Voci e volti della nonviolenza. 269



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 269 del 3 dicembre 2008

In questo numero:
Pasquale Di Palmo: Andrea Zanzotto

PASQUALE DI PALMO: ANDREA ZANZOTTO
[Dal mensile "Letture", n. 620, ottobre 2005, col titolo "Andrea Zanzotto" e
il sommario "Caposaldo della poesia italiana del secondo Novecento, l'opera
di Zanzotto coniuga l'alto spessore intellettuale al suono inarticolato e
infantile. Un linguaggio suggestivo che solo riesce ad accostare la
complessita' del reale"]

Dopo la scomparsa di Mario Luzi, Andrea Zanzotto rappresenta uno degli
ultimi capisaldi di quella straordinaria stagione del Novecento che ha
raggiunto in poesia momenti altissimi e irripetibili. Salutata come una
delle esperienze fondamentali nel percorso della seconda meta' del
Novecento, la poesia di Zanzotto ha conosciuto critici d'eccezione come
Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Franco Fortini,
Giorgio Caproni, Giovanni Raboni, Giovanni Giudici, Attilio Bertolucci,
senza considerare l'autorevole avallo che Gianfranco Contini diede alla sua
opera presentando Il Galateo in Bosco, presentazione in cui si dichiara che
Zanzotto e' il "piu' importante poeta italiano dopo Montale".
*
Come metronomo il batticuore
Ma, al di la' delle troppo facili schematizzazioni, e' fuori di dubbio che
la sua opera si configuri come una delle piu' significative risposte sia
all'impasse derivante dai canoni ormai abusati della poesia ermetica, sia
alle spesso inconcludenti sperimentazioni della neoavanguardia. Giustamente
Eugenio Montale aveva avvertito come Zanzotto riuscisse sapientemente a
coniugare lo spessore intellettuale piu' ardito con una variegata resa
stilistica: "E' una poesia coltissima, la sua, un vero tuffo in quella
pre-espressione che precede la parola articolata e che poi si accontenta di
sinonimi in filastrocca, di parole che si raggruppano per sole affinita'
foniche, di balbettamenti, interiezioni, e soprattutto iterazioni. E' un
poeta percussivo ma non rumoroso: il suo metronomo e' forse il batticuore".
La sua opera traccia una parabola luminosa e rigorosa nella costellazione
poetica novecentesca, segnalandosi per l'incidenza con la quale riesce,
attraverso procedimenti analogici inusuali, a rappresentare una realta'
sempre piu' sfaccettata che si configura come un caleidoscopico, spesso
incomprensibile, universo di segni. Il poeta diviene un alchimista che
riesce a trasformare in oro la materia piu' vile e informe, indagando gli
strati piu' nascosti e oscuri della coscienza e arrivando a esplorare, con
"L'elegia in petel", il linguaggio dei bambini ancora in fasce. Per far
questo ricorre all'ausilio di vocaboli onomatopeici e di neologismi che
testimoniano la straordinaria padronanza linguistica dell'autore. E proprio
il linguaggio diviene lo strumento con il quale il poeta si rapporta al
mondo, con un corollario di citazioni e suggestioni che derivano di volta in
volta da discipline diverse: dalla sociologia alla psicoanalisi, dalla
semiologia alla linguistica, "il tutto mescolato e mescolantesi di continuo
ora in linguaggio piano e disteso, ora in crittografia" (Giuliana Nuvoli).
*
Il paesaggio rovesciato
Dietro il paesaggio (1951) rappresenta la splendida prova d'esordio di
Zanzotto, accolta nella prestigiosa collana mondadoriana de "Lo Specchio".
Con questo libro Zanzotto tenta di conciliare la lezione ermetica con le
suggestioni derivanti da alcuni modelli europei come Lorca e i surrealisti,
tenendo al tempo stesso ben presente il grande retaggio simbolista
(Baudelaire, Rimbaud, D'Annunzio). Si tratta di una poesia visionaria, dalla
forte valenza polisemica, che sin dall'inizio testimonia il grado di
maturita' espressiva raggiunto dal giovane autore. Il tema del paesaggio,
prefigurato dal titolo, costituira' uno dei motivi ricorrenti della poesia
zanzottiana, arrivando a caratterizzare le stesse sue ultime raccolte. Il
distico che suggella "Ormai" e' quanto mai significativo al riguardo: "Qui
non resta che cingersi intorno il paesaggio / qui volgere le spalle".
Numerosi sono i riferimenti a toponimi reali o immaginari come Dolle, Lorna,
San Fedele, Santa Augusta, con esiti che documentano un autobiografismo piu'
dissimulato che esibito. Si pensi in questo senso al ricorso a emblemi
araldici e preziosi che si innervano nella struttura stessa della raccolta,
costituendo spesso il nucleo da cui prendono avvio vertiginose
concatenazioni analogiche. Spesso il paesaggio - che si ispira a quello che
dal Montello declina verso la valle del Piave - viene circoscritto in una
sorta di trasognata sospensione, dove "Gli abitanti camminano / abbagliati
dal sonno" in un "azzurro guasto di sgomenti / e di luci di monti".
D'altro canto questa sghemba, allucinata visionarieta' si carica del senso
incombente della tragedia, come aveva acutamente rilevato Giuseppe Ungaretti
recensendo la raccolta: "Ecco: un paese, leggendo Zanzotto, vedrete vivere,
frusto, vetusto, violento, feltrato, che di continuo si corrompe e si
rigenera, un paese arioso, un paese d'incanti d'idillio deturpati dalla
tragedia".
E alla tragedia rimanda anche la prova successiva, intitolata Elegia e altri
versi (1954). Se da un lato infatti e' riscontrabile una certa continuita'
tra la lezione di Dietro il paesaggio e quella della seconda raccolta,
soprattutto sul versante della tematica della degradazione del paesaggio in
rapporto a un linguaggio in continua evoluzione, e' possibile rilevare sul
piano stilistico un continuo interagire con i canoni della tradizione,
evidenziati dall'infittirsi degli endecasillabi e di versi che gravitano
intorno all'area dell'alessandrino. Piu' scoperti divengono i riferimenti
all'esperienza di carattere biografico, dove il motivo dell'amore perduto si
coniuga all'elemento memorialistico teso a evocare le ombre dei familiari.
L'andamento risulta maggiormente disteso e articolato, anche in funzione del
ricorso a una prosodia piu' regolare, e meno incisive appaiono le ascendenze
di stampo surrealista presenti in Dietro il paesaggio, anche se l'impianto
anaforico sembra accentuarsi.
Con Vocativo (1957 e, in edizione accresciuta di sei liriche, 1981) si entra
nel vivo delle grandi problematiche storico-esistenziali della poesia
zanzottiana, dove piu' manifesta appare "l'irruzione fuori del suo bozzolo
di un io fortemente problematizzato" (Pier Vincenzo Mengaldo). Al tema della
nevrosi, gia' presente nelle precedenti prove, si sovrappone quello di una
piu' stratificata ricerca linguistica, con un lessico che accoglie termini
impoetici derivati dalla realta' quotidiana alternati a latinismi, arcaismi,
vocaboli del latino ecclesiastico, ecc. Questo singolarissimo impasto fonico
e lessicale si esplica in alcuni esiti memorabili come "Caso vocativo" o
"Colloquio" dove si prende spunto da uno scritto sgrammaticato apparso su un
muro di campagna per una digressione intorno al senso di stupore, da cui non
sono esenti espliciti richiami leopardiani, dettato dalla primavera. Ma
l'elemento naturale si contrappone al graduale approfondimento degli aspetti
gnoseologici che sottendono una poesia sempre piu' invischiata in una sorta
di scavo nei precordi: "Esistere psichicamente", "Idea", "Fuisse"
rappresentano il delineamento di un "paesaggio interiore" che rovescia
l'immagine del paesaggio naturale, affiorante ancora per squarci, per
illuminazioni improvvise: "[...] brucano / sussurri oscuri le erbe / nei
vicoli sepolte".
Il "caso vocativo" e' frequente in tutta l'architettura dell'opera, come il
ricorso all'uso del pronome di "Prima persona": due delle liriche campali
della raccolta si intitolano appunto in questo modo. "L'enfasi posta su
queste due istituzioni grammaticali, l'una riguardante un caso con una lunga
consuetudine poetica, l'altra relativa al termine che da' origine
all'enunciazione, e' stata riconosciuta da numerosi critici come
l'innovazione piu' significativa della terza opera di Zanzotto", suggerisce
Beverly Allen. In tale contesto la poesia di Vocativo si pone come
l'esemplare discrimine tra l'afflato visionario e iperletterario della prima
silloge e la problematicita' "tellurica" delle opere successive, in
particolare di IX Ecloghe e La Belta'.
*
Linguaggio disgregato
Con la pubblicazione di IX Ecloghe (1962) Zanzotto approda alla fase piu'
spiccatamente sperimentale della sua investigazione poetica che aprira' la
strada a quella che Eugenio Montale ha definito la "poesia inventariale" de
La Belta'. La raccolta, dalla struttura quanto mai complessa, alterna
composizioni che si richiamano al classicismo delle "ecloghe" virgiliane a
liriche di varia natura, salvo stravolgere dall'interno ogni possibile
ascendenza di tipo letterario in funzione di un sempre piu' accorto lavoro
operato su un linguaggio che possa rappresentare adeguatamente una realta'
dai tratti ormai indecifrabili e sfuggenti. Ma, a differenza delle coeve
elencazioni verbali della neoavanguardia, l'opera di Zanzotto si differenzia
per un indirizzo speculativo e concettuale senz'altro piu' marcato. I due
referenti delle IX Ecloghe, impersonati dalle figure di a e b, tentano di
instaurare un difficile, se non impossibile, dialogo in cui confluiscono
elementi contrastanti della cultura umanistica e della cultura scientifica,
barlumi di un sapere che si e' irrimediabilmente perduto negli anfratti di
quella "selva" dantesca che viene adombrata nella prima ecloga,
sottotitolata "I lamenti dei poeti lirici".
L'elemento dell'ironia sembra istituire una sorta di distanza tra un "io"
disgregato, frammentato, dissociato, e una lingua in cui convivono le
molteplici rifrazioni di quel medesimo "io". Il dettato accorpa elementi
spesso antitetici, accogliendo in un inestricabile intreccio registro alto e
basso: si passa dalle espressioni gergali o riprese dalla koine' quotidiana
e mediatica - con relativa inclusione di canzonette alla moda - a lacerti di
citazioni colte, dal tono aulico al termine di derivazione scientifica o
tecnologica. Come ha acutamente rilevato Marco Forti queste discrepanze di
carattere linguistico e stilistico sono rivolte "infine all'unificazione", a
una sorta di omogeneita' espressiva che tende a livellare le varie
differenziazioni proprio in virtu' della consapevolezza di "abolire ogni
possibile delimitazione di campo semantico" (Pier Paolo Pasolini).
La raccolta La Belta' (1968) viene pressoche' unanimemente considerata il
punto focale dell'arduo percorso intellettuale zanzottiano. La Belta' si
configura infatti come l'ideale spartiacque tra la produzione poetica degli
esordi e quella successiva, che non potra' piu' prescindere dai risultati
raggiunti con questa silloge. Si tratta di una catabasi nei meandri
inospitali della lingua che portera' il poeta di Pieve di Soligo ad
avventurarsi fino alle soglie della stessa dicibilita', fin dentro il
mistero che presiede alla parola che deve ancora articolarsi (si veda in
questo senso "L'elegia in petel" in cui si scandaglia il linguaggio dei
"bambini piccolissimi"). In tale ambito si tenta di rappresentare, sulla
falsariga dell'opera di Paul Celan, la balbuzie, arrivando a prefigurare il
radicale dissolvimento della parola. Non per niente Stefano Agosti parlera'
di "balbettio afasico" che costituisce "quel punto (o luogo o intervallo)
che sta fra suono inarticolato e linguaggio articolato". Molteplici le
influenze filosofiche, psicanalitiche, linguistiche, che sottendono a tale
operazione: da Saussure a Lacan, da Heidegger a Foucault. Sullo sfondo un
insieme di citazioni e criptocitazioni dagli autori amati - l'onnipresente
Hoelderlin, Dante, Leopardi, Rimbaud, Blanchot - che convivono con termini
onomatopeici ripresi dai fumetti o con espressioni dialettali tipiche della
civilta' contadina.
Diviene necessario l'apporto di un lungo apparato di note esplicative in
calce al volume che tenti di orientare il lettore attraverso le coordinate
di una lettura resa difficoltosa da una materia informe, magmatica, in cui
la tensione comunicativa si scontra emblematicamente con l'"Impossibilita'
della parola" - come recita il titolo di una poesia tratta da Vocativo - a
rendere in maniera intelligibile le complesse problematiche dell'uomo
contemporaneo: "Mondo, sii, e buono; / esisti buonamente, / fa' che, cerca
di, tendi a, dimmi tutto [...]".
Il percorso intrapreso con La Belta' si coronera' di due nuovi, importanti
contributi con la pubblicazione del poemetto Gli Sguardi i Fatti e Senhal
(1969) e della raccolta Pasque (1973). Gli Sguardi i Fatti e Senhal,
originariamente pubblicato al di fuori del circuito editoriale tradizionale,
prende a spunto il tema dello sbarco dell'uomo sulla luna - avvenuto nello
stesso anno - per rivisitare, in chiave moderna, il mito classico di Diana.
Il poemetto, che si articola attraverso un complesso sistema di
cinquantanove voci dialoganti con una voce femminile che parla fra
virgolette, viene considerato da Agosti "uno dei risultati di massima
invenzione formale e concettuale raggiunto dall'autore".
Se evidente appare in Pasque il segno della continuita' con la lezione
scaturita da La Belta', soprattutto sul piano dei temi trattati - la
pedagogia, l'infanzia, l'investigazione di carattere psicologico - vi e', al
tempo stesso, il recupero di composizioni di piu' ampio respiro come il
poemetto "La Pasqua a Pieve di Soligo", considerato come una sorta di
omaggio a Les Paques a' New York di Blaise Cendrars. L'argomento della
Pasqua si manifesta a piu' riprese attraverso il reiterato ricorso alla
metafora delle uova quale simbolo primaverile di rinascita e resurrezione.
Bisogna osservare come in questa raccolta comincino a serpeggiare situazioni
legate alla graduale valorizzazione del dialetto, soprattutto attraverso una
serie di spunti provenienti dalle faglie "rimosse" della cultura popolare o
contadina inseriti in contesti volutamente stridenti.
*
Dal dialetto alla pseudotrilogia
L'occasione per la stesura del Filo' (1976) e' rappresentata dall'invito che
Federico Fellini porge al poeta trevigiano di scrivere alcune poesie,
dall'andamento di "filastrocca costruita con i materiali fonetici e
linguistici del linguaggio petel", per commentare alcune scene della sua
ricostruzione cinematografica di Casanova. La raccolta, composta in dialetto
veneto, oltre alle composizioni scritte per il film, presenta anche la
sezione che da' il titolo al libro, in cui si prende a spunto la veglia che
anticamente i contadini facevano nelle stalle durante l'inverno, per
divagare intorno al radicale mutamento dei codici linguistici e sociali. Il
volumetto e' diviso in due sezioni molto distinte: nella prima viene
privilegiato il dialetto veneziano del Baffo e del Goldoni, con esiti di una
gradevolezza inusuale nella ricerca linguistica successiva a La Belta';
nella seconda l'idioma e' quello materno e il tema sviluppato riguarda il
devastante terremoto nel Friuli. Questa dicotomia tra la levita'
dell'argomento trattato nella prima parte e la drammaticita' insita nello
sviluppo della seconda esprime una costante nella poesia di Zanzotto, in cui
il gioco dei contrasti e' particolarmente palese. Non e' un caso che
Fernando Bandini abbia evidenziato tale frattura, adducendo che "in Filo' il
dialetto e' lo strumento ctonio che permette al poeta di affrontare un
discorso sulla morte che ha come destinataria la terra [...]: alla terra si
rinfaccia il terremoto, ma la si vede come madre meno crudele di quanto non
appaiano le responsabilita' umane in altre innumerevoli stragi, dal Vajont
alle guerre del secolo".
Questa incursione nella storia viene approfondita con Il Galateo in Bosco
(1978) che rappresenta la prima parte di una "pseudotrilogia", come la
definisce lo stesso autore completata con la pubblicazione di Fosfeni e
Idioma. La raccolta, dalla struttura articolata e che presuppone una
molteplice chiave di lettura, si radica fortemente al territorio del
Montello, in cui monsignor Giovanni della Casa ideo' e compose il suo
Galateo e in cui si svolsero alcuni dei piu' sanguinosi episodi legati al
primo conflitto mondiale. In quest'ambito lo spettro della sperimentazione
linguistica appare quanto mai divaricato, passando dai ritmi franti e
sincopati inerenti le descrizioni di un paesaggio industrializzato ormai
irriconoscibile al recupero delle forme chiuse nella sezione intitolata
"Ipersonetto". Qui ogni sonetto rappresenta il verso di un potenziale
sonetto al quadrato: la sezione infatti e' costituita da quattordici sonetti
(come gli endecasillabi variamente rimati che contrassegnano, appunto,
questo componimento), a cui due sono stati aggiunti rispettivamente come
premessa e come postilla. Da tale assunto partiranno tanti autori moderni
tesi al recupero delle forme chiuse - citiamo i casi di Giovanni Raboni e
Patrizia Valduga - spacciando l'intento ironico, e autoironico, che sottende
tale operazione per una forma di restaurazione di tipo meramente formale.
Se l'humus, il materiale organico e inorganico che proviene dalla terra
costituisce l'ossatura della raccolta Il Galateo in Bosco, al contrario
Fosfeni (1983) dichiara sin dal titolo la propria natura "aerea", legata
all'estemporaneita' di quei "vortici di segni e punti luminosi che si
avvertono tenendo gli occhi chiusi". Questa sorta di opposizione e
complementarita' - anche di stampo topografico - si manifesta in
composizioni in cui sembra che le immagini sublimi prendano il sopravvento
rispetto al panorama ridotto a discarica, ai detriti e agli ossari che
contrassegnavano il Galateo (un intervento di Parise si intitola
eloquentemente "Cosi' il poeta scava al centro della terra"). Con Idioma
(1986), terza e ultima parte della trilogia, Zanzotto opera invece uno
scarto rispetto alle due prove precedenti, sbilanciandosi in direzione di
una tensione comunicativa che si esplica ad esempio nella sezione dialettale
"Mistieroi", precedentemente presentata come titolo autonomo. In questo
poemetto vengono passati in rassegna alcuni piccoli mestieri ormai caduti in
disuso come il riparatore di ombrelli, l'arrotino, la lavandaia, il
lattoniere.
*
Gli ultimi sviluppi
Meteo (1986) e Sovrimpressioni (2001), le due ultime raccolte poetiche
licenziate da Zanzotto, testimoniano un attivo e circostanziato ritorno di
interesse nei confronti di alcuni temi che avevano caratterizzato le sue
prime raccolte, come quello relativo al paesaggio. Sembra che il cerchio si
chiuda, che i papaveri, i topinambur, gli aggrovigliati sistemi di origine
vegetale evocati soprattutto in Meteo si riconnettano in qualche modo alla
tensione cognitiva di Dietro il paesaggio o Vocativo. Questi pseudohaiku,
definiti dallo stesso autore "incerti frammenti", si inscrivono in un piu'
complesso regime di varianti teso a sondare le pulsazioni piu' inafferrabili
del microcosmo, le gradazioni del verde in un prato, le infiorescenze della
brina o del ghiaccio, le ineffabili "tempeste equinoziali" emblematicamente
registrate in "maggiarzo" o in "agostobre".
Ma non si puo' passare impunemente sotto silenzio la produzione in prosa di
Zanzotto, dallo straordinario libro Sull'Altopiano (1964), in cui domina
un'atmosfera onirica che rinvia ad ascendenze di stampo kafkiano o
landolfiano, alle due raccolte di saggi intitolate Fantasie di avvicinamento
(1991) e Aure e disincanti nel Novecento letterario (1994) in cui convergono
parecchie delle tematiche tipiche dell'opera poetica. Un ultimo accenno
riguarda il recente volumetto curato da Zanzotto Colloqui con Nino (2005),
in cui viene rievocata la figura di Nino Mura, a cui sono ispirati alcuni
celebri versi de La Belta'. Questa singolare figura di contadino morto quasi
centenario, incoronato da Giovanni Comisso quale Duca della Rosada di Rolle,
depositario di un sapere antico e ormai perduto, che si professava attore,
astronomo, gastronomo e indovino, rivive in pagine toccate da una grazia e
una delicatezza davvero incantevoli.
*
Un osservatorio remoto per "scandagliare" il mondo
Se da una parte l'opera di Andrea Zanzotto appare quanto mai ricca di
implicazioni di carattere intellettuale e speculativo, dall'altra la sua
vicenda di carattere biografico risulta schiva e dimessa, vissuta
all'insegna di un radicato isolamento nella propria terra. Nato a Pieve di
Soligo (comune che sorge a nord di Treviso) dal pittore Giovanni e da
Carmela Bernardi, Andrea manifesta, sin da bambino, una precoce e non comune
intelligenza che lo portera' a laurearsi in lettere all'Universita' di
Padova nel 1942.
Dopo aver aderito ai gruppi partigiani locali, l'autore, terminata la
guerra, si reca per un breve periodo in Svizzera. Nel 1950 vince il Premio
San Babila per la sezione inediti, con una giuria composta da Montale,
Quasimodo, Sereni, Sinisgalli e Ungaretti. L'anno successivo esce la sua
prima raccolta nella prestigiosa collana "Lo Specchio" di Mondadori: Dietro
il paesaggio. Si intensificano i legami e le amicizie con intellettuali del
calibro di Sereni, Gatto, Fortini e Pasolini. Nel 1954 vede la luce, nella
collana diretta da Sereni per le Edizioni della Meridiana, Elegia e altri
versi. Nello stesso anno ottiene il posto di ruolo nella scuola media di
Conegliano. Nel 1957, sempre nello "Specchio" mondadoriano, esce Vocativo.
Nel 1959 si sposa con Marisa Michieli. L'anno successivo si registra la
nascita del primo figlio, Giovanni, cui seguira' quella del secondo, Fabio,
nel 1961.
In seguito al riacutizzarsi di stati ansiosi si sottopone a Padova a
un'analisi freudiana che dura un paio d'anni. Nel 1962 viene pubblicata la
raccolta IX Ecloghe, titolo inaugurale della collana "Il Tornasole" di
Mondadori, diretta da Niccolo' Gallo. Sulla rivista "Comunita'" appare un
intervento in cui prende le distanze dall'esperienza dei Novissimi. Nel 1964
l'editore vicentino Neri Pozza pubblica la raccolta di prose Sull'Altopiano.
Nel 1968 La Belta', pubblicata da Mondadori, viene favorevolmente recensita
da Eugenio Montale dalle pagine del "Corriere della Sera" e ottiene
un'ottima accoglienza critica. Zanzotto pubblica, in edizione
semiclandestina, il poemetto Gli Sguardi i Fatti e Senhal (1969). Inizia a
collaborare al "Corriere della Sera".
Nel 1970 l'editore milanese Scheiwiller stampa, in tiratura limitata e fuori
commercio, la plaquette composta da liriche giovanili A che valse? (Versi
1938-1942). Nel 1973 escono da Mondadori sia Pasque sia la fortunata
antologia curata da Stefano Agosti Poesie (1938-1972). Va segnalata
l'intensa attivita' di traduttore, soprattutto dal francese, di cui
ricordiamo Nietzsche e La letteratura e il male di Georges Bataille per
Rizzoli, oltre a testi di Leiris, Balzac e altri.
Nel 1976 comincia la collaborazione con Federico Fellini, dapprima per il
Casanova, poi per La citta' delle donne e La nave va, rispettivamente nel
1980 e nel 1983. Escono i versi dialettali di Filo' per le Edizioni del
Ruzante, arricchiti da una lettera e da cinque disegni del regista
romagnolo. Nel 1978 viene stampato da Mondadori, corredato da una prefazione
di Gianfranco Contini, Il Galateo in Bosco che rappresenta la prima parte di
una trilogia che comprende anche Fosfeni (1983) e Idioma (1986).
Divengono sempre piu' frequenti gli attestati di stima e i prestigiosi
riconoscimenti, anche a livello internazionale. Tra il 1991 e il 1994
licenzia i due volumi di saggi mondadoriani Fantasie di avvicinamento e Aure
e disincanti nel Novecento letterario, cui seguiranno la raccolta Meteo,
pubblicata da Donzelli nel 1996, e il monumentale "Meridiano" Le poesie e
prose scelte (1999). L'ultima silloge poetica pubblicata da Mondadori si
intitola Sovrimpressioni (2001).
*
Un inedito per "Letture"

Prova, per ferie
...

Paese
essiccato da ferie
paese
devastato da ferie
paese
divorato da ferie
paese che fosti che sei
passato a fil di spada di ferie

Infere ferie
immobile
dogma
                 delle ferie inferne
a strapiombo su ferie
sgozzato da ferie
incelestialito infine
strascicato in ferie
                                miserie in serie

Nota: Il mito delle "ferie inferne" era accettato da gruppi cristiani come
interruzione delle pene ai dannati che in quel periodo riconoscevano giusta
la loro situazione, liberati dalla sofferenza.
*
Mezzo secolo di poesia
Opere
Di fondamentale importanza per la conoscenza dell'opera di Zanzotto e' il
"Meridiano" intitolato Le poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal
Bianco e Gian Mario Villalta, con due saggi di Stefano Agosti e Fernando
Bandini, Mondadori, Milano 1999, che raccoglie, oltre a una selezione di
prose, tutte le poesie fino a Meteo, oltre a una sezione di inediti poi
confluita nella raccolta Sovrimpressioni. Molto utile anche il volumetto
antologico Poesie (1938-1986), a cura di Stefano Agosti, Mondadori, Milano
1993, che riprende il precedente Poesie (1938-1972), pubblicato nel 1973.
Diamo qui di seguito indicazione solo dei dati relativi all'edizione
originale delle opere e dell'eventuale ristampa in collane prestigiose come
quella de "Lo Specchio" mondadoriano. Per una bibliografia piu' approfondita
si rimanda al lavoro di Velio Abati, Andrea Zanzotto. Bibliografia
1951-1993, Giunti, Firenze 1995 e, sempre a cura dello stesso, alla sezione
bibliografica che figura nel succitato volume dei "Meridiani" alle pp.
1741-1782.
Dietro il paesaggio, Mondadori, Milano 1951.
Elegia e altri versi, con una nota di Giuliano Gramigna, Edizioni della
Meridiana, Milano 1954.
Vocativo, Mondadori, Milano 1957 e, in edizione riveduta e ampliata, 1981.
IX Ecloghe, Mondadori, Milano 1962.
Sull'Altopiano, Neri Pozza, Vicenza 1964 (poi in Racconti e prose,
introduzione di Cesare Segre, Mondadori, Milano 1990).
La Belta', Mondadori, Milano 1968.
Gli Sguardi i Fatti e Senhal, Tipografia Bernardi, Pieve di Soligo 1969 (poi
con un intervento di Stefano Agosti, Mondadori, Milano 1990).
A che valse? (Versi 1938-1942), Scheiwiller, Milano 1970.
Pasque, Mondadori, Milano 1973.
Filo' per il Casanova di Fellini, con una lettera e cinque disegni di
Federico Fellini, Edizioni del Ruzante, Venezia 1976 (poi Mondadori, Milano
1988).
Il Galateo in Bosco, prefazione di Gianfranco Contini, Mondadori, Milano
1978.
Mistieroi. Poemetto dialettale veneto, Calstaldi, Feltre 1979 (poi con il
titolo Mistieroi-Mistirus. Poemetto in dialetto veneto tradotto in friulano,
con versioni di Amedeo Giacomini e una postfazione di David Maria Turoldo,
Scheiwiller, Milano 1984).
Fosfeni, Mondadori, Milano 1983.
Idioma, Mondadori, Milano 1986.
Fantasie di avvicinamento, Mondadori, Milano 1991.
Aure e disincanti nel Novecento letterario, Mondadori, Milano 1994.
Meteo, Donzelli, Roma 1996.
Sovrimpressioni, Mondadori, Milano 2001.
I saggi di Fantasie di avvicinamento e Aure e disincanti nel Novecento
letterario sono stati accorpati in un cofanetto degli Oscar Mondadori
intitolato Scritti sulla letteratura, a cura di Gian Mario Villalta,
Mondadori, Milano 2001. Bisogna inoltre ricordare il volume curato da Andrea
Zanzotto, Colloqui con Nino, stampato nel 2005 in due diverse tirature:
Tipografia Bernardi, Pieve di Soligo e Il Ponte del Sale, Rovigo.
*
Bibliografia della critica
Sterminata e' la bibliografia critica, di cui bisogna ricordare perlomeno i
ripetuti, fondamentali interventi di Stefano Agosti. Ci limitiamo in questa
sede a segnalare solo alcune interessanti monografie che possono costituire
un utile approfondimento alla conoscenza di un'opera dalle infinite
sfaccettature.
Giuliana Nuvoli, Andrea Zanzotto, La Nuova Italia, Firenze 1979.
Beverly Allen, Verso la "belta'". Gli esordi della poesia di Andrea
Zanzotto, traduzione di Anna Secco, Corbo e Fiore, Venezia 1983.
Gian Mario Villalta, La costanza del vocativo. Lettura della "trilogia" di
Andrea Zanzotto: il "Galateo in Bosco", "Fosfeni", "Idioma", Guerini e
Associati, Milano 1992.
Uberto Motta, Ritrovamenti di senso nella poesia di Zanzotto, Vita e
Pensiero, Milano 1996.
Stefano Dal Bianco, Tradire per amore. La metrica del primo Zanzotto, Maria
Pacini Fazzi, Lucca 1997.
Luigi Tassoni, Caosmos. La poesia di Andrea Zanzotto, Carocci, Roma 2002.
E' disponibile anche un cofanetto che presenta la videocassetta vhs
contenente l'intervista curata da Carlo Mazzacurati e Marco Paolini nella
serie "Ritratti", Andrea Zanzotto, edito dalla Biblioteca dell'Immagine di
Pordenone nel 2001, a cui e' allegato anche il volumetto con il testo
dell'intervista, presentato da Marco Lodoli.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 269 del 3 dicembre 2008

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