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Nonviolenza. Femminile plurale. 226
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 226
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 25 Dec 2008 10:55:05 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 226 del 25 dicembre 2008 In questo numero: 1. Ina Praetorius: Il mondo come ambiente domestico. Per un'economia postpatriarcale 2. Giovanna Providenti: Scelte di vita nella non vita 3. Giancarla Codrignani: Giovani israeliane contro l'occupazione 1. RIFLESSIONE. INA PRAETORIUS: IL MONDO COME AMBIENTE DOMESTICO. PER UN'ECONOMIA POSTPATRIARCALE [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento di Ina Praetorius (1) dal titolo "Il mondo come ambiente domestico" e la nota redazionale "Di seguito trovate l'intervento di Ina Praetorius 'Il mondo come ambiente domestico', tratto dal libro La vita alla radice dell'economia, a cura di Vita Cosentino e Giannina Longobardi. Il libro e' reperibile sul sito www.magverona.it, cliccando dall'home page sulla sezione a sinistra news e andando poi alla seconda pagina delle news, dove si trova la presentazione del libro La vita alla radice dell'economia"] Il 10 marzo 2006 Claudia von Werlhof, una nota docente tedesca di scienze sociali, mi racconto' qualcosa che, per dire il vero, sapevo gia': l'etimologia spiega molte cose, disse, ed e' meglio che la utilizziamo entrambe per capire meglio il mondo. Poiche' ogni concetto abbastanza rilevante dispone di un significato originario che riconduce a una societa' non ancora patriarcale, cioe' a una societa' che non aveva ancora imparato a staccare una sfera alta maschile da una sfera bassa femminile. Come gia' detto, lo sapevo gia', ma non l'avevo mai pensato in modo cosi' chiaro e lampante. Il concetto "materia" per esempio risale alla parola "mater", cioe' madre (da quando ho chiaro questa cosa trovo strano, e succede spesso, che qualcuno parli di materia morta o di puro materialismo). Parole apparentemente cosi' diverse come ingenuita' (Naivitaet) e natura risalgono alla parola nasci che significa essere nati; cultura intende originariamente la cura del corpo e dei campi, il testo ha a che fare con tessile e crea una connessione tra prodotti di tessitura e testi verbali, ecc. Talvolta e' importante che un'altra mi dica cio' che so gia'. Aiuta a chiarire le idee e a rendere piu' solido il proprio pensiero. Anche la parola economia ha un interessante significato originario ma di questo oggi non si parla quasi mai. Per quanto io ricordi bene non ho mai letto nelle pagine economiche di un giornale che economia significa originariamente "legge dell'ambiente domestico" (2). Nei manuali di economia talvolta si spiega nell'introduzione questa connessione. Nelle prime pagine si legge anche che il senso dell'economia e' quello di soddisfare i bisogni. Nelle pagine successive, comunque, non si parla piu' ne' di ambiente domestico ne' di soddisfazione dei bisogni bensi' di soldi e mercato, di costo del lavoro e di formazione dei prezzi, si vedono grafici che rappresentano l'andamento della domanda e i cicli di congiuntura, si parla di inflazione, deflazione, interessi e interessi composti, di prodotti finanziari, bilancia di pagamento, di styling, marketing, coaching, consulting, outsourcing, grounding, crash... E' vero che sempre piu' persone sembrano sviluppare un'avversione verso questi discorsi economici perche' scambiano la cosa prima con la cosa seconda (3). Avvertono che un discorso e la sua messa in pratica che mette al centro i soldi invece dei bisogni si rivolge contro la vita. Si crede che la soddisfazione dei bisogni si risolva da se' quando si aumenta la circolazione del denaro. Ho avvertito chiaramente questo tipo di disorientamento quando ho partecipato nel gennaio del 2007 per la terza volta (4) all'"Open forum" i Davos, il forum aperto al pubblico del World economic forum. Nel 2006 la maggioranza dei partecipanti riteneva ancora il cambiamento climatico una fantasia nata dalle teste di pazzi/e antiglobali. Nel 2007 invece quasi tutti si sono resi conto che si deve "fare urgentemente qualcosa" per il clima. Questo evidente cambiamento di tendenza non vuol certo ancora dire che siano diventati lampanti i capovolgimenti e gli errori nel pensiero e nell'agire economico attuale. Non abbiamo ancora ottenuto questa consapevolezza, almeno non ancora a Davos. Ma comunque si fa strada lentamente una sensazione: non si e' piu' certi che i dogmi, che hanno rappresentato il fondamento da tanto tempo, possano servire veramente, a lungo andare, a costruire una vita soddisfacente. Il fatto che su scala mondiale sempre piu' persone siano sotto la soglia della poverta' e, come sempre, migliaia di persone muoiano di fame, si puo' rimuovere come problema quando si vive nelle roccaforti del potere lontano dagli slums. Ma gli uragani, le ondate di caldo, inondazioni e nubi tossiche arrivano, alle volte, anche nelle ville dei padroni. Per questo motivo le catastrofi climatiche si possono tacere meno facilmente di quelle sociali. Il cambiamento postpatriarcale nei sentimenti di chi e' al potere, causato da queste catastrofi, e' una speranza per tutti coloro che vogliono ripensare tutto o hanno gia' iniziato a farlo. La mia conferenza vuole partire da questo presupposto del disorientamento, quello che ho avvertito chiaramente quest'anno a Davos e anche in altri luoghi. Vorrei mettermi assieme a un tavolo con persone che sentono questo disorientamento e vorrei porre di nuovo alcune domande decisive: - Chi siamo noi esseri umani? - Cosa ci tiene in vita e cosa fornisce senso alla nostra esistenza? - Come possiamo essere qui presenti ed essere attivi senza nuocere all'altro e senza rendere impossibile una vita buona ai nostri discendenti? * Chi siamo noi esseri umani? Nessuno in questa sala, suppongo, ha piu' di cento anni. Quasi nessuno dei sei miliardi e mezzo di abitanti di questo pianeta vive per piu' di cento anni. Tutti noi siamo allora stati messi al mondo dalle nostre madri pochi decenni fa. Eravamo dei neonati bisognosi di aiuto, piangenti e con il naso pieno di muco. Ignoriamo completamente da dove veniamo e dove siamo diretti dopo la morte, ma sappiamo in compenso che nessuno e nessuna si e' creato da se', nessuno/a ha deciso se vuole nascere in una villa, un ospedale altamente specializzato oppure in una stalla. In genere non abbiamo nemmeno deciso chi ci debba accompagnare durante gli anni della crescita e quale scuola frequentare. Veniamo dalla dipendenza e se non ci avessero donato molti anni di cura non saremmo piu' in vita. Ancora oggi, una gran parte di cio' che ci serve per vivere, ci viene regalato: l'aria che respiriamo per esempio, la bellezza o il vero amore che illuminano l'esistenza. Nessuna e nessuno di noi potrebbe vivere anche solo per cinque minuti senza l'aria. Siamo tutti quanti adulti e ci autoconsideriamo autonomi e indipendenti. Certo siamo contemporaneamente liberi: liberi in tutta la nostra dipendenza da altri (5). Fin dalla mia nascita cerco di gettare nel gioco del mondo, agendo, "la cosa nuova che e' successa quando sono nata" (6). Liberta' non significa niente di diverso. Se le persone non fossero libere, non avrebbero potuto decidere che le madri siano materia bassa, e che i padri siano invece delle divinita'. Non avrebbero potuto dichiarare che l'autonomia debba essere il fine ultimo, non avrebbero potuto costruire condutture per l'acqua, neanche strumenti musicali oppure aerei. Se le persone fossero comunque solo libere - cosa che desiderano talvolta in modo eccessivo - potrebbero anche decidere di non respirare piu', di non morire piu' e di sovrapporre al mondo reale un mondo fittizio senza peraltro correre qualche rischio. Tuttavia tutto questo non e' possibile all'essere umano anche se si sforza da secoli di proiettare la sua dipendenza e debolezza su altri: sulle donne per esempio, tempo addietro sulle schiave e gli schiavi, oggi su gente di ogni genere, che, secondo loro, non ha cio' che chiamano cultura, e sugli animali. In effetti sviluppi come il cambiamento globale del clima dimostrano una cosa: tutti e tutte dipendono da cio' che non possono produrre di propria iniziativa: dall'aria, dall'acqua, dalla terra, dal fuoco, da animali e piante, da tradizioni e dal tessuto relazionale umano (7). Le persone credenti conoscono un nome per la cosa non disponibile che era prima di loro e che da' loro quotidianamente nutrimento: lo chiamano Dio. Piu' che guerre e catastrofi sociali che si possono ritenere necessarie - per esempio per un bene futuro - i cambiamenti ecologici ci fanno presente che le idee che riguardano l'uomo libero sono un fantasma che alla fine si rivolge contro tutti quanti, anche a dispetto del progresso. * Oikonomia come base di "liberta'" dell'uomo benestante In Occidente a partire dall'antichita' greca e, a condizioni anche piu' intense, dalla nascita del colonialismo e della societa' borghese, il dibattito economico corrente si basa su un fantasma: la separazione in una sfera piu' alta, cioe' spirituale, intellettuale, maschile e un'altra bassa, animale e femminile. Il mondo viene diviso, generalmente in modo implicito, in spirito e corpo, cultura e natura, dio e mondo, liberta' e dipendenza, polis e oikos, vincitori e perdenti, oggi: mercato e ambiente domestico, produzione e riproduzione, denaro e amore, mondo pubblico e privato. Ma cosi' e' cominciato tutto. L'oikonomia fu definita all'epoca dell'antichita' greca come dottrina che riguarda il rapporto utilitario con le merci, le quali servivano alla soddisfazione dei bisogni dei componenti di una casa. La domanda piu' importante da porsi era la seguente: come puo' un padrone di casa condurre il suo oikos (che poteva comprendere una casa padronale, terreno, fabbricati per la produzione agricola, laboratori e aziende commerciali (8)) in modo che tutti i componenti abbiano abbastanza per vivere e il padrone dell'oikos abbia, inoltre, abbastanza per l'esercizio della sua liberta' e che l'ambiente domestico possa conservarsi intatto nel tempo? Il poeta Esiodo, gia' vari secoli prima di Cristo, aveva riassunto in una formula breve gli elementi essenziali dell'economia patriarcale: "Prima di tutto solo una casa e la donna e un bue davanti all'aratro" (9). Gia' gli insegnamenti antichi sull'economia dicono che nel caso della soddisfazione dei bisogni si tratta di lavori di livello basso perche' riguardano soprattutto il lato fisico dell'essere umano. Il rapporto quotidiano con i bisogni ineliminabili, cioe' con il nutrimento e con la sua espulsione in senso lato, e' per questo compito delle schiave/i e delle donne, mentre il padrone di casa, da una parte, predispone in che modo i sottoposti debbano lavorare, ma dall'altra ha un altro traguardo suo, cioe' di impegnarsi nel governo della vita pubblica, nella filosofia, nella teoria e nella organizzazione dello stato. Per gli antichi pensatori dell'economia, tutto cio' che aveva a che fare con l'economia era una parte importante, ma anche molto limitata della convivenza. Il compimento pratico di questi lavori era compito di coloro che non erano nati liberi. Il commercio e con esso la circolazione del denaro era considerato parte dell'arte domestica, perche' entrambi erano legati alla soddisfazione dei bisogni. Nella crematistica, cioe' l'arte di guadagnare denaro per il denaro, gia' Aristotele vide il pericolo della sfrenatezza, che doveva essere moderata facendo in modo che il padre-padrone governasse moderatamente e responsabilmente il patrimonio affidato a lui (10). E questo e' il seguito: oggi il compito piu' importante per uomini liberi non e' piu' la creazione di teorie e l'organizzazione finalizzata/adeguata dello Stato bensi' il mercato e la circolazione del denaro (oppure ancora meglio: entrambe le cose assieme, vedi Silvio Berlusconi). A partire dall'inizio del XVIII secolo al posto dell'insegnamento aristotelico riguardo alla moderazione virtuosa dell'avidita' e' subentrata gradualmente l'idea che i bisogni umani si potevano soddisfare meglio quando il singolo poteva curare liberamente i propri interessi. Come gia' nei testi di Aristotele si intendeva in primo luogo il padre-padrone, cioe' uomo adulto e libero che poteva delegare il soddisfacimento dei bisogni ai suoi sottoposti. Nel corso dello sviluppo della societa' borghese e del capitalismo la divisione del mondo in due si e' realizzata anche nell'economia: ora si distingue fra una sfera dipendente dell'ambiente domestico (11), che resta responsabile della necessaria soddisfazione dei bisogni, e un'altra sfera piu' alta, quella dell'economia del denaro (economia finanziaria) che si e' autodefinita come la parte decisiva dell'economia e che attira su di se' in misura sempre maggiore l'attenzione della gente. In modo analogo molti distinguono ancora oggi fra il primo mondo e il terzo mondo e ritengono naturale che si decida nel primo mondo cosa deve essere prodotto nel terzo mondo (12). Circolano, particolarmente nel XVIII e nel XIX secolo, delle teorie per legittimare la cosiddetta naturale predisposizione alla sottomissione delle donne, delle culture e "razze" lontane. I sostenitori di tali teorie hanno fatto scomparire nei dibattiti extraeconomici, nei razzismi e nel sessismo ma anche nei discorsi poetici e religiosi, le prestazioni economiche prodotte nell'ambiente domestico e nelle terre lontane subordinate. Il denaro che in origine era uno strumento abbastanza insignificante dei commercianti, ha assunto l'importanza di uno strumento di nutrimento (13), di cui tutti hanno bisogno e che simboleggia contemporaneamente la potenza della virilita' libera (14). Cio' di cui Aristotele aveva paura, e cio' che lui intendeva impedire scrivendo la sua dottrina sulla virtu', si e' verificato: il mercato mondiale, dominato sempre piu' dal mercato finanziario, si allontana dal soddisfacimento dei bisogni umani e si rivolge contro l'esistenza e l'agire umano che era un dono dell'abbondanza. In questa sfera si muovono uomini apparentemente liberi (15) e, per i successi del femminismo egualitario, anche alcune donne per realizzare le loro fantasie di immortalita' e di fertilita' virtuale. Oggi tutti i settori dell'economia che si occupano dei bisogni primari sono esclusi dal dibattito economico e sono ritenuti insignificanti rispetto all'economia finanziaria: l'economia domestica, l'agricoltura a gestione familiare, i lavori di riparazione, la prevenzione e la cura. Il lavoro, dove occorre davvero aiuto, e' considerato sempre meno appartenente all'economia mentre il plusvalore, in settori sempre nuovi che creano un bisogno indotto, e' ritenuto il cuore dell'economia. Contro ogni necessita' sociale ed ecologica il consumismo e' diventato la colonna portante del cuore d'acciaio del capitalismo (16) ed e' diventato un dovere delle cittadine e dei cittadini (17) mentre migliaia di uomini e donne continuano a morire di fame e per mancanza di igiene. La divisione del mondo causata dal principio organizzativo patriarcale e' mortale per tante persone (naturalmente sappiamo, tutti e tutte, che ci siano stati certi movimenti che hanno contestato il capitalismo e che hanno anche raggiunto degli obiettivi. Ma siccome trascurano la bipartizione su basi sessiste che e' il nocciolo del capitalismo anche io trascurero' questi movimenti perche' non si basano su una analisi corretta). * Vita postpatriarcale Comunque esistono, e sono sempre esistiti, molti uomini e donne che avevano capito che questa bipartizione era una fantasma senza futuro. Loro si riconoscono dal fatto che non si fanno dettare il loro stile di vita dalle riviste di moda. Per esempio a loro piace cucinare e stare seduti nel parco. Sanno che anche a New York la vita puo' essere molto noiosa e stanno per questo a casa. Spesso non hanno assicurazioni sulla vita e non hanno fatto carriera e non sanno molto dell'andamento della borsa. La loro agenda non e' fitta di appuntamenti e forse non hanno visto tutti i continenti del globo. Talvolta scrivono una poesia mentre puliscono il bagno. Non ritengono umiliante portare via gli escrementi degli altri, se non lo fanno per l'intera giornata e per condizione sociale. Sono a favore di un reddito di base per tutti perche' sono convinti che la maggior parte delle persone vuole impegnarsi in cose sensate anche senza obbligo, o forse proprio perche' non esiste un obbligo, per esempio ascoltare i loro figli o piantare delle verdure. Le cose che non nuocciono a nessuno sono la loro occupazione preferita: fanno le passeggiate o leggono - raramente l'inserto economico dei giornali. Comprano vestiti di seconda mano, talvolta fatti da se' e non sempre stirati bene. Questa gente ama stare a letto o in un'amaca e trovano bello ed interessante che assieme a loro ci sono sei miliardi e mezzo di importanti uomini e donne che abitano questo pianeta assieme ad innumerevoli altri esseri viventi, quell'unico mondo di cui possiamo disporre. Hanno un po' di paura delle malattie e della vecchiaia, ma non troppa. Trovano urgente fare qualcosa per sostenere il clima e costruiscono per questo protezioni termiche nelle case. Nonostante il cambiamento climatico godono del clima piu' mite che ha portato una primavera anticipata. Non tutte le persone che si sono rese conto che il patriarcato sta per finire sono intellettuali e scrivono libri. Molti mettono semplicemente in pratica l'arte della trasgressione che non e' altro che un'arte di ridimensionamento e di godimento. Essi sono l'avanguardia di una convivenza postpatriarcale: un'avanguardia che non e' appariscente e che non ha niente in comune ne' con l'ascetismo cristiano ne' con il protagonismo rivoluzionario. Io invece sono una lavoratrice del pensiero. Il mio lavoro consiste nel proporre a coloro che gia' vivono in modo postpatriarcale (o non ancora) parole adatte in modo che possano capire e possano esprimere cio' che stanno facendo. Sento anche che e' compito mio litigare con coloro che credono ancora nella bipartizione del mondo. Essi sono convinti che si tratti di procurarsi a fatica un posto nella sfera alta di questo mondo bipartito. Prima ho affermato anche che voglio confrontarmi con coloro che nel frattempo hanno avvertito, fra le due posizioni, un vago senso di disorientamento. Ora voglio per questo proporre alcune parole adeguate a comprendere teoricamente le economie postpatriarcali. * Il mondo come ambiente domestico Il significato originario del concetto di "economia" e' dunque "legge dell'ambiente domestico". Come potrebbe essere allora la legge per un intero ambiente domestico mondiale che non attribuisce piu' agli uni una indipendenza illusoria e che impone agli altri che il loro compito contemporaneamente umile e naturale sia la soddisfazione dei veri bisogni? Cerco di fare delle ipotesi provvisorie: 1. Nei concetti "ambiente domestico" e "mercato" riconosciamo due modalita' essenzialmente diverse per descrivere il tessuto relazionale delle faccende umane. 2. Nel concetto "mercato" il tessuto relazionale appare come un sistema di scambio, nel quale individui uguali, uomini e adulti, seguendo dei contratti, si mettono in relazione. Scopo e contenuto del loro rapporto e' essenzialmente scambiare per denaro merci e servizi contrattando condizioni razionali. Facendo cosi' essi cercano di ottenere un vantaggio per se' (la soddisfazione di bisogni umani e' solo un prodotto secondario ma automatico). In che modo questi "homines oeconomici" diventino soggetti autonomi liberi e uguali non si considera, perche' implicitamente si suppone una sfera pre-economica, generalmente la famiglia o l'ambiente domestico, dove i partecipanti al mercato vengono generati e rigenerati seguendo regole "diverse", estranee all'economia dove lo scambio calcolabile e' compensato da azioni come "regalare" e "amare". 3. Il concetto "ambiente domestico" indica allora in un dibattito androcentrico - s'intende in questo caso concentrato sul mercato - l'unita' di consumo dipendente sotto il governo di un padre-padrone monarchico e pre-economico, nel quale gli "homines oeconomici" si sentono a casa. Nei fatti comunque gli ambiente domestici erano da sempre qualcos'altro, cioe' unita' economiche, nelle quali le persone soddisfano i loro bisogni, nei quali si produce e si scambia qualcosa - perche' non si scambia merce con denaro e non esistono prezzi esattamente calcolati. Oggi l'ambiente domestico in molta parte del mondo non si intende piu' neanche de jure come piccoli regni all'interno di stati democraticamente costituitisi. La trasformazione che questa nuova concezione della convivenza umana comporta per il dibattito economico e per l'agire economico resta ancora da compiere. 4. In una visione postpatriarcale questo concetto "ambiente domestico" intende un tessuto relazionale, nel quale convivono diverse persone contemporaneamente libere e dipendenti da altri - donne, bambini, uomini, giovani, vecchi, diversamente abili - in modo che ogni singolo uomo o donna possa soddisfare i propri bisogni sempre diversi contraendo dei rapporti di scambio variabili: bisogni di nutrimento, protezione, abbigliamento, compagnia, senso di vita ecc. Contemporaneamente avrebbero anche la possibilita' di partecipare liberamente alla cosa pubblica (frei Welt gestalten). Siccome l'ambiente domestico per definizione non domina una sfera piu' bassa alla quale potrebbe delegare la soddisfazione di certi bisogni - come peraltro nel mercato - devono trovare in esso posto tutte le persone con tutti i loro bisogni e con tutte le loro capacita'. 5. Nel senso della definizione postpatriarcale il concetto "ambiente domestico" potrebbe diventare un modello per la convivenza in tutto il mondo. Siccome il mondo e', come l'ambiente domestico postpatriarcale, un rifugio che offre a tutte le persone una quantita' d'occasioni, tenendo presente i loro limiti che sono l'essere nati, la morte, l'essere bisognosi e vulnerabili. In questo modo potrebbero restare contemporaneamente liberi e dipendenti da altre ed altri. 6. Pensare il mondo come ambiente domestico postpatriarcale vorrebbe anche dire creare ordine nel pensiero: porre al centro cio' a cui spetta il centro, spostare al margine cio' a cui spetta una posizione marginale. Significherebbe anche porre al posto della patriarcale bipartizione del mondo e del conseguente capovolgimento di realta' primaria e realta' secondaria, una visione dinamica della liberta' in relazione con altri ed altre (18). 7. Se il mercato viene di nuovo concepito come un tessuto relazionale secondario allora perde la sua minaccia e puo', limitatamente, avere di nuovo la sua utilita' come istanza distributrice di eccedenze. Anche un mercato globale non e' angosciante se e' chiaro che esso e' un sistema secondario di scambio e non e' in grado di soddisfare i bisogni umani per nutrimento, abbigliamento, compagnia, partecipazione, senso. Deve percio' essere sempre integrato in una sfera primaria che e' quella domestica mondiale. * Note 1. Ina Praetorius e' dottora in teologia, autrice di testi, docente, casalinga e madre di una figlia. Da anni ha fondato insieme ad altre donne in Svizzera "Weibwerwirtschaft", un gruppo di riflessione sull'economia ripensata a partire dalla competenza femminile. Quella competenza dell'esserci di cui parla in un discorso pubblico tenuto nel 2000 a insegnanti di economia domestica, pubblicato nel n. 60 della rivista "Via Dogana", La filosofia del saper esserci. Un altro scritto tradotto in italiano e' stato pubblicato dal trimestrale "Oggi Domani Anziani", con il titolo "Pensare il mondo come ambiente domestico". Nell'agosto 2006 e' intervenuta al XII simposio "Il pensiero dell'esperienza" dell'Associazione Internazionale delle Filosofe organizzato dall'universita' di Roma Tre, nella sezione Vita quotidiana. I suoi principali studi non sono ancora tradotti in italiano. 2. Oikos in greco = ambiente domestico; Nomos in greco = legge. Oikonomia = regole dell'ambiente domestico. 3. Ina Praetorius, Handeln aus der Fuelle. Postpatriarchale Ethik in biblischer tradition, Guetersloh 2005. 4. Cfr. Ina Praetorius, Mit dem Mut und der froemmigkeit davids, in: "Neue Wege" 06/2005, pp. 184-191; Ina Praetorius, NoBalance. Bericht ueber das Open Forum 2006 a Davos, in: "Neue Wege" 03/2006, pp. 76-83. 5. Cfr. Ina Praetorius (a cura di), Sich in Beziehung setzen. Zur Weltsicht der Freiheit in Bezogenheit, Koenigsstein/Taunus 2005. 6. Hannah Arendt, Vita activa oder vom taetigen Leben, Muenchen 1986, p. 199. 7. Ivi, p. 171. 8. Rosemarie von Schweitzer, Einfuehrung in die Wirtschaftslehre des privaten Haushalts, Stuttgart 1991, p. 51. 9. Esiodo citato in Aristotele, Politica, I libro (Hamburg 1981, p. 48). 10. Rosemarie von Schweitzer, 1991, p. 56. 11. Simili all'ambiente domestico sono altre forme d'impresa oggi emarginate come l'azienda agricola a gestione familiare, le trattorie, i bar e i collegi ecc. 12. Per il nesso fra ambiente domestico e colonie vedi anche Claudia von Werlhof (Hg), Frauen, die lette Colonie, Reinbeck 1983; Vandana Shiva, Das Geschlecht des Lebens. Frauen, Oekologie und Dritte Welt, Berlin 1989. 13. Cfr. www.gutesleben.org 14. Cfr. Luce Irigaray, genealogie der geschlechter, Freiburg 1989, pp. 121-143; Mascha Madoerin, die Oekonomie und der Rest der Welt. Ueberlegungen zur Problematik einer feministischen Politischen Oekonomie, in: Diskussionskreis "Frau und Wissenschaft" (Hg). Oekonomie weiter denken!, Frankfurt/New York 1997, pp. 78-106. 15. Cfr. Ina Praetorius, Die Welt: ein Haushalt, Mainz 2002, pp. 150-161. Zur Verengung des Freiheitsbegriffs in der Marktoekonomie. Cfr. anche Peter Ulrich, Der ethisch-politisch eingebettete Markt - programmatische Ueberlegungen zu einer Praktischen Sozialoekonomie, in: Maren Jochimsen (ua. Hg.), Lebensweltoekonomie, Bielefeld 2004, pp. 55-81. 16. Max Weber citato da Ursula Baatz, Buddismus, Kreuzlingen/Muenchen 2002, p. 91. 17. Cfr. Marianne Gronemeyer, Die Macht der Beduerfnisse. Ueberfluss und Knappheit, Darmstadt 2002. 18. Cfr. Ina Praetorius (Hg.), cit. alla nota 5. 2. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: SCELTE DI VITA NELLA NON VITA [Dal sito del Circolo Bateson (www.circolobateson.it) riprendiamo la relazione tenuta da Giovanna Providenti sul tema "Certi vantaggi/svantaggi di scelte controcorrente: scelte di vita nella non vita" al seminario del circolo del 13-14 dicembre 2008 "Intorno al doppio vincolo"] In questo momento della mia vita e della mia ricerca di studiosa la cosa che piu' m'interessa approfondire e' la questione del cambiamento, inteso come esperienza reale di trasformazione. Si tratta di un processo lento e profondo di formazione/cambiamento che non e' solo frutto di conoscenza, ma in cui avviene un reale e radicale lavoro sul se', di passaggio di coscienza. Questo processo di mutamento ha molto a che fare con quello che Gregory Bateson afferma nella frase citata a introduzione di questo seminario: questo "apprendimento" o, meglio, "un passaggio di apprendimento, una generalizzazione dell'apprendimento" e' tale che coloro che imparano a ridere in situazioni di doppio vincolo hanno certi vantaggi e certe gioie nella vita che altre persone non hanno. Nel mio intervento propongo, come esempio di persone "avvantaggiate" dalla capacita' di ridere in situazioni di doppio vincolo, o di stare in un'etica del doppio vincolo, le donne condannate a morte a causa delle loro scelte di vita. Mi riferisco innanzitutto ai recenti casi delle molte donne condannate a morte dal fondamentalismo islamico in Iran, Afghanistan e altri paesi. Tra queste la notissima Nobel Shirin Ebadi, che nella sua autobiografia racconta la sua reazione di rabbia che l'ha portata ad attivarsi ancora di piu' per i diritti delle donne, alla scoperta di essere stata condannata a morte. Altre passate alla cronaca sono: Malalai Kakar, che e' gia' stata assassinata e di cui mi sono occupata in un articolo e Malalai Joya, ripetutamente condannata a morte: ancora viva e attiva per la liberta' delle donne in Afghanistan. Di fronte alla realta' esistenziale di queste donne, la domanda fattami da un giovanissimo alunno a una lezione tenuta su di loro e' stata: "perche' lo fanno? perche' non pensano a salvarsi la vita piuttosto?". La mia risposta e': perche', evidentemente, riconoscono "certi vantaggi" di questa loro condizione di condannate a morte. Loro si sentono vive solo se i loro diritti e la loro liberta' vengono rispettati. Di fronte al doppio vincolo del morire interiormente, rinunciando alla liberta', o di morire condannate dai fondamentalisti, scelgono di continuare a vivere e lottare, pur condannate a morte. Per articolare meglio questa risposta uso la storia e i racconti di altre condannate a morte in tempi diversi da questi nostri attuali: Milena Jesenska' e Marianne Golz-Goldlust, condannate a morte per antinazismo. Non erano ebree, ma donne che lottavano contro la deportazione degli ebrei e che post mortem hanno entrambe ricevuto la medaglia di "giusta fra le nazioni" ed in loro nome e' stato piantato un albero al Yad Vashem Memorial di Gerusalemme. La loro scelta e' dunque stata riconosciuta, a distanza di tempo, come valida e giusta, e di fronte all'albero vivo, che oggi porta il loro nome, e' possibile percepirle ancora vive e portatrici di "cambiamento" (poco puo' cambiare se non cambiano le abitudini di pensiero. Le cause di eventi terribili, o anche di "buone notizie", come le storie di Marianne e Milena in fondo sono, non sono nelle persone, ma nelle abitudini di pensiero. Poco puo' cambiare se si ritiene impossibile fare qualcosa di faticoso, impegnativo, o addirittura rischioso, non per trarne profitto, ma per amore. Non amore individualista, ma uno spontaneo sentimento di connessione con la sofferenza di tutti). Studiando la vita e leggendo le lettere di Marianne e Milena ho trovato una risposta alla domanda sul perche' le/i condannate/i a morte di ieri e di oggi continuino a lottare per cio' per cui sono stati condannati, non cambiano idea e si sentono forti e vitali fino alla fine. Nei loro scritti Milena e Marianne nominano spesso la sofferenza: propria e altrui. Ma invece di riconoscersi nel ruolo di vittime o di scagliarsi contro un colpevole di turno, si interrogano su quale possa essere l'atteggiamento esistenziale migliore da tenere di fronte al dolore del mondo. Come Amleto, colgono il dilemma tra essere e non essere. Cos'e' meglio? Opporsi o sopportare "le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni" (come e' attuale Shakespeare!)? Sopportare, morendo interiormente, o scagliarsi contro "la fortuna" procurando la morte propria o altrui? Vivere, morendo a poco a poco, o uccidere, compiendo un unico gesto vitale, ma di morte? Milena e Marianne sembrano trovare una terza via al dilemma doppiovincolante shakespeareano: tra essere nella morte o non essere nella vita loro scelgono di essere vive nella non vita. In un contesto che parla solo di morte, entrambe si sforzano di salvare vite, rischiando personalmente. In attesa della propria esecuzione di morte, Marianne scrive appassionate lettere d'amore. In un contesto culturale arido e monolitico, Milena persiste a scrivere controcorrente. Milena Jesenska' e' stata una letterata profonda, attenta, appassionata e di ampia intelligenza creativa ed anche una raffinata critica cinematografica. Negli anni Venti scriveva: "Il cinema e' tutt'altro che mero passatempo: e' qualcosa a cui noi vili ci abbandoniamo cosi' volentieri per meglio reggere la vita, per sopportarne piu' facilmente le spiacevolezze, essendo noi impotenti di fronte a un modo deformato di vivere". In una recensione a "La donna di Parigi" di Chaplin, scritta in tempi in cui il cinema, ancora agli inizi, non era considerato vera arte, emerge bene da quale tipo di abitudini di pensiero avra' origine la sua successiva scelta di resistenza esistenziale durante il nazismo: "I personaggi di questo film sono esseri umani autentici. Non sono ne' buoni ne' cattivi. Sono pero' cosi' coerentemente completi da avere in se' mille contraddizioni. Soltanto i personaggi cartacei hanno un carattere lineare. Gli uomini reali si contraddicono cento volte al giorno, bilanciano la loro nobilta' d'animo con azioni cattive e la loro bellezza interiore compensa le loro bassezze". Questo tipo di osservazione sarebbe piaciuta molto a Gregory Bateson, perche' svincolata da un'abitudine di pensiero dualistica e perche' rivolta "verso" un'"ecologia" integrata dei sistemi viventi. Questo ed altro era Milena, nella sua capacita' di superare il dilemma shakespeareano tra essere e non essere, uscendo fuori dai termini del dualismo, quindi assumendo una tipologia di "apprendimento due" (come diremmo con Bateson) non piu' radicata nella contrapposizione tra l'essere e il non essere, il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, etc. Grazie alla loro capacita' etica di stare nel doppio vincolo sia Milena che Marianne, trovandosi nella condizione di condannate a morte, hanno trovato nel vivere pienamente e appassionatamente nella non vita la soluzione alla situazione doppiovincolante della loro condanna a morte, fisica o spirituale. La stessa soluzione trovata oggi dalle donne che vivono, lottano e vengono uccise nei paesi in cui la condizione delle donne e' oppressa dal fondamentalismo patriarcale. Per Bateson i comportamenti anti-ecologici come quelli dei nazisti ieri o dei fondamentalisti oggi (che si rendono concausa di morte e distruzione invece che di vita) non dipendono tanto da erronei comportamenti di inquinatori separatamente considerati (non esiste un colpevole!), ma da presupposti e abitudini di pensiero condivise socialmente e difficilmente sradicabili. Nel caso ad esempio di Malalai Kakar e compagne la loro condanna a morte non e' legata solo alla follia dei talebani, ma anche alla cultura condivisa nei confronti della condizione femminile. Cosi' come, piu' vicino a noi, di fronte a qualcuno che si oppone contro la mafia la cultura condivisa e': "ma chi glielo fa fare?". Milena, Marianne, Malalai e tante altre come loro fanno una scelta coraggiosa perche' stanno in una etica del doppio vincolo. Pur in presenza di follia, morte e molto dolore, queste donne accolgono i paradossi esistenziali e l'idea che l'essere umano piu' autentico sia quello contraddittorio - ne' buono ne' cattivo, la cui bellezza interiore e nobilta' d'animo compensa bassezze e cattiverie - e per il quale, nonostante tutto, vale la pena continuare a resistere. Ad essere vita, vivendo e riportando nei loro scritti emozioni forti come amore, speranza, paura, desiderio. Continuano a lottare e a scrivere pur in una condizione di non vita. Come quella descritta nelle lettere di Marianne dalla prigione di Pancraz in attesa del "grande giorno" dell'esecuzione di morte: "Ogni due settimane abbiamo diritto a una mezz'ora di 'liberta'', una passeggiata nel cortile della prigione. Ci precipitiamo disordinatamente in cortile gesticolando, tutte eccitate, febbrili, e ci scambiamo informazioni colme di pessimismo, ma anche di speranza... abbiamo davanti a noi otto giorni di requie, prima della mannaia. Possiamo vivere ancora otto giorni, vedere ancora il sole, mangiare, piangere, ridere, cantare, scrivere dell'amore, della speranza". Le donne come Marianne e Milena e tante donne (e uomini) che oggi si ribellano con creativita' a qualsiasi tipo di fondamentalismo invece di sopportare, morendo poco a poco, talvolta ammalandosi di gravi forme depressive, si ribellano, scegliendo di resistere esistenzialmente a tutto cio' che intorno e dentro di loro parla di morte. Il loro coraggio di vivere e' destinato ad intaccare ad un livello piu' profondo, anche se piu' lento, la cultura che sta all'origine della complessa rete d'ingiustizie presente oggi nel mondo, che si nutre della sofferenza di tutti noi, del nostro cinismo, della sfiducia e sospettosita' nei gesti d'amore. L'osservazione (dei comportamenti umani, ma anche di quelli animali o di altri esseri viventi) ha portato Bateson ad osservare come condizioni di estrema sofferenza possano indurre a trovare delle soluzioni creative che escono dalle consuetudinarie abitudini di pensiero vincolanti e inevitabilmente distruttive, e producano soluzioni creative. Queste soluzioni creative non sono soltanto contingenti, cioe' non risolvono solo la situazione doppiovincolante specifica in cui si trova la singola condannata a morte, ma producono nuovo apprendimento e la possibilita' anche di una evoluzione sia del pensiero che della stessa biologia. Ovvero producono quel cambiamento ad un livello piu' lento, ma piu' profondo della nostra cultura, su cui in questo momento a me interessa indagare. 3. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: GIOVANI ISRAELIANE CONTRO L'OCCUPAZIONE [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at alice.it) per questo intervento] Molti e molte soffrono nel mondo per mancanza di giustizia e di liberta'. Penso alla pacifista palestinese Neta Golan in carcere in Israele, a Shirin Ebadi "avvertita" dalle autorita' iraniane di non proseguire la sua attivita' di "sovversiva" o alle due suore rapite in Kenia. Ma penso anche alle soldate israeliane forse ancora detenute per essersi rifiutate di prestare servizio dove si distruggono le case e gli ulivi dei palestinesi: la stampa ce ne ha fornito la notizia un mese fa senza dare poi seguito all'informazione. Gli eserciti ricevono nuovo consenso quando la gente ha paura; per questo, a partire dai luoghi dove impera la professionalita' tradizionale, sembra necessario prendere in considerazione ogni presa di distanza dalle pratiche di violenza connaturate nell'istituzione militare. Le soldate sono, in quanto donne, l'esempio eclatante dell'omologazione al modello unico totalizzante e non si sottraggono alla "normale" esecuzione di ordini, come dimostrato ad Abu Graib. Se in Israele il servizio e' obbligatorio per maschi e femmine e fin qui si sono avuti i casi di "refusenik" maschi, l'arresto delle ragazze israeliane di leva perche' non vogliono andare a combattere nei Territori occupati ci invita a fare attenzione per capire se c'e' qualcosa di nuovo tra i giovani. Infatti alla fine dell'anno scolastico scorso, e' uscita dai licei una "lettera dei maturandi" in cui si contestava "la politica di segregazione, oppressione e stragi" che il governo conduce nei Territori occupati. Si tratta di una protesta che non fa riferimento all'obiezione classica, ma alla disobbedienza civile. Le ragazze imprigionate non hanno rifiutato la leva militare e neppure hanno chiesto un trattamento privilegiato, ma hanno affermato che i confini del 1967 debbono essere rispettati e che le invasioni di colonizzazione non possono essere una politica degna di Israele. E' ovvio che non ci possiamo illudere: i coloni continueranno a rivendicare il loro diritto a invadere le terre altrui e i governi di Tel Aviv non rispetteranno i diritti palestinesi. Tuttavia andrebbero conosciute dall'opinione pubblica le novita' potenziali nella politica pacifista: si sono formate sigle nuove, in particolare di donne (oltre alle "donne in nero", piu' note in Italia) che - come da noi - in presenza dei vecchi schematismi che riportano al razzismo e rafforzano il nazionalismo, tentano di avvalorare, piu' per intuito che per cultura, i principi di giustizia e di pace che, per affermarsi nel mondo, richiedono la consapevolezza di maggioranze ancor oggi educate a identificarsi sul principio della forza e dell'egoismo. Cinque ragazze stanno dando preoccupazione all'esercito e la denuncia pubblica di cui si sono fatte responsabili risulta piu' forte del radicalismo: l'informazione non deve fare come i governi e tacere il processo e le pene, per far ignorare le carenze dell'istituzione militare. Omer Golman, Mia Tamarin, RazBar David, Sahar Vardi e Tamara Katz dove siete mentre noi qui festeggiamo il Natale e aspettiamo senza illusioni un anno meno violento? Ancora in detenzione? o siete state "perdonate" senza processo perche' tutti sanno che avete ragione? ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 226 del 25 dicembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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