[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Voci e volti della nonviolenza. 284
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 284
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 13 Jan 2009 08:52:15 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 284 del 13 gennaio 2009 In questo numero: 1. Giuseppe Vacca: Edizioni e studi gramsciani 2. Simonetta Fiori intervista Joseph A. Buttigieg 3. Pasquale Voza: Di alcuni temi dei Quaderni gramsciani 4. Silvio Pons: Gramsci e la riflessione sull'Urss nei Quaderni 1. RIFLESSIONE. GIUSEPPE VACCA: EDIZIONI E STUDI GRAMSCIANI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 15 aprile 2007 col titolo "Un classico dell'avvenire per capire il mondo globale" e il sommario "Questo anniversario. L'edizione nazionale degli scritti, i convegni, i nuovi studi e le edizioni straniere di un pensatore sempre piu' attuale"] Il settantesimo della morte di Gramsci si annuncia particolarmente denso di eventi e iniziative culturali di grande rilievo. Molti di essi sono promossi o realizzati con la partecipazione della Fondazione Istituto Gramsci. Segnalarne i piu' significativi mi sembra utile per dare conto degli sviluppi piu' recenti degli studi gramsciani, della diffusione crescente degli scritti di Gramsci nelle diverse aree linguistiche e culturali del mondo, e della vitalita' del suo pensiero. Dopo quasi dieci anni di intenso lavoro comincia quest'anno la pubblicazione dell'Edizione nazionale degli scritti di Gramsci. Com'e' noto, egli e' ormai universalmente riconosciuto come un classico del pensiero politico del Novecento, attualmente il piu' tradotto e studiato nel mondo intero. Man mano che la sua fortuna cresceva diveniva sempre piu' necessario che la cultura italiana fornisse alla comunita' scientifica internazionale gli strumenti indispensabili ad uno studio critico filologicamente fondato del suo pensiero. A questo si e' dedicata la Fondazione Istituto Gramsci promuovendo, fin dai primi anni Novanta del secolo passato, una Edizione Nazionale degli scritti. Come si sa questa costituisce il massimo riconoscimento istituzionale della cultura italiana ad un suo autore illustre ed e' altrettanto significativo che l'Istituto dell'Enciclopedia italiana ne sia l'editore. Una edizione critica integrale degli scritti di Gramsci e' necessaria per molte ragioni. Mi limitero' a ricordare quelle che costituiscono le principali novita' dell'Edizione nazionale. Innanzi tutto un'edizione degli scritti e non delle "opere". Gramsci fu un uomo politico, un "combattente" il cui pensiero e' consegnato a scritti giornalistici, interventi politici, epistolari e alle "note" dei Quaderni del carcere, raccolte in volume solo dopo la sua morte. Egli dunque non ci ha lasciato "opere", ma "scritti" che compongono un corpus straordinariamente unitario a condizione che se ne possa ripercorrere cronologicamente "il ritmo del pensiero in sviluppo", corredandone gli scritti dell'apparato filologico indispensabile a ricostruirne i contesti. In secondo luogo la sua attivita' giornalistica (1914-1926) e' consegnata ad articoli prevalentemente non firmati. Rispetto alle pubblicazioni precedenti l'Edizione nazionale procede quindi verificandone le trascrizioni e le attribuzioni, e corredandoli di un apparato filologico molto piu' accurato. Novita' significativa a tal uopo e' l'elaborazione di un software ripetutamente testato che consente l'attribuzione degli articoli non firmati secondo criteri linguistico-matematici, ferma restando la responsabilita' dei curatori di accoglierle o respingerle integrando i criteri automatici con quelli critici tradizionali, come la conoscenza del lessico e dello stile letterario di Gramsci, e la ricostruzione del contesto editoriale, storico-politico e storico-culturale di ciascun articolo. Altra novita' significativa e' la decisione di comprendere nell'Edizione nazionale non solo i carteggi gramsciani (quelli con Tatiana e Giulia Schucht, ed altri corrispondenti) ma anche i "carteggi paralleli", decisivi per il periodo carcerario (i carteggi fra Piero Sraffa e Tatiana Schucht, Tatiana e i suoi famigliari, ecc.). L'ingiustificata consuetudine di pubblicare solo le lettere di Gramsci e non anche quelle dei suoi corrispondenti e' stata finalmente dismessa dopo che, con il suo pionieristico Antigone e il prigioniero (1990), Aldo Natoli aveva portato alla luce non solo lo spessore intellettuale e morale di Tatiana Schucht, ma anche il suo ruolo d'interlocutrice autorevole del prigioniero, ignorando le lettere della quale non si puo' ricostruire la biografia politica e intellettuale di Gramsci negli anni di detenzione. Tuttavia solo il carteggio fra Gramsci e Tania Schucht aveva avuto finora una vera e propria edizione critica, accuratamente annotata da Chiara Daniele (Einaudi 1997). Nell'Edizione nazionale si provvedera' quindi a colmare una grave lacuna, secondo criteri che consentiranno agli epistolari di assolvere il loro compito precipuo, quello di rendere possibile la ricostruzione della biografia intellettuale dell'autore in questione. E' appena il caso di sottolineare quanto cio' sia importante per la comprensione dei Quaderni, per i quali, dopo l'edizione cronologica del 1975, abbiamo appreso quanto sia decisivo, per interpretarli, contestualizzare ogni nota, anche in rapporto alla vicenda politica del prigioniero, seguendone la scrittura oserei dire giorno per giorno. Com'e' noto dopo la pubblicazione dell'edizione cronologica dei Quaderni (l'impresa decennale di Valentino Gerratana e della nutrita schiera di studiosi che lo affiancarono) Gianni Francioni ha progressivamente affinato i criteri di datazione delle "note" che li compongono ed a lui e' affidata la direzione della loro pubblicazione nell'Edizione nazionale. In questa essi saranno ordinati in Quaderni miscellanei, Quaderni speciali e Quaderni di traduzione. La novita' piu' significativa e' la pubblicazione dei Quaderni di traduzioni, esclusi dall'edizione Gerratana e quasi del tutto inediti. Con essi si inaugura l'Edizione Nazionale ed il volume sara' presentato il 30 aprile a Ghilarza, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ma le novita' editoriali promosse dalla Fondazione Istituto Gramsci non si fermano all'Edizione nazionale. A fine aprile sara' in libreria il primo volume di una serie di pubblicazioni annuali edite dal Mulino, intitolata "Studi gramsciani nel mondo". La serie si propone di far conoscere al pubblico colto i risultati piu' significativi della letteratura internazionale traducendo in italiano scritti di autori stranieri dedicati al pensiero di Gramsci o da esso ispirati. Il primo volume offre una selezione di scritti degli anni 2000-2005, si apre con un saggio di Amartya K. Sen su Sraffa, Wittgenstein e Gramsci e comprende scritti di studiosi inglesi, nordamericani e latinoamericani che spaziano dalla concezione della societa' civile e della teoria dell'egemonia, all'applicazione del pensiero di Gramsci allo studio di "questioni regionali", come il confronto fra socialismo, nazionalismo ed islamismo nel mondo arabo ed il declino del processo di pace in Medio Oriente, di questioni nazionali come nel saggio di Rupe Simms, La Black Theology nelle lotte per la liberta', che riguarda la vicenda sudafricana, o globali, come l'articolo della Costler sulla regolazione dei processi di mondializzazione dell'economia. I volumi successivi saranno invece di carattere tematico e verranno dedicati ad una scelta di studi culturali e post-coloniali, alle teorie delle relazioni internazionali ispirate dalla concezione gramsciana dell'egemonia e alla presenza di Gramsci nel modo arabo-islamico. La pubblicazione ripercorre le linee principali dell'internazionalizzazione del pensiero di Gramsci che continua e si allarga. Il 27 aprile sara' presentata a Pechino la traduzione cinese delle Lettere dal carcere e il 29 maggio, a Mosca, la traduzione russa dei Quaderni, mentre si conclude la pubblicazione dell'edizione critica di essi in lingua inglese, curata da Joseph A. Buttigieg per la Columbia University Press. Alla "fortuna" internazionale del pensiero di Gramsci sono quindi dedicati tre importanti convegni promossi dalla Fondazione Istituto Gramsci per il Settantesimo. Il primo, "Gamsci, le culture e il mondo", organizzato in collaborazione con la International Gramsci Society - Italia, si terra' a Roma il 27 e 28 aprile ed e' incentrato su tre pilastri dei Cultural studies: la Scuola di Calcutta, la Scuola di Birminghan, e gli studi post-coloniali influenzati dall'opera di Said. In autunno sono previsti un convegno internazionale a Berkeley, dedicato alla teoria degli intellettuali nell'America del Nord, ed un altro a Buenos Aires, dedicato alla presenza di Gramsci nella cultura ibero-americana. L'internazionalizzazione del pensiero di Gramsci e' registrata in tempo reale dalla Bibliografia gramsciana on line consultabile presso il sito della Fondazione Istituto Gramsci. Originata dal lavoro pionieristico di Elsa Fubini e John Cammett, essa ha superato le 17.000 voci, meta' delle quali appartengono alla letteratura straniera. Essa costituisce la base di un'altra iniziativa editoriale della Fondazione, il cui primo volume vedra' la luce quest'anno: la Bibliografia gramsciana ragionata, diretta da Angelo D'Orsi. Questa e' dedicata alla letteratura in lingua italiana dal 1922 ad oggi e costituira' una guida importante per gli studiosi non solo italiani. L'informazione parziale e selettiva fin qui fornita sulle iniziative dell'Istituto Gramsci per il Settantesimo da' un'idea dell'ampiezza e della vitalita' degli studi gramsciani. Contrariamente a quanto molti ritengono, dopo la battuta d'arresto degli anni Ottanta del secolo scorso essi si rinnovano e si accrescono anche in Italia, di pari passo con la disponibilita' di nuove fonti, a datare dal 1991, con il sensibile sviluppo di nuovi studi sulla biografia intellettuale di Gramsci e con la crescita d'una nuova storiografia sul Novecento. Tutto cio' rende possibile l'organizzazione di un convegno di dichiarata ambizione, promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci e dalla Fondazione Gramsci di Puglia, che si terra' a Bari e a Turi dal 13 al 15 dicembre prossimo. Intitolato "Gramsci nel suo tempo", esso si svolgera' sulla base di cinquanta contributi di studiosi italiani volti a ricostruire la genealogia del pensiero di Gramsci ripercorrendo il cammino delle sue interazioni con la cultura e la politica europea e mondiale dei primi tre decenni del Novecento. Il lungo lavoro di preparazione e la disponibilita' a parteciparvi dimostrata da tanti studiosi di almeno tre generazioni documentano una ripresa significativa dell'interesse per Gramsci e ci consentono di sperare di concludere cosi' in modo degno, almeno per quanto riguarda la Fondazione Istituto Gramsci, un anno di iniziative e di eventi non rituali, ne' banali, nei quali cerchiamo di riversare tutto il nostro impegno. 2. RIFLESSIONE. SIMONETTA FIORI INTERVISTA JOSEPH A. BUTTIGIEG [Dal quotidiano "La Repubblica" del 24 febbraio 2007 col titolo "Gramsci lo straniero" e il sommario "Ormai ignorato in Italia, e' studiato nel resto del mondo. La sua fortuna a settant'anni dalla morte. Intervista a Joseph A. Buttigieg su un classico assai presente nella cultura internazionale. Quasi scomparso da noi, negli Usa e' la bestia nera della destra. I 'subaltern studies' dall'India al Brasile, dall'Africa alla Cina"] Gramsci, chi era costui? Nel settantesimo anniversario della morte (27 aprile 1937), il profilo di un classico del Novecento, l'autore che Benedetto Croce acclamo' come "patrimonio di tutti", appare piuttosto sfocato se non totalmente oscurato, almeno nel paese che gli ha dato i natali. Ed e' questo il primo paradosso nel trarre un bilancio della sua fortuna: oggetto di accurati studi in tutto il mondo - dall'Australia a Israele, dagli Stati Uniti all'India, dal Giappone al Brasile -, tuttora bestia nera dei polemisti conservatori nordamericani, in Italia la sua immagine appare un po' impolverata, un busto ammaccato ormai da tempo riposto in soffitta, salvo restauri e lucidature dell'ultima ora, quando proprio non se ne puo' fare a meno. E' quel che in fondo accade in questo settantennale, in un tripudio di iniziative promosse dall'Istituto Fondazione Gramsci, opportunamente destato da una protratta letargia. Anche nel linguaggio politico, il lessico gramsciano talvolta rimbalza nella sua versione caricaturale (le "casematte" evocate dall'inquilino di Arcore o la "guerra di posizione" annunciata dall'inventore del mito padano). Mentre a sinistra dopo una stagione di feroci lotte su letture opposte e contrarie (Gramsci comunista o critico ante litteram del comunismo? Gramsci liberaldemocratico o cominternista?) la rimozione appare diffusa o la rievocazione generalmente pasticciata, con rare eccezioni. Eppure l'Italia puo' vantare una famiglia di gramscisti nobili, discesa dal decano Valentino Gerratana. Non sono mancati negli ultimi anni contributi importanti come il volume postumo di Antonio A. Santucci (Sellerio) o il fondamentale Gramsci storico di Alberto Burgio (Laterza), insieme a Le parole di Gramsci a cura di Fabio Frosini e Guido Liguori (Carocci), animatore quest'ultimo della vivace sezione italiana dell'International Gramsci Society, la rete che raccoglie i massimi specialisti del mondo. Recenti anche i saggi di Chiara Daniele ed Angelo d'Orsi. Ma e' come se si trattasse di una comunita' conventuale, operosa e dedita, ma sostanzialmente separata dal dibattito pubblico. Sacerdoti un po' eccentrici di un classico ingiustamente condannato alla muffa o talvolta improvvidamente rianimato da talenti romanzeschi che ne riscrivono la morte (Massimo Caprara arrivo' a ipotizzarne il suicidio) o invocano fantasiose carte occultate dal perfido Togliatti ("Il Giornale" qualche settimana fa). Gramsci dimenticato? Se il suo profilo politico appare inesorabilmente estinto insieme alla storia del comunismo italiano e internazionale, non esiste forse un Gramsci intellettuale da continuare a interrogare? Il nostro paese sembra smentire la profezia di Hobsbawm che, solo qualche anno fa, citava Gramsci come l'unico pensatore marxista sopravvissuto alla chiusura nei ghetti dell'accademia. "Un classico italiano generalmente ignorato in Italia", dice ora Joseph A. Buttigieg, figura di massimo prestigio dell'International Gramsci Society (ne e' il segretario) e traduttore americano dei Quaderni. "E dire che per un quarantennio - dalla prima edizione delle Lettere nel 1947 fino all'89 - e' stato una presenza molto vitale nel dibattito pubblico e nelle correnti culturali italiane. Ricordo che ancora negli anni Ottanta ci si chiedeva se Gramsci sarebbe diventato un classico. Il fatto e' che ovunque lo e' diventato, e si continua a dialogare con lui. Mentre in Italia - con la sola eccezione dei gramscisti della Igs - appare per lo piu' consegnato al museo dell'antichita'". * - Simonetta Fiori: Professor Buttigieg, dove le appare piu' forte la presenza di Gramsci nel mondo? - Joseph A. Buttigieg: Direi nel campo dei cultural studies, una corrente di studio ispirata inizialmente dagli scritti di Raymond Williams e Stuart Hall, oggi diffusa in tutto il mondo anglofono. Il concetto chiave e' quello gramsciano dell'egemonia, del potere culturale. * - Simonetta Fiori: Il consenso ricercato sul terreno della cultura. - Joseph A. Buttigieg: Nelle sue analisi dello Stato moderno Gramsci mostrava che il potere dei governanti non e' basato sulla capacita' coercitiva dello Stato ma piuttosto sulla capacita' di coltivare il consenso dei governati. Il consenso e' creato appunto sul terreno della cultura. Allora per capire uno Stato moderno non basta studiare i partiti politici e la struttura economica, ma e' necessario analizzare quell'insieme di fenomeni che Gramsci chiamo' "l'organizzazione della cultura": la scuola, le chiese, i giornali, le riviste, il cinema, il romanzo d'appendice. Solo in questi ultimi anni i cultural studies hanno cominciato a destare un certo interesse anche in Italia. * - Simonetta Fiori: Ma c'e' una relazione con i subaltern studies, altro campo d'influenza gramsciana? - Joseph A. Buttigieg: Questi nascono da un'altra riflessione di Gramsci, raccolta nel Quaderno 25: Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni. I primi studi uscirono a Calcutta nei primi anni Ottanta, su iniziativa di Ranajit Guha. Nel decennio successivo un altro gruppo di studiosi ha esteso la riflessione di Guha e di altri teorici asiatici all'America Latina. Il campo di indagine ha continuato ad allargarsi: numerosi sono i saggi che trattano della subalternita' in chiave gramsciana lungo territori diversissimi, dall'Africa alla Cina, dall'Irlanda alla Palestina. Molto spesso le teorie sulla subalternita' si sono intrecciate con gli studi su colonialismo e post-colonialismo. Tra i massimi studiosi che hanno usato categorie gramsciane in questo campo va ricordato l'americano palestinese Edward Said. * - Simonetta Fiori: In tutte le maggiori universita' americane, ma anche in Cina o in America Latina, non manca qualche corso sui cultural studies o postcolonial studies. - Joseph A. Buttigieg: Si', una moda molto contagiosa. E' curioso che nessuna di queste correnti sia nata in Italia. * - Simonetta Fiori: E nel campo delle scienze politiche, qual e' il riferimento a Gramsci piu' frequente? - Joseph A. Buttigieg: Gramsci e' considerato uno dei maggior teorici della societa' civile, categoria oggi assai studiata nel mondo anglosassone. Egli piu' di altri pensatori ci fa capire che non e' un terreno completamente neutro, come invece sostiene il liberalismo classico, il quale teorizza una netta separazione tra il governo e la societa' civile. Le note gramsciane sulla formazione dell'opinione pubblica e sulle connessioni tra societa' civile e societa' politica - scritte settantacinque anni fa - sono valide tuttora. * - Simonetta Fiori: Colpisce che negli Stati Uniti Gramsci sia cosi' presente nel dibattito pubblico. - Joseph A. Buttigieg: Si', in forme talvolta minacciose. Recentemente il suo nome e' riecheggiato insieme a quello di Hugo Chavez, la nuova "bete noir" dell'amministrazione Bush. Per certi pubblicisti conservatori il fatto che il leader venezuelano citi Gramsci nei suoi discorsi e' una conferma della pericolosita' dell'autore dei Quaderni. Che cosa leghi Gramsci a Chavez e' tutto da dimostrare, ma il clima intorno al pensatore sardo e' quello evocato da Michael Novak in un celebre articolo del 1989: The Gramscist are coming, ovvero le orde barbariche di Serse alle porte... * - Simonetta Fiori: Gramsci come l'uomo nero? - Joseph A. Buttigieg: Piu' o meno. E' interessante l'uso che ne viene fatto nei media piu' popolari. Il piu' noto commentatore conservatore alla radio, Rush Limbaugh, ha scritto in uno dei suoi libri che Gramsci e' "l'ultima speranza per chi odia l'America". Secondo Pat Buchanan, candidato alle elezioni del Duemila, la minaccia d'una rivoluzione gramsciana e' un pericolo reale. Un'immagine muscolare dell'autore delle Lettere affiora anche nei saggi prodotti recentemente dall'Heritage Foundation, una sorta di "think tanks" della destra. Una "Gramscifobia" diffusa, che rivela la confusione ideologica della destra statunitense. * - Simonetta Fiori: In compenso Amartya Sen, economista premio Nobel, sceglie Gramsci come oggetto d'indagine. - Joseph A. Buttigieg: Si', quattro anni fa e' comparso sul "Journal of Economic Literature" un suo importante saggio che mette in relazione i Quaderni con Wittgenstein e Sraffa. E' questo un altro aspetto di Gramsci che va acquistando rilievo negli studi internazionali: la sua riflessione sulla lingua e sul rapporto tra lingua e politica. Naturalmente quello gramsciano e' l'approccio d'un materialista storico: la prassi linguistica non puo' essere analizzata indipendentemente da ogni altra attivita' sociale. Esiste oggi un'amplia bibliografia - tra Canada, Stati Uniti e Inghilterra - che traccia un raffronto tra Gramsci e Michail Bachtin, Walter Benjamin, la Scuola di Francoforte. * - Simonetta Fiori: A fronte di questi fermenti, lei come spiega la sua rimozione in Italia? - Joseph A. Buttigieg: Direi che da voi Gramsci e' sostanzialmente ignorato, specie nel dibattito pubblico. Intendiamoci: e' di massimo valore il lavoro degli specialisti italiani della Igs - penso soprattutto al grande progetto del Lessico gramsciano - ma e' altrettanto indubbio che questo lavoro finisca per interessare solo poche persone. Ed e' un peccato, perche' il testo gramsciano ha ancora molto da dire, sul terreno della societa' civile come su quello del potere culturale. Forse Gramsci non e' piu' ascoltato perche' il clima prevalente e' ostile alla serieta', al pensiero sobrio, alle analisi intellettualmente rigorose. Mi auguro che questo anniversario serva a correggere una colpevole distrazione. 3. RIFLESSIONE. PASQUALE VOZA: DI ALCUNI TEMI DEI QUADERNI GRAMSCIANI [Dal quotidiano "Liberazione" del 6 giugno 2007 col titolo "Nei Quaderni c'e' la chiave per leggere la crisi della politica" e il sommario "Continua il dibattito su Gramsci e la sua attualita'. Gli scritti del carcere contengono spunti preziosi per capire la formazione 'molecolare' del soggetto che non e' mai qualcosa di dato a priori ma si costruisce nella pratica e nella lotta culturale"] Qualche tempo fa, negli anni Novanta del secolo scorso, lo storico inglese Hobsbawm osservava che l'opera di Gramsci, in quanto "classico" del Novecento, aveva ormai varcato i confini della sinistra. Cio' non escludeva, tuttavia, come fu sottolineato da Guido Liguori in un passaggio finale del suo volume Gramsci conteso, che quell'opera potesse costituire ancora un punto di riferimento essenziale e ineludibile per tutte le forze di sinistra impegnate ad elaborare forme, molteplici e varie, di antagonismo critico e di conflitto politico e sociale con lo stato di cose presenti, con la realta' della globalizzazione capitalistica. Su un altro piano di considerazioni, l'enorme fortuna e presenza oggi dell'opera gramsciana nel mondo non dovrebbe - credo - sollecitarci ad uno sforzo sfibrante e in se' rigoristico di continua distinzione e selezione tra gli usi e gli abusi di Gramsci, bensi' stimolarci, secondo la stessa prospettiva gramsciana di una "filologia vivente", ad una continua interrogazione critica della integrale storicita' di tutte le letture, le interpretazioni, le riduzioni, le semplificazioni: dalla grande presenza nell'opera di Said di Gramsci come commutatore teorico-ideologico di una peculiare visione del rapporto potere-intellettuali, e della missione di questi ultimi di "dire la verita'", alla ricchissima fioritura culturale di categorie e di spunti gramsciani nell'ambito vastissimo dei cultural studies e degli studi post-coloniali (Guha, West, Ryner, lo stesso Stuart Hall, per fare solo qualche nome), sino addirittura al "lorianismo" (si potrebbe dire con Gramsci) delle attualizzazioni politiche piu' indebite e strumentali, particolarmente ricorrenti da qualche decennio in Italia. Ed e' in connessione con cio' che rileggere criticamente alcune tra le principali categorie gramsciane quali egemonia, rivoluzione passiva, ideologia, intellettuali, blocco storico, puo' contribuire senza dubbio a farci interrogare e analizzare in profondita' (s'intende anche per differentiam) alcuni nodi fondamentali del nostro presente. Si pensi alla nozione di rivoluzione passiva: ad essa Gramsci applicava il "criterio interpretativo delle modificazioni molecolari che in realta' modificano progressivamente la composizione precedente delle forze e quindi diventano matrice di nuove modificazioni", e in questo modo intendeva farne un possibile "principio generale di scienza e di arte politica". Nell'era post-liberale, nel tempo del fascismo e dell'americanismo, la rivoluzione passiva alludeva ad un potere moderno della politica, alla sua capacita' di produrre e insieme governare processi di passivizzazione, standardizzazione e frantumazione (in assenza di "un'antitesi vigorosa", precisava con forza Gramsci, in chiave antideterministica): costituendosi, in qualche modo (come ha osservato Alberto Burgio su queste colonne), come un "idealtipo cruciale nello studio delle dinamiche di governance proprie delle democrazie oligarchiche", e non identificandosi rigidamente nelle forme in se' dei vari dirigismi piu' o meno "riformisti" degli anni Trenta. Una spinta fondativa di tutta la riflessione gramsciana e' costituita dalla crucialita' dell'interrogativo su "come nasce il movimento storico sulla base della struttura". Tale interrogativo chiama in causa l'esigenza di elaborare una teoria della soggettivita' politica, che nell'autore dei Quaderni non e' mai riconducibile o riducibile ad una qualche filosofia della storia: giacche' per lui - come e' stato osservato (Finelli) - il soggetto capace di dar vita all'iniziativa storica non e' mai gia' dato, ma si costituisce processualmente attraverso la lotta e la prassi politica. Cio' comporta in Gramsci, attraverso una serie di mediazioni, anche una critica serrata del concetto di "uomo in generale" e di "natura umana". Egli afferma che nel marxismo (in quel marxismo che andava ridefinendo e sviluppando creativamente) i concetti di uomo in generale e di natura umana (intesa, quest'ultima, come immanente in ogni uomo) sono rifiutati alla radice in quanto intimamente dogmatici. Il suo "umanesimo assoluto" (absolutus, sciolto, cioe', da ogni vincolo o legame metafisico e/o idealistico) e' un umanesimo integralmente laico e materialistico: esso potrebbe costituire un riferimento essenziale oggi, in tempi contrassegnati da forme nuove e spesso devastanti di rapporto tra sacro e potere, e da una diffusa virulenza fondamentalista e neo-patriarcale. Vorrei richiamare l'attenzione su un altro punto: Gramsci parla dell'"uomo attivo di massa" del suo presente, di quei tempi che egli chiama "tempi di socializzazioni", e ne parla - si potrebbe dire - come di un soggetto sociale e politico in formazione. Ebbene, "la comprensione critica di se stessi" e la successiva elaborazione superiore di una propria concezione del reale possono avvenire - dice Gramsci - solo attraverso una lotta "interiore" di "egemonie politiche", di direzioni e di spinte che si contrastano tra loro prima sul piano dell'etica e poi su quello della politica. La stessa coscienza politica, in cui per Gramsci si risolve la coscienza di essere parte di una determinata forza egemonica, rappresenta solo la prima fase di una ulteriore e progressiva "autocoscienza", in cui teoria e pratica "finalmente si unificano". Da tutto cio' si comprende come proprio l'unita' di teoria e pratica per l'autore dei Quaderni non sia un "dato di fatto meccanico, ma un divenire storico": un divenire storico, nel quale la nozione gramsciana di molecolare ha una centralita' gnoseologica e politica notevolissima, che chiama in causa lo stesso nesso spontaneita'-direzione consapevole (lucidissime le considerazioni di Eleonora Forenza a tal riguardo, apparse di recente su questo giornale). Da tutto cio' si ricava anche - credo - la radicale distanza di Gramsci, nell'elaborazione della teoria del moderno Principe, del partito moderno, da ogni concezione di autonomia del politico, comunque declinata. Cosi' pure la peculiarita' dell'accento gramsciano sulla "comprensione critica di se stessi" e sulla costitutiva inerenza di tale comprensione ai processi di soggettivazione politica, allontana decisamente il pensatore sardo dai rischi di un "antropocentrismo pratico e fabrile" (Finelli), di una ideologia "produttivistica", che, dalla stagione ordinovista alle pagine di Americanismo e fordismo, costituirebbe una sottile e resistente linea di tendenza della riflessione gramsciana (secondo taluni, variamente ricorrenti, filoni interpretativi). Infine: c'e' una nota del Quaderno 9, che ci parla con parole molto vive, dinanzi agli odierni processi di riclassificazione dei saperi negli ambiti interagenti della tecnica e del mercato e di loro incorporazione nella macchina, entro una tendenziale (ma pur sempre ricca di contraddizioni) dilatazione "totalitaria" del capitalismo post-fordista. E' una nota che contiene un messaggio forte, concretamente "utopico", vale a dire la necessita' per l'intellettuale collettivo di una critica pratica di cio' che e' "oggettivo", cioe' di quello che Marx aveva individuato come il potere di astrazione reale del capitale: "Per il lavoratore singolo 'oggettivo' e' l'incontrarsi delle esigenze dello sviluppo tecnico con gli interessi della classe dominante. Ma questo incontro, questa unita' fra sviluppo tecnico e gli interessi della classe dominante e' solo una fase storica dello sviluppo industriale, deve essere concepito come transitorio". 4. RIFLESSIONE. SILVIO PONS: GRAMSCI E LA RIFLESSIONE SULL'URSS NEI QUADERNI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 13 dicembre 2007 col titolo "Gramsci, il distacco dal mito dell'Urss" e il sommario "Un legame forte con l'Ottobre progressivamente sottoposto a critica specialmente sul punto della costruzione statale. Proprio nelle note carcerarie e dopo lo scontro con Togliatti del 1926 prende forma un'analisi disincantata del nuovo Stato. Il convegno. Al via oggi a Bari tre giornate di studio sul pensatore dei Quaderni del carcere a cura della Fondazione intitolata al suo nome. Una esplorazione integrale del suo pensiero con particolare riferimento al ruolo del 1917"] Gramsci condivise una visione mitica della dittatura bolscevica, diffusa nel movimento comunista. Parte essenziale di tale mito furono l'idea che l'unita' della "vecchia guardia" leninista fosse una risorsa spendibile e l'idea che le politiche del bolscevismo al potere coincidessero con una effettiva realizzazione di liberta', consenso e socializzazione. Ma la sua irremovibile convinzione che lo Stato rivoluzionario costituisse non soltanto un punto di forza materiale e organizzativo, bensi' anche simbolico sul piano internazionale, centrava una questione cruciale: senza quella risorsa strategica, anche la piu' raffinata concezione rivoluzionaria occidentale era destinata alla marginalita'. Il suo arresto rimosse la questione stessa dal campo ottico dei comunisti italiani. Privo delle "bellicose certezze" distintive di Lenin, e pero' inevitabilmente portato a caricare di aspettative l'opera dei gruppi dirigenti sovietici dinanzi alla fine del "tempo della rivoluzione" in occidente, Gramsci non doveva piu' liberarsi degli interrogativi e dei principi enunciati nel carteggio con Togliatti del 1926. Le note del carcere recano il segno di una siffatta eredita' e costituiscono, in questa luce, un solitario tentativo intellettuale di venire a capo dell'evoluzione nel frattempo conosciuta dall'Urss tornando sulle proprie fonti originarie dell'esperienza sovietica, senza liquidarle. Vale la pena di svolgere, a questo riguardo, alcune considerazioni conclusive. In primo luogo, si deve sottolineare il legame di Gramsci con la Nep, affermato nella lettera dell'ottobre 1926 e variamente presente nei Quaderni. Gramsci resto' legato all'idea che l'evoluzione dell'Urss si dovesse svolgere in forme graduali e non violente, e cio' lo porto' ad esprimere una critica della dissoluzione della Nep nella Rivoluzione dall'alto promossa da Stalin dopo il 1928: quest'ultima gli apparve una rottura del sistema di equilibri sociali derivante dalle alleanze di classe. Ma la Nep era per Gramsci un "sistema di equilibri" ancor piu' articolato, in quanto di natura anche politico-istituzionale: in questo contesto deve essere letta la sua insistenza sul carattere vitale della dialettica di partito nelle note del carcere. Di qui, tra l'altro, la sua critica trasparente della liquidazione dell'opposizione di sinistra in Urss, che egli svolse nell'ambito del concetto di "parlamentarismo nero". La dissoluzione di questo "sistema di equilibri" sembro' portare Gramsci ad interrogarsi sulle prospettive autentiche di un superamento della fase "economico-corporativa" in Urss e sui pericoli insiti nel debole sviluppo delle sovrastrutture. In questo contesto egli sviluppo' la sua critica della "statolatria", quando ormai le tendenze della Rivoluzione dall'alto erano pienamente in atto, nell'aprile 1932. In secondo luogo, il nesso esistente nei Quaderni tra "guerra di posizione" e "rivoluzione passiva" deve essere applicato anche all'Urss. La nozione di "guerra di posizione" non riguardava soltanto la strategia del movimento comunista, ma anche la "costruzione del socialismo" in Urss, che Gramsci vedeva come un'altra faccia del medesimo problema. Di conseguenza, Gramsci si interrogava sull'idoneita' alla "guerra di posizione" delle scelte compiute dal gruppo dirigente sovietico alla fine degli anni Venti. D'altro lato, la Grande trasformazione sovietica e il suo carattere di mutamento dall'alto si inserivano necessariamente nel contesto della "rivoluzione passiva" che, a suo giudizio, caratterizzava l'epoca postbellica. E' difficile dubitare del fatto che nei Quaderni fosse operante un nesso interpretativo sul regime sovietico come regime autoritario di massa. La sua distinzione tra totalitarismo "regressivo" e "progressivo" rivelava un lampante riferimento, rispettivamente, al regime fascista e al regime sovietico. Ma dal 1933 in avanti, Gramsci condusse una riflessione assai piu' sulle analogie che non sulle differenze tra i regimi totalitari. Non si puo' non vedere un simile approccio operante nelle note sull'interazione partito-Stato, sul rapporto politica-organizzazione e sulle funzioni di polizia dei regimi autoritari di massa. In altre parole, la riflessione presente nei Quaderni sull'autoritarismo sovietico si spinse molto oltre la questione industrialismo-bonapartismo. In terzo luogo, l'unico passaggio dei Quaderni dove compare un esplicito riferimento a Stalin, risalente al febbraio 1933, ci si presenta sotto un'angolatura diversa da quella, solitamente rilevata, dell'adesione di Gramsci al "socialismo in un solo paese". Senza dubbio egli mantenne un'adesione di principio all'idea: ma non puo' sfuggire il fatto che la sua polemica antitrockista era ormai un espediente per criticare in realta' il corso politico di Stalin e, verosimilmente, anche la linea settaria del Comintern. In altre parole, Gramsci delineo' una critica del nesso nazionale-internazionale nella politica dell'Urss, nelle forme assunte dopo il 1928. Nei Quaderni il nesso guerra di posizione-rivoluzione passiva conduce a una visione piu' ampia della dimensione statuale della Rivoluzione russa, e alla sua collocazione nei processi internazionali del dopoguerra. L'interrogativo generale di Gramsci era se il dopoguerra del XX secolo potesse seguire uno svolgimento analogo a quello del dopoguerra del XIX, nel senso di un parallelo tra l'espansione della rivoluzione borghese e quella della rivoluzione socialista. Questo interrogativo investiva direttamente il problema delle possibilita' e delle capacita' egemoniche dell'Urss: sulle quali la visione di Gramsci si fece nel 1932-'34 chiaramente pessimistica e negativa. Il senso ultimo delle sue linee di domanda e di ragionamento sembra essere che la Russia postrivoluzionaria non fosse in grado di svolgere quel ruolo di Stato egemone che, a suo giudizio, era stato assolto nel secolo precedente dalla Francia postrivoluzionaria. Il segno della "rivoluzione passiva" dominava anche l'evoluzione dell'Urss: questo appare il tormentato approdo del pensiero di Gramsci sull'esperienza sovietica, e anche il carattere originale della sua visione, a confronto di altre visioni critiche coeve, nate all'interno del comunismo e del socialismo internazionale. Non per questo si deve smarrire il legame del pensiero di Gramsci con la tradizione bolscevica. Dopo la morte di Lenin, Gramsci non stabili' un rapporto univoco con alcuna delle correnti nelle quali si divise il bolscevismo, ma neppure si distacco' mai completamente dalle categorie di pensiero bolsceviche. La sua visione della Nep come sistema di equilibri, sviluppata nei Quaderni, presentava un'evidente inclinazione "buchariniana", oltre che un'ovvia derivazione dagli ultimi scritti di Lenin, e si nutriva di una concezione della dialettica interna di partito di chiara matrice trockista. Negli anni del carcere, Gramsci si mostro' consapevole del nucleo bonapartista operante nel pensiero di Trockij, ma vide anche in Bucharin lo specchio di un'ideologia ufficiale attardata nella fase "economico-corporativa". Non meno multiforme appare il suo rapporto con le concezioni internazionali del bolscevismo. Gramsci rivelo' una sintonia evidente con Bucharin attorno all'idea che fosse davvero possibile conciliare il processo di "State building" sovietico con un ruolo attivo del comunismo internazionale, entro un orizzonte disegnato sulla centralita' dell'Urss, ma ancorato alla tradizione rivoluzionaria. La sua interpretazione del "socialismo in un solo paese" non limitava pero' il ruolo del movimento comunista alla difesa dell'Urss e assumeva quale criterio essenziale di valutazione la capacita' di esercitare un'egemonia ideale. L'orientamento isolazionistico dell'Urss e settario del Comintern sotto la direzione di Stalin dovettero percio' apparire a Gramsci in carcere l'inveramento di un pericolo gia' individuato. Proprio su questa problematica, tuttavia, Gramsci si doveva allontanare dai riferimenti originari, nel tentativo di darsi conto dei caratteri di fondo dell'evoluzione dell'Urss sotto Stalin. Dopo il 1929 il suo pensiero non segui' ne' il percorso di Trockij, incardinato sulla categoria della "degenerazione", ne' quello di Bucharin, fino all'ultimo incline a presentare la dittatura di Stalin come una risposta necessaria al contesto internazionale. La critica di Gramsci contro la svolta dettata da Stalin alla fine degli anni Venti presentava invece la centralita' del nesso tra interno ed esterno: attraverso il prisma di tale interazione vide nella Russia postleniniana l'assenza dei caratteri indispensabili all'esercizio dell'egemonia. Non e' fuori luogo ipotizzare che l'elaborazione stessa della categoria di "rivoluzione passiva" nei Quaderni, applicata all'intero dopoguerra, sia stata influenzata in Gramsci anche dalla sua valutazione sempre piu' disincantata del ruolo dell'Urss. Cosi' la drammatica questione posta nel 1926 non trovava la sua composizione, ma generava soltanto una serie di angosciosi e sconfortati interrogativi, orientati verso una risposta irrimediabilmente pessimistica. In un suo scritto sull'"utopia bolscevica", Edward H. Carr indico' nelle note di Gramsci sulla distinzione tra governanti e governati una "malinconica riflessione" assai lontana sia dallo slancio ideale dei bolscevichi subito dopo la rivoluzione, sia dalla coscienza sovietica dell'epoca successiva. Forse il celebre storico britannico coglieva nel segno, piu' di quanto egli stesso non fosse consapevole, circa la distanza psicologica e intellettuale che ormai separava Gramsci in carcere dal mondo della sua formazione. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 284 del 13 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 699
- Next by Date: Minime. 700
- Previous by thread: Minime. 699
- Next by thread: Minime. 700
- Indice: