[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 227
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 227
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 1 Jan 2009 12:44:48 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 227 del primo gennaio 2009 In questo numero: 1. Alcuni estratti da "Il comunista" di Anna Baldini (parte prima) 2. Ida Dominijanni: Noi, straniere 3. Dacia Maraini: Resistenza antifascista e resistenza antimafia 4. Marina Forti: Dall'altra parte del filo spinato 1. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL COMUNISTA" DI ANNA BALDINI (PARTE PRIMA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Anna Baldini, Il comunista. Una storia letteraria dalla Resistenza agli anni Settanta, Utet Libreria, Torino 2008] Indice del volume Ringraziamenti; Introduzione; Capitolo 1. Neorealismo o realismo socialista? 1.1. Monadi e masse; 1.2. Eva, la tentazione borghese; 1.3. Il corso progressivo della storia; Capitolo 2. Il Bildungsroman del proletario. 2.1. La fiumana; 2.2. Storie di quartiere; 2.3. Il Bildungsroman velleitario; Capitolo 3. 1956. 3.1. Un insolito silenzio; 3.2. Il campo letterario italiano dagli anni Trenta al 1968; 3.3. Vecchi temi, nuove gerarchie: Capitolo 4. Italo Calvino: un percorso esemplare. 4.1. Pin e l'Agnese; 4.2. La Grande Marcia si arresta; 4.3. Le secche degli anni Sessanta; Capitolo 5. La trilogia della disillusione di Arpino. 5.1. Gli spazi dell'utopia: 5.2. Le maschere dell'intellettuale; 5.3. Narratrici e narratori; Capitolo 6. Dopo la Resistenza. 6.1. Alla ricerca del tempo immoto; 6.2. Lo stagno della storia; 6.3. Tempo e campo; Capitolo 7. Verso un nuovo canone della Resistenza. 7.1. Gli isolati; 7.2. Stirpi sociali; 7.3. Lo sguardo dalle alte colline; Capitolo 8. Lo scrittore postumo. 8.1. Morselli e Calvino; 8.2. Sul materialismo; 8.3. Nascita di un romanziere; 8.4. Il dominio maschile proletario; Capitolo 9. I triangoli della politica. 9.1. La virilizzazione dell'eroe proletario; 9.2. Le emarginazioni parallele; 9.3. Voci dall'alterita'; Conclusioni; Un'appendice per non concludere: dopo il 1968; Bibliografia; Indice dei nomi. * Da pagina IX Introduzione "Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa - il papa e lo zar, Metternich e Guizot, i radicali francesi e i poliziotti tedeschi - si sono unite nella santa persecuzione di questo spettro. [...] Il comunismo viene gia' riconosciuto come una potenza da tutte le potenze europee". Alla vigilia della rivoluzione europea del 1848 l'incipit del Manifesto di Marx ed Engels proclama con memorabile metafora una nuova "potenza": "lo spettro del comunismo". Piu' di centocinquant'anni dopo, l'Italia sembra essere rimasta l'ultima nazione d'Europa infestata dal fantasma: dopo l'implosione dell'impero del socialismo reale, seguita a breve dal suicidio del piu' grande dei partiti comunisti d'Occidente, il comunismo e' divenuto davvero un revenant, ancora capace, cio' nonostante, di ossessionare le pratiche discorsive della politica italiana. Gia' nella prosa di Marx ed Engels lo "spettro" e', prima che un'entita' concreta operante nella storia, una proiezione immaginaria, l'incarnazione del terrore suscitato nelle potenze europee dallo scricchiolio delle strutture restaurate dell'Ancien Regime. Anche l'immaginario degli odierni anticomunisti e' radicato in un timore antico, generato all'alba di una Repubblica nata al tempo della guerra fredda, tenace al punto da sopravvivere alla perdita del suo concreto referente storico. Sventolata come il drappo di un torero, la bandiera rossa e' divenuta il simbolo di ogni politica abiezione, mentre perdura quello che uno dei protagonisti della storia repubblicana, Vittorio Foa, ha chiamato il "silenzio dei comunisti": "Cara Miriam, caro Alfredo, "erano milioni in tutto il mondo, e anche in Italia, gli uomini e le donne che si dicevano comunisti: militanti, iscritti, elettori, simpatizzanti. In Italia pochi anni fa piu' di un terzo dei cittadini si dicevano tali. Ora stanno in gran parte in silenzio, il loro passato e' cancellato nella memoria. Sento acutamente, quasi come un'ossessione, questo silenzio. Tendono a scomparire i testimoni di un'esperienza, quella dei comunisti italiani, che fu indubbiamente originale. E insieme si oscura un pezzo della nostra storia. Ma c'e' qualcosa di ancor piu' importante del silenzio. Il comunismo e' finito e l'anticomunismo continua a imperversare non come tentativo di ragione ma come insulto, non come ricerca ma come aggressione. Perche' tutto questo? L'anticomunismo a vuoto non e' forse paura? Perche' si ha paura? Di che cosa?". Eppure, scorrendo gli scaffali delle librerie, il silenzio denunciato da Foa non appare cosi' compatto. Anzi, prima di scomparire, i testimoni sembrano intenzionati a raccontare la propria storia: l'ondata di memorie scritte da dirigenti o militanti del Pci, gia' cominciata sul finire degli anni Settanta, si fa ancora piu' imponente dopo il 1989-1991, smettendo i panni dell'agiografia e mettendo in luce anche i lati oppressivi dell'esperienza della militanza comunista. Accanto alle memorie si moltiplicano gli studi degli storici, sollecitati dall'apertura degli archivi e dal tramonto di un'interpretazione bipolare del mondo e della storia, ansiosi di catturare la voce e l'esperienza della vita quotidiana dei militanti attraverso ricerche di storia orale. E spesso, insieme ai fondi d'archivio e alle interviste, nei loro studi vengono citati a documento dell'epoca anche testi letterari: romanzi e poesie, spesso in contiguita' con film e canzoni. Dunque: parlano, anzi, scrivono, gli ex-comunisti - ex perche' espulsi da tempo, ex perche' il Partito non c'e' piu'; gli storici documentano, interpretano e dibattono; imponente e' la testimonianza che sul comunismo italiano e' sedimentata nella nostra storia letteraria piu' recente. Da dove viene, allora, quell'impressione di silenzio di cui parla Foa? Un indizio puo' venire proprio dalla letteratura, e in particolare da una riflessione sui generi adottati per raccontare l'esperienza del comunismo italiano. Dopo il 1989-1991 e' raro che il Partito o i suoi militanti siano oggetto di un romanzo o di un racconto di invenzione. Un libro complesso come Mistero napoletano di Ermanno Rea (1995), sorretto dall'ambizione di tracciare un affresco del Partito comunista napoletano negli anni Cinquanta attraverso l'intreccio di storia politica e vicende private, si avvale di una mistione di generi non-finzionali: l'autobiografia, l'inchiesta giornalistica se non gia' storica, il memoriale, come se la fiction romanzesca non bastasse all'impegnativo compito che lo scrittore si propone. Anche Il gioco dei regni di Clara Sereni (1993) poggia su un lavoro di ricerca storica. L'epilogo del libro, significativamente intitolato Dopo la storia, narra le vicende che hanno portato la scrittrice all'indagine sul passato franto, rimosso e negato della propria famiglia. Prima di dare inizio al racconto Sereni esibisce le fonti che le hanno permesso il recupero memoriale, e che entrano a far parte della struttura del libro: "I brani fra virgolette (" ") sono tratti da materiali originali dei protagonisti reali di questa storia. Ho ritrovato memorie, riflessioni, epistolari in archivi pubblici e privati, e nelle seguenti pubblicazioni". Non solo l'indagine d'archivio e il ritrovamento di fonti apparentano la genesi del Gioco dei regni alle forme della storiografia, ma si accompagnano anche all'operazione, propria dello storico, di vaglio critico e comparativo delle tracce del passato. Clara scopre i trascorsi sionisti del padre Emilio, espunti per fedelta' al Partito non solo dall'immagine pubblica del dirigente politico, ma anche da quella privata e interiore. L'affiato rivoluzionario dell'ideologia sionista diventa un doppio sepolto della fede comunista e si incarna nella figura del fratello Enzo: Clara ne ricostruisce la biografia - l'emigrazione in Palestina, la vita in un kibbutz, il ritorno in Italia durante la seconda guerra mondiale e la scomparsa in un campo di concentramento - solo dopo la morte del padre, riprendendo i contatti con il ramo israeliano della famiglia. * Da pagina XXIV Il Pci ricomparso sulla scena politica italiana nel 1943 assume per gli scrittori italiani che militano tra le sue file questo ruolo di mediazione verso un nuovo pubblico. Nel piu' vasto quadro di una proposta di rinnovamento radicale della societa', dopo il 1945 i giovani scrittori, scesi nell'agone letterario con ancora addosso lo sten partigiano, spingono per una ridefinizione anche nel proprio campo della gerarchia delle posizioni e dei criteri che la strutturano: il nuovo imperativo cui dopo la guerra si sentono chiamati a rispondere, un "impegno" che si specifica nell'aspirazione al realismo, si appoggia a criteri di valutazione etici e politici, di cui il Partito comunista si fa portavoce. Ma perche' gli intellettuali si affidano proprio al Pci, un'entita' politica che usciva da vent'anni di clandestinita' circondata da un'aura di minaccia e di mistero? Come ha potuto il comunismo italiano giungere a incarnare le loro aspirazioni utopiche, divenendo, in parole che ne costituiscono forse il piu' alto epicedio, l'"essenza stessa della speranza"? Perche' la spinta avanguardistica dei giovani emergenti si volga verso l'"impegno", e perche' un partito non certo radicato nel tessuto sociale italiano, al punto da essere definito "nuovo" dal suo stesso leader, abbia potuto vedersi attribuire dagli intellettuali italiani una tale forza legittimante, non e' comprensibile al di fuori del contesto storico specifico, al di fuori cioe' di una somma di esperienze biografiche particolari unificate dalla comune partecipazione all'evento moralmente e idealmente fondativo della Repubblica, la Resistenza. Nell'interregno che va dal 25 luglio 1943 all'8 settembre, con la costituzione delle bande partigiane comuniste e la nascita del partito di massa, il Pci si impone da protagonista sulla ribalta della storia nazionale, e acquisisce i titoli per poter legittimamente rivendicare l'eredita' degli impulsi etici e di rinnovamento civile che avevano animato la Resistenza. Oltre ad aver sopportato il peso maggiore della guerra partigiana, il Partito comunista, grazie alla propria solidita' ideologica e organizzativa, al proprio realismo politico, al rapido radicamento tra le masse popolari italiane - tratti che lo distinguono nettamente dal Partito d'Azione, che pure intendeva fondare la Repubblica sui valori resistenziali - si mostra l'agente politico che offre maggiori garanzie di realizzare il rinnovamento auspicato dalla compagine intellettuale italiana, e che esibisce inoltre, per esplicita volonta' di Togliatti, un impegno programmatico volto al reclutamento degli intellettuali nelle sue file. Anche la convinzione che la letteratura possa agire efficacemente sulla realta' e' un'eredita' dell'esperienza resistenziale. L'esito vittorioso della lotta riverbera sulla fiducia nell'efficacia performativa dell'impegno politico e letterario, come testimonia uno dei protagonisti di quella stagione, Italo Calvino: "L'esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d'arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi piu' giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano - non ce ne sentivamo vinti, 'bruciati', ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d'una sua eredita'". La scoperta delle virtu' del popolo, il desiderio di raccontare la tragedia scampata e l'eroismo dei caduti costituiscono lo sfondo psicologico ed emotivo che accomuna le opere aggregate sotto la discussa etichetta di "neorealismo", ben prima delle esortazioni dei funzionari culturali del Pci a intraprendere una descrizione realistica delle condizioni di vita delle classi subalterne. La Resistenza ha favorito "l'incontro, sui monti e tra le pallottole, di 'borghesi' e 'proletari', che non c'era stato nel Risorgimento. L'antifascismo clandestino, le carceri eguali e i medesimi luoghi di confino prima, la guerra poi e la Resistenza avevano avvicinato uomini delle diverse classi sociali, e tanti intellettuali erano usciti dai loro studi e dai loro caffe' per accostarsi al 'popolo', e dialogare con lui e, qualche volta, viverci e morirci assieme, gomito a gomito". Per gli intellettuali italiani degli anni Quaranta, quasi tutti di estrazione borghese o piccolo-borghese, spesso studenti liceali o universitari e percio' separati fin dall'adolescenza dal contatto con le classi subalterne, l'incontro con proletari e contadini, in circostanze insieme tragiche e avventurose, ha significato un'esperienza intensissima di alterita', che si e' poi tradotta narrativamente in personaggi e intrecci, figure di relazioni sociali reali o fantasmatiche. Proiettando sull'"altro" caratteri opposti a quelli della propria natura, percepita come degradata in quanto borghese e portatrice del negativo della modernita', gli intellettuali forgiano il mito di bonta' e sanita' del popolo, il cui "naturale" patrimonio di valori - giustizia, eguaglianza e solidarieta' - dovrebbe porsi a fondamento della rigenerazione della nazione: il populismo che ne risulta equivale a una fuga da se', che conduce all'identificazione, perlomeno tentata, con cio' che e' diverso, e per cio' stesso presupposto come positivo. Ma la sincerita' delle motivazioni psicologiche o delle intenzioni etico-civili non costituisce una garanzia di riuscita artistica, anzi, piu' facilmente la ostacola, poiche' i criteri di giudizio nei campi artistici contemporanei tendono a rispondere a logiche svincolate dalla morale e dall'etica. Eppure, secondo un'opinione diffusa, "il neorealismo [...] non aveva nulla a che fare con l'oleografica eroicizzazione della classe lavoratrice, con l'esaltata fede nell'immancabile trionfo del proletariato, con la visione manichea di un mondo nettamente diviso in bene e male e regolato dalla lotta di classe, in breve con la retorica e con lo schematismo che caratterizzavano la cinematografia sovietica. "Anche nel campo delle arti figurative, in Italia [...] non si videro gli enfatici operai col pugno chiuso, i didascalici metallurgici dai bicipiti d'acciaio e le contadine beatificate dalle poetiche fatiche del colcos. "Mentre in Unione Sovietica la natura totalitaria del regime staliniano non solo imponeva una produzione artistica kitsch e conformista, ma anche perseguitava gli artisti che rifiutavano di sacrificare la propria autonomia alle ragioni della politica, in Italia non si sarebbero avute neppure quelle cadute di stile, quelle concessioni a un'immagine semplificata e retorica della realta' in cui e' riconoscibile l'impronta dello zdanovismo". Ma e' stato davvero cosi'? Oppure questo giudizio e' frutto di quella miopia sul passato che porta a considerare espressione di un'epoca solo le opere degli artisti entrati nel canone? Non e' forse il caso di considerare anche cio' che veniva prodotto nella meno prestigiosa periferia dei campi artistici, da autori oggi sostanzialmente sconosciuti, e che tali sono rimasti perche' privi delle risorse necessarie per acquisire quel prestigio letterario che consente di essere tramandati ai posteri? "E' attraverso i dominati", scrive Bourdieu, "che si insinua l'eteronomia": "i produttori culturali sono tanto piu' inclini a sottomettersi alle sollecitazioni dei poteri esterni (che si tratti dello Stato, dei partiti, dei poteri economici o, come oggigiorno, del giornalismo), e ad avvalersi delle risorse importate dall'esterno per dirimere conflitti interni, quanto piu' sono basse le posizioni che essi occupano nelle gerarchie interne del campo". Nel dimenticatoio della nostra letteratura piu' recente potremo forse trovare le tracce di un "realismo socialista" all'italiana. * Da pagina 65 4. Italo Calvino: un percorso esemplare L'evoluzione delle strutture tematiche della letteratura "impegnata" - rappresentazione della Resistenza, immagine della storia progressiva, coppia tipica intellettuale-proletario - forse in nessun'altra opera e' cosi' visibile come in quella di Italo Calvino, lo scrittore che oggi occupa una posizione centrale nel canone del secondo Novecento italiano. Nella sua parabola letteraria sono sempre rintracciabili le coordinate dominanti, i temi di piu' accanito dibattimento e i nodi problematici della cultura nazionale. Il suo romanzo d'esordio, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), se confrontato con quello di Renata Vigano' L'Agnese va a morire (1949) consente di illustrare come su uno scrittore dotato di scarso prestigio letterario come Vigano' la pressione dell'eteronomia politica si manifesti con maggior evidenza che su uno scrittore come Calvino, precocemente orientato alla conquista di un riconoscimento letterario "puro". Il confronto tra i temi comuni ai due romanzi consente di mostrare come la differente posizione dei loro autori nella gerarchia letteraria riverberi sulla struttura (in questo caso tematica e narrativa) delle opere. * Da pagina 72 In questa strategia narrativa possiamo leggere anche il distacco di chi attribuisce un valore esistenziale primario alla letteratura nei confronti dell'importanza che la politica vi ha acquisito, paradossalmente grazie alla propria stessa opera: questa ambiguita' e questo dissidio, infatti, non sono il risultato di un'istanza repressiva esterna, ma scaturiscono dall'adesione esistenziale - in una sorta di doppio legame - a due spinte compresenti e contraddittorie ma ancora in equilibrio, che producono la doppia focalizzazione del Sentiero. Mentre il punto di vista narrativo preponderante di Pin esprime la distanza dello scrittore dalla politica, che non si puo' palesare pero' che in forma obliqua, come ritorno del rimosso, la coppia Kim-Ferriera incarna il dover-essere dell'intellettuale: "Kim non pensa questo perche' si creda superiore a Ferriera: il suo punto d'arrivo e' poter ragionare come Ferriera, non aver altra realta' all'infuori di quella di Ferriera, tutto il resto non serve". Kim vorrebbe diventare come Ferriera, e sogna di cancellare tutte le abitudini e i sentimenti che lo rendono diverso; l'intellettuale trasforma l'operaio in una sorta di Super-io, in relazione al quale si colloca in una posizione di inferiorita'. Le tappe successive della traiettoria letteraria di Calvino mostrano un distacco dalle direttive politiche sempre piu' consapevole man mano che il prestigio letterario dello scrittore si consolida. Dopo aver abbandonato diversi tentativi di scrivere un romanzo impegnato conforme alle direttive della critica comunista, Calvino comincia a esplorare possibilita' alternative cimentandosi nelle narrazioni fantastiche della "trilogia degli antenati" (Il visconte dimezzato, 1952; Il barone rampante, 1957; Il cavaliere inesistente, 1959). Ma e' solo nel 1963, con La giornata d'uno scrutatore, in cui ritroviamo significativamente gli stessi temi del Sentiero, che Calvino si congeda definitivamente dalla speranza di conciliare ricerca letteraria e impegno politico. A questo approdo giunge attraverso una lunga elaborazione, che ha un punto di condensazione nel 1956. La crisi della politica comunista nazionale e internazionale porta all'esasperazione mutamenti del campo intellettuale gia' avvertibili, in germe, negli anni precedenti. L'erosione dei temi della letteratura impegnata del dopoguerra, in cui si palesa la sovversione delle gerarchie fino allora vigenti, ne e' un indicatore: non e' un caso, per esempio, che una rappresentazione del tempo alternativa allo storicismo progressista sia introdotta da un "nuovo entrante" come l'editore Feltrinelli: nel 1957 esce Il dottor Zivago e nel 1958 Il gattopardo, due romanzi nei confronti dei quali si scateno' l'avversione della critica comunista ortodossa, e che erano accomunati da un'immagine di stasi, se non di riflusso, della storia. Calvino propone un'analoga visione della storia in uno scritto minore, nato come strumento di battaglia politica piuttosto che come testo letterario: La grande bonaccia delle Antille, una trasparente allegoria della situazione politica contemporanea pubblicata nel luglio 1957 in "Citta' aperta", la rivista dei fuoriusciti dal Pci. L'apologo denuncia lo stallo in cui e' piombato il comunismo italiano, incapace di uscire dalle dinamiche della guerra fredda; il vento della storia e' calato, una sfibrante bonaccia impedisce ogni progressione e - cosa tanto piu' grave - i dirigenti si compiacciono della perdurante immobilita'. Come spiega Calvino, "erano anni d'una tensione sociale dura, di lotte rischiose, di discriminazioni, di drammi collettivi e individuali. La parola 'bonaccia' [...] ha a che fare con l'atmosfera greve, minacciosa, snervante delle bonacce oceaniche per i bastimenti a vela [...] E' l'impasse in una situazione di lotta, d'antagonismo inconciliabile, a cui corrisponde un immobilismo all'interno dei due campi: immobilismo connaturato al campo 'spagnolo' [democristiano], in quanto coincide con i loro programmi e i loro fini; mentre in campo 'pirata' [comunista] c'e' la contraddizione tra la vocazione per la 'guerra di corsa' [...] e una situazione in cui ricorrere a cannoneggiamenti e abbordaggi oltre che impossibile sarebbe controproducente, suicida...". La grande bonaccia delle Antille e' l'ultima parola del Calvino comunista: e' lo strumento di una battaglia politica che lo scrittore abbandona meno di un mese dopo, rassegnando il primo agosto 1957 le dimissioni dal partito. Ma la fine di quella stagione di impegno continua a imporsi alla sua meditazione fino al 1963, quando pubblica La giornata d'uno scrutatore, "libro di riepilogo", "libro-rendiconto". * 4.2. La Grande Marcia si arresta Un altro comunista deluso, Milan Kundera, la cui disillusione ha assunto le forme tanto piu' drammatiche della persecuzione e dell'esilio, sintetizza in un'immagine allegorica la concezione della storia che ha ripudiato: "Dai tempi della Rivoluzione francese una meta' dell'Europa viene chiamata sinistra, mentre l'altra meta' riceve l'appellativo di destra. E' quasi impossibile definire l'una o l'altra parte sulla base dei principi teorici sui quali esse si appoggiano. Non c'e' motivo di stupirsi: i movimenti politici non si fondano su posizioni razionali ma su idee, immagini, parole, archetipi che tutti insieme vanno a costituire questo o quel Kitsch politico. L'idea della Grande Marcia che tanto inebriava Franz e' un Kitsch politico che unisce la gente di sinistra di tutte le epoche e di tutte le tendenze. La Grande Marcia e' questa meravigliosa avanzata, questo cammino verso la fratellanza, l'uguaglianza, la giustizia, la felicita', e ancora piu' lontano, oltre tutti gli ostacoli, perche' devono esserci ostacoli, se la marcia deve essere la Grande Marcia". Kundera iscrive la "Grande Marcia in avanti" nella categoria estetica del Kitsch, che affonda le sue radici in terreno metafisico: il Kitsch e' l'"ideale estetico dell'accordo categorico con l'essere", che "elimina dal proprio campo visivo tutto cio' che nell'esistenza umana e' essenzialmente inaccettabile". L'inaccettabile metafisico e' cio' che impedisce all'uomo di pronunciare un "si'" convinto all'esistenza cosi' come e' data, la macchia che ne turba la pienezza, la frattura tra io e mondo che rivela l'incommensurabilita' dell'uno all'altro. E' il letame, secondo Kundera, metafora e sineddoche dell'inaccettabile metafisico: sineddoche, poiche' rappresenta una parte, sia pure la piu' esteticamente scandalosa, dell'inaccettabile biologico; metafora, poiche' non e' che segno del vero, essenziale inaccettabile della vita umana: la sua finitezza, la morte. "Il Kitsch e' un paravento che nasconde la morte". Questa angoscia metafisica, l'impossibilita' di un accordo pieno con l'essere a causa dei limiti biologici dell'uomo, emerge nel momento in cui crolla l'illusione della "Grande Marcia in avanti". Quando il corso degli eventi contraddice la fede in una storia naturalmente apportatrice di progresso, lo storicismo entra in crisi, ma non per questo emerge una diversa visione del tempo, che contempli la possibilita' di una storia non evolutiva, di strappi e riflussi. Emerge invece in primo piano un tempo altro rispetto a quello storico, espressione di una temporalita' che non e' quella, finita, dell'uomo: il tempo della natura, ciclico e non progressivo, tempo lungo della persistenza (relativamente alla durata della vita umana) invece che del mutamento. Se la storia e' progresso, non e' concepibile che le lancette dell'orologio storico arretrino; lo scacco della concezione progressiva della storia rivela che esse non si sono mai mosse se non nel miraggio e nell'illusione, e che l'unico tempo esistente e' quello immobile della perpetuita' naturale. (Parte prima - segue) 2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: NOI, STRANIERE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 2008 col titolo "Straniere siamo noi"] Il raid del Pigneto a Roma e' "senza matrice politica", dice il sindaco Gianni Alemanno. Anche l'azione punitiva che ha ucciso Nicola Tommasoli a Verona era "senza riferimenti ideologici", disse il presidente della camera Gianfranco Fini. Dev'essere la linea del partito postfascista: quando una cosa e' fascista o nazista, per dichiarata ammissione di chi la fa o per sua propria evidente essenza, non li riguarda, e se qualcuno la rivendica come tale si tratta di "nostalgici di un passato finito". Come fu per Fini cosi' e' per Alemanno: un modo pilatesco di lavarsene le mani. Ma il problema non e' loro: e' nostro. Mettiamo in fila qualche fatto. L'assassinio di Verona, movente una sigaretta negata. Il pogrom di Ponticelli a Napoli, movente una sospetta intenzione di una zingara di appropriarsi di un bambino italiano. Una molotov in un negozio rumeno a Milano, movente ignoto cioe' razzista e basta. La morte per asfissia da polmonite di Hassan Nejl, tunisino trentottenne, nel Cpt di Torino, causa l'omissione di soccorso delle strutture mediche competenti. L'aggressione a Roma di Christian Floris, conduttore di una radio gay, movente "devi smetterla con queste trasmissioni sui froci". Il raid contro i tre negozi indiani del Pigneto, movente un supposto furto di portafogli. Stupri vari di donne italiane e straniere, movente la solita violenza maschile ormai priva di ritegno. No, non e' una sequenza coerente, o almeno speriamo. Ma e' almeno una sequenza indiziaria? Ci guardiamo e ci telefoniamo smarrite, tra amiche, incerte sui nomi e sugli aggettivi. "Fascista" non si puo' dire, perche' e' ideologico e novecentesco e i disincantati abitanti del 2000 postideologico non gradiscono. Cos'e' allora? L'effetto della campagna martellante sulla giustizia fai-da-te e sulla romantica azione salvifica delle ronde, questo si puo' dire? Il risultato dello sdoganamento del razzismo, autorizzato e rivendicato dai leghisti di governo in cravatta verde da tutte le tv e le radio pubbliche e private, questo si puo' denunciare? Ci guardiamo smarrite, le straniere siamo noi: non e' piu' il paese in cui siamo cresciute. Ma e' una sensazione stonata e minoritaria, in mezzo al coro maggioritario e dialogante che intona il ritornello della democrazia dell'alternanza finalmente compiuta e finalmente affrancata dallo scontro ideologico che l'ha avvelenata per oltre mezzo secolo. Finalmente una strada intitolata ad Almirante vale quanto una intitolata a Berlinguer. Finalmente "Il Secolo" celebra il quarantennale del '68 come fosse cosa sua. Chi potrebbe desiderare segni piu' chiari che i tempi volgono finalmente al meglio? Pero' nessuno osa completare il pareggio dando a Matteo Salvini del cattivo maestro come si faceva con gli estremisti di sinistra negli anni di piombo: allora le parole erano considerate pietre, adesso chissa' perche' palloncini. Nel mentre, l'editto napoletano sulla sicurezza e sui rifiuti ha di fatto messo fuorilegge i movimenti di protesta. Neanche di questo si puo' dire che e' fascista, perche' dal coro dialogante tutti o quasi tacciono e acconsentono: puo' servire a fare fuori la camorra, e se ci vanno di mezzo i movimenti che con la camorra non c'entrano niente poco importa, il fine giustifica i mezzi. Ma quando il fine giustifica i mezzi, e quando su questa base scatta la logica dell'emergenza, sappiamo gia' come va a finire. L'emergenza diventa norma, lo stato di diritto va a farsi benedire, liberta' e uguaglianza vengono sacrificate sull'altare della sicurezza. Non sara' fascismo. Ma non e' nemmeno la democrazia costituzionale a cui un tempo ci si poteva almeno appellare, quando veniva violata, come a un riferimento superiore. Adesso i raid punitivi non hanno riferimenti ideologici, e noi nemmeno. 3. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: RESISTENZA ANTIFASCISTA E RESISTENZA ANTIMAFIA [Dal "Corriere della sera" del 16 dicembre 2008 col titolo "'Partigiani' antimafia" e il sommario "La resistenza contro i boss ha aspetti in comune con la resistenza antifascista"] "Ora da morta potrai spalancare le finestre con mani piu' sicure di quelle che ti reggevano da viva. Ora nessuno potra' dire di non sentire la tua voce", scrive Umberto Santino ricordando Felicia Impastato, la coraggiosa madre di Peppino Impastato, il giovane ucciso con modi sordidi dalla mafia di Cinisi e fatto passare per suicidio. Felicia Bartolotta Impastato e' morta nel 2004, essendo sopravvissuta alla tragica fine del figlio, avendo denunciato la mafia della propria famiglia, avendo rischiato di essere uccisa ogni giorno. Lo stesso pentito Calderone racconta che quando lei parlo', pensarono di ammazzarla subito, ma poi la lasciarono perdere, per quelle strane alchimie mafiose che a volte risultano crudeli fino all'esasperazione, non tenendo conto ne' dell'eta' ne' del sesso delle vittime, altre volte sembrano invece ricordare le regole che essa stessa si e' data, di cui la prima era: non toccare le donne e i bambini. In un incontro che si e' svolto il 7 dicembre nel salone comunale di Cinisi, che ha visto uniti il Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato e l'Anpi di Anzola dell'Emilia, nonche' il Comune di Sant'Anna di Stazzema e il comune di Marzabotto, in occasione del quarto anniversario della scomparsa di Felicia Impastato, e' venuta fuori una idea nuova: la resistenza contro la mafia ha molti aspetti in comune con la resistenza contro il fascismo. Perche' non fare tesoro della memoria di quella resistenza per riuscire a opporsi oggi alle prepotenze, alle intimidazioni della mafia che minaccia un intero popolo e il suo futuro? "Il filo rosso della memoria leghera' il ricordo della strage di Sant'Anna di Stazzema e quella di Marzabotto con la mattina del 9 maggio del 1978 quando fu ritrovato il corpo straziato di Peppino Impastato... Luoghi e tempi diversi ma animati dagli stessi ideali e sconvolti dalla violenza di un potere spietato", hanno scritto i partecipanti al convegno. Ma cosa significa oggi resistere alla mafia? Il suggerimento degli amici di Impastato sembra battere sulla diffusione del sentimento di indignazione e di orgoglio. La Sicilia non e' quella che si legge sulle cronache luttuose. E' fatta di gente che lavora sodo e ha capacita' di sdegnarsi e prendere posizione. Certo non si puo' chiedere a un popolo di farsi eroe. Troppo spesso chi non acconsente finisce stritolato, come e' successo al giovane Impastato e a tanti giudici coraggiosi. Ma piu' sara' diffusa la voglia di resistere e piu' sara' sicuro l'atto della resistenza. La mafia e' crudele coi deboli e debole coi forti. L'hanno capito molto bene quelli che si oppongono al pizzo, cercando di coinvolgere piu' persone possibile al loro movimento contro il taglieggiamento quotidiano. Per questo il richiamo ai sistemi della resistenza partigiana, che significa legami col territorio, solidarieta' sociale e azioni esemplari, puo' costituire la base di una nuova e importante opposizione contro la mafia che ha ingaggiato una vera e propria guerra contro la societa' civile. 4. MONDO. MARINA FORTI: DALL'ALTRA PARTE DEL FILO SPINTO [Dal quotidiano "il manifesto" del 30 dicembre 2008 col titolo "La 'pace' a Escravos"] Lo spettacolo e' surreale. Al tramonto, quando le fiammate dei pozzi petroliferi si fanno piu' brillanti contro il cielo, i motoscafi di dirigenti petroliferi, notabili politici e "attivisti" si avvicinano al molo privato del Resort 911, "una villa ancora incompiuta accessibile solo in barca, nella zona periferica di uno dei canali del delta del Niger". La descrizione e' di un corrispondente del "New York Times" (4 dicembre): "Nel resort (...) ministri dello stato si sono mescolati a contractors petroliferi americani mentre uomini d'affari libanesi chiacchieravano con ribelli diventati dirigenti politici locali; poi tutti si sono seduti a lunghe tavole apparecchiate con bottiglie di vino e champagne. Centinaia di abitanti dei villaggi circostanti guardavano da dietro un recinto di filo spinato controllato da cani da guardia, mentre dentro musicisti e commedianti intrattenevano gli ospiti". Il teatro di questa assurda scena si trova nella zona di Escravos, il piu' grande terminal petrolifero di Chevron-Texaco, nello stato di Delta, in Nigeria. Il Resort 911 prende nome dalla "Operation 911" lanciata tempo fa dall'esercito nigeriano contro i ribelli attivi nella zona: il delta del Niger infatti e' da decenni percorso da ribellioni, armate e non, e non e' difficile capire perche'. La Nigeria, uno dei grandi produttori mondiali di petrolio, estrae 2,3 milioni di barili di greggio al giorno, quasi tutti dagli acquitrini del delta del Niger, e ne esporta la gran parte, incassando miliardi di dollari ogni anno. Ma quella ricchezza scivola via senza lasciare nulla alla popolazione del delta: arricchisce una elite, ma per gli altri la vita non e' migliorata. Anzi, per decenni pozzi, oleodotti e stazioni di pompaggio difettose hanno disseminato bitume in innumerevoli sversamenti, ricoprendo lagune e campi, al punto che in molte zone la pesca e l'agricoltura sono ormai impossibili. Spesso le perdite degli oleodotti sono "cannibalizzate" da gente che si accalca per portare via qualche tanica di petrolio - a proprio rischio, perche' basta una scintilla per provocare esplosioni con decine o centinaia di morti. Del resto e' poca cosa in confronto al commercio illegale di greggio che coinvolge notabili, locali e non (le stime variano tra 100 e 300.000 barili al giorno). Negli ultimi vent'anni negli stati del delta nigeriano sono scoppiate ribellioni, rivolte politiche (come quella degli Ogoni nello stato di Rivers, nei primi anni '90), sabotaggi. Ci sono state azioni di protesta pacifiche come quella delle donne del villaggio di Ugborodo, proprio quello che sta di fronte al terminal di Escravos: nell'estate del 2002 lo hanno occupato, prendendo in ostaggio decine di addetti della compagnia petrolifera. A volte proteste e tensioni sfociano in conflitti tra gruppi etnici fomentati dalle milizie di notabili in concorrenza per controllare il contrabbando di greggio o i favori delle compagnie petrolifere. Le compagnie, tutte, ormai finanziano le "comunita' produttrici" (i villaggi vicino ai loro impianti) con piccoli interventi sociali, lavoretti, borse di studio - e pagano le milizie ribelli per la protezione. Ma non basta, e il governatore dello stato di Delta ha deciso per una politica di pacificazione, diciamo, innovativa: ha offerto ai leader ribelli cariche pubbliche, ad esempio nella Commissione statale per la sicurezza fluviale. Ecco perche' erano tutti la', una sera di dicembre, a brindare insieme nel "Resort 911". Molti dubitano che una pace "comprata" cosi' possa durare a lungo. E poi, gli abitanti del delta inquinato e impoverito restano la', dall'altra parte del filo spinato. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 227 del primo gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 687
- Next by Date: Minime. 688
- Previous by thread: Minime. 687
- Next by thread: Minime. 688
- Indice: