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Minime. 701
- Subject: Minime. 701
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 15 Jan 2009 01:13:57 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 701 del 15 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: 700 tesi sulla guerra e sul razzismo (ridotte a cinque per sollievo dei lettori impazienti) 2. Bruno Segre: Tragici giochi di potere 3. Annamaria Rivera: Gaza 4. Un appello dell'Unrwa 5. Uri Avnery: Il crimine 6. Ettore Masina: Gli aquiloni di Gaza 7. Riletture: Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia 8. Riletture: Tahar Ben Jelloun, Jenin 9. Riletture: Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli 10. Riletture: Primo Levi, I sommersi e i salvati 11. Riletture: Elena Loewenthal, L'Ebraismo spiegato ai miei figli 12. Riletture: Elena Loewenthal, Lettera agli amici non ebrei 13. Riletture: Amos Oz, Contro il fanatismo 14. Riletture: Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: 700 TESI SULLA GUERRA E SUL RAZZISMO (RIDOTTE A CINQUE PER SOLLIEVO DEI LETTORI IMPAZIENTI) 1. Non si oppone alla guerra chi non vuole salvare tutte le vite. * 2. Non e' solidale con un popolo chi si augura la distruzione di un altro. * 3. Raramente gli hitleriani oggi si dichiarano tali. Di questi tempi anche i nazisti si sono fatti furbi. * 4. La nonviolenza o e' lotta contro la violenza, la lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro la violenza, o non e' nulla. * 5. Vi e' una sola umanita'. 2. RIFLESSIONE. BRUNO SEGRE: TRAGICI GIOCHI DI POTERE [Ringraziamo Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per questo intervento] Seguo da giorni passo dopo passo, ora dopo ora il succedersi delle violenze in atto a Gaza e tra Gaza e Israele. Le notizie che riesco a raccogliere mi procurano un dolore che sfiora il dolore fisico. Personalmente non ho la pretesa ne' la capacita' ne' le competenze per dire a chicchessia "che cosa si dovrebbe fare" per restituire a quelle popolazioni condizioni di vita decenti. Temo che le due forze che si fanno la guerra (Hamas spalleggiato dall'Iran e l'establishment di governo in Israele) non siano in realta' "forze" bensi' siano profondamente deboli - in particolare sul terreno di quel tipo di progettualita' politica che animo', tanto per intenderci, il compianto Yitzhak Rabin -, e che pertanto si facciano reciprocamente la guerra perche' soltanto la guerra offre a ciascuna di loro l'illusione di essere "una forza". In sostanza, l'esistenza feroce degli uni fa da ricostituente all'esistenza feroce degli altri, e viceversa. Tutto cio', sulla pelle delle rispettive societa' civili, che fanno le spese di questi tragici giochi di potere. Mi pare che stiamo assistendo, purtroppo, alla recita replicata di un copione antichissimo e consunto. Voglio evitare, tuttavia, di vedere buio pesto nel futuro del Vicino Oriente. Fra meno di una settimana entrera' alla Casa Bianca Barack Obama alla testa di un'equipe di donne e uomini che la societa' civile americana (dotata evidentemente di un'inattesa vitalita' e capacita' di ripresa) ha scelto perche' affrontino, possibilmente con successo, gli immani problemi che l'umanita' post-Bush si trova oggi di fronte. Tra questi problemi c'e' anche, e non e' detto che sia quello piu' grave, il pluridecennale conflitto israelo-palestinese e israelo-arabo. Sono sicuro che i nuovi governanti Usa faranno del loro meglio per aiutare le parti in conflitto a riaprire il negoziato. Sarebbe importante che anche in Europa si lavorasse nella stessa direzione. 3. LACRIMAE RERUM. ANNAMARIA RIVERA: GAZA [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per questi versi "dettati dallo sconforto"] Disperanti i corpicini avvolti in candidi sudari che la calcolatrice impazzita del massacro moltiplica giorno dopo giorno Disperanti i pianti senza lacrime di donne orfane di prole che gridano al cielo strazio e maledizioni Disperanti i perpetui fuochi d'artificio arricchiti di fosforo bianco complemento alla festa sinistra di un demone perverso Piu' di ogni cosa disperanti questi signori magari un tempo ribelli che discettano contegnosi delle ragioni degli uni e degli altri - degli uni piu' che degli altri - impermeabili al dolore allo scempio dei corpi ai cadaveri insepolti ai feriti senza speranza alle case e alle moschee alle scuole e agli ospedali ridotti in polvere E voi palestinesi pezzenti incivili bigotti superstiziosi integralisti voi che credete ancora che i bambini sono bambini che la fame e' sempre fame che la morte e' sempre morte che la guerra e' sempre guerra risolvetevi infine ad accogliere il nuovo ordine mondiale oppure perdio non ostacolate il massacro 4. APPELLI. UN APPELLO DELL'URNWA [Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo la seguente dichiarazione del 13 gennaio 2009 col titolo "Direttore Unrwa: Il mondo dia prova della sua umanita'" e il sommario "John Ging chiede la mobilitazione della comunita' internazionale e che si apra un'inchiesta sulle armi non convenzionali usate da Israele"] Il direttore delle operazioni a Gaza per l'Unrwa (la speciale agenzia dell'Onu che presta soccorso ai profughi palestinesi - ndr), John Ging, ha lanciato un appello alla comunita' internazionale perche' si mobiliti per proteggere i civili a Gaza e "dare prova della nostra umanita'". Ging sta inoltre spingendo affinche' venga aperta un'inchiesta sull'uso sospetto di armi non convenzionali da parte dell'esercito israeliano durante gli ultimi 18 giorni. "Qualsiasi cosa noi facciamo, e cio' che abbiamo fatto finora, e' tutto inutile se le armi non cesseranno di sparare. Il mondo non puo' starsene impalato a guardare le due parti in causa che hanno chiaramente espresso l'intenzione di continuare i combattimenti", ha detto Ging in audioconferenza ai giornalisti che si trovavano nella sede Onu di Ginevra. 5. RIFLESSIONE. URI AVNERY: IL CRIMINE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 gennaio 2009 col titolo "Distrutta ma non sconfitta, cosi' Hamas riuscira' a vincere" e il sommario "Gaza. Guerra delle menzogne, calcoli sbagliati e la 'follia morale' di Ehud Barak"] Quasi settant'anni fa, nel corso della seconda guerra mondiale, nella citta' di Leningrado fu commesso un crimine efferato. Per piu' di 70 giorni, una banda di estremisti chiamata "Armata rossa" tenne in ostaggio milioni di abitanti di quella citta' e, cosi' facendo, provoco' la rappresaglia della Wehrmacht tedesca dall'interno. I tedeschi non ebbero altra alternativa, se non bombardare la popolazione e imporre un blocco totale causando la morte di centinaia di migliaia di persone. Un po' di tempo prima, un crimine simile era stato commesso in Inghilterra. La banda di Churchill si era nascosta tra la popolazione londinese, sfruttando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono costretti a inviare la Luftwaffe e, sebbene con riluttanza, a ridurre la citta' in rovine. Lo chiamarono il Blitz. Questa e' la descrizione che apparirebbe oggi nei libri di storia - se i tedeschi avessero vinto la guerra. Assurdo? Non piu' delle quotidiane descrizioni nei nostri media, che si ripetono fino alla nausea: i terroristi di Hamas usano gli abitanti di Gaza come "ostaggi" e sfruttano le donne e i bambini come "scudi umani". Non ci lasciano altra alternativa se non i bombardamenti massicci nei quali, con nostro profondo dolore, migliaia di donne, bambini e uomini disarmati vengono uccisi o feriti. In questa guerra, come in qualunque guerra moderna, la propaganda gioca un ruolo fondamentale. La disparita' tra le forze, tra l'esercito israeliano - con i suoi caccia, elicotteri da combattimento, aerei teleguidati, navi da guerra, artiglieria e tank - e le poche migliaia di combattenti di Hamas dotati di armi leggere, e' di uno su mille, forse uno su un milione. Nell'arena politica il gap tra loro e' ancora piu' ampio. Ma nella guerra di propaganda, il gap e' quasi infinito. Quasi tutti i media occidentali inizialmente ripetevano la versione ufficiale della propaganda israeliana. Essi ignoravano quasi del tutto le ragioni dei palestinesi, per non parlare delle dimostrazioni quotidiane del campo della pace israeliano. La logica del governo israeliano ("Lo stato deve difendere i suoi cittadini contro i razzi Qassam") e' stata accettata come se quella fosse tutta la verita'. L'altro punto di vista, per cui i Qassam sono una rappresaglia per l'assedio che affama il milione e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza, non e' stato riportato affatto. Solo quando le scene orribili provenienti da Gaza hanno cominciato ad apparire sui teleschermi occidentali, l'opinione pubblica mondiale ha gradualmente iniziato a cambiare. E' vero, i canali televisivi occidentali e israeliani hanno mostrato solo una piccolissima frazione dei terribili eventi che appaiono 24 ore su 24 sul canale arabo al Jazeera, ma una sola immagine di un bimbo morto nelle braccia del padre terrorizzato e' piu' potente di mille frasi elegantemente costruite dal portavoce dell'esercito israeliano. E alla fine e' decisiva. La guerra - ogni guerra - e' il regno delle menzogne. Che si chiami propaganda o guerra psicologica, tutti accettano l'idea che sia giusto mentire per un paese. Chiunque dica la verita' rischia di essere bollato come traditore. Il problema e' che la propaganda e' convincente per lo stesso propagandista. E dopo che ci si e' convinti che una bugia e' verita', e la falsificazione realta', non si riesce piu' a prendere decisioni razionali. Un esempio di questo fenomeno riguarda quella che finora e' stata l'atrocita' piu' scioccante di questa guerra: il bombardamento della scuola dell'Onu Fakhura, nel campo profughi di Jabaliya. Immediatamente dopo che esso era stato conosciuto in tutto il mondo, l'esercito ha "rivelato" che i combattenti di Hamas avevano sparato con i mortai da un punto vicino all'ingresso della scuola. Poco tempo dopo, il militare che aveva mentito ha dovuto ammettere che la foto aveva piu' di un anno. In breve: una falsificazione. In seguito l'ufficiale bugiardo ha affermato che avevano "sparato ai nostri soldati da dentro la scuola". Dopo appena un giorno, l'esercito ha dovuto ammettere dinanzi al personale Onu che anche quella era una menzogna. Nessuno aveva sparato da dentro la scuola; nella scuola non c'erano combattenti di Hamas: era piena di profughi terrorizzati. Ma l'ammissione ormai non faceva quasi piu' differenza. A quel punto, il pubblico israeliano era totalmente convinto che avessero "sparato da dentro la scuola", e gli annunciatori tv lo hanno affermato come un semplice fatto. Lo stesso e' accaduto con le altre atrocita'. Nell'atto della morte, ogni bambino si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea bombardata diventava istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina un deposito di armi, ogni scuola una postazione terroristica, ogni edificio dell'amministrazione pubblica un "simbolo del potere di Hamas". Cosi' l'esercito israeliano manteneva la sua purezza di "esercito piu' morale del mondo". La verita' e' che le atrocita' sono un risultato diretto del piano di guerra. Questo riflette la personalita' di Ehud Barak - un uomo il cui modo di pensare e le cui azioni sono una chiara esemplificazione di quella che viene chiamata "follia morale", un disturbo sociopatico. Il vero scopo (a parte quello di farsi eleggere alle prossime elezioni) e' porre fine al governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Nell'immaginazione di chi ha pianificato la guerra, Hamas e' un invasore che ha ottenuto il controllo di un paese straniero. Naturalmente la realta' e' completamente diversa. Il movimento di Hamas ha ottenuto la maggioranza dei voti nelle elezioni democratiche che si sono svolte in Cisgiordania, a Gerusalemme Est e nella Striscia di Gaza. Ha vinto perche' i palestinesi erano giunti alla conclusione che l'atteggiamento pacifico di Fatah non avesse ottenuto nulla da Israele - ne' un congelamento degli insediamenti, ne' il rilascio dei prigionieri, ne' un qualunque passo significativo verso la fine dell'occupazione e la creazione dello stato palestinese. Hamas e' profondamente radicato nella popolazione - non solo come movimento di resistenza che combatte l'occupante, come l'Irgun e il Gruppo Stern in passato - ma anche come organismo politico e religioso che fornisce servizi sociali, scuola e sanita'. Dal punto di vista della popolazione, i combattenti di Hamas non sono un organismo straniero, ma figli di ogni famiglia della Striscia e delle altre regioni palestinesi. Essi non si "nascondono dietro la popolazione": la popolazione li vede come i suoi unici difensori. Percio', l'intera operazione si basa su presupposti errati. Trasformare la vita in un inferno sulla terra non fa insorgere la popolazione contro Hamas ma, al contrario, essa si stringe dietro Hamas e rafforza la propria determinazione a non arrendersi. La popolazione di Leningrado non si sollevo' contro Stalin, piu' di quanto i londinesi non si sollevarono contro Churchill. Chi da' l'ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un'area densamente popolata, sa che causera' il massacro di civili. A quanto pare, cio' non lo ha toccato. O forse credeva che loro avrebbero "cambiato modo" e la guerra avrebbe "marchiato a fuoco la loro coscienza", per cui in futuro non oseranno resistere a Israele. Una delle principali priorita' per chi ha pianificato la guerra era l'esigenza di ridurre al minimo le vittime tra i soldati, sapendo che lo stato d'animo di una larga parte dell'opinione pubblica, favorevole ad essa, sarebbe cambiato se fossero giunte notizie di questo genere. E' quanto e' avvenuto nella prima e nella seconda guerra del Libano. Questa considerazione ha giocato un ruolo particolarmente importante perche' l'intera guerra e' parte della campagna elettorale. Ehud Barak, che nei primi giorni di guerra e' salito nei sondaggi, sapeva che il suo gradimento sarebbe crollato se gli schermi televisivi si fossero riempiti di immagini di soldati morti. Percio', si e' fatto ricorso a una nuova dottrina: evitare perdite tra i nostri soldati mediante la distruzione totale di tutto cio' che incontrano sulla loro strada. Per salvare un soldato israeliano si era disposti a uccidere non solo 80 palestinesi, ma anche 800. Evitare perdite dalla nostra parte e' il comandamento principale, che sta causando un numero record di vittime civili dall'altra. Questo significa la scelta consapevole di un tipo di guerra particolarmente crudele - e questo e' il suo tallone di Achille. Una persona senza immaginazione, come Barak (il suo slogan elettorale: "Non un bravo ragazzo, ma un leader") non riesce a immaginare come le persone per bene, in tutto il mondo, possano reagire ad azioni come l'uccisione di intere famiglie, la distruzione di case sulla testa dei loro abitanti, le file di bambini e bambine in sudari bianchi pronti per la sepoltura, le notizie di persone lasciate a morire dissanguate per giorni perche' non si consentiva alle ambulanze di raggiungerle, l'uccisione di dottori e medici impegnati a salvare vite umane, l'uccisione di autisti dell'Onu che trasportavano cibo. Le immagini degli ospedali, con i morti, le persone in fin di vita, i feriti stesi tutti insieme sul pavimento per mancanza di spazio, hanno scioccato il mondo. I pianificatori pensavano di poter impedire al mondo di vedere queste immagini vietando con la forza la presenza dei media. I giornalisti israeliani - fatto riprovevole - si sono accontentati dei rapporti e delle foto forniti dal portavoce dell'esercito, come se fossero notizie autentiche, mentre loro stessi se ne restavano a miglia di distanza dai fatti. Anche ai giornalisti stranieri non e' stato permesso di entrare, finche' non hanno protestato e sono stati portati a fare rapidi tour in gruppi selezionati e controllati. Ma in una guerra moderna, uno sguardo cosi' sterile e preconfezionato non puo' escludere completamente tutti gli altri - le videocamere sono dentro la Striscia, in mezzo all'inferno, e non possono essere controllate. Al jazeera trasmette le immagini a tutte le ore, e arriva in tutte le case. La battaglia per il teleschermo e' una delle battaglie decisive della guerra. Centinaia di milioni di arabi dalla Mauritania all'Iraq, piu' di un miliardo di musulmani dalla Nigeria all'Indonesia vedono le immagini e sono orripilati. Questo ha un impatto forte sulla guerra. Molti spettatori vedono i governanti dell'Egitto, della Giordania, dell'Autorita' palestinese come collaboratori di Israele nell'attuazione di queste atrocita' ai danni dei loro fratelli palestinesi. I servizi di sicurezza dei regimi arabi stanno registrando un fermento pericoloso tra le popolazioni. Hosny Mubarak, il leader arabo piu' esposto per aver chiuso il valico di Rafah in faccia ai profughi terrorizzati, ha cominciato a premere sui decisori di Washington, che fino ad allora avevano bloccato tutti gli inviti a cessare il fuoco. Questi hanno cominciato a capire che i vitali interessi americani nel mondo arabo erano minacciati e improvvisamente hanno cambiato atteggiamento - nella costernazione dei compiacenti diplomatici israeliani. Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni delle persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. "Quante divisioni ha il papa?" se la rideva Stalin. "Quante divisioni hanno le persone con una coscienza?" potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come stiamo vedendo, ne hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a reagire. Non molto forti e organizzate. Ma a un certo momento, quando le atrocita' dilagano e masse di persone si uniscono per protestare, questo puo' decidere di una guerra. L'incapacita' di cogliere la natura di Hamas ha causato l'incapacita' di capire i prevedibili risultati. Non solo Israele non e' in grado di vincere la guerra: Hamas non puo' perderla. Anche se l'esercito israeliano dovesse riuscire a uccidere ogni combattente di Hamas fino all'ultimo uomo, anche allora Hamas vincerebbe. I combattenti di Hamas sarebbero visti come i modelli della nazione araba, gli eroi del popolo palestinese, i modelli da emulare per ogni giovane del mondo arabo. La Cisgiordania cadrebbe nelle mani di Hamas come un frutto maturo, Fatah affogherebbe in un mare di disprezzo, i regimi arabi rischierebbero di crollare. Se la guerra dovesse finire con Hamas ancora in piedi, sanguinante ma non sconfitto, a fronte della possente macchina militare israeliana, cio' apparirebbe come una vittoria fantastica, una vittoria della mente sulla materia. Nella coscienza del mondo, restera' impressa a fuoco l'immagine di Israele come un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a commettere crimini di guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno morale. Questo avra' gravi conseguenze a lungo termine per il nostro futuro, per la nostra posizione nel mondo, per la nostra chance di raggiungere la pace e la tranquillita'. In fondo, questa guerra e' anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro lo stato di Israele. 6. DOCUMENTAZIONE. ETTORE MASINA: GLI AQUILONI DI GAZA [Riportiamo la "Lettere" n. 138 del gennaio 2009 di Ettore Masina (per contatti: ettore at ettoremasina.it)] Vi sono momenti in cui la storia e il vangelo si incrociano e pare si confermino a vicenda. Il 28 dicembre di ogni anno la Chiesa rilegge la pagina del Nuovo Testamento in cui si racconta della strage di bambini di Betlemme ordinata da Erode. La Chiesa definisce quei piccoli con il nome di Santi Martiri Innocenti. In realta' si tratta di un racconto midrashico, cioe' simbolico: nessun testo storico registra un avvenimento del genere nella Palestina di quel tempo. Adesso questo avvenimento e il nome che lo descrive sono diventati realta': proprio a partire dagli ultimi giorni del dicembre scorso e proprio in Palestina, decine e decine di bambini vengono uccisi, non da sgherri assatanati ma da un esercito fra i piu' potenti della Terra con generali, bandiere, ferrea disciplina, minuziosi piani di battaglia. Perche' Santi e Martiri quei bambini di Betlemme coetanei del Signore? La liturgia risponde con una formula che a me pare stupenda: martiri e dunque santi perche' non loquendo sed moriendo confessi sunt, perche' non con parole ma con la morte hanno testimoniato il Cristo. Cosi', una volta di piu', la riflessione evangelica coglie il nesso intimo fra il Salvatore e i piu' poveri dei poveri: il loro destino, la loro storia ignorata dai libri, persino la storia effimera (di pochi giorni, mesi o anni) dei piccini uccisi dalla violenza degli adulti sono storia sacra, inscritta nel mistero della croce. Qualcuno mi ha detto tempo fa che nelle icone ortodosse dell'Epifania la culla di Gesu' bambino ha la forma di una bara. (Ma le notizie che arrivano da Gaza mentre scrivo, il 6 gennaio, dicono che la popolazione non riesce piu' a seppellire i suoi morti). Non con le parole ma con la morte testimoniano la realta' tutti i piccoli schiantati dalla nostra follia o dalla nostra inerzia. Siano i bambini violati dai "turisti del sesso" o quelli schiacciati dalle fatiche di certi lavori "minorili", le creaturine vietnamite che nascono deformi a causa dei defolianti disseminati dagli americani durante la guerra; o siano i ragazzini-soldati di certe aree africane o quelli uccisi, mutilati o psichicamente straziati dai conflitti, come i piccoli afghani e congolesi e sudanesi, quelli israeliani assassinati dai terroristi o, adesso, quelli massacrati dall'esercito israeliano, le vittime infantili del nostro tempo testimoniano che il male distende le sue ali di tenebra in tutte le epoche e i luoghi, e puo' insediarsi nel cuore di ogni uomo. I bambini violati e uccisi accompagnano con le loro ombre il nostro cammino e vanificano con i loro lamenti o i loro insanguinati silenzi la nostra pretesa di essere autori di una civilta' sempre piu' "umana": giusta, cioe', libera, generosa. E tenera. Credo fermamente che nessuno di noi possa "chiamarsi fuori" da queste realta' planetarie, che legami piu' o meno visibili ci saldino ai mali del nostro tempo e che non sia possibile uscire dalla nostra inevitabile condizione di carnefici (o, almeno, di favoreggiatori di carnefici) se non cercando di cogliere in tutta la sua valenza le nostre responsabilita'. Credo, cioe', che innanzi tutto il nostro dovere non sia soltanto di piangere le piccole vittime ma di conoscere le condizioni storiche che le hanno crocifisse, per vedere se non sia possibile da parte nostra qualche intervento per un mutamento della realta'. Senza questa ricerca di informazioni e' come se ci rifiutassimo di vedere il volto di quei bambini, di conoscerne il nome, di ascoltarne il lamento. Questa mancanza di informazioni emerge piu' che mai, oggi, davanti a Gaza. Mi sembra terribile: su un dramma planetario che da piu' di sessant'anni insanguina una Terra santa a tre religioni monoteiste, dunque a miliardi di persone, la gente ha idee confuse o addirittura non ne ha. Gaza, la strage di tanti bambini (e dei loro genitori), la nostra pretesa di neutralita' o addirittura la nostra compassione pesata al bilancino per l'una e l'altra parte in lotta, sono infatti una tragedia alimentata dalla disinformazione o dalla manipolazione dell'informazione. Se i palestinesi, i loro diritti violati, la liberta' che gli viene negata sono cosi' spesso ignorati da noi, cioe' condannati, da mezzo secolo, all'insignificanza, e' perche' l'opinione pubblica internazionale e' stata fortemente condizionata dalla propaganda israeliana. E' ovviamente impossibile esaminare dettagliatamente come e perche', ma chi, come me, segue con attenzione da cinquant'anni la vicenda medio-orientale sa bene che e' un discorso necessario per uscire da una situazione di profonda ingiustizia: e che si possono porre, al riguardo, alcune considerazioni incontrovertibili. Bisogna cominciare da lontano: dopo la prima guerra mondiale, che aveva disgregato l'impero ottomano, le cosiddette Grandi Potenze ridisegnarono a loro piacimento, con sprezzante cinismo, la carta geopolitica dell'area. Con tutta la violenza dell'ideologia colonialista, considerarono primitivi e indegni di piena liberta' i popoli arabi: imposero loro monarchi feudali o regimi corrotti, servili nei confronti di Londra e di Parigi. Fu in quel tempo che si comincio' a progettare, su pressione del movimento sionista, dei suoi amici altolocati e della vergogna dei pogrom europei, uno stato ebraico da erigere nelle antiche terre dei Patriarchi e dei Profeti. Subito dopo la seconda guerra mondiale, il progetto fu tradotto in realta'. Fu la realizzazione di un sogno per gli ebrei, ma una terribile sciagura per gli arabi che abitavano da secoli la Palestina. Su di loro si abbatte' come un maglio la cattiva coscienza dell'Europa e degli Stati Uniti per non avere efficacemente impedito il genocidio ebraico: il nuovo stato fu insediato non gia' in una regione semi-deserta ("Una terra senza popolo per un popolo senza terra") come sosteneva la propaganda sionista, ma in una zona popolosa, in cui esistevano condizioni di vita superiori a quelle di certi "cantoni neri" europei. Grandi masse di arabi furono costrette all'esodo dalle terre in cui erano nate, erano nati i loro padri e i padri dei padri dei padri. Per affrettare la fondazione del nuovo Israele, alla crescente opposizione palestinese si contrappose un feroce terrorismo sionista: la strage della popolazione del villaggio di Deir Yazzin (trucidati 250 uomini, donne, vecchi e bambini), la distruzione di un'ala dell'hotel King David, a Gerusalemme (91 morti), l'assassinio del mediatore delle Nazioni Unite, Folke Bernadotte... Non pochi degli autori di questi atti di terrorismo entrarono poi a far parte dei governi del nuovo Stato. Che io ricordi, non vi furono efficaci censure morali da parte dei politici o dei mass-media occidentali. Sembro' allora a molti (anche a me, debbo dire) che questi "partigiani" riscattassero con l'ardimento di molte loro imprese l'inerme rassegnazione con la quale milioni di ebrei europei erano andati al macello nei lager. E sembro' a moltissimi (e sembra ancora) che l'incomparabile gravita' della Shoah concedesse ai superstiti una specie di salvacondotto che permettesse loro qualunque crudelta'. Questa legittimazione alla violenza venne sostenuta con enorme efficacia dai mass-media vicini alla (o posseduti dalla) ricca diaspora ebraica negli Stati Uniti: ricordo ancora con quanta emozione vidi film come "Exodus" di Preminger, lessi romanzi come Ladri nella notte di Koestler. Anche a me, come a moltissimi cittadini dell'Occidente, la fondazione dello stato di Israele, la guerra del 1948 apparvero l'ultima grande epopea del XX secolo. A questa "copertura" mediatica non potevano certo rispondere i palestinesi: alcuni "contenuti" in stati non loro (come la Giordania), altri divenuti profughi di precaria sopravvivenza, altri ancora rimasti minoranza priva di qualunque potere politico nel nuovo stato ebraico. Cosi', quasi per una reazione spontanea, l'opinione pubblica occidentale introietto' la convinzione, tipicamente razzista, che il nuovo Stato (non pochi cittadini del quale e molti sostenitori all'estero appartenevano - o erano collegati - all'intellighentzia occidentale), fosse un caposaldo della civilta' "bianca" nel Medio Oriente, di fronte a un nazionalismo arabo straccione e feudale. Le guerre dei regimi arabi contro lo Stato ebraico rinforzarono questa supremazia mediatica: i farneticanti proclami del loro odio, la loro incapacita' di promuovere l'idea di uno stato pluralista e laico anziche' di due stati creati con drammatici spostamenti della popolazione locale, rinsaldarono nell'opinione pubblica internazionale l'immagine di un piccolo Israele permanentemente minacciato da una enorme valanga di nemici e dunque costretto a un duro esercizio della forza. Ben pochi si accorsero, nel passare degli anni, che questa immagine era sempre meno autentica perche' non teneva conto dei crescenti aiuti e garanzie prestati dagli Stati Uniti allo stato ebraico, tali da creare ormai una realta' inattaccabile dai suoi vicini: uno stato che possiede il quinto esercito della Terra per potenza di fuoco e un rilevante armamento nucleare. Chi ha indicato questa evidente realta', sostenendo che, ormai garantita la sicurezza di Israele, era giunto il momento di chiedergli un maggiore e sincero assenso a una pace che garantisse giustizia ai palestinesi, e' stato sempre messo a tacere con l'accusa di antiebraismo: vorresti forse una nuova Shoah? Tre generazioni di israeliani si sono ormai succedute dalla fondazione del nuovo Stato, accade persino che i nonagenari scampati al genocidio lamentino che il "loro" governo lesini aiuti alla loro vecchiaia, la caratteristica di Israele come "stato-rifugio" per gli ebrei in diaspora e' ormai una romantica illusione, ma l'accusa di antigiudaismo viene ancora rivolta a chi critica i governanti di Israele. Qualche volta l'accusa e' di "antisemitismo": i filo-israeliani meno colti non sanno neppure che anche i palestinesi sono semiti. Le sconfitte arabe hanno consegnato a Israele, di fatto, l'intera area destinata, secondo gli illusori progetti dell'Onu, a uno stato palestinese. Questo avvenimento epocale ha stravolto gli stessi fondamenti ideali dello stato ebraico. Nella sua dichiarazione di Indipendenza stava scritto: "Lo Stato di Israele si dedichera' allo sviluppo di questo paese per il bene di tutti i suoi cittadini; sara' fondato sui principi di liberta', giustizia e pace, e sara' guidato dalla visione dei profeti di Israele; garantira' pieni e eguali diritti, sociali e politici, a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalle differenze di religione, di razza o di sesso; tutelera' la liberta' di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura". Di fatto, invece, Israele, quasi sospinta da un vento malvagio, si e' trasformata in una potenza brutalmente coloniale che opprime con continue violazioni dei diritti umani un popolo in crescente disperazione. Centinaia di risoluzioni dell'Onu contro questi eccessi sono finiti nei cestini della carta straccia premurosamente forniti dagli Stati Uniti, grazie al loro potere di veto. Hanno vita durissima i pacifisti israeliani, coraggiosi, creativi, incessanti costruttori di ponti fra i due popoli che il cinismo dei governanti distrugge demolendo ogni speranza di pace. Nello stato ebraico sono presenti, distruttivamente, forze politiche che sognano di costringere gli arabi a un esodo definitivo dalla loro terra, altre, piu' numerose, che premono per la costruzione di un regime permanente di apartheid affidato all'esercito perche' lo indurisca di quando in quando affinche' i palestinesi "non creino problemi", altre ancora disponibili alla creazione di uno stato arabo ma a pelle di leopardo: bantustan collegati fra loro da esili corridoi. Queste forze eversive si sono sempre schierate (esplicitamente o sotterraneamente) contro ogni piano di pace. Certamente, al riguardo, non mancano responsabilita' palestinesi. Vergognosamente traditi dai paesi arabi, condizionati da una frammentazione della loro dirigenza politica, continuamente provocati dall'esercito israeliano, gli abitanti dei territori occupati hanno commesso anche loro profondi errori di valutazione e di azione. Quarant'anni di dominio militare con l'uso di punizioni collettive (le case abbattute, i blocchi stradali che per giorni e giorni isolano villaggi e citta', impedendo il transito persino alle autoambulanze), la diffusione dell'uso della tortura, l'imprigionamento di ragazzi, la chiusura delle scuole, la devastazione degli uliveti, l'erezione di un muro che taglia paesi e li separa dai campi, il sequestro di terre per i villaggi dei coloni armati, hanno avvelenato l'anima dei due popoli. Da un lato (quello palestinese) la ferocia di un terrorismo che per essere segno di disperazione non e' meno criminale, oppure una rassegnazione che spinge all'inerzia, la corruzione di buona parte della dirigenza politica, un crescente fondamentalismo religioso. Dall'altro lato (quello israeliano) l'uso della paura e dei raid come strumento elettorale, una cultura violentemente razzista e nazionalista, la convinzione che gli arabi siano del tutto inaffidabili e persone senza dignita'. I grandi scrittori di Israele (gli Yehoshua, i Grossman, gli Oz...) registrano con dolore questo scadimento etico, che si estende al trattamento dei cittadini arabo-israeliani. Spesso il comportamento delle truppe di occupazione e' tanto crudele che quando, ai tempi della prima Intifada, Yitzhak Rabin suggeri' ai soldati di non sparare contro i ragazzi palestinesi che lanciavano pietre ma di spaccare loro le braccia, egli fu considerato una "colomba", un buono e persino un "molle". Gli psicologi israeliani denunziano líinsorgenza di nevrosi collettive. Vi sono segni di insensibilita' crescente. Eccone uno, di oggi: "Piombo fuso" e' un giocattolo donato ai bambini israeliani nella recente festa di Hanukkah. I generali hanno dato questo nome (Operazione Piombo fuso) ai piani dell'offensiva contro Gaza. I generali sanno bene che meta' della popolazione di Gaza ha meno di 15 anni... E sanno che Gaza e la Striscia, con 2.500 persone per chilometro quadrato, sono la piu' popolosa area della Terra. Bombardarla dal cielo e dal mare, come si sta facendo, o invaderla per combattere casa per casa, significa mettere in atto un macello che ricorda certe imprese naziste. Scrivo queste cose non per esecrare il popolo di Israele, al quale auguro invece di tutto cuore di diventare propulsore di pace e di benessere, ma perche' sono convinto che molti non le sappiano, e che, invece, la diffusione della verita' sia la strada necessaria alla giustizia. Ma interessa la verita' ai mass-media italiani? Voglio raccontare un episodio al riguardo. Nel 1991 ero presidente del Comitato della Camera dei Deputati per i diritti umani. L'agenzia dell'Onu per i profughi mi invito' a portare una delegazione di parlamentari in visita ai campi in cui si accalcavano decine di migliaia di palestinesi. Fu un'esperienza drammatica: vedemmo un popolo che ci sembro' allo stremo, angariato da anni in mille modi, portato al furore da una congerie di leggi, decreti, bandi militari che ne impedivano ogni crescita e liberta'. Ricordo come questa mancanza di diritto fosse evidente a Gaza, immensa metropoli di poverissima gente. Gli occupanti vi applicavano leggi israeliane, egiziane e persino del mandato britannico... Tornati a Roma presentammo la nostra relazione al presidente della Commissione Esteri, Flaminio Piccoli. Egli rilevo' che nonostante la diversita' politica (la delegazione "andava" da Democrazia Proletaria al Msi) il documento era unitario e la documentazione era importante. Decise di convocare una conferenza stampa. I giornalisti accreditati a Montecitorio sono piu' di trecento. Non uno (non uno, avete capito bene) venne ad ascoltarci. Milioni e milioni di italiani (la grande maggioranza) hanno come esclusiva fonte di informazione il Tg1. Da anni questa testata affida il notiziario sull'area medio-orientale a un giornalista che e' certamente assai meno obiettivo dei giornalisti israeliani. Per esempio, continua a ripetere che l'offensiva israeliana e' dovuta al fatto che Hamas aveva rotto la tregua stabilita con Israele. In realta' Hamas ha deciso di non rinnovare la tregua scaduta, motivando questa decisione con l'inasprimento del blocco alla Striscia e il bombardamento del 4 novembre, che ha causato la morte di sei miliziani. In questo modo - ha scritto la stampa israeliana - si e' "innescato un nuovo ciclo di pericolosa, anche se controllata, violenza, caratterizzata da occasionali colpi ed incursioni da parte di Israele e da corrispondenti lanci di razzi e spari da parte palestinese" (Daniel Levy, "Haaretz", 19 dicembre 2008). Tzahal, l'esercito israeliano, non consente ai giornalisti di entrare nella Striscia e dunque le notizie che ci arrivano dai luoghi della battaglia sono tutto fuorche' obiettive; ad aumentare questo squilibrio, il giornalista del Tg1 e' prodigo di servizi sui danni che i razzi di Hamas procurano ad alcune citta' israeliane. Ora questi lanci sono un'iniziativa criminale ma non sono, purtroppo, una prerogativa di Hamas. Il giornalista ha sempre taciuto che da anni - e anche durante i tentativi di trattative di pace - Tzahal lancia missili sui territori occupati, dichiarando che si tratta di "esecuzioni a distanza" di supposti criminali. Questi missili hanno provocato ormai centinaia e centinaia di "danni collaterali" palestinesi. I missili sono intrinsecamente diversi dai razzi? Tanto meno il giornalista italiano ha espresso i dubbi dei suoi colleghi israeliani sulle reali ragioni dell'attacco a Gaza. Per esempio: "Fonti dell'establishment della Difesa hanno dichiarato che il ministro della difesa Ehud Barak ha ordinato alle Forze aeree israeliane di prepararsi per l'operazione piu' di sei mesi fa, anche mentre Israele iniziava a negoziare un accordo per il cessate il fuoco con Hamas" (Barak Ravid, Operation "Cast Lead": Israeli Air Force strike followed months of planning, "Haaretz", 27 dicembre 2008). Infine l'inviato del Tg1 non si e' mai dilungato sulle sofferenze inflitte alla popolazione di Gaza dall'assedio israeliano sottolineate da altri suoi colleghi: "L'assedio di Gaza ha distrutto per un'intera generazione la possibilita' di vivere una vita degna di essere vissuta" (Tom Segev, "Haaretz", 29 dicembre 2008); e anche "Mancano l'acqua, l'elettricita', i medicinali e il personale sanitario e' spesso costretto alla drammatica scelta di quali feriti curare e quali abbandonare a se stessi" ("New York Times", primo gennaio 2009). Concludo questo tragico cammino per le strade insanguinate della Palestina e di Israele facendo mie le parole con le quali Pietro Ingrao ha commentato la strage in atto a Gaza: "Sono convinto che non e' con quella violenza iniqua che Israele puo' tutelare il suo domani. Anzi credo, temo che con questa aggressione infausta essa seminera' nuovo alimento per gli estremisti disperati di Hamas". Nel 1991 io credetti di vedere nascere nei campi profughi una nuova leva di kamikaze. Ricordo gli occhi di un quindicenne a Deishah mentre mi raccontava del pianto disperato di una sua sorellina quando, a un chek-point un soldato le aveva sventrato una bambola, convinto che in essa si celasse dell'esplosivo. A Gaza ci sono piu' di 750.000 bambini. Ricordo con il cuore che piange gli aquiloni che essi levavano in mezzo al fango dell'inverno in cui li vidi e che mi sembrarono speranze levate verso il cielo. Quanto odio sta fermentando nel cuore di quei piccini, accanto alla paura? Non solo le lacrime degli orfani ma anche il rancore muto, e forse ancor piu' desolato, degli orfani "psicologici": quelli che si sentono traditi da un padre che sembra non sapere, non volere difenderli, lui stesso terrorizzato, affamato. Che ricco raccolto per gli estremisti, per la violenza del loro odio che a un bambino puo' sembrare forza. I sedicenti amici di Israele non lo capiscono? La pace e' una bambina che corre verso un rifugio in cui sentirsi finalmente al sicuro. Palestinese o israeliana, che importa? Il suo grido dovrebbe strapparci alla nostra inerzia, che forse non e' tale ma disperata sensazione di inutilita'. Ma non dobbiamo cedere al pessimismo della ragione. Come cittadini, come cristiani (quelli di noi che osano dirsi tali) dobbiamo trovare modi per far sentire ai nostri governanti che la loro prudenza ci sembra vilta'. Nella triste decadenza dei partiti la nostra solidarieta' deve trovare nuove forme. Internet ne offre e non dobbiamo ritenerle troppo piccole, troppo deboli. Tra il poco e il nulla c'e' un abisso. Ai diplomatici Benedetto XVI ha detto che per vincere "l'inaudita violenza" dell'attacco a Gaza e' forse necessario un ricambio generazionale dei governi, dunque un grande coraggio. Io ricordo quello di Paolo VI che, per riportare lo sguardo della Chiesa sul mistero del Cristo, non si lascio' fermare dalla situazione militare della Terra Santa, ma sfido' la prudenza dei diplomatici annunziando con semplicita' che lui sarebbe comunque partito. Davanti a lui, almeno per qualche ora, si apri' una meravigliosa strada che io ricordo di avere percorso con Eugenio Montale: era un viottolo che zigzagava fra crateri di bombe nella no men's land, la terra di nessuno fra la Gerusalemme della Legione Araba e quella di Tzahal. Per qualche ora la Citta' Santa torno' una, la Bella dei Profeti, del Vangelo e del Corano. E pero' noi non possiamo richiedere coraggio soltanto ai governanti. Decine di riservisti israeliani in questo momento si stanno trasformando in refusenik, obiettori di coscienza, che per questo saranno incarcerati. Non vogliamo assomigliargli almeno un poco? Davvero ci terrorizza la probabilita' di essere definiti "amici di Hamas"? 7. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: IL RAZZISMO SPIEGATO A MIA FIGLIA Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 1998, 1999, pp. 96, lire 10.000. Un libro che occorre aver letto. 8. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: JENIN Tahar Ben Jelloun, Jenin. Un campo palestinese, Bompiani, Milano 2002, pp. 80, euro 5,50. Un libro che occorre aver letto. 9. RILETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ISLAM SPIEGATO AI NOSTRI FIGLI Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001, pp. 110, euro 6,20. Un libro che occorre aver letto. 10. RILETTURE. PRIMO LEVI: I SOMMERSI E I SALVATI Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, pp. VI + 170, lire 10.000. Un libro che occorre aver letto. 11. RILETTURE. ELENA LOEWENTHAL: L'EBRAISMO SPIEGATO AI MIEI FIGLI Elena Loewenthal, L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002, pp. 96, euro 6,20. Un libro che occorre aver letto. 12. RILETTURE. ELENA LOEWENTHAL: LETTERA AGLI AMICI NON EBREI Elena Loewenthal, Lettera agli amici non ebrei. La colpa d'Israele, Bompiani, Milano 2003, pp. 96, euro 6,20. Un libro che occorre aver letto. 13. RILETTURE. AMOS OZ: CONTRO IL FANATISMO Amos Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano 2004, pp. 80, euro 4.50. Un libro che occorre aver letto. 14. RILETTURE. ANNETTE WIEVIORKA: AUSCHWITZ SPIEGATO A MIA FIGLIA Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia, Einaudi, Torino 1999, pp. IV + 90, lire 10.000. Un libro che occorre aver letto. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 701 del 15 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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