Minime. 700



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 700 del 14 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Dalla parte di tutte le vittime, contro tutte le uccisioni
2. Gruppo Martin Buber - Ebrei per la pace: Non solo tregua, non solo fine
della guerra, ma un degno futuro
3. Michael Lerner: Un disperato bisogno di reciproca compassione
4. Maria Grazia Giannichedda ricorda Sergio Piro
5. Nello Ajello presenta il carteggio tra Benedetto Croce e Franco Venturi a
cura di Silvia Berti
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DALLA PARTE DI TUTTE LE VITTIME, CONTRO TUTTE LE
UCCISIONI

1. Strange fruit
Quasi mille persone uccise, e forse di piu'. Innumerevoli i feriti. Un
milione e mezzo di esseri umani traumatizzati per sempre. Sono i frutti
della guerra voluta dai terroristi di Hamas e dai loro finanziatori nazisti,
ed eseguita dai criminali di guerra del governo di Israele. La campagna
elettorale al tempo degli ultimi giorni dell'umanita'. Il governo di Israele
ha commesso questa ennesima criminale pazzia, sapendo benissimo che queste
stragi nulla risolveranno, ma anzi aggraveranno il conflitto
israelo-palestinese, il conflitto arabo-israeliano, il conflitto
mediorientale, il conflitto fondamentalismi-stati, il conflitto e
l'imbarbarimento globale che l'ipocrisia dominante chiama "nuovo ordine
mondiale". Il fondamentalismo terrorista (di ogni religione e di ogni
ideologia) ne sara' rafforzato. Il neonazismo in Europa e nel mondo anche.
Si puo' dare crimine e follia piu' grande? Che cessi subito questa guerra
insensata, che cessino subito questi insensati massacri. Che tutti i
responsabili di questo assurdo crimine vengano messi in condizione di non
piu' nuocere all'umanita'.
Ma, a proposito: quante sono le vittime della guerra in Afghanistan? E
perche' in Italia nessuno ne parla? Forse perche' la' della coalizione
militare occupante e stragista fa parte anche il nostro paese? E i tanti
proclami che esortano alla pace, che dai ministri del governo eversivo
berlusconiano fino all'ultimo funzionario del pacifismo parastatale gonfian
le gote dell'italica nomenklatura, perche' son rivolti all'intero orbe
terraqueo tranne che a noi stessi? Quando gli assassini siamo noi,
l'assassinio torna ad essere una delle belle arti?
*
2. La solidarieta' strabica e' complicita' con gli assassini
Poiche' vi e' una sola umanita', e vale per tutti gli esseri umani il detto
di John Donne.
Ci stanno ugualmente a cuore la popolazione di Israele e il popolo
palestinese. Vittime ambedue di una storia tremenda di crudeli aggressioni,
persecuzioni e massacri.
La sola soluzione possibile del conflitto israelo-palestinese e' quella in
cui entrambi i popoli vincono insieme, ed insieme costruiscono due stati
sovrani, democratici, sicuri, solidali.
La guerra e' nemica di tutti gli esseri umani. La pace non e' la meta, la
pace e' la via.
*
3. Non equidistanti, ma equivicini ed equosolidali
E' evidente che non si puo' essere equidistanti tra le vittime e gli
aggressori. Ma chi sono le vittime? Tutte le persone inermi che dalla guerra
e dal terrorismo sono uccise o minacciate di morte. E chi sono gli
aggressori? Tutti coloro che uccidono e di uccidere minacciano. Il popolo
palestinese e' vittima o aggressore? E' vittima. La popolazione israeliana
e' vittima o aggressore? E' vittima. Le due diaspore, quella ebraica e
quella palestinese, sono vittime o aggressori? Sono vittime. Aggressore e'
certo il governo di Israele responsabile di persecuzioni, omicidi, guerra,
stragi, politiche razziste e crimini contro l'umanita'; aggressore e' certo
Hamas, organizzazione responsabile di terrorismo e dichiaratamente
genocidaria, e con essa chi la finanzia e la arma; aggressori sono i regimi
che promuovono il pregiudizio e la persecuzione razzista; aggressori sono i
poteri che promuovono o permettono le stragi. Vittime sempre sono gli esseri
umani nella loro nuda fragilita'.
*
4. Non bombardare Palermo
Quando ci si decidera' ad ammettere che per contrastare il terrorismo (degli
stati, dei gruppi armati, dei singoli) lo strumento militare e' peggio che
inutile? La guerra e' il trionfo del terrorismo. Il terrorismo si contrasta
con la pace, col disarmo, con il dialogo e la cooperazione, promuovendo
democrazia e legalita' e diritti umani per tutti gli esseri umani, salvando
le vite.
Per contrastare la mafia si deve bombardare Palermo?
Per contrastare i golpisti e razzisti oggi al governo in Italia si deve
bombardare Roma?
*
5. L'astuzia degli stragisti
E' di utilizzare un crimine per pretendere di giustificarne un altro.
L'ingenuita' degli antistragisti e' di credere che si possa opporsi ad un
crimine senza opporsi a tutti.
Vi e' una sola umanita'. Ogni vittima ha il volto di Abele. Nessun crimine
ne giustifica un altro. Chi si arrende a un'uccisione si arrende a tutte.
Ogni umana vita e' un valore infinito. Scegliere occorre la nonviolenza.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
*
6. L'esatto contrario del boicottaggio
Qualche immemore (e qualche nipotino di Hitler) propone di boicottare uno
dei popoli dell'area, riproducendo cosi' la medesima insensata logica di
punire le vittime per i crimini dei carnefici.
Occorre invece l'esatto contrario del boicottaggio: occorre incrementare la
cooperazione di pace, la solidarieta' con tutte le popolazioni, costruire
ponti e legami, recare soccorsi e fiducia e sicurezza a tutti.
*
7. Quel che tutti sappiamo, e allora diciamolo
La guerra non risolvera' il conflitto israelo-palestinese ne' quello
arabo-israeliano ne' quello mediorientale. La guerra non risolve nessun
conflitto, sempre e solo lo riproduce e lo aggrava. Solo la pace, il
dialogo, la convivenza, il rispetto reciproco, la crescita della fiducia, la
democrazia costruita nella giustizia e nella solidarieta' potranno
riuscirci. La guerra non salva: la guerra uccide. La guerra non libera: la
guerra uccide. La guerra non apre vie: la guerra uccide. Se in altri tempi
furono possibili guerre di liberazione, oggi non lo sono piu'. Se in altri
tempi fu possibile una via militare alla conquista della sovranita' e dei
diritti, oggi non lo e' piu'. Se in altri tempi allo scatenamento della
guerra da parte dei poteri criminali fu possibile e necessario opporsi con
le armi in pugno, oggi opporsi con le armi in pugno fa vincere quei poteri
criminali. Fortunatamente l'umanita' gia' da un secolo ha scoperto, o
inventato, un potere piu' forte: la nonviolenza.
La politica scellerata del governo di Israele aumenta il pericolo per la
popolazione israeliana oltre ad essere un abominevole crimine nei confronti
di quella palestinese: occorre sostenere le forze di pace in Israele.
Hamas e i suoi finanziatori sono criminali fascisti: occorre sostenere il
campo democratico palestinese.
E' necessario che nasca immediatamente lo Stato di Palestina (uno stato
sovrano dotato di continuita' territoriale, non un reticolo di bantustan;
uno stato libero e democratico; uno stato di diritto); ed e' necessario che
la comunita' internazionale lo sostenga e lo finanzi fortemente anche per un
lungo periodo affinche' possa consolidarsi nel benessere.
Ed e' necessario garantire la sicurezza dello stato di Israele; e' quindi
necessario che la comunita' internazionale si impegni anche per questo per
un lungo periodo, finche' non vi siano piu' minacce di sorta.
E' necessario smilitarizzare e disarmare i conflitti.
E' necessario contrastare il razzismo e il militarismo ovunque.
Col popolo palestinese nel cuore.
Col popolo di Israele nel cuore.
Poiche' vi e' una sola umanita'.
*
8. Cessi ogni ambiguita'
In questi giorni in Italia assistiamo a lugubri proclami e macabri rituali
che rivelano quanto a fondo abbia scavato la deumanizzazione imposta come
pensiero unico dai poteri dominanti.
Tanti che proclamano di essere solidali con il popolo e lo stato di Israele
riproducono nel loro stesso linguaggio formule che rivelano come tale
solidarieta' sia tutt'altro che sincera, ma la maschera di un odio che oggi
si dirige principalmente contro le culture e i popoli gia' vittime del
colonialismo, e che appena ieri era anche pregiudizio e persecuzione
antiebraica.
E tanti che proclamano di essere solidali con il popolo palestinese ripetono
ossessivamente formule e retoriche identiche - non simili: identiche - a
quelle naziste.
Occorre essere chiari: nessuna complicita' deve esservi con chi agisce
politiche razziste, nessuna complicita' deve esservi con chi propala logiche
totalitarie, nessuna complicita' deve esservi con chi del nazismo si e'
messo alla scuola.
Ogni posizione e manifestazione che si spacci per solidale con questo o quel
popolo, e che riproduca pregiudizio e disprezzo per un altro popolo, non e'
una posizione o una manifestazione di solidarieta', e' una forma di
complicita' con la violenza che nega l'umanita' di tutti gli esseri umani.
E' una forma di complicita' con la guerra. E' una forma di perdita del ben
dell'intelletto, di necrofilia, di resa al male.
Solidali occorre essere con l'umanita', con tutte le vittime, contro tutte
le aggressioni.
*
9. Primo Levi, naturalmente
Ha scritto una volta Primo Levi: "di guerre e violenze non c'e' bisogno, in
nessun caso. Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a
un tavolo".
*
10. Dieci anni dopo
Nel 2000 con la marcia Perugia-Assisi specifica per la nonviolenza parve per
un momento che i movimenti nonviolenti italiani volessero fare quel passo
che a me sembra necessario e urgente dagli anni Settanta del secolo scorso:
uscire dalla subalternita', rompere le complicita', proporre la nonviolenza
come la politica adeguata ai compiti attuali dell'umanita'. A tal punto
quella prospettiva mi sembrava e mi sembra decisiva, e quell'occasione di
dieci anni fa un appello da sostenere, che in appoggio a quella marcia
nacque questo foglio, cui ho dedicato tanta parte delle mie stanche energie
lungo questo decennio.
Dieci anni dopo e' necessaria una verifica: onesta, rigorosa. Dolorosa,
anche.
E riprendere quel cammino.
Non ve ne sono altri se vogliamo che l'umanita' abbia un futuro.
La nonviolenza e' il cammino.
La nonviolenza e' in cammino.
La nonviolenza e' hic et nunc l'unica politica in grado di contrastare la
barbarie, la catastrofe della civilta' umana.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. DOCUMENTAZIONE. GRUPPO MARTIN BUBER - EBREI PER LA PACE: NON SOLO TREGUA,
NON SOLO FINE DELLA GUERRA, MA UN DEGNO FUTURO
[Dal sito del "Gruppo Martin Buber - Ebrei per la pace"
(www.martinbubergroup.org) riprendiamo il seguente intervento del 10 gennaio
2009]

Siamo tutti qui questa sera per sostenere le popolazioni di Sderot,
Ashkelon, Be'er Sheva e di tutto il sud di Israele che da anni vivono sotto
il tiro dei missili di Hamas. Come tutti i governi che hanno a cuore la
difesa dei propri cittadini, Israele ha cercato con l'operazione Piombo Fuso
di mettere fine ad uno strazio durato troppo a lungo.
E' bene ricordare le parole di Abraham Yehoshua, che recitano: "Non
dimentichiamo che il popolo palestinese e' il nostro vicino... e dovra'
convivere con noi nel bene e nel male". In un momento in cui tutto pare
dividerli israeliani e palestinesi condividono la stanchezza di un conflitto
senza fine e la consapevolezza che non saranno gli atti di forza a
realizzare le loro speranze.
Non ci stancheremo di ripetere un'ovvieta': la sicurezza dello Stato di
Israele non puo' fondarsi solo sulla forza delle armi, ma sulla piena
accettazione da parte di tutti gli stati e i popoli della regione.
Noi del "Gruppo Martin Buber - Ebrei per la Pace" ci uniamo agli appelli di
vasta parte degli intellettuali israeliani e di Shalom Achshav (Pace adesso)
per realizzare, con l'impegno della comunita' internazionale, una vera
tregua che preluda a un accordo di lungo termine in grado di assicurare la
fine delle azioni terroristiche contro Israele e l'interruzione del blocco
economico che genera una situazione di emergenza umanitaria nella Striscia
di Gaza.
E' di fondamentale importanza che, nell'azione legittima di autodifesa
contro la violenza di Hamas, il governo e l'esercito di Israele rinnovino
gli sforzi volti a distinguere nettamente fra il popolo palestinese e gli
istigatori del terrorismo, colpendo i militanti ed evitando di fare vittime
fra i civili.
Deve riprendere quanto prima la trattativa fra il governo di Israele e
l'Autorita' Nazionale Palestinese sulle questioni dei confini, degli
insediamenti e di Gerusalemme, questioni che da troppo tempo aspettano una
soluzione. Da Israele deve scaturire una seria offerta negoziale in grado di
dare ai palestinesi il senso concreto che benefici tangibili nelle loro
condizioni di vita si possono ottenere con il negoziato volto a un futuro di
convivenza pacifica, e non con la violenza. In ultima analisi, solo la
societa' palestinese potra' dal suo interno isolare e sconfiggere il
fanatismo di Hamas.
In particolare a Gaza, la speranza di un futuro decente esige la fine del
blocco economico; l'apertura dei luoghi di transito con Israele ed Egitto;
un legame fisico e politico con la Cisgiordania, senza il quale uno stato
palestinese degno di questo nome non potra' mai nascere.
La pace e la sicurezza di israeliani e palestinesi in due stati in rapporto
di buon vicinato sono l'una condizione dell'altra, sono un unico destino. E'
giunto il tempo per le leadership israeliana e palestinese di compiere gesti
coraggiosi e definitivi. A noi tutti spetta l'impegno di concorrere a
costruire le basi della convivenza e della comprensione fra i due popoli.
Siamo qui questa sera per ricordarlo soprattutto a noi stessi.

3. DOCUMENTAZIONE. MICHAEL LERNER: UN DISPERATO BISOGNO DI RECIPROCA
COMPASSIONE
[Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il
seguente intervento li' apparso in traduzione il 9 gennaio 2009 col titolo
"L'arroganza di Israele mi spezza il cuore" e il sommario "Il tentativo da
parte di Israele di spazzare via Hamas e' comprensibile, ma stupido"]

Di sicuro nessun paese al mondo puo' ignorare la provocazione dei razzi
lanciati giorno dopo giorno dai territori circostanti. Se un gruppo di
anti-imperialisti messicani bombardasse il Texas, provate a immaginare
quanto tempo impiegherebbe l'America per mobilitare un contrattacco. Israele
ha tutto il diritto di rispondere.
Ma anche il tipo di risposta conta. Uccidere 500 palestinesi e ferirne altri
2.500 (secondo i dati disponibili al momento in cui scrivo) rappresenta una
reazione sproporzionata. E cosi' come l'indiscriminato bombardamento dei
centri abitati da parte di Hamas e' un crimine contro l'umanita', anche
Israele sta uccidendo dei civili (almeno 130 finora, senza contare le
migliaia uccise durante gli anni di occupazione della Cisgiordania e di
Gaza). Prima del massiccio bombardamento da parte di Israele, gli attacchi
missilistici di Hamas, iniziati allo scadere della precedente tregua, non
hanno ucciso (grazie a Dio) nessuno. La ragione e' semplice: Hamas non
dispone di caccia aerei, ne' di carri armati, ma solamente di mortai a bassa
precisione e corta gittata. Hamas puo' perseguitare Israele, ma di certo non
puo' minacciarne l'esistenza.
D'altro canto, qualsiasi tentativo di comprendere la situazione attuale deve
obbligatoriamente tenere conto dello stress a cui sono soggetti gli
israeliani per il fatto di vivere sotto costante minaccia terroristica; ed i
bombardamenti con razzi Katyusha, sebbene militarmente inefficaci,
contribuiscono massicciamente ad esasperare questo stato di tensione. Vivere
costantemente sotto minaccia, ed in aggiunta a questo sentire il presidente
iraniano che afferma di voler spazzare via Israele dalle carte geografiche,
costituisce un forte condizionamento che contribuisce all'insensibilita'
degli israeliani nei confronti del dolore umano che loro stessi hanno
causato durante l'occupazione. Viceversa, l'ancora vivo trauma
dell'espulsione e l'occupazione hanno contribuito all'insensibilita' etica
di molti palestinesi per le sofferenze causate dagli attacchi alla
popolazione civile israeliana. In breve, c'e' un disperato bisogno di
reciproca compassione.
Hamas ha rispettato il cessate il fuoco precedentemente negoziato ad
eccezione dei casi in cui Israele lo ha usato come copertura per i suoi raid
mirati all'eliminazione di figure nemiche di rilievo. Hamas ha ribattuto
sostenendo che quei raid costituiscono violazione della tregua, e cosi',
come forma di protesta simbolica, ha autorizzato il lancio di razzi (che
solitamente non hanno colpito alcun bersaglio). Ma nel momento in cui si e'
trattato di rinegoziare il prolungamento della tregua, Hamas ha preteso
garanzia che questi raid cessassero. E ha chiesto anche di piu'. Alla luce
delle centinaia di migliaia di palestinesi gravemente malnutriti e ai limiti
della fame, Hamas ha insistentemente richiesto che venissero aperte le
frontiere ponendo fine al tentativo da parte di Israele di affamare gli
abitanti di Gaza e di costringerli cosi' alla sottomissione. Inoltre in
cambio di Gilad Shalit, soldato israeliano catturato, ha chiesto la
scarcerazione di un migliaio di palestinesi prigionieri in Israele.
Hamas ha espresso un giudizio favorevole sulle condizioni di pace proposte
dall'Arabia Saudita, sebbene non sarebbe mai disposta a riconoscere
formalmente Israele. Desidererebbe vivere pacificamente grazie ad un accordo
che preveda due stati, ma non riconoscerebbe mai ad Israele il "diritto di
esistere". Questa posizione e' inutilmente provocatoria e presenta aspetti
gravemente autodistruttivi per una parte dei palestinesi, che credono che
rifiutarsi di riconoscere i diritti di Israele sia l'unica arma a loro
disposizione. Similmente, ci sono membri del parlamento israeliano, la
Knesset, che sostengono di non voler accettare nulla di diverso
dall'espulsione completa ("trasferimento") di tutti i palestinesi verso i
vicini stati arabi.
Cosa sta cercando di ottenere Israele in realta'? Probabilmente spera di
rendere Hamas cosi' debole da perdere le prossime elezioni contro Fatah, e
di conseguenza indebolire le autorita' palestinesi nel loro complesso. Spera
che le autorita' palestinesi, di per se' gia' indebolite dall'occupazione
israeliana in corso, arrivino ad accettare una trattato di pace in base al
quale lo "Stato palestinese" sia di fatto costituito da una serie di cantoni
o citta'-stato poco distanti tra loro, ma separate dalle strade e dalle
forze armate israeliane - in parole povere uno stato palestinese
sostanzialmente inesistente sia dal punto di vista economico che politico. A
quel punto Israele potra' dire di aver "dato" ai palestinesi "cio' che
volevano", e nel frattempo manterra' i propri insediamenti in tutta la
Cisgiordania, perpetuando di fatto il controllo sull'area.
Ancora una volta non si arriverebbe ad una pace di lungo termine, ma
solamente ad una temporanea interruzione delle ostilita'. Solamente una
piena risoluzione che permetta ai palestinesi di formare un vero stato
comprendente l'intera Cisgiordania e Gaza (con pochi cambiamenti ai confini
attuali), e che preveda un reale indennizzo per i rifugiati palestinesi ed
uno stato creato con spirito di generosita' e sincero altruismo da parte di
Israele, potra' porre fine alle violenze e dare ad Israele una pace
duratura.
Permettetemi di dirlo chiaramente. Odio Hamas e tutto cio' che rappresenta.
Vorrei vederlo sconfitto. Ma la sua sconfitta puo' avvenire solo
politicamente attraverso l'isolamento, non militarmente attraverso la
carneficina. La sconfitta di Hamas passa per il riconoscimento dei legittimi
bisogni della popolazione palestinese con spirito d'altruismo, nel quale gli
ebrei di tutto il mondo e la gente di Israele dimostrino di riconoscere i
palestinesi come propri fratelli e sorelle, fatti ad immagine di Dio e
preziosi agli occhi di Dio quanto gli ebrei stessi. Sta agli ebrei
riconsiderare seriamente la propria fiducia in Dio e nel messaggio di Dio
secondo cui il mondo dovrebbe essere fondato sull'amore, sulla generosita',
sull'altruismo, sulla gentilezza e la compassione, ed infine sulla fiducia
nella rispettabilita' della maggior parte dei palestinesi, in
contrapposizione alla fiducia nella forza che non ha portato a Israele
salvezza e sicurezza. Questo e' cio' che significherebbe per gli ebrei
ripensare seriamente il proprio ebraismo e manifestarlo all'interno di uno
stato ebraico. Israele cerca ancora di spazzare via Hamas. Ma anche se
uccidesse tutti e 20.000 i combattenti di Hamas a Gaza, non estinguerebbe
quell'impulso fondamentalista islamico che Hamas rappresenta. Sicuramente
gli israeliani sanno fin da ora che uccidere ha il solo effetto di creare
nuove generazioni di disperati che costituiranno la prossima ondata di
terroristi.
*
Come uscire quindi da questa spirale di violenza e distruzione? Il primo
passo e' la richiesta di un immediato cessate il fuoco da parte della
comunita' internazionale. Questa tregua dovrebbe essere imposta dalle
Nazioni Unite ed inequivocabilmente sostenuta dall'America. Inoltre
dovrebbero essere incluse le seguenti condizioni:
- L'interruzione da parte di Hamas del lancio di missili, bombe o di
qualsiasi altra azione violenta con base in Cisgiordania o nei territori di
Gaza, e la cooperazione alla cattura di chiunque infranga la tregua, quale
che sia la fazione a cui appartiene.
- L'interruzione da parte di Israele di qualsiasi bombardamento, uccisione
mirata o azione violenta finalizzata all'eliminazione di attivisti,
militanti o sospetti terroristi in Cisgiordania o a Gaza, e l'uso della
propria forza militare per prevenire qualsiasi ulteriore attacco contro i
palestinesi.
- L'apertura delle frontiere con Gaza e il libero accesso a e da Israele,
soggetto alla sola perquisizione e al sequestro delle armi. La libera
circolazione di cibo, gas, elettricita', acqua, beni di consumo e materiali
via terra, via mare e per via aerea, soggetta solamente alla perquisizione e
al sequestro delle armi.
- Il rilascio da parte di Israele di tutti i detenuti palestinesi, che
verranno ricondotti in Cisgiordania o a Gaza secondo libera scelta dei
prigionieri stessi. Il rilascio da parte di Hamas di Gilad Shalit e di
chiunque altro sia attualmente detenuto dalle forze palestinesi.
- L'accettazione da ambo le parti di una forza internazionale per
l'applicazione dei presenti accordi.
- Il divieto per entrambi di insegnare e/o invocare l'uso della violenza
dentro e fuori le moschee, gli istituti educativi e sui media.
- Una interruzione delle ostilita' per i prossimi 20 anni ed una risoluzione
condivisa tra Nato, Nazioni Unite e Usa per la messa in atto dei presenti
patti e per l'imposizione di dure sanzioni in caso di violazione dei patti
stessi.
L'applicazione di queste condizioni costituirebbe un'enorme differenza,
isolerebbe gli elementi estremisti da ambo le parti e renderebbe quindi
possibile l'inizio di una trattativa tra israeliani e palestinesi riguardo
altre numerose questioni. La condizione di base per creare la pace e' fare
in modo che ambo le parti si sentano "sicure". Un primo e critico passo e'
parlare un linguaggio che tenga conto delle sofferenze di entrambe i popoli,
in un clima di dialogo nel quale le storie di tutti siano ascoltate e
capite. Inoltre e' Israele, in veste di potenza militare superiore, a dover
intraprendere i primi passi: promuovere un corposo Piano Marshall nei
territori di Gaza e in Cisgiordania per porre fine alla poverta' e alla
disoccupazione, ricostruire le infrastrutture e incoraggiare gli
investimenti, smantellare gli insediamenti o rendere gli insediati cittadini
di uno stato palestinese, permettere che 30.000 rifugiati palestinesi
all'anno tornino in Israele nell'arco dei prossimi 30 anni, scusarsi
ufficialmente per il ruolo svolto nelle espulsioni del 1948 e offrirsi di
coordinare uno sforzo a livello mondiale per indennizzare tutti i
palestinesi dispersi durante l'occupazione, ed infine riconoscere uno stato
palestinese all'interno dei confini gia' definiti nell'Accordo di Ginevra
del 2003. Questo e' il solo modo in cui Israele potra' garantire la propria
sicurezza nazionale. E' il solo modo per sconfiggere definitivamente Hamas e
tutti gli estremisti che desiderano una guerra senza fine contro Israele.
Il piu' significativo contributo che l'amministrazione Obama potrebbe
apportare per la pace in Medio Oriente e' quello di intraprendere una
strategia diplomatica secondo cui la sicurezza nazionale viene conseguita
non attraverso il predominio militare o economico ma attraverso la
generosita' e la solidarieta'. Se questa nuova linea di pensiero divenisse
preponderante all'interno della politica estera degli Usa, avrebbe un enorme
impatto nella lotta contro la paura che cova nella coscienza degli
israeliani, i quali guardano ancora il mondo attraverso la lente
dell'Olocausto e delle antiche persecuzioni piuttosto che alla luce della
loro attuale influenza nel mondo. Il mio cuore soffre nel vedere le
terribili sofferenze che affliggono Gaza e Israele. Da religioso non riesco
a pensare a nulla di peggio, perche' sotto le vesti di servi di Dio,
entrambi, ebrei ed islamici, esternano il dolore accumulato nel tempo con
modalita' tali da generare ulteriori sofferenze in futuro. Poiche' cio'
costituisce per me un'ulteriore prova di come sia facile traviare il
messaggio d'amore del Giudaismo in un messaggio di odio e prevaricazione,
continuo ad essere in lutto per gli ebrei, per Israele e per il mondo
intero.

4. MEMORIA. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA RICORDA SERGIO PIRO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 gennaio 2009 col titolo "L'addio a
Sergio Piro" e il sommario "Un protagonista dei processi di modernizzazione
e di trasformazione della psichiatria italiana"]

Si e' fermata mercoledi' notte la vita di Sergio Piro, per un infarto
arrivato verso le undici e mezzo mentre lavorava al computer nella sua casa
di Napoli. Negli ultimi anni, cercava di proteggere il suo cuore malandato
che aveva subito due operazioni, ma non rinunciava a vivere con generosita',
allegria e progetti. Lo scorso 27 maggio aveva fatto con una certa fatica la
lunga scalinata che porta alla sala della Protomoteca in Campidoglio, dove
si svolgeva la cerimonia di consegna del Premio "Trenta anni per la 180"
istituito dalla Cgil. Tra i venti premiati, la standing ovation era stata
per Agostino Pirella, per Sergio Zavoli e per lui, che si era presentato in
maniche di camicia, una camicia azzurrissima come i suoi occhi, un po'
perche' faceva caldo ma anche perche' non voleva assecondare la
cerimoniosita': cosi', nel suo intervento aveva raccontato l'avventurosa
costruzione, nei primi anni '60, della sezione Cgil nel manicomio di
Materdomini, un'Opera Pia convenzionata con la Provincia di Salerno, ma
aveva poi continuato con un'analisi puntuale e dura sulle politiche
sanitarie recenti e soprattutto sull'universita', che continuava a ignorare
o a minimizzare i contributi teorici, le realizzazioni e le trasformazioni
culturali che avevano preceduto e seguito la legge di riforma e avevano
fatto uscire la psichiatria italiana dall'isolamento culturale del
dopoguerra.
Di questi processi di modernizzazione e di trasformazione della psichiatria
Sergio Piro e' stato fin dall'inizio un protagonista. Era nato nel 1927,
quasi coetaneo di Franco Basaglia (che era del '24) e i loro percorsi furono
molto simili: entrambi avevano iniziato a lavorare all'universita', alla
fine degli anni '50 avevano conseguito la libera docenza secondo il sistema
concorsuale dell'epoca ma poi erano andati entrambi a dirigere un manicomio
pubblico: Piro al Materdomini di Nocera Superiore nel 1959, Basaglia a
Gorizia nel '61. L'incontro tra i due, che divenne poi collaborazione e
amicizia, risale a quegli anni di grande vivacita' culturale e di
sperimentazioni, condotte da gruppi di operatori in gran parte esterni
all'universita', respingenti, o quanto meno non attraenti per gli studiosi
piu' vivaci e piu' presenti nel dibattito internazionale. In un libro del
1988, Cronache psichiatriche. Appunti per una storia della psichiatria
italiana dal 1945 (Esi), Piro ricostruisce con l'accuratezza che gli era
propria le vicende, i personaggi, le idee, gli incroci culturali di quel
"periodo di modernizzazione", a cui segui' la fase "del mutamento" (tra il
1968 e il '78) che in Italia ebbe un percorso del tutto peculiare, in cui
ebbero poco o nessun peso le ideologie "antipsichiatriche" di derivazione
sia anglosassone che francese, mentre presero piede in molti ospedali
psichiatrici processi di trasformazione che disturbavano e coinvolgevano
comunita' locali, movimenti sociali, amministratori pubblici, giornalisti,
intellettuali, artisti. Sergio Piro in quegli anni continuo' a scrivere - Il
linguaggio schizofrenico e Le tecniche della liberazione vennero pubblicati
da Feltrinelli nel 1967 e nel 1971. Nel 1974 fu tra i fondatori di
Psichiatria Democratica, diresse per un breve periodo l'Ospedale
Psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli (dopo essere stato costretto, nel
1969, a lasciare la direzione del Materdomini), e poi dal 1975 diresse
l'altro ospedale psichiatrico di Napoli, il "Frullone".
Gli anni del dopo riforma sono stati molto difficili per Sergio Piro. La sua
competenza e il suo carisma lo rendevano un interlocutore privilegiato
quando si trattava di collaborare alla scrittura della legge regionale
campana per l'attuazione della "legge 180", che venne approvata nel 1983 e
fu tra le prime leggi regionali. Assai piu' duro fu invece il fronte della
chiusura dei manicomi e della creazione dei nuovi servizi, dove lo scontro
esplicito o la resistenza muta dei piccoli e grandi potentati di psichiatri
e amministratori rendevano assai arduo il percorso verso un cambiamento
vero, in Campania non meno che nel resto d'Italia, e talvolta di piu'.
Sergio Piro ha resistito con grande coerenza. Ha insegnato molto sia
all'Universita' di Napoli che all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, ha continuato il suo lavoro di ricerca (Introduzione alle
antropologie trasformazionali e Trattato della ricerca
diadromico-trasformazionale sono stati pubblicati nel 1997 e nel 2005 da La
Citta' del Sole), ha chiuso con troppa fatica l'ospedale psichiatrico
"Frullone". Nel 1994, che fu un anno di svolta per il destino della riforma
dato che la legge finanziaria del primo governo Berlusconi aveva reiterato
l'obbligo di chiusura di quello che la neolingua psichiatrica definiva il
"residuo manicomiale", Piro gia' dirigeva il Frullone dove erano stati
ricavati, da alcuni reparti, degli appartamenti per le persone in via di
riabilitazione. Il sistema fognario era pero' in condizioni pessime e grandi
topi contendevano lo spazio ai ricoverati, mentre l'amministrazione si
limitava a ignorare il problema. Piro, che era un grande estimatore dei
gatti, ne porto' una ventina e li presento' ai giornalisti come suoi
collaboratori.
Il prossimo 7 febbraio, a Nocera, e' stato promosso un incontro per
ricordarlo, nella sala, che prendera' il suo nome, della Fondazione Cerps
(Centro Ricerche sulla Psichiatria e le Scienze Umane). Gli amici e i suoi
collaboratori chiedono a chi lo ha conosciuto di scrivere due, tre pagine,
che saranno raccolte in un volume, perche' possa restare, insieme alle cose
che Sergio Piro ha scritto e fatto, la memoria del suo modo di essere, della
sua capacita' di coinvolgere le persone e di tenerle insieme per creare
pezzi di mondo in cui tutti possano avere spazio, parola, dignita'.
*
Postilla biobibliografica. Percorsi di generosita'
Sergio Piro era nato a Palma, in Campania, il 9 settembre del 1927.
Trascorse l'infanzia a Cagliari, ma si trasferi' a Napoli quando si tratto'
di iscriversi alla Facolta' di medicina, dove si laureo' nel 1951 e cinque
anni piu' tardi consegui' la specializzazione in neuropsichiatria con una
tesi sulla "Semantica del linguaggio schizofrenico". Dal giugno del 1959 al
febbraio del 1969 e' stato direttore dell'ospedale psichiatrico Materdomini
di Nocera Superiore, in provincia di Salerno: e' qui che avvio' un
esperimento di psichiatria alternativa, dal quale nacque la seconda
"comunita' terapeutica" funzionante in Italia, dopo quella di Basaglia a
Gorizia. Sergio Piro fu uno dei fondatori di Psichiatria Democratica.
Diresse il Materdomini di Nocera Superiore dal 1959, ma dieci anni dopo fu
costretto a lasciare. Si sposto' per per un breve periodo alla direzione
dell'ospedale Leonardo Bianchi di Napoli, poi nel 1975 ando' a dirigere
l'altro ospedale psichiatrico di Napoli, il "Frullone". Ha stilato il
progetto da cui derivo' la Legge regionale n. 1/83 della Regione Campania
sulla psichiatria. Tra i suoi libri: Il linguaggio schizofrenico,
Feltrinelli, 1967; Le tecniche della liberazione. Una dialettica del disagio
umano, Feltrinelli, 1971; I mille talenti. Manuale della Scuola sperimentale
antropologico-trasformazionale, Franco Angeli, 1995; Introduzione alle
antropologie trasformazionali, La Citta' del Sole, 1997; L'io mancante,
Loggia de' Lanzi, 1997.

5. LIBRI. NELLO AJELLO PRESENTA IL CARTEGGIO TRA BENEDETTO CROCE E FRANCO
VENTURI A CURA DI SILVIA BERTI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 gennaio 2009 col titolo "Croce e
Venturi. La liberta' perduta" e il sommario "Dagli anni del fascismo al
dopoguerra ando' avanti un carteggio ora curato da Silvia Berti, fra il
filosofo e il giovanissimo storico. Dopo la Liberazione il dialogo si spinge
sul Partito d'Azione avversato dall'uno e sostenuto dall'altro"]

"Senatore e caro Maestro", "Carissimo giovane amico". Il primo e' il
settantunenne Benedetto Croce. L'altro e' Franco Venturi, ventitre anni,
destinato a diventare il maggiore studioso italiano dell'Illuminismo.
Scambiandosi quegli appellativi, essi danno inizio nel 1937 a un denso
rapporto epistolare - quaranta lettere in totale - che si prolunghera' fino
al 1950. In massima parte inedita, la corrispondenza esce a giorni presso il
Mulino, a cura di Silvia Berti, in un volume intitolato Carteggio Croce - F.
Venturi (pp. 150, euro 20).
Fra i due esistono rapporti consolidati. Franco appartiene a una famiglia di
illustri tradizioni intellettuali. Suo nonno, Adolfo Venturi, e' stato una
figura dominante della critica d'arte a cavallo fra Otto e Novecento;
attivita' ereditata, con una piu' deliberata apertura agli stimoli della
modernita', dal figlio Lionello, padre di Franco. Nel 1931, Lionello s'era
rifiutato di sottoscrivere il giuramento di fedelta' al regime fascista
imposto da Gentile ai docenti italiani. Dal marzo del '32 l'intera famiglia
Venturi s'era stabilita a Parigi. Alla mancata firma sotto l'editto
gentiliano s'era aggiunto il coinvolgimento del giovane Franco in
quell'ondata giudiziaria che, fra arresti e sospetti, aveva di recente
colpito il gruppo antifascista torinese di Giustizia e Liberta'. Come gia' a
Torino, anche nella capitale francese, Croce incontrava i Venturi: una
consuetudine che, nata con un marchio intellettuale, si nutriva di umori
politici.
Quest'ultima dimensione, insita nei rapporti tra il giovane e l'anziano,
resta pero' sottintesa nelle lettere che essi si scambiano. Sono, entrambi,
sorvegliati speciali. Il filosofo, la cui abitazione napoletana era stata
invasa, nell'ottobre del '26, da una squadraccia fascista, alludeva
all'episodio dichiarando di aver "avuto l'onore di ricevere una visita dello
Stato Etico".
Quanto a Franco Venturi, il suo nome figurava nell'elenco degli antifascisti
da perseguire. A dispetto di ogni cautela usata dai corrispondenti, le loro
lettere vengono registrate negli archivi della Polizia. Come ha sottolineato
Silvia Berti nella diffusa introduzione al volume, il cuore di questo
dialogo epistolare "sono i libri o, in piu' d'un caso, l'assenza di libri".
Venturi intrattiene Croce sui propri studi e progetti: una ricerca
sull'illuminismo piemontese, poi l'abbozzo di un saggio dedicato a Filippo
Buonarroti; e via via altri temi che il giovane storico ha gia' saggiato, da
Diderot a una piu' generale disamina dell'illuminismo francese, da Tommaso
Campanella a N. A. Boulanger, da Hegel "storico dell'illuminismo" a un esame
della cultura del Settecento nell'intero continente: "Vedo di fronte a me
come una meta lontana e in un certo senso ideale", egli specifica, "una
storia europea del secolo dei lumi". Croce incoraggia l'amico. Consente con
alcune delle sue diagnosi. Lo aiuta nel procurarsi i libri.
I libri, appunto, come ricerca. Poi, ben presto, come assenza e rimpianto.
Al quasi dorato esilio parigino, nella vita di Franco Venturi subentra
infatti una nuova fase. Nella corrispondenza con Croce ne risuona un'eco
desolata. Arrestato a Port Bou dalla polizia franchista nell'ottobre del
1940, mentre cercava di raggiungere Lisbona per poi imbarcarsi per gli Stati
Uniti dove la famiglia si era intanto trasferita, Venturi sperimenta per
cinque mesi la severita' delle carceri spagnole. Prima a Figueras, poi a
Madrid e Barcellona. Estradato in Italia, lo custodiscono in carcere a
Genova e Torino, finendo con l'assegnarlo al confino.
Destinazione: Monteforte Irpino. E' il maggio del '41. Franco si sente cosi'
trasformare - e ne scrive al "caro Maestro" - in "un prigioniero che ha
visto interrotto il suo lavoro in cui metteva tutta la sua passione e la sua
anima". Ad Avigliano (Potenza) dove viene trasferito grazie all'intervento
del nonno Adolfo presso qualche residuo amico autorevole, va meglio, ma solo
un po'. Croce continua a scrivergli. "Soffro per Lei perche' so quale
spasimo sia non poter avere a mano gli strumenti necessarii ai nostri dubbi
e alle nostre ricerche!". E aggiunge: "Se posso esserle utile, mi adoperi".
Ma ecco che vien meno anche il soccorso epistolare. Agli internati, adesso,
e' consentito di scrivere solo ai familiari: una lettera per settimana,
lunga non piu' di ventiquattro righe. La corrispondenza con Croce prima si
dirada, poi tace. Per quattro anni: dal '42 al '46. Dopo la caduta del
fascismo, per Venturi s'e' aperta una stagione di lotta politica. Egli
lavora alla stampa clandestina di Giustizia e Liberta', s'impegna nella
Resistenza. Anche il suo essere crociano subisce l'influenza di nuove idee e
pulsioni. Si manifestano, sul pensiero del "caro Maestro", delle riserve che
la comune avversione al fascismo aveva mimetizzato.
Sono sfumature che non sfuggono a una studiosa attenta come la curatrice
Berti: su piu' d'un argomento trattato nelle lettere, le pare di avvertire
uno scarto di sensibilita' fra l'approccio piu' freddo, prevalentemente
filosofico-letterario di Croce e quello passionale e deliberatamente
"democratico" di Venturi. Un solo esempio: nell'entusiasmo professato dal
giovane studioso per l'illuminismo piemontese la curatrice vede profilarsi
l'ombra di Gobetti, non del tutto gradita al filosofo.
La novita', a fascismo appena caduto, e' l'idiosincrasia di Croce per
Giustizia e Liberta' (e per il partito d'Azione che ne e' l'erede).
L'argomento trascende l'epistolario: li' non se ne parla, anche se altrove
Venturi non risparmia a Croce critiche pesanti. E si spiega.
Quell'idiosincrasia angustia, in particolare, quegli intellettuali borghesi
(fra i quali proprio Venturi) nella cui formazione politico-culturale il
direttore della "Critica" era assurto a simbolo di spirito critico e
dignita' civile. Il dialogo diretto fra Croce e Venturi diventa, nell'ultima
sua fase meno umanamente drammatico, piu' tecnico, tale da schivare temi
scottanti. Ma, fuori, nella societa' politica, la discussione sul tema del
P. d'A. e' cosi' aspra e tenace da riflettersi nei rapporti fra Croce e il
suo discepolo prediletto, Adolfo Omodeo. Vi si trova coinvolta perfino la
cerchia familiare del Senatore: e' un fervente "azionista" suo genero,
Raimondo Craveri, marito della figlia Elena. Per Croce il partito di Parri e
di Lussu e' un bersaglio fisso. Lo considera una costruzione insensata, a
partire dalla "diade" (cioe' dalla coppia di parole) Giustizia e Liberta'
che presiede alla sua nascita. Lo giudica un "ircocervo", una bestia
immaginaria, mezza liberale, mezza socialista. Qualcosa da deridere in linea
teorica, prima ancora di criticarla nei fatti.
Tra le pagine piu' intense del libro curato dalla Berti figura, pubblicata
in appendice, una lettera di Leo Valiani a Croce. Data: 6 ottobre 1945. E'
la testimonianza di un esponente azionista che, di fronte alla requisitoria
del grande filosofo contro il suo partito, resiste a "non dirsi crociano".
Valiani rievoca che cosa abbia rappresentato per una generazione di
antifascisti "la lettura e la meditazione dei libri di Benedetto Croce, che
penetravano nei nostri reclusori di Lucca e di Civitavecchia",
accompagnandoci nella "fornace della lotta clandestina e della guerra
rivoluzionaria". Che cos'altro, d'altronde, potevamo, fare noi "quattro
gatti giellisti" "se non costituirci in un partito che fosse 'd'azione'
proprio nel senso che Mazzini" dava a questa parola? E cosi' e' sorta quella
creatura politica "a Dio spiacente ed ai nemici suoi", che porta in se' la
propria condanna. "Se vincono i comunisti ci rimettono in prigione; se
vincono i cattolici ci mettono all'indice; se vincono i liberali ci trattano
da poveri pazzi. Ma questo e' il destino delle eresie. E anche l'amore delle
eresie l'abbiamo imparato da Benedetto Croce". Non si sa come l'abbia presa
Croce. Ma se lo scrivere lettere equivale a confessarsi, questa di Valiani -
politico sfiduciato, rivoluzionario deluso - e' davvero da manuale.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 700 del 14 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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