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Minime. 680
- Subject: Minime. 680
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 25 Dec 2008 00:51:25 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 680 del 25 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Paola Melchiori: Neopatriarcato 2. Maria Vittoria Vittori intervista Igiaba Scego 3. Luigi Ferrajoli: Una parola d'ordine insensata 4. Cornelius Castoriadis: Moderni conformismi 5. Enzo Bianchi presenta "Il Mediterraneo e l'Europa" di Predrag Matvejevic 6. Dunya Carcasole presenta "Mille splendidi soli" di Khaled Hosseini (2007) 7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 9. L'Agenda dell'antimafia 2009 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. PAOLA MELCHIORI: NEOPATRIARCATO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la relazione tenuta in occasione del primo "Laboratorio di ricerca femminista" sul tema "Il patriarcato e' in crisi? Pratiche di resistenza e spunti teorici" svoltosi a Milano il 13 dicembre 2008] Se cerco di rispondere alla domanda sulle difficolta' che vive il femminismo proprio oggi che i suoi temi sono cosi "evidenti" nello spazio pubblico, e lo faccio dalla prospettiva del movimento internazionale nato sull'onda delle Conferenze Onu degli anni Ottanta-Novanta, direi che non si puo' prescindere dall'individuazione di una serie di elementi che rendono il quadro attuale molto diverso da quello in cui il femminismo degli anni Settanta si e' affermato. Il movimento internazionale delle donne e' "caduto" in una certa invisibilita' dopo la fine delle conferenze Onu che lo avevano sostenuto e favorito malgrado cio' non fosse nei loro obbiettivi. Questo "abbandono del movimento alle sue proprie forze", che ha significato soprattutto un arretramento in termini di risorse, e' coinciso - ironia della sorte - con un momento storico che ha fatto virare le scoperte delle donne contro di loro. Agli aggiustamenti strutturali, che hanno usato la consapevolezza dell'importanza del lavoro femminile per sfruttarlo meglio, si e' aggiunto, inoltre, l'emergere dei fondamentalismi. * L'uscita delle donne - per iniziativa autonoma - dal posto loro assegnato, che ha significato l'eliminazione dei meccanismi classici di ammortizzazione economica, sociale ed emozionale, si e' semplicemente dimostrata intollerabile per tutti gli uomini (anche per quelli che si dicono progressisti). E' in questo contesto che va letta l'emersione di una violenza senza precedenti contro le donne, che attraversa, con cifre paurose, i paesi emancipati del Nord Europa fino all'ultimo "barrio" latinoamericano. E che non puo' solo essere imputata all'emersione di qualcosa che prima c'era ma non si vedeva. Qualcosa e' cambiato per sempre infatti sulla scena e questo ha radicalizzato i termini del conflitto prima oscurato dal silenzio di una parte. Questo "silenzio" e' finito. Ha iniziato a parlare in modo da non poter piu' essere categorizzato con altri nomi, ne' reso invisibile. E, tutte, abbiamo sottovalutato il livello di violenza che tale sottrazione scatena negli equilibri personali e sociali o quello che, semplicemente, essa mette in evidenza. Ci troviamo oggi di fronte a un difficile quadro, che definirei neopratriarcale, caratterizzato da una misoginia dilagante che salda gli elementi di un patriarcato classico e fondamentalista a quelli di un patriarcato moderno, liberale e superilluminato. Si afferma, infatti, il messaggio che il femminismo sarebbe ormai demode' poiche' i "residui" premoderni di cui si occupa saranno spazzati via dal trionfo delle democrazie neoliberali. E questa posizione e' condivisa da molte giovani donne nate in un tempo dove alcune liberta' sembrano naturali tanto quanto prima erano naturalmente negate. * Questo scenario configura una situazione radicalmente diversa rispetto a quella degli anni Settanta, i cui paradossi sono particolarmente evidenti soprattutto nello spazio pubblico della politica. Malgrado il fatto - ad esempio - che oggi la leadership dei movimenti sociali sia tutta femminile, la scena pubblica, decisionale e intellettuale, salvo poche eccezioni, rimane tutta maschile e, come nel '68 ai tempi degli angeli del ciclostile, il lavoro politico e sociale delle donne resta sempre percepito come il lavoro domestico nella societa'. Negli spazi pubblici, malgrado i corpi femminili circolino "anche" come corpi pensanti, le donne accedono al potere ancora attraverso la protezione di uomini, o in quanto parte simbolica o reale di una coppia, o perche' qualche uomo illuminato apre loro la via. Nello stesso tempo destre fondamentaliste e militariste, riescono (in modo molto piu' abile della sinistra) a usare pienamente i guadagni del femminismo. Il teatrino Palin-Barbie delle elezioni Usa ha mostrato in maniera esemplare questa tendenza peraltro evidente anche da noi. La destra e' capace di giocare la femminilita' assoluta, combinata con l'asservimento e la potenza del materno, insieme all'emancipazione. Le femministe sono strette in una trappola dove la repressione fondamentalista si salda a un illuminismo neoliberale, ugualmente misogino. Questo rende molto piu' complesse le lotte e i messaggi possibili e cio' e' particolarmente visibile nella gestione di proposte in uno spazio pubblico che vada al di la' delle lotte puramente difensive. Le donne che occupano spazi di potere nel pubblico scontano una difficolta' di posizione che e' strutturale: la difficolta' di rendere identificabile, nell'uso del potere e nelle scelte politiche, la differenza che le donne potrebbero e possono fare. * Ci si muove purtroppo in un terreno dove il nostro lavoro non e' stato compiuto. Dove non si e' ancora consolidato ne' concettualmente ne' nelle sue pratiche o modalita' organizzative un nostro spazio, dove la storia - per cosi' dire - ci precede. Uno degli aspetti di questo lavoro incompiuto e' l'illuminazione dei nessi che legano il patriarcato al capitalismo e alla questione della democrazia, l'altro la valorizzazione di pratiche alternative sul piano della gestione e della concezione del potere. Certo, parte delle difficolta' per le femministe di rendere le proprie analisi visibili e praticabili e' responsabilita' di una sinistra che ha perso il suo orizzonte e non riesce a vedere i guadagni che l'analisi femminista apporterebbe nella comprensione della realta' e nella invenzione di nuovi progetti politici. Esiste anche una responsabilita' nostra: La subalternita' delle donne della sinistra ai propri partiti nell'identificarsi con l'approccio "gruppo vulnerabile" rinuncia a quella pratica essenziale degli anni '70 che consisteva nel ridefinire le proprie questioni in mondo autonomo, porre le proprie priorita' e conquistare la legittimita' di un altro sapere e con cio' di altri paradigmi possibili. Compiere quel lavoro di cui parlo mi sembra che oggi significhi la capacita', ove gli altri vedono esclusione, razzismo, capitalismo, di "illuminarne" lo strato patriarcale. Nessun altro lo puo' fare se non chi lo vive e da una certa posizione. L'insieme del confronto tra queste posizioni puo' creare mappe collettive del loro funzionamento e dei loro legami interni. Significa guardare la societa' da tutte quelle zone nascoste che "naturalmente" scivolano sotto la cura delle donne e come tali stanno nell'ombra. Significa avere della societa' o della democrazia e delle regole che la devono sostenere una visione piu' completa, sia nel senso della complessita'-estensione dei fenomeni che nel senso della profondita', perche' prende in esame tutti gli aspetti, anche quelli piu' invisibili. * Le definizioni di democrazia/pace/guerra/giustizia/sicurezza, sono diverse in questa prospettiva, osservate da queste posizioni. Dobbiamo mantenere le condizioni e gli spazi per questo sguardo, per un rovesciamento di prospettive, per una ridefinizione autonoma delle questioni, delle priorita', delle forme organizzative. Queste sono le condizioni per una ridefinizione della politica. E questo io vedo fare spesso negli incontri cosi' poco visibili del femminismo internazionale. Significa non cedere sulla nostra metodologia di conoscenza: esperienziale, complessa, non frammentata, pluristratificata, molto specifica e molto generale ad un tempo (il che ci permette anche di ridefinire il concetto di concretezza). Non dobbiamo accettare la confusione tra patriarcato e capitalismo: dove gli altri vedono capitalismo, nazionalismo, razzismo, bisogna essere capaci di vedere e far vedere lo strato patriarcale che e' piu' antico. Non dobbiamo accettare il ricatto "dell'approccio piu' globale". L'approccio piu' globale e' il patriarcato. Non dobbiamo accettare l'alternativa tra separatismo e lavoro in ambiti misti: le donne oggi lavorano normalmente in ambiti misti, e' un segno di influenza e rispetto guadagnato. Tuttavia il movimento e anche coloro che occupano posizioni di potere ancora vivono sui residui delle visioni e delle posizioni radicali rese possibili da un movimento che ha ridefinito tutte le questioni a modo suo, autonomamente e controcorrente, in un modo che sarebbe stato impossibile ed impensabile in uno spazio misto e senza la metodologia dell'autocoscienza e il dare valore al confronto tra le esperienze. Gli interessi maschili non sono gli stessi di quelli femminili e questo e' occultato negli ambiti misti. Il desiderio di smantellare tutti gli aspetti del patriarcato e' per le donne una condizione di sopravvivenza, per gli uomini puo' essere condizione di comprensione-empatia. Ma il sapere non viene dall'empatia, ma dall'esperienza in prima persona. Essa e' il nostro punto di partenza e la nostra forza teorica. 2. LIBRI. MARIA VITTORIA VITTORI INTERVISTA IGIABA SCEGO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente intervista apparsa sul quotidiano "Liberazione" del 16 novembre 2008 col titolo "Il modello e' la lingua: contaminare e mescolare per includere. Intervista a Igiaba Scego"] Nasce da un corpo traumatizzato, finisce con un corpo di nuovo collegato all'interiorita', di nuovo capace e felice di esprimersi, questo romanzo: e in mezzo ci sono le storie di due giovani donne, delle loro madri e dei loro paesi, feriti e traumatizzati al pari dei corpi: questo, e molto di piu', e' Oltre Babilonia di Igiaba Scego. Drammatico e luminoso, a piu' voci e piu' prospettive, pieno di cicatrici e di energia vitale. Le voci di Zuhra e di sua madre Maryam, in fuga da una Somalia lacerata dal colonialismo e dalle guerre tribali, la voce di Mar e di sua madre Miranda, esuli da quell'Argentina dei colonnelli che ha risucchiato i suoi figli migliori, s'alternano - insieme a quella di Elias, il padre - in un inquieto andirivieni fra epoche e luoghi diversi. A raccontare in una lingua densa, succosa, meravigliosamente miscelata di percorsi differenti, ma ugualmente accidentati, tra i progetti dei singoli e i campi minati della storia. Igiaba Scego, nata nel 1974 a Roma da genitori somali venuti in Italia a seguito del colpo di stato di Siad Barre, ha esordito nel 2004, con il romanzo Rhoda (Sinnos). Laureata in lingua e letteratura spagnola, con un dottorato di ricerca in letteratura post-coloniale, si definisce precaria della ricerca. Collabora con "Il Manifesto", "Lo Straniero", "Nigrizia". Ha pubblicato il libro per bambini La nomade che amava Alfred Hitchcock (Sinnos) e diversi racconti inseriti in antologie; Oltre Babilonia (Donzelli 2008, pp. 458, euro 17,50) e' il suo ultimo romanzo. * - Maria Vittoria Vittori: Una trama complessa, intrecciata: da quali immagini, impulsi nasce? - Igiaba Scego: Prima di tutto, dal desiderio di raccontare che cosa succede alle donne quando una violenza attraversa il loro corpo, che sia violenza sessuale o violenza di guerra. Di violenze le donne somale ne hanno viste tante, soprattutto nel corso della guerra civile. Ma io volevo raccontare non solo di loro, ma anche di ogni altra donna, e mi interessava inoltre capire cosa succede dopo la violenza, qual e' il percorso per ricostruirsi una possibilita' di vita. * - Maria Vittoria Vittori: Tutti i personaggi femminili hanno una denominazione significativa: la Negropolitana, la Nus-Nus, la Reaparecida, la Pessottimista: e' forse il modo con cui la storia collettiva si salda a quella dei singoli? - Igiaba Scego: Anche se affronto temi complicati e dolorosi ho cercato di essere lieve e ironica, e questo e' visibile soprattutto nel personaggio di Zuhra, la Negropolitana. E certo, il nome gioca sullo stereotipo: ti appropri di quella parola orrenda che ti scagliano in faccia per offenderti e ne fai una bandiera. Sua madre e' la Pessottimista, in omaggio all'omonimo libro di Emil Habibi. Palestinesi e somali si somigliano moltissimo, i primi non hanno una patria, gli altri ce l'hanno, ma e' un territorio senza governo. Nus-Nus, che in somalo vuol dire mezza-mezza e' Mar, a meta' tra due mondi. Difficile condizione, quella degli immigrati di seconda generazione: ci trattano sempre da stranieri. La Reaparecida, infine, e' Miranda, la madre argentina di Mar, riuscita a scampare al destino dei suoi coetanei desaparecidos. * - Maria Vittoria Vittori: Come mai c'e' questa singolare mescolanza tra il destino dei somali e quello degli argentini? - Igiaba Scego: Nasce da un fatto personale. Avevo assistito alla presentazione del libro di Verbitsky Il volo ed ero rimasta fortemente colpita da quest'enorme tragedia dei desaparecidos. E mi venne da pensare, improvvisamente, che quelli che erano riusciti a mettersi in salvo in Italia, alla fine degli anni Settanta, s'erano ritrovati, a Roma, insieme ai somali in fuga da Siad Barre, proprio come i miei genitori. Da questa babele di corpi e di linguaggi si resta sconvolti, ma poi ho pensato che dovevo creare una struttura che riproducesse la diaspora somala e argentina. * - Maria Vittoria Vittori: Nel romanzo c'e' molto del passato remoto e del passato prossimo della Somalia. Come lo vede il presente? - Igiaba Scego: Penso che piu' ancora della dominazione di Mussolini siano stati deleteri quei dieci anni di amministrazione fiduciaria dell'Italia. Mio padre era tra quegli uomini politici che appartenevano alla Lega dei giovani somali, costretti dalle Nazioni Unite a prendere lezioni di democrazia proprio da un paese che era appena uscito dalla dittatura. Invece della democrazia - che, comunque, non si puo' apprendere da nessuno - i somali hanno appreso il malcostume politico e la corruzione. Hanno ripetuto gli errori altrui, in un contesto molto differente; e cosi' la corruzione si e' insediata all'interno del tribalismo, rendendo tutto molto piu' complesso e pericoloso. Quando e' arrivato Siad Barre, ha trovato il campo libero. La Somalia ne ha viste troppe: la dittatura, una guerra civile interminabile, la questione dei rifiuti tossici, il traffico di armi e di esseri umani, i signori della guerra, i fondamentalisti: una situazione intollerabile, di estrema violenza. In cui le vittime piu' vittime sono le donne. * - Maria Vittoria Vittori: Nel romanzo, che pure ha forti connotazioni sociali e politiche, c'e' un'attenzione particolare al corpo, e non solo delle donne. - Igiaba Scego: Noi siamo fatti del nostro corpo, che gioisce, che e' ferito, che soffre. Ma la politica non conosce il nostro corpo. Non conosce nemmeno il proprio. Due atteggiamenti in particolare mi colpiscono: la morbosita' che continua ad esserci intorno al corpo delle donne e l'indifferenza rispetto al corpo di alcune persone, come i rifugiati. Ecco, io penso che dovremmo tornare alla considerazione che non e' solo biologica ma anche e soprattutto politica di un corpo reale, vero, che ha bisogno di determinate cose come il cibo, l'ambiente, l'amore, il rispetto. * - Maria Vittoria Vittori: Oltre Babilonia e' anche oltre il "politicamente corretto". Perche' non ha paura di intaccare gli stereotipi buonisti, certi slogan melensi quanto fasulli. "Gli zoo sono ancora dentro di noi", scrive. E' proprio cosi'? - Igiaba Scego: Noi abbiamo svariati politici incompetenti e xenofobi e diciamo la verita': il razzismo non e' solo di destra, di governo. Anche in parte della sinistra serpeggia il razzismo, magari meno evidente, ma forse proprio per questo ancora piu' subdolo e pericoloso. Ma non per questo rinuncio a dire che anche molti africani, all'interno delle loro comunita', coltivano diffidenze e pregiudizi verso altre popolazioni. Il pregiudizio e' l'unica cosa che veramente ci affratella. * - Maria Vittoria Vittori: Visto da questa prospettiva che non fa sconti a nessuno, il razzismo che cos'e'? - Igiaba Scego: Fondamentalmente e' imbecillita', paura di chi non si conosce, rifiuto di conoscerlo. E mi sembra che in questo momento qualsiasi forma di diversita', in Italia, faccia paura. E invece, si deve contaminare, mescolare, riflettere e lavorare sul linguaggio perche' la lingua e' fondamentale per far crollare le barriere, attivare una politica di pedagogia antirazzista, allargare la rappresentanza degli immigrati di seconda generazione, per poter creare una societa' che include, e non esclude. Un'Italia vera e possibile, diversa da questa. Perche' noi italiani siamo decisamente migliori di chi ci rappresenta. 3. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: UNA PAROLA D'ORDINE INSENSATA [Dal quotidiano "L'Unita'" del 26 settembre 2008 col titolo "Tolleranza zero, l'ossessione dei potenti" e la nota redazionale "Pubblichiamo alcuni stralci dell'intervento di Luigi Ferrajoli al festival del Diritto che si svolge a Piacenza da oggi a domenica"] La tolleranza zero, cioe' l'impossibilita' del crimine, potrebbe forse essere raggiunta solo in una societa' panottica di tipo poliziesco, che sopprimesse preventivamente le liberta' di tutti, mettendo un poliziotto alle spalle di ogni cittadino e i carri armati nelle strade. Il costo della vagheggiata e comunque sempre illusoria "tolleranza zero" sarebbe insomma la trasformazione delle nostre societa' in regimi disciplinari e illiberali sottoposti alla vigilanza capillare e pervasiva della polizia. Laddove il connotato principale del diritto penale, in una societa' liberale, consiste precisamente nella tolleranza, a garanzia delle liberta' di tutti, della possibilita' materiale della trasgressione e nella sua prevenzione sulla sola base della minaccia della pena: nella difesa, in altre parole, della liberta' fisica della trasgressione in quanto vietata giuridicamente e non impossibilitata materialmente. Di tutto questo furono ben consapevoli i criminalisti della Scuola classica, che ammonirono contro il carattere assurdo e funesto dell'illusione panpenalistica e pangiudizialista. "La pazza idea che il giure punitivo debba estirpare i delitti dalla terra", scrisse Francesco Carrara, "conduce nella scienza penale alla idolatria del terrore". E prima di lui Gaetano Filangieri aveva scritto che solo un legislatore "tirannico" puo' illudersi e illudere che "le pene potranno interamente bandire dalla societa' i delitti", anziche' semplicemente "diminuirne il numero". E Mario Pagano, a sua volta, aveva messo in guardia contro lo zelo inquisitorio e le ideologie efficientiste, denunciando l'"arbitrario ed immoderato potere" che "fa d'uopo" lasciare "nelle mani del giudice" ove si voglia "che il piu' leggiero fallo non resti impunito", nonche' il prezzo "di necessarie violenze ed attentati sulla liberta' dell'innocente" che occorrerebbe pagare per la ricerca di ogni "occulto delitto". E tuttavia e' sulla base di questa insensata parola d'ordine che e' stata promossa in questi ultimi venti anni la crescita esponenziale, non solo in Italia, della carcerazione penale, senza che sia in alcun modo diminuita la criminalita' che queste politiche avrebbero dovuto ridurre a zero. Si tratta di un fenomeno di dimensioni gigantesche, che offre la prova piu' clamorosa dell'irrazionalita' delle politiche penali informate al progetto insensato della tolleranza zero. In tutti i paesi occidentali si e' prodotta in questi anni una vera esplosione delle carceri, che ha visto talora raddoppiare, come in Italia, e talora, come negli Stati Uniti, addirittura decuplicare la popolazione carceraria: una popolazione formata ormai quasi unicamente, come mostrano le statistiche giudiziarie di tutti questi paesi, da soggetti poveri ed emarginati: immigrati, neri, tossicodipendenti, detenuti per piccoli reati contro il patrimonio. Ma simultaneamente la criminalita', per effetto delle politiche informate alla vagheggiata tolleranza zero, non e' affatto diminuita. Negli Stati Uniti, al contrario, e' aumentata. Da un lato il numero dei detenuti ha raggiunto circa i due milioni e mezzo, senza contare i quattro milioni di cittadini sottoposti alle misure della probation o della parole: uno ogni cento abitanti, dieci volte di piu' che in Europa, otto volte di piu' che negli stessi Stati Uniti di trenta anni fa. Ma dall'altro il numero degli omicidi ha raggiunto il numero di circa 30.000 l'anno, che e' quasi dieci volte il numero degli omicidi che, nonostante le mafie e le camorre, accadono ogni anno in Italia. Aggiungo che il fenomeno si e' sviluppato, pur se in misura incomparabilmente inferiore, anche in Europa. Si tratta di una carcerazione di massa della poverta', generata da una degenerazione classista della giustizia penale, del tutto scollegata dai mutamenti della fenomenologia criminale e sorretta soltanto da un'ideologia dell'esclusione che criminalizza i poveri, gli emarginati, o peggio i diversi - lo straniero, l'islamico, l'immigrato clandestino - all'insegna di un'antropologia razzista della disuguaglianza. In ogni caso l'effetto della cosiddetta tolleranza zero e' stato, in termini di sicurezza, uguale a zero: perfino a New York, dove e' stata sbandierata come un grande successo del sindaco Giuliani, si e' risolto nel nascondere la polvere sotto il tappeto: nel far sparire vagabondi, spacciatori e piccoli criminali dal centro di Manhattan e nel costringerli a spostarsi in periferia. Il diritto penale, luogo, nel suo modello normativo, quanto meno della uguaglianza formale davanti alla legge, e' cosi' diventato, di fatto, il luogo della massima disuguaglianza e discriminazione. Esso non solo riproduce le disuguaglianze presenti nella societa', riproducendone gli stereotipi classisti e razzisti del delinquente "sociale" oltre che "naturale", ma ha codificato discriminazioni e privilegi con politiche legislative tanto severe con la delinquenza di strada quanto indulgenti con quella del potere. Si pensi solo, in Italia, all'introduzione di misure draconiane nei confronti della criminalita' di strada e dell'immigrazione clandestina e, insieme, all'edificazione di un intero corpus iuris ad personam finalizzato a paralizzare i vari processi contro il presidente del consiglio; simultaneamente - va aggiunto - a una campagna di denigrazione dei giudici: tanto piu' accusati di politicizzazione quanto piu' al contrario, prendendo in parola il principio dell'uguaglianza davanti alla legge, hanno cessato di essere condizionati dalla politica. Si sta cosi' producendo, in una misura ancor piu' massiccia che in passato, una duplicazione del diritto penale: diritto minimo e mite per i ricchi e i potenti; diritto massimo e inflessibile per i poveri e gli emarginati. Mentre nei confronti della delinquenza dei colletti bianchi la giustizia e' sostanzialmente impotente - si pensi solo alla prescrizione perseguita sistematicamente in questi processi da agguerriti difensori - nei confronti della delinquenza di strada la giustizia penale e' severissima. 4. RIFLESSIONE. CORNELIUS CASTORIADIS: MODERNI CONFORMISMI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 aprile 2007 col titolo "Moderni confromismi" e il sommario "Nel decennale della morte un testo inedito del filosofo greco-francese. Da 'Lettera Internazionale' in uscita in questi giorni anticipiamo una parte del saggio di Cornelius Castoriadis, scomparso nel 1997. E' una riflessione sul ruolo che riveste la cultura 'per tutti' nella societa' odierna. L'autore e' stato uno dei piu' importanti studiosi e critici delle ideologie del nostro tempo. Nella creazione culturale si stanno avverando le profezie piu' pessimistiche. Cio' che accade e' in stretto rapporto con l'inerzia e la passivita' sociale. L'arte moderna e' democratica anche se non corrisponde al gusto popolare"] Che cosa c'e' di piu' immediato, per coloro che ritengono di vivere in una societa' democratica, dell'interrogarsi sul ruolo che la cultura riveste nella societa' in cui vivono; tanto piu' che assistiamo con ogni evidenza a una diffusione senza precedenti di cio' che chiamiamo cultura e, contemporaneamente, all'intensificarsi delle istanze e delle critiche su cio' che viene diffuso e sulle modalita' della sua diffusione? C'e' un modo di rispondere a questo interrogativo che e', in realta', un modo per eluderlo. Da piu' di due secoli, si afferma che la specificita' del ruolo della cultura in una societa' democratica - al contrario di quanto succedeva nelle societa' non democratiche - risiede nel fatto che la cultura e' per tutti e non per questa o quella elite. Questo "per tutti", a sua volta, puo' essere inteso in un senso puramente quantitativo: la cultura di volta in volta esistente deve essere messa a disposizione di tutti, non solo "giuridicamente" (cosa che non succedeva, per esempio, nell'Egitto dei faraoni), ma anche sociologicamente, nel senso della sua effettiva accessibilita' - cosa alla quale dovrebbero servire oggi sia l'istruzione universale, gratuita e obbligatoria, sia i musei, i concerti pubblici, e cosi' via. (...) Prendiamo in considerazione la fase propriamente moderna del mondo occidentale, a partire dalle grandi rivoluzioni della fine del XVIII secolo, democratiche e di fatto decristianizzatrici, fino a circa il 1950, data approssimativa a partire dalla quale mi pare sia nata una situazione nuova. Qual e' il campo di significazioni che sottendono alla straordinaria creazione culturale che ha luogo nel corso di questo secolo e mezzo? Dal punto di vista del creatore, possiamo probabilmente parlare di un sentimento intenso di liberta' e di una ebbrezza lucida che lo accompagna. Ebbrezza dell'esplorazione di forme nuove, della liberta' di crearle. Queste forme nuove sono ormai esplicitamente ricercate per se stesse, non sorgono per sovrappiu' come in tutti i periodi precedenti. Ma questa liberta' resta legata a un oggetto; essa e' ricerca e instaurazione di un senso nella forma, o meglio, ricerca esplicita di una forma portatrice di un senso nuovo. Certo, c'e' anche un ritorno del kleos e del kudos antichi - della gloria e della rinomanza. Ma Proust lo ha gia' detto: l'atto stesso ci modifica cosi' profondamente che finiamo per non attribuire piu' tanta importanza agli impulsi che lo hanno generato, come l'artista "che si e' messo al lavoro per la gloria e nello stesso tempo si e' distaccato dal desiderio della gloria". Qui, l'attualizzazione della liberta' e' la liberta' di creazione di norme, creazione esemplare (come dice Kant nella Critica del giudizio) e, per questo, destinata a durare. E' il caso per eccellenza dell'arte moderna, che esplora e crea delle forme nel vero senso della parola. Con cio', anche se e' accettata con difficolta' dai suoi destinatari, e anche se non corrisponde al "gusto popolare", essa e' democratica, cioe' liberatrice. Ed e' democratica anche quando i suoi rappresentanti sono politicamente reazionari, come lo sono stati Chateaubriand, Balzac, Dostoevskij, Degas e tanti altri. (...) Il pubblico, dal canto suo, partecipa "per procura", per il tramite dell'artista, a questa liberta'. Soprattutto, e' preso dal senso nuovo dell'opera - e questo solo perche', nonostante le inerzie, i ritardi, le resistenze e le reazioni, e' un pubblico esso stesso creatore. La ricezione di una nuova grande opera non e' mai, e mai puo' essere, semplice accettazione passiva, ma e' sempre anche ri-creazione. E le societa' occidentali, dalla fine del XVIII secolo fino alla meta' del XX, sono state societa' autenticamente creatrici. In altre parole, la liberta' del creatore e i suoi prodotti sono, di per se', socialmente investiti. Siamo ancora in questa situazione? Domanda rischiosa, pericolosa, alla quale tuttavia non cerchero' di sottrarmi. Penso che, nonostante le apparenze, la rottura della chiusura di senso instaurata dai grandi movimenti democratici rischi l'oscuramento. Sul piano del funzionamento sociale reale, il "potere del popolo" serve da paravento al potere del denaro, della tecnoscienza, della burocrazia dei partiti e dello Stato, dei media. Sul piano degli individui si va affermando una nuova chiusura, che assume la forma di conformismo generalizzato. Ritengo che stiamo vivendo la fase piu' conformista della storia moderna. Si dice che ogni individuo e' "libero", ma di fatto ognuno riceve passivamente il solo senso che l'istituzione e il campo sociale gli propongono e gli impongono: il tele-consumo, fatto di consumo, di televisione, di consumo simulato attraverso la televisione. Mi soffermero' brevemente sul "piacere" del tele-consumatore contemporaneo. Al contrario di quello dello spettatore, uditore o lettore di un'opera d'arte, questo piacere comporta una sublimazione minima: e' soddisfazione surrogata delle pulsioni attraverso un atto di voyeurismo, e' un "piacere fisico" bidimensionale, accompagnato a un massimo di passivita'. Che cio' che la televisione presenta sia di per se' "bello" o "brutto", esso e' recepito passivamente, nell'inerzia e nel conformismo. Si e' proclamato il trionfo della democrazia come trionfo dell'individualismo. Ma questo individualismo non e' e non puo' essere forma vuota in cui gli individui "fanno cio' che vogliono" - non piu' di quanto la "democrazia" possa essere semplicemente procedurale. Le "procedure democratiche" sono di volta in volta intrise del carattere oligarchico della struttura sociale contemporanea - cosi' come la forma "individualistica" e' intrisa dell'immaginario sociale dominante, immaginario capitalistico della crescita illimitata della produzione e del consumo. Sul piano della creazione culturale, dove di certo i giudizi sono piu' incerti e piu' contestabili, e' impossibile sottovalutare l'aumento dell'eclettismo, del collage, del sincretismo invertebrato, e, soprattutto, non vedere la perdita dell'oggetto e di senso, che va di pari passo con l'abbandono della ricerca della forma, forma che e' sempre molto piu' che forma, perche', come diceva Hugo, essa e' il fondo che sale in superficie. Si stanno avverando le profezie piu' pessimistiche - da Tocqueville e dalla "mediocrita'" dell'individuo "democratico", passando per Nietzsche e il nichilismo, arrivando fino a Spengler, a Heidegger e oltre. Profezie teorizzate nel postmoderno con autocompiacimento arrogante e stupido. Se queste constatazioni sono, anche solo parzialmente, esatte, la cultura in una societa' "democratica" corre grandi rischi - di certo non per quanto attiene alla sua forma erudita, museale o turistica, ma per quanto riguarda la sua essenza creatrice. L'evoluzione attuale della cultura non e' senza rapporto con l'inerzia e la passivita' sociale e politica che caratterizzano il nostro mondo, ma la rinascita della sua vitalita', se deve avvenire, sara' indissociabile da un nuovo grande movimento sociale-storico che riattivera' la democrazia e le dara' di volta in volta la forma e i contenuti che il progetto di autonomia esige. Siamo turbati dall'impossibilita' d'immaginare concretamente il contenuto di una tale creazione - mentre e' proprio questo il bello di ogni creazione. Clistene e i suoi compagni non potevano ne' dovevano "prevedere" la tragedia e il Partenone - non piu' di quanto i membri della Costituente o i Padri Fondatori non avrebbero potuto immaginare Stendhal, Balzac, Flaubert, Rimbaud, Manet, Proust o Poe, Melville, Whitman e Faulkner. La filosofia ci mostra che sarebbe assurdo credere di avere ormai esaurito il pensabile, il fattibile, il formabile, cosi' come sarebbe assurdo porre limiti alla potenza della formazione che sempre risiede nell'immaginazione psichica e nell'immaginario collettivo sociale-storico. Ma la stessa filosofia non ci invita a constatare che l'umanita' ha attraversato periodi di cedimento e di letargia, tanto piu' insidiosi quanto piu' sono stati accompagnati da cio' che chiamiamo "benessere materiale". Ammesso che coloro che hanno un rapporto diretto e attivo con la cultura possano contribuire a far si' che questa fase di letargia sia quanto piu' possibile breve, cio' sara' possibile solo se il loro lavoro restera' fedele ai principi di liberta' e di responsabilita'. 5. LIBRI. ENZO BIANCHI PRESENTA "IL MEDITERRANEO E L'EUROPA" DI PREDRAG MATVEJEVIC [Dal supplemento librario "Tuttolibri" del quotidiano "La stampa" del 20 settembre 2008 col titolo "Un uomo-ponte tra asilo e esilio" e il sommario "Nel 'Mediterraneo e l'Europa' l'approccio laico di Matvejevic ai problemi della convivenza civile"] Ci sono persone che nel loro corpo, nella loro esistenza recano le impronte di fratture, lacerazioni, ponti, rive e incroci che paiono quasi invocare confronti e riconciliazioni. Cosi' e' di Predrag Matvejevic, nato a Mostar (letteralmente "antico ponte", mirabile costruzione sulla Neretva, distrutto durante il conflitto bosniaco e ora ricostruito) da padre russo ortodosso e da madre cattolica croata della Bosnia. Il padre conobbe i campi di lavoro forzato dei nazisti, i parenti paterni soffrirono nei gulag e anche dopo la caduta del regime sovietico non riapparvero nella vita pubblica e politica perche' "il coraggio di cui hanno dato prova negli anni del comunismo ricorda ad altri la loro debolezza: continuano a essere sgraditi". Non sorprende allora che un uomo-ponte come Matvejevic - sempre in bilico, dopo il crollo della Jugoslavia, tra "asilo ed esilio" - abbia dedicato tante sue energie intellettuali al Mediterraneo, mare che unisce o separa due sponde (in realta', una molteplicita' di sponde) cosi' simili e cosi' diverse. A questo mare e al suo rapporto con il nostro continente Matvejevic ha dedicato in particolare una serie di lezioni al College de France, pubblicate nel 1998 e riprese ora, ancora attualissime, nel volume Il Mediterraneo e l'Europa (Garzanti, pp. 150, euro 9,50) arricchito da una nuova postfazione su laicita' e laicismo. E' proprio questo approccio "laico" ai problemi della convivenza civile che fa dell'autore cosmopolita una memoria scomoda per tutti quanti vogliono scordare un passato che "non ha dappertutto lo stesso peso, ma sembra pesare ovunque". L'onesta' intellettuale di Matvejevic l'ha anche portato a denunciare in un articolo come "nostri talebani" quegli scrittori che si erano messi al servizio della macchina di istigazione bellica dei leader nazionalisti di Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina: per questo venne condannato a cinque mesi di carcere con la condizionale. Lui reitero' l'accusa e torno' a Zagabria rendendosi cosi' passibile di arresto pur di non far tacere il grido di giustizia e di fronteggiare quella che lui considera "non piu' una semplice crisi della cultura, ma peggio: una crisi di fiducia nella cultura" e nel ruolo etico degli intellettuali. Forse sono proprio quelle faglie di divisione che hanno lacerato la carne e il cuore di Predrag Matvejevic che hanno suscitato in lui non solo una profonda sofferenza, ma anche una rara capacita' di discernere l'altro e di gettare ponti tra le rive del fiume Neretva come tra le sponde del Mediterraneo e l'Europa. 6. LIBRI. DUNYA CARCASOLE PRESENTA "MILLE SPLENDIDI SOLI" DI KHALED HOSSEINI [Dal quotidiano "L'Arena" del 5 giugno 2007 col titolo "Una storia afghana al femminile" e il sommario "Mille splendidi soli, di Khaled Hosseini, e' comparso in libreria da pochi giorni e non sorprende sia gia' un best seller. Due donne unite dalle avversita' e da un destino di sottomissione. Il romanzo ha tutte le carte in regola per soddisfare i vecchi lettori dello scrittore e per catturarne molti di nuovi"] Mille splendidi soli e' comparso in libreria per i tipi di Piemme da poco piu' di una settimana e non sorprende sia gia' un best seller. Con andatura delicata Khaled Hosseini accompagna il lettore lungo il filo della storia e, senza mai incespicare o sbagliare un incrocio, raggiunge le menti ed apre i cuori. Racconta la vita di due donne, divise da una strada e quindici anni. Miriam, allontanata dal mondo e dalla felicita' fin da bambina, cresciuta nella consapevolezza di dover piegare l'orgoglio di fronte alle richieste di un uomo, e' succube e al contempo artefice di una debolezza che in realta' e' forza d'animo e capacita' di sopportazione. E' "come una roccia nel letto di un fiume, che sopporta senza lamentarsi". Laila invece e' stata educata a raggiungere i propri obiettivi a testa alta. Tutto in lei parla di emancipazione secondo il modello occidentale, dall'abbigliamento alla raffinata istruzione. Perfino i riccioli biondi che le incorniciano il viso sembrano cosi' poco mediorientali. Eppure anche la ragazza forbita che avrebbe dovuto diventare l'orgoglio del padre, a cui l'amica Hasina ripeteva "un giorno prendero' in mano un giornale e trovero' la tua foto in prima pagina", e' costretta a chinare il capo. Due donne cosi' diverse si troveranno unite dalle avversita' e da un comune destino di ubbidienza e sottomissione. Ma questo romanzo e' anche e soprattutto uno sguardo su cinquanta anni di storia afgana attraverso gli occhi delle donne che, come incendi, hanno visto accendersi le speranze in un futuro migliore per poi osservarle inermi, lacerate sotto le bombe assieme ai propri padri, figli e mariti. Testimoni della guerra da sotto il burqa, che le affligge ma talvolta quasi le protegge, non possono vedere ne' a destra ne' a sinistra, solo diritto avanti a se' attraverso la grata. Stando attente a non inciampare nell'orlo della tunica attendono lo svolgersi degli eventi, rimanendo ignare alle logiche belliche e sorde agli ideali che portano gli uomini a combattere. Quando mancano acqua, cibo e liberta' importa poco se sono i sovietici, i mujahidin, i talebani o gli americani a governare il Paese. Mille splendidi soli ha tutte le carte in regola per soddisfare chi ha deciso, dopo Il cacciatore di aquiloni, di rinnovare la sua fiducia allo scrittore, e per catturare l'attenzione di molti altri lettori. E' un libro profondo; l'argomento trattato farebbe scivolare molti nella retorica mentre Hosseini riesce a descrivere l'Afghanistan con lo sguardo delle sue donne, senza sbavature ne' prese di posizione, guardando sempre dritto e appellandosi solo alla legge del buonsenso. Aderenza al vero ed imparzialita' non basterebbero ad elevare questo testo da garbata denuncia di un profugo politico a splendido romanzo. E' lo stile pulito e mai fuori dalle righe che ne fa un libro da leggere senza mai staccare gli occhi, lasciandosi guidare per mano attraverso le tappe piu' importanti della storia delle protagoniste e del loro Paese. 7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti". E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009", una copia: 10 euro. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, il costo e' di 10 euro a copia. Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 680 del 25 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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