Nonviolenza. Femminile plurale. 221



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 221 del 27 novembre 2008

In questo numero:
1. Il 29 novembre a Marino
2. Lea Melandri: Il dominio e l'amore
3. Maria Grazia Campari: Sulla violenza di genere
4. Mabel Marquez Vijil: Contadine
5. Angela Giuffrida: Corpo pensante
6. Paola Zaretti: Bilinguismo e binarismo
7. Angela Giuffrida: Recuperare consapevolmente il nostro approccio
cognitivo

1. INCONTRI. IL 29 NOVEMBRE A MARINO
[Riportiamo il seguente comunicato dal titolo completo "Il 29 novembre un
convegno a Marino (Roma), la dottoressa Antonella Litta relatrice"]

Una tavola rotonda sul tema "L'aeroporto di Ciampino e la salute dei
cittadini" si svolgera' sabato 29 novembre 2008, dalle ore 16 alle ore 19,
presso il salone parrocchiale della parrocchia "Nativita' della beata
vergine Maria" in via Gramsci 1, a Santa Maria delle Mole, frazione di
Marino (il comune dei castelli romani confinante con l'aeroporto di Ciampino
che dell'attivita' aeroportuale subisce anch'esso le conseguente devastanti
per la salute, la sicurezza, la qualita' della vita).
All'incontro sara' relatrice la dottoressa Antonella Litta, portavoce del
Comitato che si oppone al mega-aeroporto a Viterbo e s'impegna per la
riduzione del trasporto aereo.
*
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per
l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia).
Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale
ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni
medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi
africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di
programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato
"Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla
legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente.

2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL DOMINIO E L'AMORE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 16 novembre 2008, dal titolo "Il dominio e
l'amore" e il sommario "Basta con il vittimismo. Torniamo a indagare il
sogno d'amore"]

Penso che sia importante, per non dire necessario, che il 22 novembre si
torni a manifestare contro la violenza maschile che quotidianamente avviene
nelle case.
Nonostante gli sforzi di molte donne, che hanno tentato di farne un problema
politico di primo piano - tenuto conto che si parla di un rapporto di potere
che opprime meta' degli esseri umani -, e' tornata ad essere, nei mezzi di
informazione, solo cronaca nera, e per le forze politiche solo una
ricorrenza da celebrare una volta all'anno.
Questa cancellazione la dice lunga sulla protervia della cultura maschile
dominante nel nostro paese, ma dovrebbe anche far riflettere, purtroppo,
sulla subalternita' intellettuale delle donne che oggi si muovono sulla
scena pubblica con qualche ruolo di potere.
Non serve una massa critica perche' una, due, tre giornaliste o parlamentari
si prendano la responsabilita' di denunciare il vergognoso silenzio su
quella che e' da secoli la prima delle "emergenze". Serve il coraggio e la
scelta di rischiare anche un avanzamento di carriera o il posto di lavoro,
serve la forza di disobbedire o di contrastare l'imposizione di un
caposervizio, di un dirigente di partito. Ma questo non avviene, e allora si
fa strada il dubbio: forse non si tratta di resa al comando del piu' forte,
ma di consenso, condivisione, piu' o meno consapevole, della stessa visione
delle cose.
E' da qui allora che bisogna ripartire e chiedersi se la facilita' con cui
le donne, una volta insediate nella sfera pubblica, fanno propria la lingua,
la cultura, le logiche di potere, che le hanno escluse, non abbia radici che
affondano nel privato, nei legami piu' intimi. Un rinato movimento
femminista ha portato allo scoperto, negli ultimi anni, i dati allarmanti
sulla violenza manifesta che si consuma tra le mura domestiche, per mano di
mariti, padri, figli, fratelli, ma sembra difficile andare oltre la denuncia
e il vittimismo che quasi sempre ne consegue.
Non e' vero che "si uccide per amore", e' evidente tuttavia che l'amore
c'entra, che forse e' proprio l'amore, apparente "tregua" nella guerra dei
sessi - come scrive Pierre Bourdieu nelle ultime pagine del suo libro, Il
dominio maschile (Feltrinelli 1998) -, "la forma suprema, perche' la piu'
sottile, la piu' invisibile" della violenza simbolica.
Negli anni '70, la grande svolta del femminismo rispetto alle lotte di
emancipazione che l'avevano preceduta, e' stata quella di spostare
l'attenzione dalla sfera pubblica al privato, di capire che
l'"espropriazione di esistenza" delle donne cominciava da una sessualita'
negata e confusa con la funzione generativa.
Ha preso avvio allora un processo di riappropriazione del corpo, che ha
interessato, oltre alla sessualita', la salute e la maternita', anche se
vista soltanto come liberta' di scelta - la questione dell'aborto -, e non
per le implicazioni profonde che legano l'esperienza originaria della
fusione con la madre al desiderio di appartenenza intima a un altro essere,
quale si ripropone nella coppia adulta.
E' stato certamente un grande passo avanti, nella coscienza storica,
rendersi conto che il dominio maschile non passa solo attraverso l'esercizio
del potere - leggi, istituzioni, saperi -, ma per aspetti meno visibili
della vita e delle relazioni personali, scoprire che la liberta' per le
donne e', prima di tutto, "liberta' di essere", un tema, come disse allora
Rossana Rossanda, "irrisolto nel giuridicismo delle nostre democrazie: la
questione della inalienabilita' della persona. Esse sanno che la persona
resta violata al di la' delle dichiarazioni di diritto: dalla miseria, dal
comando, dalla ideologia, da quella proiezione dell'oppressore che stinge
anche all'interno di noi" (R. Rossanda, Le altre, Bompiani 1979).
Oggi, con una visione di insieme che abbraccia entrambi i poli di una
dualita' che ha perso via via confini e differenze, verrebbe da dire che
occorre un'altra svolta, per certi versi piu' "spudorata" e piu' "oscena",
se e' vero che "fuori scena" sono oggi i sentimenti, le emozioni, la memoria
del corpo in cio' che trattiene di piu' remoto e di impresentabile.
Resta da chiedersi quale "alienazione profonda dell'Io" passa attraverso
l'amore, cosi' come lo abbiamo conosciuto, teorizzato e insegnato dall'uomo,
e dalla donna stessa, che si e' fatta tramite della rappresentazione
maschile del mondo.
Dell'appropriazione che l'uomo ha fatto del corpo femminile, si e' ragionato
finora quasi esclusivamente in termini di violenza, sfruttamento, controllo;
del dualismo sessuale si e' visto soprattutto il privilegio maschile, molto
meno l'aspetto seduttivo dell'amore come luogo di una ideale ricomposizione
di parti disgiunte e complementari, la realizzazione di un desiderio
"preistorico", il modello di ogni felicita'. Parlare di "possesso" in
termini amorosi ha, almeno all'apparenza, un significato molto diverso da
quando lo applichiamo al potere.
"Possedere e essere posseduti - scriveva Paolo Mantegazza in un libro molto
amato dal pubblico femminile, Le estasi umane (Paolo Mantegazza editore,
Milano 1887) -, formula prima ed ultima, scheletro psicologico di ogni
amore". E aggiungeva, a sostegno della sua affermazione, l'esempio
dell'abbraccio, tanto piu' appassionato quanto piu' la donna ha "piedi
piccoli, piccole mani", vita stretta, mani che scompaiono nella mano
dell'uomo, e che assicurano un "assorbimento completo".
Nella "fusione amorosa" gioca una parte ambigua l'apparenza della
"reciprocita'" - "rapiti e rapitori" -, che impedisce di vedere chi e'
realmente il soggetto dell'appropriazione e di come il "far proprio" si
traduca in assimilazione, "riduzione al medesimo".
Da questo punto di vista, piu' esplicito era stato Jules Michelet (L'amore,
1858, Rizzoli 1987), un altro adoratore delle madri, piu' sottilmente e
violentemente misogino di chi, come Otto Weininger, ha svelato, pagando
giovanissimo con il suo suicidio, la follia sessista e razzista insita nella
cultura occidentale. "La donna si impregna nell'intimo, si compenetra
dell'amato fino a diventare lui", "intuisce che l'amerai di piu', sempre di
piu' se diventa tua e te stesso".
La reciprocita' e' l'effetto illusorio che viene dalla sovrapposizione
immaginaria tra nascita e coito, dal capovolgimento che sembra far rivivere,
nella "diade amorosa", come scrive in tempi molto piu' vicini a noi Bordieu,
un "creatore", non piu' "Pigmalione egocentrico e dominatore", ma "creatura
della sua creatura".
Sulla presa che ha ancora questa rappresentazione ambigua della madre, che
nell'amore si farebbe figlia, creatura debole "per natura", desiderosa di
protezione, pronta a negarsi per rivivere nell'altro e attraverso l'altro,
sia esso marito, figlio o amante, non si e' riflettuto abbastanza.
Allo stesso modo, stentano ad arrivare alla coscienza gli aspetti diversi,
contraddittori che si mescolano confusamente nel sogno d'amore: la memoria
del corpo - i segni che lascia la vicenda originaria -, la nostalgia
dell'uomo-figlio di ricomporre in armonia cio' che la sua "civilta'" ha
separato, e il dominio dei padri che hanno non solo sottomesso, violato,
sfruttato il corpo femminile, ma fatto passare per amore il sacrificio di
se' della donna, chiamata, come si legge nell'Emile di Rousseau, "a vivere
in funzione degli uomini".
Siamo sicure di aver sbrogliato questo annodamento perverso di amore e
morte?
Siamo ancora convinte che per la donna l'"alienazione della persona" passa,
prioritariamente, dall'espropriazione del corpo, delle sue energie fisiche,
psichiche, intellettuali, dal suo essere sempre e comunque "rigeneratrice"
dell'altro sesso, complemento della loro traballante "civilta'"?
Non abbiamo forse abbandonato troppo in fretta la pratica collettiva che ha
prodotto cambiamenti significativi delle vite e autonomia di pensiero, cioe'
l'autocoscienza?

3. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: SULLA VIOLENZA DI GENERE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento dal titolo
"Pensieri sulla violenza di genere" e la nota "Riflessioni nate dal
dibattito nel Collettivo di Porta Nuova, allargamento e affiancamento del
gruppo 'Tra se' e mondo' donne politica e scrittura della Libera universita'
delle donne"]

Il pensiero della violenza da contrastare a livello globale va, secondo me,
articolato nell'esame della violenza di genere, quotidianamente riservata
alle donne contro la quale mancano, nel nostro paese, sia riflessione che
misure adeguate. Una situazione che chiama in causa anche la nostra
responsabilita' di cittadini/e.
In questa fase, la globalizzazione economica esercita un influsso prepotente
sulle vite di tutte/i, donne e uomini.
Le donne, in particolare, subiscono l'esito infausto del nesso fra egemonia
del mercato e politiche familistiche (uomo individualista economicamente
indipendente, donna dipendente al servizio della famiglia) al quale fa
seguito la diffusione di valori morali e giuridici di stampo
fondamentalista, che inevitabilmente comportano una diminuzione se non una
negazione di liberta' in primo luogo per le donne, poi per tutti quanti, a
causa della indivisibilita' di questo valore.
Questo ordine determina la negazione di qualsiasi relazione fra soggetti
dotati di pari valore, svalorizza l'autonomia e l'autodeterminazione delle
donne, nega loro fondamentali diritti della personalita'.
Attraverso il richiamo a valori religiosi dichiarati indisponibili, nega
l'autogoverno laico delle vite e avvolge tutte in una rete intessuta di nodi
autoritari.
Questo ordine comporta, inoltre, precise ricadute sull'integrita' e sulla
vita stessa delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore, alla inesistenza
di autonomia decisionale sul proprio corpo (sancita da leggi e regolamenti),
alla persecuzione con violenza, fino all'uccisione di chi ha scelto di
reggere il filo della propria vita con le proprie mani, senza affidarsi ai
ruoli imposti dalla tradizione e dalla cultura maschile.
Vi e' un nesso di consequenzialita' fra lo svantaggio politico-sociale
femminile e la violenza sessista.
Per questo motivo la violenza, anche quando abbia luogo fra le mura
domestiche, non e' un fatto privato sulla cui origine i poteri pubblici
possano stendere un velo di silenzio e disinteresse, oppure tentare di porvi
rimedio attraverso la scorciatoia del solo diritto criminale, limitandosi ad
inasprire la previsione di pene.
In alcuni Paesi europei (Spagna, ad esempio), le istituzioni sono
intervenute con una serie articolata di misure, nella consapevolezza che,
essendo lo svantaggio femminile il dato di base all'origine della violenza,
per porvi rimedio occorrono sistemi adeguati.
Nell'ottica di un intervento integrato e multidisciplinare per la
sensibilizzazione e la prevenzione della violenza di genere, potrebbe essere
opportuno pensare ad una agenda di diritti propri delle cittadine europee,
rendendo obbligatoria l'applicazione in ogni Stato membro dell'Unione della
legislazione nazionale piu' favorevole alle donne, in ogni aspetto del
vivere associato.
In Italia, si potrebbe pensare all'adozione di un piano nazionale (sul
modello spagnolo) di acculturamento e sensibilizzazione rivolto a tutti e a
misure legislative dotate di un forte contenuto politico, per il cambiamento
delle relazioni fra donne e uomini. Una legge onnicomprensiva che evidenzi
l'origine sessista della violenza insita nella discriminazione contro le
donne, che evidenzi l'importanza della visibilita' e della prevenzione per
un problema da considerarsi grave problema sociale, da affrontare e
risolvere in tempi ragionevolmente rapidi.

4. MONDO. MABEL MARQUEZ VIJIL: CONTADINE
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) riprendiamo il
seguente articolo del 23 ottobre 2008 dal titolo "L'agricoltura e la lotta
dei contadini dal punto di vista delle donne" e il sommario "Dal sito di Via
Campesina riprendiamo questa riflessione sulle donne contadine"]

All'interno di "Via Campesina" le lotte per i diritti dei e delle
contadini/e ha avuto inizio molti anni fa, ma le donne delle zone rurali
combattono e vivono in condizioni piu' pesanti di quelle dei loro compagni.
Le donne costituiscono la maggioranza tra i piccoli agricoltori nei Paesi
poveri.
Secondo gli studi condotti da una ricercatrice europea intervenuta sul tema
dell'agricoltura e delle lotte contadine alla quinta Conferenza di "Via
Campesina", svoltasi a Maputo dal 13 al 23 ottobre 2008, in tutto il
continente africano sono le donne che con il loro lavoro producono il cibo
necessario al sostentamentodi tutta la famiglia, ma la maggior parte di loro
non ha accesso ai servizi di base e molte dipendono dallíagricoltura per la
sopravvivenza quotidiana.
La conquista dell'autonomia femminile nei settori economico, politico e
sociale, dipende dalla capacita' delle donne di creare proprie
organizzazioni in grado di rappresentare e di negoziare gli interessi di
gruppo: lo sviluppo rurale, l'erogazione dei fondi per la produzione, una
riforma agraria che sia realmente tale, la sovranita' alimentare.
In Africa, la produzione agricola e la sicurezza alimentare sono molto a
rischio: e' dagli anni '70 che questi temi costituiscono motivo di
preoccupazione, ma con la crisi globale la carenza di cibo sta aumentando
ogni giorno ed e' sempre piu' difficile soddisfare i bisogni di cibo delle
famiglie piu' povere.
Le organizzazioni contadine stanno riconoscendo sempre piu' il ruolo
fondamentale svolto dalle donne in agricoltura, ma l'insicurezza alimentare
e la poverta' continuano ad essere un fenomeno prevalentemente femminile e
sono proprio le donne ad essere maggiormente emarginate.
Si tratta di donne che gestiscono l'acqua per un uso produttivo e per uso
domestico e che, pertanto, svolgono un ruolo attivo nella costruzione di
sistemi sanitari e nella messa in sicurezza dell'acqua necessaria al
raggiungimento di una reale sovranita' alimentare.
La terra e' un fattore chiave per ottenere la sicurezza alimentare, deve
pertanto essere al centro di tutte le lotte per la produzione di cibo.
Le donne delle zone rurali svolgono un ruolo importante per quanto riguarda
la protezione della biodiversita' locale e sono in possesso di conoscenze
sulla conservazione dei semi autoctoni, per questo e' indispensabile il loro
crescente coinvolgimento nei processi decisionali che hanno a che fare con
la distribuzione della terra, l'accesso all'acqua, l'accesso alle risorse
finanziarie, e cosi' via.
Negli ultimi anni vi sono stati cambiamenti legati alla manipolazione
genetica ed e' forte la preoccupazione delle donne rurali per l'uso di
quelle tecnologie che stanno distruggendo la biodiversita', la produzione
agricola e delle risorse naturali e che le costringe a lavorare ancora piu'
duramente per produrre il cibo.

5. DIBATTITO. ANGELA GIUFFRIDA: CORPO PENSANTE
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) riprendiamo il
seguente intervento del 29 ottobre 2008 col titolo "La debolezza del
femminismo" e il sommario "A proposito dell'articolo di Lea Melandri
'Perche' il femminismo non sfonda adesso che potrebbe?'. Il femminismo non
e' riuscito a generalizzare la sua cultura, che riguarda uomini e donne,
sfera pubblica e sfera privata, perche e' rimasto impantanato nella cultura
dominante di cui usa i perversi meccanismi che impediscono di trovare
risposte significative..."]

Ho appena finito di scrivere un saggio, intitolato "La razionalita'
femminile unico antidoto alla guerra", dove esplicito i motivi per cui il
femminismo mondiale e' afasico e rapsodico. Tali motivi vengono confermati
in pieno dall'articolo di Lea Melandri, "Perche' il femminismo non sfonda
adesso che potrebbe?", apparso su "Liberazione" del 15 ottobre 2008 e
ripreso da "Il Paese delle donne on line".
Riconoscendo che il femminismo ha perso col tempo radicalita' e coraggio,
per risolvere il problema Melandri non trova niente di meglio che ricorrere
con Laura Kreyder ad "un salvifico bilinguismo", cioe' "il ragionare con la
memoria profonda di se', la lingua intima dell'infanzia e,
contemporaneamente, con le parole di fuori, i linguaggi della vita sociale,
del lavoro, delle istituzioni".
In una parola mantiene il sistema binario, causa delle infinite opposizioni
che lacerano il mondo, anzi lo rafforza permanendo al suo interno.
Appiattire la realta' su coppie di contrari in eterno conflitto, pendolare
da un polo all'altro alla ricerca di impossibili sintesi, e' tipico della
mente maschile.
"Il femminismo non e' riuscito a generalizzare la sua cultura, che riguarda
uomini e donne, sfera pubblica e sfera privata" perche' e' rimasto
impantanato nella cultura dominante di cui usa i perversi meccanismi che
impediscono di trovare risposte significative.
Melandri, d'altra parte, non pensa che il compito del femminismo sia tanto
di dare risposte (come mai, ritiene forse che le donne non ne siano
capaci?), quanto di "porre interrogativi al contesto in cui viviamo, in modo
meno semplicistico di quanto non si faccia di solito", lasciando intendere
che i contesti in cui viviamo, intrinsecamente irrazionali e disumani,
abbiano bisogno di qualche modifica qua e la', non di un altro, affatto
diverso, punto di vista.
Per la verita' dice che bisognerebbe "recuperare la radicalita' dello
sguardo, del punto di vista che ha caratterizzato il femminismo ai suoi
inizi", ma ritiene che cio' sia possibile semplicemente pronunciandosi "non
solo su questioni specifiche, come la procreazione medicalmente assistita, i
consultori, la violenza maschile contro le donne, ma su fenomeni che
investono tutta la societa': la crisi dei partiti, il trionfo
dell'antipolitica, il populismo, le politiche sicuritarie, la xenofobia, la
crisi della famiglia, le battaglie per i diritti civili, le biotecnologie".
Ma pronunciarsi su questa gran mole di questioni in modo efficace non
comporta forse un modo diverso di stare al mondo e di conoscerlo?
Come mai Melandri non ritiene che fra i compiti del femminismo vi sia
prioritariamente l'elaborazione di un diverso sistema cognitivo capace di
superare la semplice mediazione dialettica, che lascia intatta la visione
dicotomica, attraverso la piena assunzione della complessita' del reale in
cui stemperare la spinta aggressiva dei poli opposti?
Secondo me l'originaria tendenza delle femministe alla "costruzione di se'
come individualita' che si pone... nella sua interezza" come "corpo
pensante" e' stata interrotta e fuorviata dalla permanenza nei paradigmi
interpretativi maschili, che hanno impedito al pensiero delle donne il pieno
recupero della corporeita' vivente e delle qualita' connettive ad essa
inerenti, trattenendolo nel mondo maschile atomizzato, esageratamente
conflittuale, astratto; prova ne sia la suddivisione in diversi orientamenti
che, riproducendo ciascuno la parzialita' dello sguardo maschile, sono
impossibilitati a confrontarsi costruttivamente sia fra loro sia con chi,
come la sottoscritta, si situa all'esterno.
La teoria del corpo pensante da me elaborata mostra che e' possibile fare il
salto di qualita', e' necessario pero' riportare il processo conoscitivo che
l'autocoscienza ha spostato "in prossimita' del corpo", al corpo vivente ed
alla sua esperienza; bisogna che il pensiero delle donne non sostenga "lo
strappo del pensiero maschile dalle sue radici biologiche", ma ritrovi le
"radici dell'umano" proprio nella biologia, meglio in una diversa concezione
che le riconosca le reali caratteristiche di plasticita', variabilita' e
varieta' senza le quali nessuna specie si sarebbe potuta mantenere sulla
terra.
Le donne potranno trovare l'auspicata radicalita' e il coraggio solo quando
recupereranno pienamente la coscienza di cio' che esse hanno rappresentato e
rappresentano per la specie, a cui assicurano in uno all'esistenza
l'evoluzione della mente, e allorche' si persuaderanno a restituire il
giusto valore a cio' che loro fanno, denunciando con fermezza la profonda
irrazionalita' e l'abissale ignoranza insite nel disprezzo maschile per la
natura vivente, la sola in grado di sentire, conoscere, agire.

6. DIBATTITO. PAOLA ZARETTI: BILINGUISMO E BINARISMO
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) riprendiamo il
seguente intervento del 4 novembre 2008 dal titolo "'Bilinguismo salvifico'
e binarismo" e il sommario "A proposito degli articoli di Lea Melandri e
Angela Giuffrida sul femminismo"]

Sara' per via di una mia incorreggibile avversione di matrice nietzschiana
alla dialettica, sara' per un rigetto profondo dell'Uno e/o per via di una
passione weiliana per i due contrari in Uno, sara' perche' binarismi e
dicotomie, Uno e molteplice e riconciliazioni dialettiche varie, occupano da
sempre i miei pensieri nella teoria come nella mia pratica psicanalitica
quotidiana, sta di fatto che questi due articoli - in cui alcuni nodi
insoluti sono finalmente al centro della riflessione - hanno risvegliato in
me una particolare attenzione per il fatto di sollecitare, in forme diverse,
ma con la stessa urgenza, una domanda rivolta alle donne, che suona: Che
fare?, cui seguono alcune indicazioni sulle vie da prendere.
Vorrei provare a rispondere, a mia volta, a questa domanda, suggerendo
qualche indicazione in piu', non senza aver prima considerato alcuni
tornanti di questi articoli particolarmente degni di rilievo.
Nel corso della lettura dello scritto di Angela Giuffrida "La debolezza del
femminile", mi sono soffermata, in particolare, su alcuni rilievi critici
sollevati dall'autrice in merito ad alcuni passaggi contenuti nell'articolo
di Lea Melandri "Perche' il femminismo non sfonda adesso che potrebbe?",
arricchiti da un'analisi impegnata ad indagare a fondo sulle radici
dell'"afasia" e "rapsodicita'" del femminismo mondiale, del tutto incapace
di generalizzare la sua cultura.
Le ragioni di questa incapacita' appaiono, nell'articolo di Giuffrida,
intimamente connesse e logicamente deducibili da un'impasse "primaria",
datata, piu' "originaria" - se cosi' si puo' dire - che consiste
nell'impossibilita', da parte del femminismo, di liberarsi, una volta per
tutte, dal pantano invischiante della cultura di dominio e dai suoi
meccanismi perversi, miranti alla conservazione e al rafforzamento del
sistema binario generatore di coppie antagoniste in perpetuo conflitto fra
loro (maschio-femmina, spirito-materia, etc.).
E' quanto basta per capire che la pretesa di uscire dalla Ratio maschile e
dal suo sistema di dominio, perpetuando immutati, all'interno di una Ragione
Altra, gli stessi meccanismi del sistema di dominio da cui si vuole uscire,
e' un'assoluta ingenuita'. Come non essere d'accordo?
Un'ingenuita' che riguarda, nondimeno, anche la psicanalisi e la
"formazione" unisex impartita nelle sue perverse istituzioni paterne,
nonche' le varie pratiche "psi" di cui e' pieno il mercato e che attraverso
una costante patologizzazione del femminile e l'oscuramento delle patologie
maschili, obbediscono a una strategia discriminatoria di controllo e di
omogeneizzazione sociale.
Uno di questi meccanismi infernali - propri, peraltro, di ogni sistema
binario e destinato a rafforzarlo - sarebbe presente e pienamente all'opera,
secondo Angela Giuffrida, nell'articolo di Lea Melandri laddove, Melandri,
citando un passaggio di Laura Kreyder, demanderebbe la soluzione al problema
della perdita di radicalita' e di coraggio del femminismo, ad un "salvifico
bilinguismo" che consisterebbe, in sostanza, nel "ragionare con la memoria
profonda di se', la lingua intima dell'infanzia e, contemporaneamente, con
le parole di fuori, i linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle
istituzioni".
Senza entrare nel merito del contenuto della citazione - che andrebbe
considerato nel suo contesto - cio' che viene riassunto e concettualizzato
nel termine "bilinguismo" e' certamente dell'ordine di una bi-polarita' che
concerne, nello specifico, un dentro ("memoria profonda di se', lingua
intima dell'infanzia") e un fuori ("i linguaggi della vita sociale, del
lavoro, delle istituzioni") e che nella lettura di Angela Giuffrida sarebbe
riconducibile a un binarismo oppositivo. Saremmo in presenza, dunque, di una
coppia di contrari in conflitto e del solito famigerato impulso a
dialettizzarli.
Di qui la sua critica: "Riconoscendo che il femminismo ha perso col tempo
radicalita' e coraggio, per risolvere il problema Melandri non trova niente
di meglio che ricorrere con Laura Kreyder ad 'un salvifico bilinguismo'".
Pur condividendo e apprezzando l'articolo, l'analisi e le indicazioni
conclusive di Giuffrida nel suo complesso, la lettura e l'analisi di questo
passaggio mi hanno tuttavia suggerito un'interpretazione diversa
indirizzandomi verso una conclusione differente.
La soluzione al problema della perdita di radicalita' del femminismo,
affidata al "bilinguismo salvifico" indicato da Kreyder e condiviso da
Melandri, non va, a mio avviso, nella direzione binaria, dicotomica di un
appiattimento della realta' "su coppie di contrari in eterno conflitto...
alla ricerca di impossibili sintesi" (Giuffrida) di chiaro stampo
dialettico, ne' in direzione di una permanenza all'interno del sistema
binario e di un suo rafforzamento.
La coppia di contrari di cui si tratta - "la memoria profonda di se'" e "le
parole di fuori" - non sembra riconducibile, a mio parere, allo schema
binario maschile e oppositivo del dentro o fuori, interno o esterno, e non
pare nemmeno rispondente a un tentativo di dialettizzazione pacificante fra
i due poli della coppia in una "sintesi superiore" in cui, di regola, uno
dei due termini, destinato ad essere sussunto e assorbito nell'altro,
finisce per scomparire.
Vedo all'opera, piuttosto, nella coppia dei due contrari, il concetto di
ambi-valenza su cui tanto insiste Galimberti che si situa su un registro
diverso da quello della logica bivalente e disgiuntiva tipica delle
opposizioni binarie.
Detto altrimenti, il "bilinguismo salvifico" non solo non indulgerebbe al
binarismo ma ne rappresenterebbe un oltrepassamento in senso antidialettico.
Non e' irrilevante sottolineare a questo proposito, nel contesto, la
funzione dell'avverbio "contemporaneamente" (che compare nella citazione di
Kreyder riportata all'inizio) e che attesta la dimensione sincronica di
un'unita' fra contrari non dialettizzabili e destinati dunque a rimanere
tali: "la memoria profonda di se'" e "le parole di fuori".
Tale dimensione, sincronica, infatti, non appartiene alla diacronia binaria,
del o-o, del dentro o fuori, interessata all'assorbimento-eliminazione di
uno dei due contrari, ma e' conforme, invece, alla logica della
conservazione dei due contrari in quanto contrari in uno (Weil).
Angela Giuffrida autrice di "La debolezza del femminile", riconosce, del
resto, la necessita' e il valore di un recupero della "radicalita' dello
sguardo" affermato da Melandri su tutta una serie di questioni che
abbracciano, oltre allo specifico femminile, la crisi dei partiti, il
trionfo dell'antipolitica, la xenofobia, la crisi della famiglia etc., e
insiste, alla fine del suo scritto, sulla necessita', per le donne, di
acquisire "un modo diverso di stare al mondo" e un "salto di qualita'".
Sulla necessita' di questo salto - in assenza del quale ogni ipotesi di
"sfondamento" mi sembra improbabile - ho avuto modo di esporre il mio
pensiero in un saggio intitolato "La patologizzazione del femminile". Su
questo salto - che comporta l'invenzione della donna, invenzione che non
puo' venire da altri che da lei - vorrei brevemente ritornare con una
riflessione che potrebbe forse aprire nuove vie, non ancora praticate, in
vista del recupero, da parte delle donne, di una radicalita' apparentemente
sopita, di un coraggio di cui sempre piu' si avverte il richiamo.
Lo faro' utilizzando - libera da pregiudizio e malgrado la mia adesione
parziale, problematica e per certi versi conflittuale al suo pensiero - il
suggerimento di un uomo "scabroso" come il soggetto del suo libro, di un
uomo di fama internazionale definito la "rockstar" del pensiero
contemporaneo, il quale insiste nel teorizzare l'esistenza di un filo rosso
capace di unire psicanalisi, marxismo e cristianesimo.
Si tratta del filosofo jugoslavo Slavoj Zizek che centra in pieno, a mio
avviso, il bersaglio, il punto debole del femminismo indicando la via
d'uscita in una resistenza radicale davvero efficace al sistema patriarcale:
"Se, tuttavia, si postula, che sia lo stesso sforzo patriarcale di
contenimento e di categorizzazione della femminilita' a generare forme di
resistenza, si apre allora lo spazio per una resistenza femminile che non e'
piu' una resistenza in nome di un fondamento sottostante, bensi' un
principio attivo in eccesso rispetto alla forza oppressiva. Abbandonare la
prospettiva della 'vittimizzazione' e rovesciarla. Dimostrare con gli
strumenti culturali consoni, che la famigerata 'contrapposizione' all'uomo
di cui le donne vengono accusate e' un trucco. Mostrare che questa
'contrapposizione' binaria e' l'esito voluto, programmato, prevedibile e
scontato di un antagonismo di genere ultramillenario creato dalla 'mente'
patriarcale per la conservazione del dominio dell'Uno, sono alcuni punti del
programma".
Ed ecco, a seguire, una conclusione paradossale e solo in apparenza
sconcertante di Zizek su cui aprire un confronto: "... forse un'autentica
affermazione femminista consisterebbe nel proclamare apertamente: 'Non
esisto in me stessa, sono soltanto l'incarnazione del fantasma dell'Altro'".
Come dire che l'autodefinizione della donna come "sintomo dell'uomo", come
incarnazione del fantasma maschile, e' la piu' potente arma di denuncia
della patologia del patriarcato, della sua vocazione suicida e dei crimini,
reali e simbolici, che, in nome di una patologia misconosciuta e sommersa,
continuano ad essere perpetrati non senza la complicita' - inconsapevole -
delle donne.
Riuscire a padroneggiare e a tenere sotto controllo, per millenni, la meta'
del genere umano - a ricordarlo e' Marina Valcarenghi - e' un progetto
impensabile, impossibile, irrealizzabile senza la complicita' delle donne.
C'e' moltissimo lavoro da fare, e proseguire con un'analisi attenta al
rapporto - complesso e paradossale - fra femminismo e psicanalisi e', per
quanto mi riguarda, un obiettivo prioritario.
Un lavoro in collaborazione con altre donne psicanaliste di diversa
provenienza e formazione, libere dal Nome del Padre... del Figlio e dello
Spirito Santo... e immuni da quel deficit di aggressivita' necessaria "che
orienta a conquistare e a difendere un proprio territorio, fisico, psichico
e sociale nelle sue forme piu' diverse" (Valcarenghi), sarebbe altamente
auspicabile e potrebbe aprire spazi di pensiero impensati portando a
risultati inimmaginabili sia per quanto riguarda la crescita del movimento
delle donne sia per quanto concerne la creazione di luoghi formativi
diversamente pensati rispetto alle "chiese" psicanalitiche tradizionali di
cui e' auspicabile la chiusura.
Affamare il patriarcato: ecco uno strumento efficace... "Se si usa... una
mentalita' maschile per capire le donne, le donne sono destinate a rimanere
un enigma" (Valcarenghi) e a restare, aggiungerei, piu' "malate" di prima
della "cura".
La quasi scomparsa dell'isteria registrata nella clinica e la tendenza delle
donne verso forme di patologie ossessive - un tempo tipicamente maschili -
come la nevrosi ossessiva, ha forse qualcosa da insegnarci.

7. DIBATTITO. ANGELA GIUFFRIDA: RECUPERARE CONSAPEVOLMENTE IL NOSTRO
APPROCCIO COGNITIVO
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) riprendiamo il
seguente intervento del 9 novembre 2008 col titolo "Yes, we can" e il
sommario "Continua il confronto su 'bilinguismo salvifico' e 'binarismo
oppositivo'"]

Dalle pagine de "Il paese delle donne" ormai da anni, grazie
all'intelligente disponibilita' della redazione, cerco di sollecitare un
confronto attorno a questioni cruciali su cui il femminismo non solo
nostrano si e' arenato, mostrando che e' possibile uscire dall'impasse solo
se reimpareremo a guardare il mondo con i nostri occhi; quella con cui
abbiamo a che fare, infatti, non e' la realta' come veramente e', ma
l'interpretazione maschile della stessa che le corrisponde ben poco.
Nonostante l'inarrestabile erosione dei diritti faticosamente conquistati
indichi in uno spostamento radicale la possibilita' di arrestare la caduta
rovinosa e cambiare senso di marcia, nessuna risposta e' venuta, fino a
quando Paola Zaretti ha deciso di interloquire su uno dei nodi piu'
aggrovigliati. La ringrazio per la sua apertura e il suo coraggio che,
comunque, avevo colto leggendo i suoi precedenti interventi, tanto che avevo
gia' deciso di rispondere all'appello lanciato in "Care compagne di
viaggio", anche se non abito proprio a Padova ma a meta' strada tra Padova e
Venezia.
Io credo che un confronto vero, non compromesso da pregiudizi di sorta, sia
possibile fra noi donne solo se recupereremo consapevolmente il nostro
approccio cognitivo, il solo capace di dar conto di una realta' complessa e
connessa - qual e' soprattutto quella vivente - perche' capace di contenerla
integralmente, senza operare indebiti frazionamenti e opposizioni.
La differenza proposta da Paola Zaretti tra "bilinguismo salvifico" di
Kreyder che, muovendosi tra lingua interna e linguaggi esterni, dovrebbe
ridare voce alle donne, e "binarismo oppositivo" che rientra, invece, nella
"logica bivalente e disgiuntiva tipica delle opposizioni binarie", mi
consente di chiarire meglio la precedente affermazione.
Nel "bilinguismo salvifico" Zaretti vede all'opera "il concetto di
ambivalenza" in grado di collocarlo in una "dimensione sincronica", diversa
da quella "diacronica binaria del o-o, del dentro o fuori, interessata
all'assorbimento-eliminazione di uno dei due contrari... conforme, invece,
alla logica della conservazione dei due contrari in quanto contrari in uno".
Ora, quando parliamo di "ambivalenza" ci soffermiamo comunque su due termini
contrari, assolutizzandoli. Naturalmente la mente femminile, che "sopporta"
e contiene la complessita', non puo' non riconoscere i contrari, essa pero'
non li scorpora alla maniera maschile, ma li assume in uno alle innumerevoli
variabili che li attraversano e li influenzano, significandoli.
Nella fattispecie "le parole di fuori", antitetiche alla "memoria profonda
di se'", non possono ne' debbono essere conservate, vista la profonda
irrazionalita' dei "linguaggi della vita sociale, del lavoro, delle
istituzioni", dovuta proprio alla discontinuita' con i bisogni profondi del
genere umano. Istituzioni funzionali al dominio e disfunzionali alla vita
nascono da una mente che non solo assolutizza i contrari, ma li vede dove
non ci sono. Come possono, infatti, natura e cultura essere termini
antitetici? Nessuna cultura e' possibile senza natura, tant'e' che la
cultura maschile e' il portato della parzialita' del punto di vista sul
mondo che il maschio mutua dalla parzialita' della sua esperienza in natura.
La ristrettezza della sua visione sarebbe superabile in buona parte se non
fosse per l'"invenzione" di un'altra improbabile antitesi, quella tra
femmine e maschi. Mi chiedo come puo' l'uomo essere il contrario della donna
se ne e' il figlio e se la sua esistenza e' giustificata dalla necessita' di
supportare l'immane compito femminile di conservazione e sviluppo della vita
sulla terra.
Essendo un vivente come la madre, anche il figlio dovrebbe essere
interessato a preservare la propria specie, insieme alle altre a cui e'
indissolubilmente collegata, ma il perseguimento di tale fine e' estraneo,
come sappiamo, al governo delle comunita' androcentriche, votate al
contrario all'annientamento della vita sul pianeta. L'unico scopo del
maschio e' l'acquisizione di un potere che gli consenta di conquistare una
impossibile primazia, scopo che insegue ciecamente, senza riflettere sul
fatto elementare che il possesso e la conservazione della vita sono il
necessario presupposto di qualunque desiderio e della sua possibile
realizzazione.
Capire l'origine della cecita' che causa, come osserva giustamente Zaretti,
"quelle gravi patologie maschili" produttrici di "veri e propri genocidi...
ogni giorno, dentro e fuori la famiglia", e' compito di una nuova
gnoseologia atta a consentirci di uscire dalla "dimensione del due",
immettendoci in una dimensione piu' ampia di cui il due partecipa. Una nuova
teoria della conoscenza, pronta ad immettere linfa vitale a tutti i saperi
resi asfittici dal pensiero maschile e ad indirizzare correttamente la
prassi da cui nasce e da cui non si puo' separare, e' oggi a nostra
disposizione. "Yes, we can" ha detto Obama, appena eletto presidente degli
Stati Uniti. Quello che non ha detto perche' non lo sa e' che sono le donne
ad avere la possibilita' di cambiare il mondo, essendo al momento le sole a
comprendere il linguaggio della vita.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 221 del 27 novembre 2008

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