti lontani dal suo tempo e dal suo paese? La realta' continua a dirci che questa indicazione e' valida. 5. RIFERIMENTI. LA FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCI [Dal sito della Fondazione Istituto Gramsci (www.fondazionegramsci.org) riprendiamo la seguente scheda di presentazione] La Fondazione Istituto Gramsci (costituita nel 1982 sulla base del preesistente Istituto Gramsci, nato nel 1950) promuove studi e ricerche sull'opera e il pensiero di Antonio Gramsci, sulla storia italiana e internazionale del XX secolo, sui caratteri economici, socio-culturali e politici della globalizzazione, sui processi dell'integrazione europea. Nella propria attivita', essa si riferisce ai soggetti e agli istituti locali, nazionali e internazionali che presentano analoghe ispirazioni e finalita'. Cura la tutela, la conservazione e l'arricchimento del proprio patrimonio archivistico e bibliotecario, garantisce l'apertura giornaliera al pubblico dell'Archivio e della Biblioteca, promuove e organizza ricerche, corsi, convegni, mostre e attivita' formative, bandisce cinque borse di studio annuali e due borse di studio biennali. La Fondazione dispone di archivi di valore assai rilevante per lo studio della storia d'Italia nel Novecento, con particolare riferimento alla storia dell'Italia repubblicana, dichiarati di notevole interesse storico dalla sovrintendenza archivistica per il Lazio (8.000 buste d'archivio per un totale di circa 6.000.000 di carte), fra i quali l'Archivio storico del Pci (1921-1991), l'Archivio personale di Luchino Visconti, l'Archivio personale di Sibilla Aleramo e l'Archivio storico delle donne "Camilla Ravera". La Fondazione dispone di una Biblioteca di circa 135.000 volumi monografici, volumi periodici e opuscoli, di cui oltre 116.000 volumi inventariati e catalogati. Le pubblicazioni permanenti della Fondazione sono gli "Annali", la rivista "Studi storici" e il Rapporto annuale sull'integrazione europea. 6. RIFERIMENTI. LA INTERNATIONAL GRAMSCI SOCIETY ITALIA [Dal sito della International Gramsci Society Italia (www.gramscitalia.it) riprendiamo la seguente scheda di presentazione dal titolo "Che cos'e' Igs Italia"] La International Gramsci Society Italia (Igs Italia) si e' costituita in Roma il 18 dicembre 1996, sulla base di un'assemblea svoltasi a Napoli l'anno precedente nella sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La Igs Italia nasce come sezione italiana della International Gramsci Society, l'associazione che riunisce le studiose e gli studiosi gramsciani di tutto il mondo, e che e' stata presieduta, fin dalla sua fondazione nel 1991, dal compianto Valentino Gerratana. I soci fondatori della Igs Italia sono importanti personalita' del mondo della cultura: Nicola Badaloni, Giorgio Baratta, Tullio De Mauro, Giuseppe Fiori, Clara Gallini, Valentino Gerratana, Guido Liguori, Domenico Losurdo, Edoardo Sanguineti, Aldo Tortorella, Renato Zangheri. La Igs Italia e' un'associazione culturale senza fini di lucro. Il suo scopo consiste nella promozione a tutti i livelli della conoscenza della figura, dell'opera e del pensiero di Antonio Gramsci. La Igs Italia collabora regolarmente - con una propria redazione - alla realizzazione del bollettino internazionale dell'associazione, curato da Joseph Buttigieg (Notre Dame University) e inviato a tutti gli iscritti alla Igs e a molti studiosi gramsciani in venti Paesi del mondo. La Igs Italia e' consorziata con il Centro interuniversitario di ricerca per gli studi gramsciani, di cui fanno parte le universita' di Bari, Urbino e Trieste. Igs e Centro hanno una collana di studi gramsciani presso la casa editrice Carocci, intitolata "Per Gramsci". Il direttivo dell'Igs Italia e' attualmente composto da: Giorgio Baratta (presidente), Lea Durante (vicepresidente), Fabio Frosini, Guido Liguori (vicepresidente), Marina Paladini Musitelli. Pasquale Voza, presidente del Centro interuniversitario, e' invitato permanente del direttivo. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 286 del 16 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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