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Minime. 659
- Subject: Minime. 659
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 4 Dec 2008 01:15:26 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 659 del 4 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Un seminario su Aldo Capitini a Reggio Emilia l'11 dicembre 2. Simonetta Fiori intervista Marcello Flores 3. Marino Niola ricorda Ernesto De Martino 4. Laura Santoro Ragaini: Alcune poesie di Robindronath Tagore 5. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 6. L'Agenda dell'antimafia 2009 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. UN SEMINARIO SU ALDO CAPITINI A REGGIO EMILIA L'11 DICEMBRE [Da Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas at interfree.it) riceviamo e diffondiamo. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org] Giovedi' 11 dicembre 2008, dalle ore 14,30 alle 18,30, presso l'Universita' degli Studi di Reggio Emilia, sede Zucchi (Aula 10 ñ secondo piano), si svolgera' il seminario di studi su Aldo Capitini nel quarantesimo anniversario della morte (1968-2008), "Il fanciullo nelle liberazione dell'uomo. La valenza pedagogica del pensiero nonviolento di Aldo Capitini a 40 anni dalla morte". Relatori: Tiziana Pironi (Universita' di Bologna), Marco Catarci (Universita' di Roma Tre), Pasquale Pugliese (Movimento Nonviolento di Reggio Emilia). Il seminario e' rivolto a studenti del Corso di laurea in Scienze dell'Educazione (e' prevista l'assegnazione di un Credito formativo universitario - Cfu - per la sola partecipazione ai lavori seminariali; di due Cfu per la partecipazione ai lavori seminariali e alla prosecuzione della riflessione sulle tematiche del seminario tramite un approfondimento personale scritto e valutato dai docenti), docenti della Facolta', insegnanti, amministratori, sindacalisti, operatori e volontari di enti e associazioni nonviolente e/o di educazione alla pace. * Ore 14,30: saluto della Preside della Facolta' di Scienze della Formazione, professoressa Roberta Cardarello. Ore 14,35: presentazione dell'iniziativa, a cura di Fulvio De Giorgi e Nicola Barbieri. Ore 14,45: Pasquale Pugliese: La figura di Aldo Capitini nella storia della nonviolenza italiana. Ore 15,05: Tiziana Pironi: La formazione di Aldo Capitini e il suo pensiero pedagogico. Ore 15,35: Marco Catarci, Il contributo di Aldo Capitini allo sviluppo di un pensiero educativo nonviolento nell'Italia del secondo dopoguerra. Ore 16,05: breve dibattito sulle relazioni. Ore 16,15: pausa. Ore 16,30: gruppi di lavoro sui temi trattati (aula 10, aula 6a, aula 6b). Ore 17,15: report dei gruppi in assemblea plenaria. Ore 18: dibattito e conclusioni. 2. RIFLESSIONE. SIMONETTA FIORI INTERVISTA MARCELLO FLORES [Dal quotidiano "La Repubblica" del primo dicembre 2008 col titolo "La battaglia dei diritti" e il sommario "Marcello Flores ha scritto una storia della conquista della parita'. La lunga marcia verso l'uguaglianza. A 60 anni dalla Dichiarazione Universale, uno sguardo al percorso accidentato che oggi ha portato un uomo di colore alla Casa Bianca. Un'epopea con le donne in prima fila, da Florence Nightingale a Eleanor Roosevelt. Ancora adesso le contraddizioni tra democrazie e tutela dell¥essere umano sono molte"] Pochi simboli come Obama primo presidente nero alla Casa Bianca restituiscono il lungo e controverso cammino della cultura dei diritti umani. Il clamore della novita' puo' essere commisurato alla lentezza del percorso. Nelle lacrime del reverendo Jesse Jackson e' la denuncia d'un vergognoso ritardo. Possibile che soltanto al principio del XXI un uomo di colore sia autorizzato a varcare la soglia della Casa Bianca, per di piu' tra molti timori? E' anche questo il segno d'una storia complicata, ricca di paradossi e contraddizioni, ora raccontata per la prima volta da Marcello Flores nel suo intreccio tra elaborazione ideale e azione concreta (Storia dei diritti umani, il Mulino, pp. 368, euro 25). "Il percorso storico dell'attuazione dei diritti umani e' assai piu' lento e accidentato rispetto alla consapevolezza teorica. Ma questa distanza tra auspicio e concretizzazione, tra ambizioni universalistiche e capacita' pratica assai parziale di realizzarle, va valutata storicamente: non puo' essere un pretesto per liquidare la questione dei diritti come inutile retorica". L'incoerenza e' uno dei tratti distintivi di questa lunga storia, riproposta alla vigilia del sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti, sancita dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Un'epopea, che vede in prima linea le donne, da Olympe de Gouges a Mary Wollstonecraft, da Florence Nightingale a Emily Hobhouse fino a Eleanor Roosevelt, artefice di delicate mediazioni alla guida della Commissione che con la Dichiarazione Universale intendeva chiudere l'epoca della violenza e dell'orrore. "Non e' un caso che siano figure femminili a scrivere questo racconto lungo due secoli, e che ancora oggi ne siano protagoniste, essendo esse stesse vittime di un'esclusione". Anche alla meta' del Settecento, momento fondante per la cultura dei diritti, all'interno della civilta' occidentale coesistono tensioni opposte e non poche ambiguita': da una parte la lotta contro l'arbitrio nella giustizia e nell'eguaglianza, dall'altra la perpetuazione di discriminazioni verso le donne e di pratiche spietate come la tratta degli schiavi, su cui si regge l'economia colonialista. "La storia dei diritti", spiega Flores, "non ha un risultato definitivo: e' un processo a tappe, mai garantite una volta per tutte. Fin dal principio la contraddizione ne e' un tratto costante. Sia la Rivoluzione francese che quella americana sanciscono l'eguaglianza di tutti gli uomini, ma in realta' si rivolgono al 'maschio', 'bianco' e 'proprietario'. Schiavi e donne ne sono escluse. Ma fu grazie alla circolazione di quelle idee che piu' tardi saranno sconfitte la schiavitu' e l'emarginazione femminile". Da nuovi fermenti germogliano, pur in un paesaggio contrastato, nuove aspettative. E soprattutto piccole azioni concrete, condotte da personalita' spesso ignorate dai libri di storia, ma non meno rivoluzionarie rispetto ai Beccaria, Voltaire, Montesquieu. "Mentre i philosophes diffondono idee destinate a influenzare il pensiero moderno, un gruppo di uomini e donne coraggiosi s'appresta a favorire una rivoluzione culturale e giuridica altrettanto rilevante". E' il caso degli inglesi Grandville Sharp e Thomas Clarkson che, da una piccola stamperia vicino a Londra, mossero la loro battaglia contro la tratta degli schiavi, che solo vent'anni dopo portera' all'abolizione del commercio degli schiavi da parte del Parlamento inglese. "Risale al 1787 la loro minuscola "Societa' per l'abolizione del commercio di schiavi", una delle primissime associazioni affidate al volontariato. Tante ne sarebbero scaturite negli anni a venire, procedendo parallelamente alla storia delle idee". Non sara' priva di contraddizioni anche la "svolta" successiva, alla meta' del XX secolo, quando la Dichiarazione Universale estese i diritti umani a tutti, senza distinzioni e discriminazioni, rimarcando la volonta' sovranazionale rispetto al potere delle singole nazioni. "Fu un fatto rivoluzionario. Ma i tre decenni successivi saranno giudicati da molti analisti un periodo di insuccesso continuo. Anche quello dei diritti divenne terreno di scontro: i diritti civili e politici dell'Occidente versus i diritti economici e sociali dell'Unione Sovietica. Bisognera' aspettare la fine della guerra fredda per poter vedere realizzati alcuni principi". Ancora oggi, dopo rinnovate battaglie e un'accresciuta sensibilita', le incoerenze appaiono insanabili. Sorti per limitare il potere, i diritti umani lo hanno spesso legittimato attribuendogli nuove responsabilita'. "I diritti non possono che essere garantiti dal potere", dice Flores, "pero' sappiamo quante difficolta' nascondano le stesse democrazie. L'emergenza del terrorismo internazionale ha indotto Gran Bretagna e soprattutto Stati Uniti a legislazioni che limitano i diritti in nome della battaglia contro i terroristi. Pero' tra i primi annunci di Obama figurano la chiusura del carcere di Guantanamo e il ritiro dei soldati dall'Iraq: segno che nello stesso Occidente vivono anime diverse". Quella dell'Occidente e i diritti umani e' una relazione complessa, densa di ombre dissimulate, spesso usata strumentalmente per spegnere ogni tentativo di dialogo multiculturale. "Si ritiene a torto che solo l'Occidente, per storia e tradizione, abbia un legame solido e coerente con la cultura dei diritti umani. Uno sguardo pur succinto alla storia occidentale aiuta a sgombrare il campo da questo equivoco. Le societa' europee del passato non hanno avuto, per la maggior parte della propria storia, alcuna tradizione fondata sui diritti umani. Discorso analogo vale per la democrazia, che diventa saldamente maggioritaria in Europa solamente nel corso del XX secolo, talvolta soccombendo a ideologie totalitarie e regimi dittatoriali fondati su disvalori anch'essi tipicamente occidentali". Un conto e' dunque rintracciare nel pensiero e nella storia occidentale i contributi piu' significativi per una cultura dei diritti umani, "diverso e' invece ritenere che questa sia connaturata alla civilta' occidentale e ne abbia segnato in modo coerente l'evoluzione". Palese intento strumentale e' riscontrabile in chi oggi rifiuta la cultura dei diritti umani in nome del "relativismo culturale", posizione manifestata anche di recente in difesa dei "valori asiatici". "I decenni che ci separano dal 10 dicembre del 1948 hanno visto la crescente partecipazione sul tema dei diritti di personalita', organismi, gruppi, associazioni tutt'altro che riconducibili esclusivamente alla cultura dell'Occidente. A meno di non considerare 'plagiato' o 'egemonizzato' chiunque si dichiari in Africa, Asia o Medio Oriente a favore dei diritti umani, gran parte dei contributi innovativi su questo terreno provengono proprio da ambiti culturali non occidentali e da esperienze di sincretismo culturale che sono un risultato storico della globalizzazione". Il terreno della tutela dei diritti umani rischia di essere abbandonato anche da quelle democrazie che, come la nostra, lo ritengono poco fruttuoso in termini elettorali e di consenso popolare. La colossale crescita dell'immigrazione e' un delicato banco di prova. "Come puo' il sindaco di una grande citta' italiana come Milano negare il diritto all'istruzione primaria dei figli degli immigrati irregolari? L'educazione e la salute sono diritti sacrosanti. Se non si vuole rispettarli, si va contro la Dichiarazione Universale". Una consapevolezza che pero' frequentemente manca nel dibattito pubblico, in Italia e altrove. "Le condizioni dei carcerati e la vita dei senzatetto spesso non rispettano la dignita' dell'uomo, pero' facciamo finta di niente. Le voci piu' incisive provengono per la massima parte dal mondo cattolico, il piu' vigile verso la cultura dei diritti. Anche da noi prevale la paura di fare i conti con le nostre incoerenze. Esserne consapevoli, al contrario, e' l'unico modo per non arretrare nella difesa di principi fondamentali". 3. ANNIVERSARI. MARINO NIOLA RICORDA ERNESTO DE MARTINO [Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 dicembre 2008 col titolo "La lezione di De Martino sull'umanita' minore" e il sommario "Cento anni fa nasceva il celebre padre dell'antropologia italiana. Fu lo studioso del tarantismo pugliese, di quello che lui stesso defini' come 'l'etnos del Mezzogiorno, il dolorante mondo dei contadini e dei pastori'"] Tra le altezze rarefatte della ragione idealistica e le convulsioni ritmiche delle tarantolate salentine, tra la severita' sussiegosa e distante dello storicismo crociano e l'immersione commossa nelle arcaiche profondita' del Sud. Tra questi estremi si snoda l'intera vicenda umana e scientifica di Ernesto De Martino, padre dell'antropologia italiana, di cui il primo dicembre ricorreva il centenario della nascita. Ragioni prima politiche e poi teoriche - due dimensioni che nella sua opera non si separeranno mai - guidano il cammino del grande intellettuale napoletano oltre le colonne d'Ercole di Eboli. Comincia negli anni Cinquanta la nekya meridionale di De Martino, la sua discesa negli inferi di un Mezzogiorno che e' al tempo stesso una dimensione antropologica, una regione dell'anima e una ferita meridiana della storia. Nel profondo Sud il raffinato filosofo trova quel che altri grandi antropologi come Levi-Strauss e Malinowski cercano in terre lontane. Una nuova coscienza dei limiti e delle virtu' della propria civilta'. Un modo di guardare il proprio se', individuale e collettivo, nello specchio di una abissale differenza. Un'operazione problematica, spesso traumatica, che espone il ricercatore al rischio di veder vacillare le proprie certezze, di revocare in questione i fondamenti stessi della propria identita', del proprio essere nel mondo. Esattamente come accade all'intellettuale De Martino ascoltando la nenia funebre intonata da una contadina lucana con suoni, parole e gesti da tragedia greca. Lungi dal considerare le lacrime della donna come una pittoresca, o superstiziosa sopravvivenza, lo studioso si interroga su se stesso e sulla sua cultura, sullo scandalo di quella faglia storica cosi' profonda da rendere una sua concittadina, e contemporanea, lontana da lui quanto un'aborigena australiana. Scheggia di un'altra storia non piu' nostra, avrebbe detto Pasolini. Oggetto di ricerca, se non di esperimento. Il primitivo di De Martino e' dunque quello che lui stesso definisce "l'etnos del Mezzogiorno, il dolorante mondo dei contadini e dei pastori". Una umanita' oppressa dove la magia aiuta gli uomini a far fronte alla precarieta' dell'esistenza e rappresenta un antidoto simbolico e condiviso, contro quella che De Martino definisce, con termine heideggeriano, la crisi della presenza. La chiave di volta dell'antropologia storica demartiniana e' la ricerca sul tarantismo pugliese condotta alla fine degli anni Cinquanta nel Salento. Dove la cura musicale del morso della tarantola diventa il paradigma di un orizzonte magico e simbolico in grado di dare un nome, anche se non un rimedio, al male e alla miseria di un'umanita' minore. Dall'indagine sul tarantismo nasce La terra del rimorso, il libro piu' famoso dell'antropologia italiana. Che sia tra i selvaggi delle Americhe o fra i contadini italiani, il viaggio etnografico e' in ogni caso un'uscita da se', un distacco dai limiti angusti del proprio angolo di mondo per cercare, nelle alterita' vicine e lontane, un'immagine piu' compiuta di se' che comprenda perfino il modo in cui ci rapportiamo a queste alterita'. Il frutto piu' maturo dell'umanesimo occidentale e' la capacita' di negarsi, diceva Cesare Cases. A questa autocritica culturale De Martino contribui' con la fondazione della leggendaria "collana viola" di Einaudi, concepita insieme a Cesare Pavese, con lo scopo dichiarato di sprovincializzare la cultura italiana, stretta tra idealismo, marxismo e pensiero cattolico. Rendendo in questo modo finalmente accessibili autori proibiti come Jung, Kerenyi, Eliade, Mauss, Durkheim. Ma, quel che piu' conta, questa critica De Martino la sbatte' in faccia all'Italia del miracolo economico, che ancora si cullava nell'illusione delle magnifiche sorti e progressive, nell'escatologia del benessere, e che era improvvisamente costretta a contemplare con stupore orrificato le contadine lucane che si percuotevano il petto ululando come delle menadi in lutto, o le tarantolate salentine che si arrampicavano sugli altari con l'agilita' spiritata di ragni equilibristi. Era il lato oscuro dello sviluppo, quella non-storia sofferente che offriva alla trasformazione del paese un doppio tributo: quello di chi emigrava e quello di chi restava. Spaesamento da una parte e arretratezza dall'altra. Le donne tarantolate erano storicamente e anagraficamente sorelle del Rocco di Visconti e delle madri dolenti di Pasolini. Ma anche della folla stracciata e sognante di Miracolo a Milano. Oltre a capolavori come Il mondo magico, Sud e magia e Morte e pianto rituale nel mondo antico - vincitore del Viareggio 1958 - l'eredita' che il grande antropologo, scomparso nel 1965, ha lasciato alla cultura italiana consiste in una officina antropologica che non ha mai smesso di produrre sollecitazioni a pensare. Soprattutto oggi che il mondo, come lui stesso diceva, ha piu' che mai fame di simboli per dire i suoi mali. Per lenire i suoi dolori. 4. PROFILI. LAURA SANTORO RAGAINI: ALCUNE POESIE DI ROBINDRONATH TAGORE [Dal mensile "Letture", n. 556, aprile 1999, col titolo "Il Tagore innamorato" e il sommario "La produzione del Nobel e' vasta e non tutta e' stata ancora tradotta in italiano. Ecco alcune liriche dedicate alla cognata Kadombori, sua musa ispiratrice, morta in circostanze non chiare. E una che testimonia gli scarsi risultati a scuola"] Il premio Nobel per la letteratura assegnato a Robindronath Tagore nel 1913 per le toccanti liriche del Ghitangioli, che con una liberta' impensabile per l'austera Europa di inizio secolo si rivolgevano a un Dio conosciuto e sconosciuto insieme, stupendo le coscienze occidentali, fisso' per sempre nell'immaginario collettivo il grande gurureb indiano nel ruolo del mistico. Ma quel personaggio misterioso e imponente, dalla lunga barba maestosa e dallo sguardo profondo e dolce, impenetrabile nella sua vasta cultura, quel Bisso kobi (Poeta universale), come lo chiamavano in patria, in realta' fu molto di piu'. Poeta ed esteta, lirico e satirico, riformatore e filosofo, sognatore e uomo d'azione, patriota e cosmopolita, Tagore scrisse romanzi, commedie, drammi, racconti, trasformando il prakrit locale, farcito di sanscrito, in una lingua letteraria di altissima perfezione; si cimento' con saggi filosofici, politici, religiosi; si interesso' di pedagogia e di riforme sociali; lotto' contro pregiudizi e superstizioni; si impegno' in realizzazioni concrete in campo educativo, culturale, agricolo, sempre sognando un mondo di pace universale, dove Dio avesse un solo nome, le culture si incontrassero come in un nido, e gli uomini fossero veramente fratelli. Ormai settantenne, si cimento' con entusiasmo persino nella pittura, quasi alla ricerca di un nuovo modo di comunicare, ed espose le sue opere in Europa e negli Stati Uniti. Se il "fenomeno" Tagore esplose in tutto il mondo nel 1913 (in Italia il merito e' interamente da attribuirsi alla casa editrice Carabba di Lanciano che puntualmente e coraggiosamente tradusse e pubblico' in italiano i libri che man mano l'editrice Macmillan stampava a Londra), nel Bengala fu conosciuto e apprezzato - e, come sempre accade in questi casi, anche invidiato e contestato - molto prima, fin dal 1882-83, gli anni di Sondha Songhit (Canti del mattino) e Probath Songhit (Canti della sera). Fu lo stesso Bonkin Ciondro Ciatargii, la massima autorita' riconosciuta del movimento letterario bengalese, nel corso di una cerimonia pubblica, a porre al collo di quel poeta ventenne, un po' stravagante ed eccentrico, la sua collana di fiori in segno di stima. Le 103 poesie del Ghitangioli inglese che decretarono la fama di Tagore sono il frutto di una scelta operata dallo stesso poeta, e di un suo lavoro di traduzione. Alcuni dei libri originali da cui esse sono tratte (Noibeddo, Sissu, Cioitali, Kolpona, Shoron) sono conosciuti dagli studiosi italiani grazie alle traduzioni direttamente dal bengoli di Marino Rigon, un missionario saveriano da quasi cinquant'anni in Bangladesh, che ha dedicato la sua vita allo studio e alla traduzione delle opere di Tagore. Altri (Ghitimallo, Khea, Utsorgo), per quanto tradotti, non sono stati purtroppo ancora pubblicati in Italia. * Nel segno della Bellezza Ora, tralasciando volutamente il tema religioso, o altri temi quali l'universalismo, la pace, la morte, la natura, piu' noti e ricchi di commenti, offriamo invece ai lettori alcune poesie che parlano d'amore, altro argomento base dell'opera tagoriana, scelte da raccolte inedite in Italia, composte in eta' diverse. Nato in una famiglia tutta particolare della Calcutta leggendaria nella seconda meta' del XIX secolo, in pieno risorgimento culturale, politico, religioso, allevato in un ambiente principesco con idee libere e progressiste (il padre, il Mohorsi Debendronath, fu un riformatore religioso seguace di Ram Mohon Rae), innamorato della vita e dell'uomo, continuamente in ricerca e in movimento (viaggio' moltissimo), Tagore inizio' il suo cammino, umano e di poeta insieme, affascinato dalla Bellezza, che per lui fu sinonimo di Dio. Provato, ma non piegato dalla morte di tante persone care, sino a proclamare in Sonar Tori (La Barca d'oro): "Morte, tu non esisti", Tagore seppe mantenere il suo cuore in uno stato di continuo e profondo innamoramento per tutto cio' che era bello e vitale, non separando mai del tutto il sacro dal profano. Partendo dalla Bellezza Tagore seppe arrivare a Dio, in un cammino religioso che fu sempre da poeta, come egli stesso dichiaro' piu' volte, sinche' il bisogno di un rapporto piu' personale e diretto lo porto' a incontrare e a lottare per l'uomo. Orfano di madre in giovane eta', quattordicesimo di quindici figli, si lego' moltissimo a una cognata poco piu' che coetanea, Kadombori, che gli fu compagna di giochi e complice di scoperte letterarie, precettrice e musa ispiratrice. L'usanza di introdurre in casa mogli bambine favoriva talvolta nell'India di allora un'intimita' un po' ambigua, erotica e passionale anche se non consciamente sessuale. E forse anche Robi la provo'. Certo fu sempre molto legato a questa giovane amica che si uccise, per cause mai chiarite del tutto, pochi mesi dopo il suo matrimonio, iniziandolo cosi' al dolore e al distacco. Ma se Kadombori fu per lui l'ideale femminile, nessuna donna concreta lo appago' mai del tutto. "La mia vera casa e' la' dove mi sento stimolato a tirar fuori il meglio che c'e' in me e che mi porta inevitabilmente a contatto con l'universale", scrisse nel 1925 a Victoria Ocampo. "Devo avere un nido dove possa scendere liberamente la voce del cielo. Ma ogni volta che avverto che il nido sta diventando rivale del cielo, il mio intelletto come un uccello migrante cerca di prendere il volo per terre lontane. Io non sono libero di rinunciare alla mia liberta' perche' questa e' reclamata dal mio Maestro che mi vuole tutto al suo servizio". * L'amore e' come un'eclissi La prima poesia inedita che presentiamo e' Rahur Prem (Amore d'eclissi) dalla raccolta Ciobi o Gan (Immagini e Canti). Fu composta nel 1883, a 22 anni, e dedicata a Kadombori: in essa Tagore paragona l'amore fisico, di cui il poeta forse non aveva ancora fatto esperienza (si sposera' dopo poco con una ragazzina di undici anni), a una eclissi, durante la quale il sole e la luna, in realta' assai lontani, danno l'illusione di unirsi, mentre fanno solo ombra e buio. Robi, per ora, ha solo assaporato la vita, ma l'amore, per quanto innocente e sublime gli sia sembrato, gli ha gia' svelato i suoi lati spesso cosi' dolorosi e angoscianti da rendere l'uomo quasi un fantasma che segue una maledizione, incapace di raggiungere una vera liberazione. * Amore d'eclissi Ho sentito che non ti piaccio: questo poco importa! Avvolti i piedi con stretti legami mi terro' legato a te, come catena di ferro. O sfortunata, sei mia prigioniera. Io tuo eterno compagno sono la tua ombra: Tutto sara' da me nascosto e il mondo scomparira'. Sempre ti avvolgero' come un brutto sogno: giorno e notte nelle tue lacrime vedro' il mio volto. Come elemosina staro' dinanzi a te: Dietro la vita sta la morte, dietro la speranza la paura: per tutta la terra come fantasma, la notte cammina sempre in cerca del giorno. Dove c'e' luce ci sono le tenebre: e' la legge della terra! * La seconda poesia che proponiamo fa parte della raccolta Manosi (e' il femminile di manos, mente, e significa: concepita dalla mente, fantastica, diletta), un insieme di liriche scritte a Ghazipur, sul Gange, in quella parte occidentale dell'India, coltivata a roseti e ricca di costruzioni Moghul, da sempre oggetto delle romantiche fantasie del poeta. Il libro fu pubblicato nel 1890, quando Tagore aveva circa trent'anni, sette settimane dopo il ritorno in patria dal secondo viaggio in Europa. Sono passati diversi anni dal suo matrimonio e dalla morte di Kadombori, a cui anche questo libro e' dedicato, ma il ricordo di lei e' ancora vivo. Anzi, la lontananza e la separazione lo rendono piu' forte. Questo sentimento di nostalgico ricordo, che permette forse di capire meglio che cosa significhi amare (in bengoli: biroho; roho: stare, bi: lontano), trattato da Tagore in modo nuovo e personale, trae origine dalla letteratura religiosa Vaisnava e dai Baul, i poeti mendicanti del Nord Bengala, appartenenti alla setta segreta di ispirazione tantrica da cui Robindronath prese il senso del mistero. * Timore Chissa', e' questo bene? Pieno il cielo di fasci di luce sentivo mio il sole e mia la stella, oggi tu sola sei la luce dei miei occhi. Chissa', e' questo bene? Quanto splendore, quanta felicita'! C'erano molti dolci volti, sempre nuove specie di fiori fiorivano alla mia porta: piccole speranze, piccoli affetti, il cuore aveva centinaia di nidi; c'era il cielo, c'era la terra tutto intorno a me. Dove sono scomparsi? Oggi tutti sono nascosti in te. Chissa', e' questo bene? Percio' presso di te il mio cuore trema. Sto sveglio giorno e notte non c'e' sonno negli occhi. Ti ho fatto dono di tutti i miei canti di tutta la mia vita: ti ho lasciata nell'universo, senza serbare spazio per me. Ma pur prendendo tutto se non trovi soddisfazione, pur te ne vai gettandomi indietro; in un istante tutto diventa vuoto su questo tuo trono del mondo. Come segno restano soltanto le linee nere della morte. Chissa', e' questo bene? (Giorosanko, 29 agosto 1889) * A scuola senza risultati Nella caotica ed estremamente vivace atmosfera di Giorosanko, la dimora dei Tagore a Calcutta, dove si davano convegno filosofi, poeti, musicisti e artisti di ogni genere, l'infanzia di Robindronath non fu particolarmente felice. Pur tra numerosissimi zii, cugini, fratelli, il piccolo Robi soffri' per la prematura morte della madre e per l'"assenza" del padre, uomo troppo pio e distaccato dalle cose terrene per occuparsi personalmente dei figli; per gli insuccessi scolastici e per la terribile disciplina a cui veniva sottoposto da parte dei servi, secondo le usanze del tempo. Anche in questo caso, come testimonianza, proponiamo una poesia inedita, "Giocattolo rotto", scelta da Sissu Bolanath (Bambino, re dell'oblio), del 1922. Il poeta, che tanto aveva patito per i metodi aridi e ripetitivi adottati da maestri spesso ignoranti e incapaci (Robindronath frequento' ben cinque scuole senza giungere a nessun risultato), nel 1901 si trasferi' con la famiglia a Santiniketon (Casa della pace), vicino alla stazione di Bolpur, dove gia' il padre aveva costruito un eremo, fondandovi una scuola ispirata alla natura e alla liberta', secondo gli insegnamenti degli antichi ashram della foresta. La piccola scuola di Santiniketon si trasformera' poi nella Visva-Bharati, l'Universita' internazionale tuttora esistente, ideata per unire popoli e culture alla ricerca di un mondo nuovo, regno di pace e di fratellanza: il grande sogno di Tagore, anticipazione di quell'umanesimo dell'eta' moderna che sara' alla base della costituzione dell'Onu. Sissu Bolanath segue di circa vent'anni le gia' famose liriche del Sissu (1904). * Giocattolo rotto Solo perche' ho detto: "sette e otto, ventisette" il maestro con rabbia e' balzato su di me. O mamma, il giocattolo colorato che mi hai comperato per cinque lire questa volta il giorno del carroccio (1) era nascosto sotto il libro. Un bambino l'indico' e il maestro con rabbia lo ha ridotto in pezzi. Disse: "Giorno e notte sempre e solo giochi; la tua mente non e' attenta neppure un po' al tempo dello studio". Mamma, a chi lo devo dire? Dimostra lui forse dignita'? E se mi lamentassi proprio con lui? Non ha lui pure, mamma, in casa sua in qualche modo giocattoli per giocare? Come puo' non provare almeno un po' di interesse per i giocattoli? Occupato con loro a giocare mattino e sera non trascurerebbe in qualche modo anche lui lo studio? E se qualcuno con rabbia gli rompesse quei giocattoli, pensa, mamma, in cuor suo quanto ci rimarrebbe male! (25 settembre 1921) * Un "Flauto" in stile biroho Concludiamo questa rapida carrellata di inediti con quattro poesie provenienti da Sanai (Flauto, 1938-40), un'opera ispirata anch'essa allo stile biroho, considerata da molti critici tra le migliori dell'eta' adulta, particolarmente solida e realistica. Qui il poeta non sente piu' il bisogno di porsi domande sul mistero della vita e della morte, non spinge la fantasia e la mente ad analizzare la realta' e non esprime giudizi morali. * Avanti indietro L'amore venne con passo da sembrarmi un sogno; non diedi a lei il trono per sedersi. Al momento dell'addio sentendo il rumore della porta che si apriva corsi indietro a chiamarla. Allora il sogno rimase senza corpo, svanito nella notte. La fiamma della sua lampada sulla via lontana fu solo un miraggio rosso. (28 marzo 1940) * Avara Venni alla porta, una notte di pioggia dirotta; perche' hai spento la lampada con il lembo del vestito? Un'ombra nera mi attraverso' il cuore, immagine di volto ribelle nascosto nel profondo, simile alla luna che sempre cammina portando con se' macchie d'infamia. Ahime', ahime', avara, perche' mi hai negato un solo briciolo di grazia? Dentro la tua giovinezza regna la bellezza, tuttavia, portando le sue lettere perche' non le hai date in mano? * Canto Non ho potuto capire sino a oggi chi conduceva i miei sogni: nel cercare sono passati i giorni. Chiamasti al momento giusto, copristi la mia vergogna; ho potuto capirti. Chi mi riportera' indietro senza carezze, chi mi chiamera' accanto, dentro la sofferenza dal cui amore attingo il mio valore, non posso piu' solo dibattermi in questi dubbi incessanti: posso soltanto capire che tu sei verita'. (6 dicembre 1938) * Nome In tempo di pioggia in un angolo della casa tesse il vestito di seta e di lana ascoltando in silenzio i miei scritti: cosi' e' la mia Shonamoni. (2) Non e' questo un richiamo che si leva sonante dal volto dell'amata: la lingua del cuore e' la mia miniera. Lei sa e anch'io so: questa e' una mia completa follia: sentendo il richiamo il lavoro si ferma, i braccialetti dondolano tintinnanti. Ella ride, percio' anch'io rido: non c'e' resistenza alla risposta: pur rifiutata dal vocabolario per noi in cuore e' chiara. Segretamente in quell'istante insieme all'arte della lana e al danzare delle tenere mani nasce il suono di un nuovo nome: Shonamoni, o Sonamoni. (Kalimpong, 24 maggio 1940) Facciamo fatica a pensare che l'autore di questi versi ha quasi ottant'anni: il suo animo e la sua sensibilita' non sembrano aver subito l'ingiuria del tempo. Non dimentichiamo pero' che i suoi connazionali lo chiamarono Siddhidata Gonesh (Gonesh e' il dio dell'arte, e siddhidata significa "creatura perfetta"), quindi "modello di perfezione". E il suo nome fu Robi, "sole". * Note 1. Si tratta del carro sul quale, in determinate feste, vengono trasportate le statue della divinita'. 2. Gioco di parole tra shonamoni, vezzeggiativo affettuoso, e sonamoni che significa "gioiello d'oro". * P. S. Nella trascrizione delle parole bengalesi abbiamo adottato la grafia usata da Marino Rigon; una grafia che rispetta il piu' possibile la pronuncia originale, piuttosto che seguire quella tradizionale che ci viene attraverso l'inglese. * Traduzioni dal Belgoli Queste sono le opere del Nobel Robindronath Tagore tradotte direttamente dal bengoli da Marino Rigon: Ghitangioli (Guanda 1964); Sfulingo (Guanda 1971); Bolaka (Guanda 1975); Sissu (Guanda 1979); La Barca d'oro (Guanda 1991); Cioitali (Esca 1991); Kori o Comol (Book Editore 1991); Shemoli (Book Editore 1992); Noibeddo (Edizioni Paoline 1992); Rogsoggiae (Book Editore 1993); Il Cristo (Edizioni Paoline 1993); Lechon (SE 1994); Citra (Edizioni Paoline 1994); Shoron (Ave 1995); Kolpona (Book Editore 1995); Santiniketon (Edizioni Paoline 1995); Kotha o Kahini (Book Editore 1996); Il nido dell'amore (Edizioni Paoline 1998). 5. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 6. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 659 del 4 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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