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Nonviolenza. Femminile plurale. 229
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 229
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 12 Jan 2009 09:15:48 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 229 del 12 gennaio 2009 In questo numero: 1. Marinella Correggia: Due libri contro la guerra 2. Marino Parodi intervista suor Emmanuelle (2008) 3. Suor Emmanuelle 4. Alcuni estratti da "Il prezzo del velo" di Giuliana Sgrena 1. LIBRI. MARINELLA CORREGGIA: DUE LIBRI CONTRO LA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2009 col titolo "Risucchiare via la guerra"] La pace e' quanto di piu' "terra terra" possa esserci. Presupposto di ogni alternativa sociale ed ecologica. Dunque oggi dedichiamo questa rubrica a due libri classici fatti per educare alla voglia di pace e al disgusto per la guerra, che distrugge corpi e natura. Due libri da diffondere, anche quando non si sentira' piu' parlare dei bambini amputati nell'ospedale Al Shifa. Forse la piu' potente denuncia della guerra che sia stata mai pubblicata e' del 1924. Ernest Friedrich, pacifista anarchico tedesco, in Guerra alla guerra (da qualche anno anche in Italia) mise insieme una collezione di orrende fotografie, terapia d'urto, crudemente prese dagli archivi militari, cimiteriali e ospedalieri riferiti alla Prima guerra mondiale. Una foto per pagina, ognuna con lapidarie ma necessarie righe di commento, in varie lingue. Il vero volto della carneficina bellica. I massacri nelle trincee. Le facce cancellate di sopravvissuti orrendamente sfigurati, sottoposti a inutili e dolorosissime operazioni (anche a Gaza le schegge di missili hanno colpito volti e arti). La vita e la morte sui campi di battaglia. Le esecuzioni dei disertori. Lo sventramento della natura e dei viventi. L'obiettivo di Ernst era gigantesco ed esplicito: ispirare nelle popolazioni la rivolta e la diserzione contro qualunque futura guerra. Il suo libro (citato con ammirazione a mo' di esempio da Susan Sontag in Davanti al dolore degli altri) fece un grande scalpore e fu pubblicato in vari paesi. Ma non raggiunse l'obiettivo (perche'?): la guerra del '14-'18 non fu affatto l'ultima delle guerre. Da Mattatoio n. 5 dello scrittore Kurt Vonnegut possiamo leggere e diffondere questo commovente sogno del protagonista, il sogno dei danni e degli strumenti di guerra risucchiati d'incanto. "Vista a rovescio da Billy, la storia era questa: gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all'indietro da un campo di aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all'indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all'indietro, per unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all'indietro, sorvolo' una citta' tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici di acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, la' sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi di acciaio. Li usavano per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, pero', i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutti e tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri di acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, devo c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, e separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto le donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. La' dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero piu' fare male a nessuno". 2. TESTIMONIANZE. MARINO PARODI INTERVISTA SUOR EMMANUELLE (2008) [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) rirpendiamo la seguente intervista apparsa su "Club3", anno XX, n. 11, novembre 2008 col titolo "Una vita accanto ai piu' poveri"] L'hanno ribattezzata la "Madre Teresa del Cairo", figura alla quale viene sovente accostata. In effetti, suor Emmanuelle e' per tanti Paesi in via di sviluppo, a cominciare dall'Egitto, cio' che Madre Teresa e' stata per l'India. Francese di origine, anche se la madre e' belga, suor Emmanuelle Cinquin e' una straordinaria figura di religiosa e di donna. Icona francese della solidarieta' e del sostegno ai poveri, si e' spenta, il 20 ottobre, nella casa di riposo in cui viveva. Il 16 novembre avrebbe compiuto cento anni. Figura di primissimo piano nel campo della spiritualita' mondiale, e' stata un'affascinante "grande vecchia" lucida fino all'ultimo respiro. In mezzo alla tragedia delle bidonville africane, suor Emmanuelle ha fondato scuole, ricoveri, ospedali e centri di formazione professionale. Ha mobilitato cattolici, ortodossi, musulmani, nonche' molti uomini di buona volonta', formando eserciti di volontari e creando tante associazioni allo scopo. Come se tutto cio' non bastasse, l'infaticabile religiosa e' stata pure un'apprezzata giornalista, nonche' una gettonata conferenziera pronta a saltare su un aereo per testimoniare il suo impegno e la sua fede in ogni luogo. Abbiamo incontrato suor Emmanuelle nel Sud della Francia nella casa di riposo in cui viveva dal 1993. Questa e' la sua ultima intervista rilasciata a "Club3". * - Marino Parodi: Dove ha trovato la forza per il suo impegno a favore del prossimo? - suor Emmanuelle: Le do la stessa risposta che diedi a un giornalista, il quale, intervistandomi, mi chiedeva come potessi sopportare l'inferno delle bidonville, restando sempre cosi' serena, addirittura felice. Ebbene, l'amore e' piu' forte della morte, piu' forte del denaro, della vendetta e del male: alla base della mia missione vi e' sempre stata questa consapevolezza. Non a caso, nelle mie bidonville ho sempre incontrato piu' sorrisi e gioia di quanti ne abbia trovati ovunque in Europa e in America. Ho viaggiato a lungo in tutti e cinque i continenti: nei Paesi devastati dalla guerra, dalla fame, dalla violenza, dalla prostituzione. Ebbene, dovunque ho incontrato donne e uomini capaci di lavorare per la pace e l'amore, malgrado tutto. Dovunque imperversasse la violenza, ho assistito alla fioritura della vita. Persino negli angoli piu' bui non mancavano mai oasi di Paradiso e cio' proprio in virtu' dell'amore. * - Marino Parodi: Qualcosa mi dice comunque che lei ha pure un segreto da svelarci al riguardo... - suor Emmanuelle: Si', qualunque sia l'inferno nel quale siamo precipitati, e' sempre possibile uscirne. Non solo: e' persino possibile creare un paradiso sulla terra, benche', naturalmente, non sara' mai perfetto come quello che ci attende in Cielo. Basta smettere di preoccuparsi per se stessi per dedicarsi agli altri, sorridendo e donando loro la gioia. Ecco che la nostra vita diventera' piu' interessante e felice. Io corrispondo tuttora con donne e uomini di tutto il mondo. Molti mi fanno sapere quanto soffrono, sentendosi imprigionati in un'esistenza che a loro pare priva di significato. Al che io rispondo con questo messaggio: davvero non avete ancora compreso che la vostra felicita' dipende da voi? Non da vostra moglie, ne' da vostro marito, ne' dalla bellezza o dalle dimensioni della vostra casa, ne' dalla vostra carriera, ne' dal vostro stipendio. Dipende soltanto da noi, dal nostro atteggiamento nei confronti della vita, dalla nostra capacita' di ascoltare il prossimo, in una parola sola: dal nostro cuore. Sa che le dico, sulla base della mia esperienza di tanti anni di condivisione fraterna della vita di tanti poveri? Non ho mai incontrato donne e uomini piu' felici dei miei amici delle bidonville. Prendiamo, ad esempio, l'emancipazione femminile che abbiamo conosciuto in Occidente. Sicuramente un grande passo avanti. Tuttavia, se guardiamo alle donne del nostro Occidente moderno o postmoderno, constatiamo che esse godono si' di margini di liberta' per lo piu' sconosciuti a tante donne del globo, sconosciuti del resto pure alle loro madri, nello stesso Occidente, cio' nonostante nella stragrande maggioranza dei casi non sembrano ne' felici ne' soddisfatte. * - Marino Parodi: Mentre nel Terzo mondo la situazione e' diversa? - suor Emmanuelle: In linea generale, direi proprio di si'. Non dimentichero' mai, al riguardo, un'esperienza straordinaria che vissi diversi anni fa in Senegal. Mi trovavo in una capanna coi muri di cartone, in compagnia di un gruppo di donne le quali mi raccontavano in tutta tranquillita' che, non disponendo di un lavoro, si arrabattavano raccogliendo un po' di frutta e di verdura da vendere al mercato. Eppure, durante tutta la durata del mio soggiorno, quelle donne non cessarono un solo istante di sorridere e di divertirsi. Davvero mi sono sembrate le donne piu' felici del mondo. Tutto cio' e' dovuto alla fede sincera degli africani in Dio che e' amore, un Padre a cui la felicita' dei suoi figli sta veramente a cuore. * - Marino Parodi: Suor Emmanuelle, non di rado lei e' stata al centro di iniziative clamorose, vero? - suor Emmanuelle: Lei si riferisce, immagino, alla lettera aperta da me indirizzata una quindicina di anni orsono al nostro beneamato Giovanni Paolo II... * - Marino Parodi: Si', proprio a quella. Vogliamo brevemente spiegare di che cosa si tratto'? - suor Emmanuelle: Si trattava di una lettera in cui invitavo l'allora Santo Padre ad autorizzare e financo a incoraggiare la distribuzione di strumenti contraccettivi in alcune regioni del globo particolarmente segnate da una certa ben nota malattia. * - Marino Parodi: Questa non e' stata certo l'unica sua iniziativa eclatante. Vogliamo ricordarne un'altra, risalente piu' o meno allo stesso periodo, particolarmente attuale in tempi come questi, in cui tanto si parla di Islam? - suor Emmanuelle: Avevo organizzato una colletta per permettere a una piccola comunita' musulmana di edificare un minareto. Sono contenta di averlo fatto e lo rifarei. Infatti, la preghiera e' un diritto che va assolutamente riconosciuto a tutti. Conoscendo il mondo musulmano da ormai tantissimi anni, sono in grado di garantire che, al di la' di ogni apparenza e delle paure di tanti occidentali, i fondamentalisti musulmani non sono in realta' che una piccola minoranza. Invece i musulmani, nella stragrande maggioranza, sono assolutamente aperti al dialogo e all'amore nei confronti delle altre religioni, ne' piu' ne' meno di quanto d'altra parte siano i cristiani autentici nei loro confronti. * - Marino Parodi: L'ecumenismo e' sempre stato, non a caso, un suo cavallo di battaglia... - suor Emmanuelle: Sicuramente, a livello non solo teorico ma possibilmente anche pratico e questo gia' in tempi, precedentemente al Concilio, in cui non era certo ancora di moda. Ho sempre ritenuto ogni religione ricca di luce e, per tornare ancora una volta all'Islam, non sono affatto d'accordo con coloro che pretendono di "convertire" i musulmani. Illudersi in tal senso non significa rendere un buon servizio ne' alla fede cristiana ne' all'Islam. Sarebbe come pretendere di sradicare un albero dalla sua terra. * - Marino Parodi: Proprio grazie a questo amore senza frontiere per la famiglia umana lei e' riuscita a scuotere tante coscienze in Occidente, realizzando imprese che nessuno sino a quel punto era riuscito ad attuare... - suor Emmanuelle: Sia chiaro che io non mi attribuisco alcun merito, il quale caso mai va a nostro Signore nonche' agli uomini (e soprattutto alle donne) di buona volonta'. Sono partita da una semplice constatazione di fatto, per scuotere le coscienze dell'opulento Occidente: l'egoismo dei ricchi e' in fondo affar loro, ma come e' possibile dirsi cristiani e mettersi a posto la coscienza andando a messa, davanti ai problemi del Terzo mondo? E' inaccettabile. Leggiamo il Vangelo di Matteo: avevo fame e mi avete sfamato... Si tratta di decidersi ad amare il prossimo: soltanto cosi' si realizza il cristianesimo. Con queste premesse, siamo allora riusciti a motivare tanti giovani di vari Paesi occidentali a condividere per qualche tempo la vita dei diseredati del Terzo mondo. * - Marino Parodi: Varie associazioni da lei fondate offrono da decenni a chiunque di vivere la straordinaria esperienza di una "vacanza-volontariato" in diversi Paesi del Terzo mondo. Lei e' da sempre una grande amica dei giovani... - suor Emmanuelle: Certo, io amo moltissimo i giovani e le diro' di piu': la stragrande maggioranza di loro mi sembra assai piu' aperta e solidale, nei confronti della sofferenza e in particolare dei poveri, di quanto lo fosse, in linea generale, la mia generazione. Oggi i giovani partono, zaino in spalla. Non hanno paura di nulla. Insomma sono meravigliosi i nostri giovani! Le ragazze, poi, se la sanno sbrigare ancor meglio dei ragazzi! Dobbiamo veramente essere grati al Signore per il fatto di vivere in un'epoca in cui i giovani hanno compreso un punto essenziale: se vuoi vivere un'esistenza piena e autentica, non puoi far a meno di uscire da casa, varcare le frontiere. * - Marino Parodi: E siamo giunti pure a un importante consiglio di suor Emmanuelle per mantenersi giovani... - suor Emmanuelle: La maggior parte della gente vive ancora rinchiusa entro i limiti della propria testa, per cosi' dire, ossia frequentano soltanto la propria famiglia e un ristretto gruppo di amici, leggendo un solo giornale, pochi libri, non andando al di la' del proprio lavoro. Col risultato, appunto, di finire inscatolati in un piccolo mondo. Invece, i giovani d'oggi giungono alla nostra missione con una conoscenza dell'essere umano assai piu' profonda di quella di cui disponevo alla loro eta'. Bene, mi permetto di fare una proposta a tutti i giovani, termine che certo non e' da intendersi soltanto in senso anagrafico: andate a vivere per qualche mese in un villaggio del Terzo mondo, oppure condividete lo stesso periodo di tempo con una famiglia completamente priva di mezzi! Vi renderete ben presto conto di aver ricevuto assai piu' di quanto abbiate dato. 3. MEMORIA. SUOR EMMANUELLE [Dal sito www.santiebeati.it riprendiamo la seguente notizia del 21 ottobre 2008] Suor Emmanuelle del Cairo (Madeleine Cinquin), Bruxelles, Belgio, 16 novembre 1908 - Callian, Francia, 20 ottobre 2008. Nata a Bruxelles ma francese d'adozione, avrebbe compiuto cent'anni il 16 novembre prossimo. Conformemente alla sua volonta', le esequie avranno luogo nel piu' stretto riserbo. Una Messa di suffragio verra' celebrata nei prossimi giorni a Parigi. "L'Osservatore Romano" ricorda che nel 1971, quanto aveva 63 anni, suor Emmanuelle scelse di condividere la propria vita con quella degli straccivendoli del Cairo, e per tale motivo venne soprannominata la "petite soeur des chiffonniers". "Parlava in modo schietto, senza giri di parole, ed era questa una delle caratteristiche che la faceva amare da tutti", sottolinea il quotidiano vaticano. "Nella bidonville di Ezbet el-Nakhl, al Cairo, diede tutta se stessa per far costruire scuole, asili e ricoveri. L'associazione che porta il suo nome ("Asmae - Association Soeur Emmanuelle"), da lei fondata nel 1980, continua ad aiutare migliaia di bambini poveri in tutto il mondoî. La religiosa lascio' l'Egitto nel 1993, a 85 anni, e torno' in Francia, stabilendosi nella comunita' di Notre-Dame de Sion e dedicando il suo tempo alla preghiera e alla meditazione, senza abbandonare il sostegno a senzatetto e immigrati irregolari. Laureata alla Sorbona, suor Emmanuelle insegno' lettere e filosofia a Istanbul, Tunisi, Il Cairo e Alessandria. Era anche scrittrice: il suo ultimo libro, J'ai cent ans et je voudrais vous dire, e' stato pubblicato due mesi fa. Il 31 gennaio scorso il Presidente francese Nicolas Sarkozy l'aveva elevata al rango di Grande ufficiale della Legion d'onore. Secondo un recente sondaggio, ricorda "L'Osservatore Romano", era la donna piu' popolare e amata di Francia. "Icona della solidarieta' e del sostegno ai poveri e agli emarginati": cosi' il quotidiano vaticano ha ricordato questo lunedi' suor Emmanuelle del Cairo, scomparsa all'eta' di 99 anni. Suor Emmanuelle, al secolo Madeleine Cinquin, si e' spenta nella notte fra domenica e lunedi' nella casa di riposo di Callian, nel Var, dove risiedeva. Fonte: www.zenit.org 4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL PREZZO DEL VELO" DI GIULIANA SGRENA [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Giuliana Sgrena, Il prezzo del velo. La guerra dell'islam contro le donne, Feltrinelli, Milano 2008] Indice del volume Premessa; 1. Il prezzo del velo. Per un fazzoletto; La guerra delle moschee; Clericalismo e patriarcato; La quarta etnia; 2. Le malvelate. Non solo taleban; Sotto il burqa; Il modello saudita; L'onore del maschio; Il niqab europeo; 3. Sesso in citta'. Spose bambine; Donne di Algeri; Quale verginita'?; Le ragazze di Riyadh; Sessuofobia; Il machismo delle banlieue; 4. Tombe senza nome. Delitti d'onore; Sacrificio inutile; Hina e le altre; Suicidio d'onore; Case rifugio; La mattanza di Hassi Messaoud; Dalla Palestina a Kabul; 5. Matrimonio a piacere. Bottino di guerra; Poligamia all'italiana; Il codice dell'infamia; Questione di casta; Persone dimezzate; Ostaggi dell'islam; 6. Tutte pazze per Khaled. Pericolo al volante; 7. Le vedove nere. Matrimonio per esistere o morire; Kamikaze per salvare l'onore; 8. La regina di Saba. Le prime ministre; Uguaglianza o discriminazione?; Meglio gli immigrati delle donne; Precarieta' algerina; 9. Con il vento tra i capelli. Visi pallidi; Muslim Style; 10. La schiavitu' del velo. L'ideologia del velo; L'hijab e il Corano; Aisha e la Battaglia dei cammelli; La segregazione; Shahrazad; Le mujahidat, le combattenti; L'egiziana; Il femminismo arabo; Le compagne di Qassam; Verso la secolarizzazione? * Da pagina 11 Il prezzo del velo Da "tagliatori di teste" a difensori dei diritti umani. Non delle donne, naturalmente. Siamo a Sarajevo, Europa, un tempo capitale multiculturale e multietnica dei Balcani, diventata durante la guerra dei primi anni Novanta terreno di conquista per i mujahidin, i combattenti di credo wahabita seguaci della rigida interpretazione saudita dell'islam. La guerra e' finita, il futuro resta incerto, ma gli ex combattenti non considerano concluso il loro primo compito: reislamizzare la Bosnia, porta d'accesso all'Occidente. Non vanno piu' in giro a mostrare le teste mozzate dei nemici, ma invocano il rispetto dei diritti umani, anche perche' dopo 1'11 settembre per gli Stati Uniti - che li avevano sponsorizzati in precedenza - sono diventati "nemici combattenti", possibili "cellule dormienti" di al Qaeda. Sei tra loro, algerini, sono gia' finiti a Guantanamo. A Sarajevo protestano contro la decisione del governo bosniaco - presa sotto la pressione degli Usa - di espellere circa quattrocento stranieri provenienti da paesi musulmani, che avevano avuto la cittadinanza quando per ottenerla bastava essere islamico e imbracciare un fucile a fianco dei fratelli bosniaci. Alcuni sono gia' fuggiti nei paesi vicini per continuare il loro jihad, altri non hanno alcuna intenzione di andarsene. Perche' dovrebbero abbandonare le roccaforti di Zenica, Travnik e soprattutto Bocinja dove hanno imposto il loro modello di vita "rigoroso" vietando l'alcol, il fumo e la musica, e introducendo l'obbligo delle preghiere, della barba per gli uomini e del velo per le donne? Se, durante la ronda per il paese, i "guardiani della virtu'" vedevano una donna con una gonna di lunghezza non regolamentare glielo facevano notare a suon di sciabolate. Se non portava il velo la rapavano a zero. E sparavano addosso a chi osava fare il bagno in costume. Ma dopo l'attentato alle Torri il clima e' cambiato. "Errori dei fratelli" li definisce ora Abu Hamza, siriano, gia' capo della comunita' di Bocinja, seicento abitanti tra cui un centinaio di stranieri, che in pubblico gioca il ruolo del "moderato" in contrasto con la sua immagine inquietante: barba lunga e folta, camicione largo e nero a coprire il corpo tozzo. Adesso invoca il rispetto dei diritti umani, e per farlo porta in piazza, davanti al Parlamento, le donne "convertite" al wahabismo, tutte completamente coperte di veli neri, come mai si era visto in Bosnia. Loro, le donne, non si fanno vedere in volto ma fanno sentire la loro voce: "Che fine faremo se i nostri mariti saranno deportati, e che fine faranno i nostri figli?". I rischi esistono, soprattutto per Abu Hamza che, oltre alla revoca della cittadinanza, e' stato anche iscritto dalle autorita' bosniache nella lista delle quindici persone ritenute "piu' pericolose per l'ordine pubblico", proprio per la sua capacita' di mobilitare tutti gli estremisti bosniaci. * Per un fazzoletto Il problema della sopravvivenza, ovviamente, non riguarda solo le mogli degli ex combattenti. Le organizzazioni "umanitarie" provenienti dai paesi islamici approfittano della poverta' per fare proselitismo: se porti l'hijab, il velo islamico, ti danno quattrocento marchi bosniaci al mese (circa duecento euro) e se in famiglia vi sono piu' donne si possono racimolare cifre ragguardevoli. Una dinamica che mi ricorda da vicino la Somalia di qualche anno fa. Allora il "mensile" per il velo era di cento dollari. Tutto dipende dal costo della vita! Le donne somale non erano abituate a un velo cosi' rigoroso, ma i cento dollari servivano e allora si mettevano il chador, il velo in stile iraniano, ma di colori sgargiantissimi: fucsia, verde mela, blu elettrico. Certo, questo chador non aveva nulla a che vedere con lo scuro rigore wahabita, ma era diverso anche dal tradizionale velo somalo, coordinato con l'abito e portato con grande disinvoltura ed eleganza senza pensare alle tante ciocche che restavano fuori. Anche per le bosniache il velo e' spesso una necessita'. Nuzeiba, quarantacinque anni, di Tuzla, non ha scelto di portarlo di sua volonta': "Mio marito e' stato ucciso a Srebrenica nel 1995 e sono rimasta sola con quattro bambini, senza soldi e senza lavoro, che cosa potevo fare? Con il denaro che ricevo [da un'organizzazione "umanitaria"] posso vivere decentemente, ma devo rispettare le leggi islamiche. Le mie figlie frequentano gratuitamente una scuola islamica e i miei figli studieranno gratis a Sarajevo o in un paese islamico". Nuzeiba e i suoi figli sono sopravvissuti al massacro di Srebrenica del luglio 1995, quando i serbi uccisero a freddo oltre settemila musulmani. Altre donne invece, sostengono che il velo e' stata una loro scelta. E' il caso di Fahira Fejzic Cengic, della facolta' di Scienze politiche di Sarajevo: "Ho deciso di portarlo, assolutamente consapevole di tutte le conseguenze positive e negative," ha scritto su un giornale locale. Ma c'e' anche chi si copre per sentirsi piu' sicura. Nei paesi in guerra molte donne cercano una protezione e la propaganda fondamentalista puo' avere gioco facile su persone indifese. La popolazione in Bosnia e' ancora traumatizzata dalle devastazioni provocate dallo scontro interetnico. La ricostruzione non ha rimarginato le ferite. I fori dei colpi di mortaio ancora li', visibili sulle facciate dei palazzi, ne sono una testimonianza. Sofferenze per le perdite subite, per la paura e la poverta': la diffusione del velo le rappresenta tutte. * Da pagina 37 L'onore del maschio Il velo dunque non e' solo un semplice pezzo di stoffa. Mentre le donne dei paesi musulmani sono alle prese con una reislamizzazione che introduce anche un nuovo modo di portare il velo, l'hijab ha fatto irruzione anche in Occidente cogliendo impreparati i governi di paesi di nuova e vecchia immigrazione. Le posizioni sono spesse volte contraddittorie, indipendentemente dall'appartenenza politica. La decisione piu' drastica alla fine e' stata presa dalla Francia che, nel centenario della solenne Dichiarazione sulla laicita' dello stato, ha varato una legge che vieta ogni simbolo religioso nelle scuole (quindi non solo il velo, anche se naturalmente l'attenzione generale si e' focalizzata su quest'ultimo piu' che sul crocifisso o sul turbante dei sikh). La legge ha innescato un dibattito dai toni molto aspri. Anche perche' al velo, dentro e fuori i confini francesi, viene attribuito un forte valore identitario. Ma perche' solo le giovani di oggi avrebbero bisogno del velo identitario, mentre le loro madri non hanno conosciuto questo tipo di necessita'? Sono le nuove generazioni, quelle nate in Europa, a rivendicarlo. E spesso non sono nemmeno le ragazze ma gli uomini delle rispettive comunita' a imporlo: la loro identita' (quella maschile) viene costruita sul corpo delle donne. Cosi' come il loro onore si basa sulla verginita'! O per dirla con l'iraniana Chandortt Djavann "il pudore e la vergogna della donna sono i garanti e l'espressione dell'onore e della virilita' dell'uomo musulmano". Al di la' della crisi dei valori, delle difficolta' di integrazione e delle ideologie che sostengono l'atteggiamento dei ragazzi delle banlieue (di cui trattero' diffusamente piu' avanti), la domanda che ci si deve porre e' se una legge del genere poteva essere utile o meno alle ragazze che subiscono delle imposizioni. La legge avrebbe anche potuto allontanarle da scuola, aumentandone cosi' l'emarginazione. Era difficile valutare l'impatto di queste disposizioni, per questo avevo deciso di andare a Parigi per constatare la reazione alla legge quando questa fosse entrata in vigore, vale a dire alla riapertura delle scuole nel settembre 2005. In settembre non mi era stato possibile, ma quando finalmente ho potuto andare in Francia, in dicembre, il problema del velo nelle scuole, con mia grande sorpresa, gia' non esisteva piu'. Secondo il ministero dell'Educazione francese solo quarantasette studentesse in tutto il paese si erano ritirate dalla scuola pubblica, tra cui alcune per frequentare scuole cattoliche, altre per seguire corsi per corrispondenza e le rimanenti, probabilmente, avevano abbandonato del tutto gli studi. Un prezzo e' stato pagato, e' vero, ma tra quelle che ora a scuola possono liberarsi del velo e' cresciuta la fiducia in se stesse e la spinta ad affrontare anche gli islamisti che quel velo vogliono imporre. Occorre ricordare che la legge era riuscita a vincere molte perplessita' anche perche' durante il rapimento dei due giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, una delle richieste dell'Esercito islamico dell'Iraq per la loro liberazione era stata il ritiro della legge sul velo. Questa richiesta alla fine si e' rivelata un boomerang per gli islamisti, perche' tutti i rappresentanti delle comunita' islamiche in Francia si sono schierati contro la richiesta dei rapitori. Al di la' di questa congiuntura, forse a volte le forzature servono. * Da pagina 56 Il machismo delle banlieue Il tabu' della verginita' insegue le donne anche nei paesi di emigrazione. E viene tramandato anche alle nuove generazioni nate in Europa. Dopo le lotte femministe degli anni Ottanta le immigrate delle banlieue francesi avevano conquistato maggiore liberta', ma gli anni Novanta hanno segnato un penoso ritorno al passato. Fino ad allora gli immigrati, la maggior parte di origine algerina, avevano sperato di trovare un proprio ruolo all'interno della societa' francese: i genitori cercavano di garantire ai figli un'istruzione perche' potessero avere un futuro migliore e le speranze venivano condivise da tutta la comunita'. Ma alla fine degli anni Ottanta la crisi del mondo del lavoro e la conseguente disoccupazione hanno provocato un forte degrado dei quartieri, mentre il venir meno di valori di riferimento di sinistra e progressisti ha generato un sensibile arretramento culturale. E' in questa situazione che l'islamismo radicale - proprio mentre si stava imponendo il Fronte islamico di salvezza (Fis) in Algeria - ha costituito per i giovani delle periferie un'alternativa alla ghettizzazione e al senso di ingiustizia. I Fratelli musulmani, improvvisando moschee in locali comuni - cantine, garage ecc. - hanno cominciato a fare proseliti e a diffondere la loro interpretazione fondamentalista e machista del Corano, incentrata sull'intolleranza. All'inizio le famiglie degli immigrati, che temevano una deriva delinquenziale dei figli, hanno incoraggiato la loro frequentazione delle moschee. Anche le autorita', per tenere sotto controllo le banlieue, hanno dato a questi nuovi imam il ruolo di interlocutori, dando loro quindi maggiore autorita'. "L'islam era diventato una nuova morale regolatrice che evitava a questi giovani disoccupati di cadere nella delinquenza. [...] I poteri locali, gli eletti delle amministrazioni territoriali e soprattutto i sindaci, di qualunque tendenza politica, li hanno riconosciuti come interlocutori privilegiati. Per i militanti della mia generazione che rifiutavano il fatto che un 'religioso' si occupasse di questioni politiche e' stato terribile", spiega Fadela Amara, militante femminista, nel suo libro Ni putes, ni soumises. Quando si e' cominciato a manifestare l'effetto nefasto di queste pratiche integraliste ormai era troppo tardi. Le prime a pagarne le spese sono state le famiglie stesse: i genitori, a Parigi come ad Algeri, venivano messi a tacere con l'accusa di essere ignoranti, di non conoscere l'islam, il "nuovo islam" nella versione wahabita. In nome della reislamizzazione i giovani imponevano nuove regole di comportamento soprattutto alle donne, prima a quelle della famiglia e poi a quelle della comunita' e del quartiere. Chi non si adattava alla nuova situazione veniva accusata di essere "miscredente" oppure una "poco di buono". Le banlieue la sera sono deserte, a parte qualche giovane che controlla la situazione. Ero stata a La Courneuve, uno dei quartieri piu' caldi della periferia parigina, nel dicembre 2005, nei giorni in cui si celebrava il centenario della Dichiarazione sulla laicita'. Al dibattito organizzato da Mimouna Hadjam, famosa animatrice del centro culturale Africa, uno dei piu' impegnati nelle questioni degli immigrati, non c'era nessuna donna del quartiere. Avevano paura. "La maggioranza delle donne, che non lotta, non ha mai provato il potere della liberta', non crede a una liberazione. Crede che a guidare il mondo sia un oscuro destino. Allora si rifugia in un contro-universo: la fede, la religione e la maternita'", scriveva nel 2001 la Hadjam. La situazione non sembra cambiata. Anzi. "La crescita della violenza, la decomposizione sociale, la ghettizzazione, il rifugio nella comunita', la discriminazione etnica e sessista, il ritorno in forza delle tradizioni, il peso del mito della verginita'..." sono ben descritti nel Livre blanc des femmes des quartiers della sociologa Helene Orain. Su queste tematiche si concentra anche il lavoro di "Ni putes, ni soumises", che da slogan si e' trasformato in manifesto e poi in petizione e libro nel 2002. La sessualita' nelle banlieue e' sempre stata un tabu', ma ora l'imperativo della verginita' pesa sulle ragazze piu' di vent'anni fa: sanno che se la perdono la pagheranno cara. Peraltro, con il controllo esercitato dai maschi sul quartiere tutto quello che succede viene reso noto immediatamente. Quindi tutti i rapporti devono avvenire in un modo assolutamente clandestino, meglio se fuori dal quartiere, da dove spesso le ragazze escono con il velo per non essere importunate, ma lo tolgono non appena valicano i limiti territoriali. A volte non basta nemmeno l'hijab per evitare la violenza e gli stupri di gruppo, che pero' non sono certo una prerogativa delle sole banlieue e neppure degli immigrati. Per proteggersi, le ragazze si sono costituite a loro volta in bande, come i ragazzi. I maschi considerano i sentimenti come segni di debolezza, considerano le ragazze alla stregua di oggetti e per dimostrare la propria superiorita' arrivano anche a cedere la fidanzata agli altri del gruppo. Le ragazze sperano nel matrimonio come via d'uscita, e per questo si sposano molto giovani. Il padre, per evitare sorprese, fa redigere un certificato di verginita'. "E nelle banlieue", e' ancora Fadela Amara a raccontare nel suo libro, "ci sono medici specializzati nella redazione di certificati di verginita'. [...] Molti lo fanno perche' sanno che solo certificati falsi possono salvare le ragazze da rappresaglie terribili". Come salvare allora la verginita' nonostante la pressione dei ragazzi che insistono per avere rapporti sessuali? Facendosi sodomizzare; non provando alcun piacere. Ma alla fine questa costrizione diventa insopportabile! "Lo scarto che c'e' tra la mia generazione e la loro mi sembra vertiginoso. Noi ci siamo battute per avere il diritto di vivere la nostra sessualita'. Anche se la materia era tabu', i rapporti che avevamo con i nostri compagni erano tacitamente accettati nelle famiglie", conclude Fadela Amara. * Da pagina 99 Tutte pazze per Khaled "Tutte le ragazze vanno pazze per Khaled", mi dicono sconsolate e preoccupate le amiche femministe sia ad Algeri sia a Tangeri. Non si tratta pero' del Khaled famoso cantante rai, che andava per la maggiore fino a qualche anno fa, ma di Amr Khaled, un religioso egiziano diventato il telepredicatore piu' in voga del momento, con milioni di seguaci. Attraverso le onde della tv satellitare saudita al Iqra diffonde il suo messaggio in tutto il Medio Oriente presentandosi con un'aria accattivante: abiti moderni, senza barba, racconta la vita di Maometto come se si trattasse di una telenovela piena di emozioni e di scene appassionanti e drammatiche. Dagli schermi illustra anche gli ultimi dettami della moda islamica, con foulard di rigore, naturalmente. I suoi detrattori lo accusano di fare il marketing dell'islam, anche perche' Amr Khaled non e' un teologo, una circostanza da lui mai negata. Tra i suoi teledipendenti, perlopiu' donne che seguono alla lettera le sue indicazioni, ci sarebbe anche la regina Rania di Giordania, che tuttavia non porta il velo. Amr Khaled non e' l'unico telepredicatore islamico, ma sicuramente e' il piu' temuto: era stato anche espulso dall'Egitto perche' ritenuto pericoloso dal governo e da li' si era rifugiato in Gran Bretagna, dove ha vissuto buona parte degli ultimi anni tanto da diventare uno degli interlocutori di Blair per la comunita' islamica. E' temuto dai governi arabi perche' c'e' chi crede che dietro i suoi proclami religiosi possano nascondere obiettivi politici. Del resto, non si conosce nemmeno la sua vera occupazione: sul suo biglietto da visita, a parte il nome, vi sono solo i recapiti telefonici di Beirut e Londra. Apparentemente moderato, e' estremamente rigido nelle prescrizioni relative al comportamento religioso dei suoi seguaci, con particolare accanimento, guarda caso, per il velo: "Non portare l'hijab e' il peccato piu' grave", sostiene. Rigido e spregiudicato allo stesso tempo, riceve finanziamenti sia dalla Nike sia dai wahabiti sauditi. Il suo atteggiamento "ammiccante" puo' essere comparato a quello di un altro leader islamista di origine egiziana, Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, Hassan al Banna, che vive pero' in Europa, a Ginevra. Pur non essendo un telepredicatore di professione, Ramadan ha un grande appeal mediatico e sfrutta le apparizioni in tv per far passare una visione dell'islam tutt'altro che moderata. Proporre, come ha fatto di recente, di sottoporre al giudizio degli ulema la necessita' o meno di mantenere in vigore la lapidazione e' semplicemente aberrante. E va ricordato che la morte a sassate viene riservata prevalentemente alle donne, giudicate colpevoli di adulterio. Per l'uomo invece la pena e' prevista solo se il fatto e' commesso dentro le mura domestiche! Eppure Ramadan affascina non solo gli uomini, ma anche le donne, vittime predestinate. L'affabulatore Tariq non mira tanto alla difesa della comunita' musulmana in Occidente, ma a islamizzare l'Europa, anche se naturalmente gli fa buon gioco essere chiamato dai governanti europei come consulente sulla questione islamica, aumentando cosi' il suo prestigio e la sua credibilita', proprio come Amr Khaled. Al Iqra non e' certo l'unica tv dedicata all'interpretazione del Corano e alla moralizzazione islamica. I telepredicatori si sono moltiplicati negli ultimi anni, proprio come succede negli Stati Uniti o nell'America latina con i leader delle varie sette evangeliche. Vanno forte soprattutto nella wahabita Arabia Saudita dove il rigore islamico passa proprio attraverso le tv satellitari, non solo private. "I nostri canali televisivi sono invasi da nuovi e vecchi predicatori che diffondono la loro visione del mondo direttamente al pubblico [...] rispondendo alle domande dei telespettatori, prorompono in accuse contro il sesso femminile. Eccitano emotivamente i telespettatori invitandoli a difendere le virtu' contro le donne corrotte...", notava Hasna al Quna'ir sul quotidiano saudita "al Riyadh". L'editorialista scriveva che "le donne sono vittime dei discorsi dei predicatori che le condannano e per provare la loro inferiorita' mentale si avvalgono di una vergognosa distorsione degli hadith [i detti del Profeta]". Alcuni degli esempi riportati da Hasna al Quna'ir sono esemplari. A un telespettatore che chiedeva se consultare la moglie per chiedere il suo parere, il telepredicatore di turno rispondeva: "Non chiedere il suo parere, e' emotiva e la sua opinione non e' valida". [...] E citando un hadith del Profeta aggiungeva: "Una tribu' che nomina una donna come leader non avra' mai successo...". "Molti predicatori," sostiene la giornalista, "si rifiutano di riconoscere che questo hadith e' riferito a circostanze particolari e si colloca in un determinato contesto. Il Profeta non voleva riferirsi a tutte le donne, in ogni luogo e in ogni momento...". "Un altro predicatore incitava padri, fratelli e mariti contro le figlie, le sorelle e le mogli, sostenendo che se una ragazza non viene picchiata da piccola, crescendo diventa ribelle e difficile da controllare. [...] Lo stesso predicatore sosteneva che se una donna esce di casa senza il velo e' come se fosse nuda. [...] E se stringe la mano di un uomo che non e' suo marito e' colpevole di... adulterio della mano". La questione che pone la giornalista saudita e' "perche' alcuni musulmani abbiano sviluppato questa visione disumanizzante delle donne, sprezzante della loro umanita' e del loro onore. E questo avviene ignorando importanti fattori [...] come le circostanze storiche e lo specifico contesto alla base di alcune leggi religiose e regole che discriminavano le donne. Questo deriva anche dal fatto che non esiste alcuna distinzione tra i doveri religiosi che appartengono ai rituali - soggetti a principi assoluti - e le regole di comportamento, che sono controverse e non rispondono a leggi assolute, come l'uso di coprire il viso...". Sono molti i giovani seguaci a condividere le posizioni estremiste di questi predicatori fanatici. Purtroppo, le donne sono sempre le prime vittime di questo tipo di cultura. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 229 del 12 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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