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Minime. 652
- Subject: Minime. 652
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 27 Nov 2008 01:05:30 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 652 del 27 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Hic et nunc 2. Lea Melandri: L'"inspiegabile" 3. Elisabetta Pavani: La nonviolenza e' la risposta 4. Dacia Maraini: Una rivista a Bagheria 5. Benedetto Vecchi intervista Saskia Sassen 6. Silvia Vegetti Finzi: Mamme, oggi 7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 8. L'Agenda dell'antimafia 2009 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. HIC ET NUNC I cosiddetti interventi dello stato a sostegno dell'economia, tradotti in lingua corrente consistono nell'utilizzo dei soldi dei poveri per regalarli ai ricchi. Tornano in mente antiche parole sul comitato d'affari della borghesia. E quanto al consenso totalitario sulle politiche classiste e rapinatrici e razziste dell'organo esecutivo del comitato d'affari suddetto torna in mente quell'altro antico detto secondo cui le idee dominanti sono le idee della classe dominante. Chiamiamo nonviolenza la presa di coscienza da parte degli oppressi (ed ogni essere umano in qualche modo e misura lo e') della loro condizione di oppressione, e la volonta' buona di liberare se' e tutti in una relazione responsabile e solidale che miri ad instaurare giustizia e liberta'. Chiamiamo nonviolenza la fuoriuscita dallo stato di narcosi e di minorita' e la lotta da condurre contro se stessi in quanto complici (ed ogni essere umano in qualche modo e misura lo e') dell'oppressione che pur si subisce, e la scelta di contrastare le strutture e le ideologie e le prassi della violenza radicalmente rifiutandole in primo luogo nel proprio condursi. Chiamiamo nonviolenza la forza della verita', il rispetto per la vita, il principio responsabilita', il riconoscimento dell'altra e dell'altro, la scelta di contrastare menzogna e ingiustizia, l'opposizione nitida e intransigente alla violenza comunque essa si mascheri o pretenda di giustificarsi. Chiamiamo nonviolenza la prassi storica che invera i diritti sanciti come propri di ogni essere umano e tra essi anche la cura per la casa comune in cui siamo e di cui siamo parte. Chiamiamo nonviolenza la corrente calda del costituzionalismo, la corrente calda del movimento operaio, la corrente calda delle lotte anticoloniali ed antimperialiste ed antitotalitarie, la corrente calda della nuova ecologia. E soprattutto chiamiamo nonviolenza il femminismo, che ne e' il massimo inveramento storico. Chiamiamo nonviolenza questa prospettiva socialista e libertaria di lotta per una societa' di persone libere ed eguali, in cui da ognuno si chieda secondo le sue capacita' e ad ognuno si dia secondo i suoi bisogni. Nella cura reciproca, e del mondo che e' comune. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: L'"INSPIEGABILE" [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento del 24 novembre 2008 dal titolo "Perche' gli omicidi in famiglia sono sempre 'inspiegabili'?"] Il rapporto tra gli uomini e le donne, il perverso tragico annodamento di dominio e amore, deve essere davvero la "roccia basilare" contro cui si arrestano ragione, cultura, responsabilita' civile e morale, se, riguardo alla strage avvenuta in una famiglia di Verona alcuni giorni fa, ne' la televisione ne' i giornali sono andati oltre la nuda cronaca dei fatti, se a nessuno e' venuto in mente di chiedersi la cosa piu' banale e piu' sensata: perche' la decisione di una donna di separarsi riesce a scatenare la furia omicida-suicida dell'uomo che con lei ha vissuto e visto crescere figli? Non e' la prima volta che accade, la maggior parte dei casi di violenza maschile all'interno della coppia, negli ultimi anni, e' motivata dalla scelta della donna di interrompere una convivenza divenuta evidentemente insopportabile, da una affermazione di liberta' dovuta al rispetto di se stessa, o al semplice desiderio di dare una svolta alla propria vita. L'aggettivo "inspiegabile", che la cronaca usa ormai ritualmente per questi delitti, e' la maschera di una ipocrisia, o comunque di una incuria, generalizzate, che non accennano a incrinarsi: "inspiegabile" vuol dire, in questo caso, qualcosa su cui non si vuole riflettere e fare chiarezza, una evidenza - il volto violento dell'amore - che deve restare invisibile. Non ci vogliono conoscenze particolari della vita di relazione e della vita psichica di un individuo, per sapere che la "normalita'" di una coppia, di una famiglia, cosi' come viene ripetuta fino alla nausea nelle testimonianze del vicinato, significa essenzialmente che nessuno sa piu' cosa succede oltre le pareti della propria casa, del suo cortile, e se lo sa, tace per quieto vivere o perche' all'invadenza della comunita' chiusa paesana non abbiamo saputo finora sostituire nessuna altra forma, libera e solidale, di socialita'. Non serve neppure una preparazione psicanalitica, per capire quanto sia legata l'idea proprietaria su cui si e' retta storicamente la famiglia - la dipendenza psicologica, giuridica, morale, affettiva, che essa struttura, tra marito e moglie, madre e figli -, con le pulsioni aggressive che vi crescono dentro inevitabilmente, e che in taluni casi provocano gli effetti nefasti che conosciamo. C'e' una responsabilita', si potrebbe dire una colpevolezza, piu' odiosa di quella dell'uomo che uccide uccidendosi a sua volta o passando il resto della sua vita in carcere: e' quella di una societa' - di maschi prima di tutto, ma anche di donne - che non pronuncia una parola, non muove un passo, non fa il minimo gesto perche' questa infamia che si protrae da secoli sia almeno portata allo scoperto, analizzata per la centralita' che ha nella vita di tutti, per il peso che ancora sostiene nel dare alla sfera pubblica la sua apparente autonomia, il suo arrogante disinteresse per quel retroterra dove, in nome dell'amore, si consumano una quantita' enorme di lavoro e di energie femminili. Il 25 novembre, come tutti gli anni, ci saranno le rituali celebrazioni della giornata internazionale di condanna della violenza contro le donne. Le massime autorita' dello Stato, i partiti, le amministrazioni locali, le associazioni piu' varie si affacceranno agli schermi televisivi, nazionali e regionali, per recitare il ritornello stantio della compassione e della solidarieta' di giornata, cioe' dell'indifferenza di sempre. Allo slogan, che e' comparso su alcuni manifesti - della serie "non lasciamole sole" -, verrebbe da rispondere "meglio sole che mal accompagnate", soprattutto se la compagnia e' quella che discute accanitamente per un mese su chi debba essere il presidente della commissione di vigilanza sulla Rai, e non si cura minimamente dell'influenza che ha la televisione nel confermare o contrastare modelli di incivilta', pregiudizi, figure della violenza in ogni suo aspetto. Il 22 novembre, a Roma c'e' stata una manifestazione di gruppi, associazioni, collettivi femministi e lesbici, preparata da incontri, assemblee nazionali da un anno a questa parte. Pur con la presenza di donne di eta' e storia diverse, e' stata, come gia' lo scorso anno negli stessi giorni, l'uscita pubblica di una nuova generazione, consapevole che il privilegio maschile nella societa' comincia nelle case, che il potere dell'uomo sulla donna passa, prima di tutto, da quell'appropriazione del corpo delle donne - sessualita', capacita' generativa e lavorativa - che ancora oggi ha nella famiglia il suo fondamento "naturale", nella "norma eterosessuale" la sua copertura ideologica. Nonostante che gli omicidi quotidiani - di donne, prevalentemente, ma non solo - abbiano tolto da tempo alla famiglia la sua immagine tradizionale di "luogo sacro", focolare dell'amore, culla di teneri affetti, riposo del guerriero, nonostante che la diffusa pedofilia si annidi proprio nelle stanze che si vorrebbero destinate ad altra intimita', la famiglia resta il grande rimosso dell'insicurezza sociale, delle paure reali o ingigantite ad arte, la zona di passioni "inspiegabili" per una cultura di massa che, per un altro verso, pretende di portare tutto allo scoperto, e che oggi penetra piu' o meno cinicamente, per ragioni scientifiche, commerciali, politiche, moraliste o religiose, fin nelle pieghe piu' insondabili della nascita, della morte, della maternita', della malattia. E' facile fare una battaglia perche' si limiti il porto d'armi, perche' cessi la campagna sicuritaria da parte di politici interessati a raccogliere consensi giocando sull'emotivita' della gente piu' indifesa. Piu' difficile e' guardare senza orrore e senza arretramenti quel coltello che compare sulle cucine, sulle tavole, e che somministra cibo e morte, arma a doppio taglio proprio come il legame che stringe amore e odio intorno alla coppia, alle parentele, alle convivenze. All'interno delle case, in nuclei famigliari sempre piu' ristretti, si gioca ancora la partita del potere, dell'ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza piu' resistente a ogni cambiamento, per la radice antica e per la complessita', contraddittorieta', delle esperienze che vi sono implicate. Ma c'e', e non da ora, una storia e una cultura politica di donne che ha osato portare lo sguardo oltre i confini della polis, scoperchiare mascheramenti ideologici secolari, riformulare da quell'"altrove", cellula prima di ogni forma di dominio, l'idea stessa di politica. Se, nonostante il pervicace silenzio di cui e' fatta oggetto, torna da piu' di un secolo a riempire piazze e strade, si puo' ancora far finta di non vederla ma non si puo' far finta di non sapere che esiste. 3. RIFLESSIONE. ELISABETTA PAVANI: LA NONVIOLENZA E' LA RISPOSTA [Ringraziamo Elisabetta Pavani (elisabettap at fastwebnet.it) per questo intervento. Elisabetta Pavani e' operatrice del progetto "Uscire dalla violenza" del "Centro donna giustizia" di Ferrara] Condivido profondamente le riflessioni del direttore di "Azione nonviolenta" Mao Valpiana. Cio' che mi ha portato a condividere questo pensiero e' la consapevolezza che e' molto piu' facile individuare capri espiatori in situazioni esterne, che pure esistono e non vanno sottovalutate, piuttosto che riflettere sulla violenza che viene consumata nel privato delle mura domestiche, come anche il bellissimo contributo di Maria Giusy Di Rienzo aveva peraltro messo in evidenza qualche giorno fa in occasione della giornata internazionale contro la violenza alle donne del 25 novembre. * Va contrastata la logica violenta che unisce con un unico filo le varie misure che il governo e varie amministrazioni locali vogliono prendere: penso per esempio alla proposta di "eliminare" la prostituzione di strada per ghettizzarla al chiuso, dove ben difficilmente le associazioni femminili - ma non solo: penso anche al contributo dell'Associazione papa Giovanni, o al Gruppo Abele - che lavorano nell'ottica dell'accoglienza con progetti mirati, difficilmente potremo arrivare a contattare le ragazze nigeriane immigrate prospettando loro di poter denunciare gli sfruttatori e/o sfruttatrici o organizzazioni criminose legate al fenomeno della tratta, avviando cosi' assieme ad esse percorsi di reinserimento socio-lavorativo e la regolarizzazione dei documenti attraverso il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Si verranno cosi' a creare condominii o appartamenti "appositi" per esercitare la professione? Si sentiranno maggiormente sicuri e tranquilli gli abitanti dei quartieri centrali e periferici, quando non vedranno piu' le ragazze nigeriane sui marciapiedi, ma le avranno come vicine della porta accanto? Si verranno cosi' a creare i comitati degli inquilini per la sicurezza condominiale? Insomma un bel "pacchetto-sicurezza fai da te", con tanto di conseguenze: vedi le armi in casa, l'incapacita' di accettare il conflitto, e una xenofobia piu' o meno strisciante pronta a salvaguardare la nostra percezione di insicurezza. * Bella la nota introspettiva di Mao Valpiana: saper guardare i lati oscuri dentro di noi; pensate che relegare, chiudere, ghettizzare, prendere le impronte, significhi fare entrare raggi di luce sui lati oscuri che ogni uomo e ogni donna ha? Io credo di no, e mi associo all'appello dell'editoriale in apertura: la nonviolenza e' l'unica risposta. 4. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: UNA RIVISTA A BAGHERIA [Dal "Corriere della sera" del 18 novembre 2008 col titolo "'Il nuovo Paese' e i vecchi ostacoli" e il sommario "Una coraggiosa rivista di Bagheria in lotta contro la mafia e le sue complicita'"] Sempre meno credo nelle analisi astratte e sempre piu' negli esempi. Se vogliamo cambiare qualcosa nel nostro Paese sara' bene far conoscere chi lavora fuori dai riflettori, in situazioni difficili e rischiose. Esempi di insegnanti appassionati, di cittadini onesti, di giornalisti coraggiosi, di giudici coscienziosi, di politici trasparenti. Un esempio di ottima controinformazione civile e' la rivista siciliana "Il nuovo Paese" stampata a Bagheria da un gruppo di giornalisti responsabili e risoluti guidati da Vincenzo Drago. La rivista e' "una stella solitaria che non fa sistema", dicono i suoi redattori. Eppure va a ruba appena esce. Segno che l'attenzione c'e'. Anche se l'indignazione non si trasforma in azione politica, ma stagna, impotente. Paura? Forse. Ma non solo. Anche acquiescenza, timore del futuro, incredulita', sfiducia e abitudine a pensarsi perdenti. Bagheria, nonostante sia stata commissariata due volte per infiltrazioni mafiose (una terza volta e' rimasta illesa per il sopraggiungere delle elezioni), rimane un "centro nevralgico della mafia siciliana. Avendo costruito, con la collaborazione di medici, avvocati, imprenditori, un modello operativo che calza a pennello per il popolo di Cosa nostra". Il commissariamento e' un segno di forza da parte dello Stato, ma perche' secretare le relazioni delle ispezioni? "Lo Stato dice e non dice, nasconde le sue verita'... ha una normativa che tutela i suoi funzionari anche quando sono evidentemente responsabili. Nessuno degli amministratori mandati a casa col commissariamento e' stato condannato. Neanche uno su 60. Anzi, quando i carabinieri, nel 2004, hanno richiesto un nuovo accesso ispettivo alla Prefettura, per piu' di un anno e mezzo sono rimasti inascoltati". Oggi, sostiene "Il nuovo Paese", "la mafia a Bagheria ha messo in atto una campagna di pacificazione. In compenso chiede che i processi siano intralciati, o sospesi". Il governo come risponde? Con una spregiudicata strategia di contenimento della magistratura e di stravolgimento della legalita', ritenuti istituti pericolosi e sovversivi per il potere. "I boss in Sicilia hanno bisogno di tempi lunghi. In pratica giocano le stesse carte per consentire al giovane Matteo Messina Denaro (latitante) di costruire ancora un nuovo profilo di Cosa nostra, sempre piu' anonima, sempre piu' holding, sempre piu' globale, sempre piu' finanza, sempre piu' dentro le istituzioni locali, dentro gli strumenti di pianificazione territoriale". "Qui come a Napoli l'informazione e la controinformazione sono viste come veleno". La rivista infatti continua a collezionare querele. Da cui per fortuna esce bene, con assoluzioni continue. Ma l'esempio che da' la coraggiosa rivista trimestrale in formato libro, stampata con tanti sacrifici, a rischio continuo di essere cancellata, va conosciuto e fatto conoscere. Poiche' e' da persone come queste che comincia la creazione di un tessuto connettivo sociale nuovo che puo' salvare il nostro Paese dal degrado e dall'abbandono di se'. 5. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA SASKIA SASSEN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 novembre 2008 col titolo "I confini mobili della sovranita'. Lo stato della globalizzazione" e il sommario "Un'intervista con Saskia Sassen, in Italia su invito de Il Mulino e alla vigilia dell'uscita del suo ultimo libro Territori, autorita', diritti. Il mutamento dello stato nazionale e l'emergere di una terra di nessuno 'ne' globale ne' locale' dove si sviluppa l'azione dei movimenti sociali"] Un testo ambizioso quello di Saskia Sassen su Territori, autorita', diritti tradotto da Bruno Mondadori (pp. 596, euro 42. Quando il libro usci' negli Stati Uniti ne scrisse Sandro Mezzadra il 3 febbraio 2007). Ambizioso perche' l'autrice si pone due obiettivi: da una parte spiegare la formazione dello stato moderno; dall'altra cercare di definire i contorni e le forze operanti in quel processo che vede lo stato-nazione essere uno dei maggiori protagonisti della globalizzazione, all'interno pero' di un paradosso: rimanere un protagonista rinunciando ad alcuni aspetti della sovranita' nazionale. Per la studiosa di origine olandese vanno quindi respinte le tesi che annunciano la prossima e irreversibile scomparsa dello stato nazionale, ma allo stesso tempo muove forti critiche verso le posizioni che considerano lo stato-nazione l'ultima trincea per respingere l'attacco del capitalismo neoliberista, salvaguardando cosi' le specificita' economiche, sociali e politiche "locali", che comprendono gli istituti del welfare state. Ne' crede, come afferma in questa intervista, che l'attuale crisi economica favorisca una brusca frenata alla globalizzazione. Anzi, considera i provvedimenti presi dai vari governi nazionali, dagli Stati Uniti all'Inghilterra, dalla Germania all'Italia, propedeutici al mantenimento dello status quo, accelerando tuttavia quelle forme di coordinamento sovranazionale che individuano nei governi nazionali lo strumento per applicare localmente decisioni prese a livello globale. In Italia su invito dell'"Associazione di cultura e politica Il Mulino", Saskia Sassen ha tenuto la lectio magistralis che la casa editrice bolognese organizza ogni anno attorno all'emergere di uno spazio politico, giuridico e economico "Ne' globale, ne' nazionaleª all'interno del quale alcune componenti dello stato moderno e dei movimenti sociali favoriscono la costituzione di un ordine politico mondiale in cui l'esercizio del potere vede l'interazione, la negazione e il conflitto tra istituzioni, imprese e movimenti locali, regionali, globali. Saskia Sassen tiene pero' a precisare che in tutti i suoi libri, compreso quest'ultimo, si prende la liberta' di offrire si' il sottofondo empirico della sue tesi, ma anche di fare "pura teoria". Una liberta' che non sempre e' apprezzata nel mondo universitario anglosassone. Con un sorriso sornione tiene comunque a sottolineare che lei e' una "nomade intellettuale", perche' e' nata in Olanda, ma e' stata influenzata della cultura latinoamericana, visto che ha vissuto la sua infanzia e adolescenza a Buenos Aires. Inoltre, per la sua crescita intellettuale e' stata significativa la frequentazione della realta' intellettuale italiana,, dato che e' vissuta a Roma, mentre la Francia e' stata determinante per prendere familiarita' con quel marxismo strutturalista che ha condizionato tantissimo il saggio The Mobility of Labor and Capital. Allo stesso modo, il pragmatismo statunitense ha mitigato la sua tendenza all'astrazione. "Sono una straniera che si sente a casa in ogni posto che visito", dice con ironia. E all'affermazione che questa sensazione ricorda molto la figura dell'apolide di Edward Said, sorride divertita dal paragone. Un nomadismo intellettuale, tuttavia, che viene gestito con rigore, come testimoniano i suoi libri sulle Citta' globali o sulla globalizzazione (Fuori controllo, Globalizzati e scontenti, Sociologia della globalizzazione), dove Saskia Sassen dosa sempre sapientemente l'eterogeneita' della sua formazione intellettuale. Una caratteristica che accompagna anche questo ultimo libro, dove la formazione dello stato moderno e' vista come un "assemblaggio" di diversi territori retti da autorita' spesso in conflitto le une con le altre. Un processo lungo secoli e assai contradditorio. Piu' o meno come la globalizzazione, considerata a ragione come un work in progress che vede diverse istituzioni, imprese, movimenti sociali che lavorano per assemblare cio' che e' distinto per storie, tradizioni culturali, realta' produttive. * - Benedetto Vecchi: Sono molti gli studiosi che sostengono come la crisi finanziaria rappresenti il de profundis della globalizzazione e che Barack Obama sara' costretto a una politica piu' attenta allla dimensione nazionale che non il suo predecessore George W. Bush, attento invece ad affermare la supremazia imperiale americana nel mondo. Lei che ne pensa? - Saskia Sassen: Non credo proprio che la crisi attuale coincida con la fine della globalizzazione. Penso infatti il contrario. Se guardiamo alle misure prese per reagire alla crisi finanziaria vediamo che c'e' un attivo coordinamento dei diversi governi nazionali per affrontarla. L'obiettivo dichiarato e' infatti salvare la globalizzazione, mica ritornare al passato. Negli ultimi venti, trenta anni abbiamo assistito a una trasformazione profonda dell'attivita' economica, nel rapporto tra gli stati, nell'azione politica dei movimenti sociali. C'e' chi dice che l'interdipendenza tra le diverse realta' nazionali e' l'elemento che caratterizza la globalizzazione. Questo e' indubbio, ma la globalizzazione e' anche altro. Le imprese, ad esempio, progettano il processo lavorativo a livello globale, i capitali ignorano i confini nazionali, le migrazioni coinvolgono centinaia di milioni di uomini e donne, modificando il panorama delle societa' che lasciano e di quelle che accolgono i migranti. Le citta' diventano globali, cioe' rispondono piu' a una dimensione sovranazionale che allo stato nazionale in cui sono collocate. Ci sono inoltre istituzioni sovranazionali come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Wto che stabiliscono regole che ogni stato nazionale deve poi far sue. Sono, questi, cambiamenti irreversibili, che non devono pero' alimentare una lettura lineare della globalizzazione. La globalizzazione e', infatti, un processo segnato da continuita', ma anche da forti discontinuita'. Per queste ragioni non credo che Barack Obama privilegera' il cortile di casa, perche' gli Stati Uniti sono parte integrante della globalizzazione. Obama e' un leader politico intelligente e sa benissimo che se attuera' una politica "nazionalista" andra' incontro a un insuccesso. C'e' ovviamente la pesante eredita' che George W. Bush gli lascera'. Durante la campagna presidenziale Obama ha detto che vuole favorire un grande cambiamento, che lo stato deve intervenire per attenuare le diseguaglianze sociali accentuate del libero mercato. Ma Obama non e' un radical, ne' un roosveltiano; crede nel libero mercato, ma pensa che il mercato lasciato a se stesso e' destinato a fallire. Nel vostro paese sarebbe definito un "centrista". Cio' che e' importante, tuttavia, non sono i suoi programmi, quanto la diffusa mobilitazione sociale per la sua elezione a presidente. Gli invisibili, i senza potere, le minoranze, i migranti hanno preso la parola e hanno occupato la scena politica. E' difficile che tornino a casa senza cercare di condizionare le scelte politiche che fara'. Non ho il dono delle preveggenza, ma e' abbastanza realistico affermare che Barack Obama dovra' fare i conti anche con loro. * - Benedetto Vecchi: Il suo ultimo libro e' in realta' un libro su come sta cambiando il concetto di sovranita'. Nel passato, i governi nazionali avevano il monopolio della decisione su un territorio ben definito. Ora non e' piu' cosi'. Spesso le decisioni vanno prese a livello sovranazionale e gli stati nazionali eseguono. Mi sembra che lei punti a radiografare questo mutamento... - Saskia Sassen: L'idea che io stia lavorando a sviluppare un nuovo concetto di sovranita' mi piace. Allo stato attuale delle mie ricerche mi limito a dire che la sovranita' moderna prevedeva un monopolio della decisioni politica, ma che tale decisione doveva avere il consenso e la legittimazione dei sudditi del sovrano. Nella fase attuale tutto e' molto piu' complesso, perche' le decisioni prese dal Wto, dalla Banca mondiale, dal G8 o dal Fondo monetario non hanno ne' il consenso ne' la legittimazione dei popoli oggetto di quelle decisioni. Eppure questi organismi istituzionali o informali continuano a operare; e la legittimita' avviene assemblando territori, autorita' e diritti. Il problema che mi sono posta e' quale ruolo possono svolgere gli stati nazionali in questo processo, giungendo alla conclusione che stiamo assistendo a un processo di denazionalizzazione che ha come protagonisti gli stati nazionali. La globalizzazione non significa tuttavia la fine dello stato-nazione, quanto una modificazione dell'equilibrio tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Il potere esecutivo, ad esempio, acquista un ruolo decisivo nel tradurre localmente le decisioni prese globalmente. Allo stesso tempo il potere legislativo e giudiziario deve armonizzare la legislazione nazionale alle norme internazionali. Inoltre, lo stato-nazione esprime un sofisticato know-how indispensabile a sviluppare quelle Authority indispensabili a negoziare con gli attori nazionali le decisioni globali. In ogni paese europeo ci sono oramai le Authority per la concorrenza, per le telecomunicazioni, per la privacy o altro ancora. Spesso sono composte da uomini e donne molto competenti che provengono dalla burocrazia statale. Dunque, nessuna scomparsa dello stato-nazione, ma un cambiamento nel suo funzionamento. * - Benedetto Vecchi: Ci troviamo pero' di fronte a un paradosso: lo stato-nazione che lavora per cedere parte della propria sovranita' a istituzioni sovranazionali; oppure uno stato-nazione che diviene il guardiano sul proprio territorio per conto sempre di organizzazioni sovranazionali... - Saskia Sassen: E' un paradosso come dice lei, ma che consente ai movimenti sociali di rafforzare la propria azione. Prendiamo la carta delle Nazioni Unite sui diritti umani: puo' essere impugnata dai movimenti sociali per contrastare delle politiche nazionali; oppure possono rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia e chiedere che l'operato di un governo locale sia sanzionato. La globalizzazione e' un processo all'interno del quale lo stato-nazione puo' anche rinunciare alla propria sovranita', ma questo non significa che sia una situazione che inibisce il conflitto sociale. Anzi, per molti aspetti l'aiuta. Prendiamo i forum sociali di Porto Alegre. Tutti ora dicono che sono finiti, che hanno perso la loro forza propulsiva. Sara' anche cosi', ma hanno favorito azioni globali, all'interno delle quali tanto le organizzazioni sovranazionali che gli stati nazionali hanno dovuto negoziare con i movimenti sociali globali. I conflitti che li hanno visti protagonisti non sono stati pero' conflitti antisistemici, per riprendere un'espressione cara a Immanuel Wallerstein, bensi' conflitti interni alla globalizzazione. Non puntavano cioe' a uno sganciamento di questo o quello stato dall'economia e dall'ordine mondiale, quanto ad assumere che la globalizzazione era il contesto dove sviluppare la propria azione politica. Prendiamo il movimento dei migranti negli Stati Uniti. Erano sans papiers che rivendicavano il fatto che erano loro, gli invisibili alla legge, uno dei motori propulsivi dell'economia statunitense. Erano dei "senza potere" che rivendicano il potere derivante dal loro fare, facendo leva proprio su quella terra di nessuno che non e' ne' globale ne' nazionale. * - Benedetto Vecchi: Vuole dire che il potere non riesce a fare una mappa esaustiva della realta' sociale e che qualcosa gli sfugge? - Saskia Sassen: Quello che mi preme sottolineare con la la tesi della "denazionalizzazione" e' l'insufficienza dei linguaggi dominanti sulla globalizzazione. Negli anni passati abbiamo letto o sentito parlare di una omologazione culturale, dell'avvento di media globali, dell'egemonia di un pensiero unico. Ora abbiamo si' dei media globali, ma devono poi articolare forme locali nella produzione culturale. Il rap e' considerato un altro esempio di omologazione culturale, visto che e' suonato a Ramallah come a Los Angeles, a Parigi come a San Paulo. Ma, mentre il rap dei giovani palestinesi parla di autodeterminazione nazionale, a San Paulo descrive le favelas come una forma di vita "indipendente" dallo stato. Prendiamo internet, il simbolo per eccellenza della globalizzazione. Il web deve necessariamente essere globale e al tempo stesso locale. E tuttavia, nonostante tutti i tentativi di armonizzare le legislazioni nazionali, ci sono esperienze che non sono ne' globali, ne' locali e che hanno il potere di modificare la rete, come testimoniano le esperienze di condivisione di informazione, musica e film. Quello che voglio dire e' che nella globalizzazione ci sono appunto terre di nessuno ne' globali ne' locali all'interno delle quali i movimenti sociali sviluppano la loro azione che ha il potere di condizionare il suo sviluppo. * Postilla bibliografica. Dalle citta' globali ai migranti nella fortezza Europa L'intervista con Saskia Sassen e' avvenuta a Bologna, dove e' stata invitata dall'"Associazione di cultura e politica Il Mulino" per tenere l'annuale lectio magistralis che Il Mulino dedica a uno dei temi chiave per comprendere il presente. Docente alla Columbia University e alla London School of Economics e' conosciuta in Italia per il volume Citta' globali (Utet), dove scrive del ruolo svolto da alcune metropoli come "ponti di imbarco per l'economia globale" perche' garantiscono le infrastrutture finanziarie e i centri di coordinamento e progettazione organizzativa e giuridica per le imprese transnazionali (nel 2006 e' uscita una versione aggiornata del volume, dove l'autrice afferma che oramai sono quarantuno le citta' globali nel mondo). Tuttavia, il suo primo libro tradotto e' stato Le citta' nell'economia globaleª (Il Mulino), mentre negli anni successivi sono stati pubblicati Fuori controllo (Il Saggiatore) sulla crisi dello stato-nazione, Migranti, coloni, rifugiati. Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa (Feltrinelli) e Globalizzati e scontenti (Il Saggiatore) sull'esperienza dei movimenti sociali contemporanei. Lo scorso anno e' uscito per Einaudi Sociologia della globalizzazione, mentre Bruno Mondadori ha pubblicato Territori, autorita', diritti. 6. RIFLESSIONE. SILVIA VEGETTI FINZI: MAMME, OGGI [Dal "Corriere della sera" del 7 ottobre 2008 col titolo "Il coraggio di dire la verita'"] Finalmente un sondaggio, quello che si presenta sul "Corriere", che non chiede cio' che tutti sanno o vorrebbero sentirsi dire ma affronta, senza pregiudizi, la bellezza e la difficolta' di essere mamme. Oggi. Non a caso l'intervista poneva ben due domande sul primo approccio con il nuovo nato, un incontro che, sino a ieri, si dava per scontato e che si e' rivelato invece piu' problematico del previsto, tanto che la maggior parte (68,77%) delle mamme ammette di non aver amato il figlio subito e incondizionatamente ma di aver imparato a conoscerlo e a entrare in sintonia con lui giorno dopo giorno, accudendolo. Mamme non si nasce quindi ma si diventa. Una acquisizione fondamentale perche' affina la capacita' di osservazione del bambino, di se stesse e della relazione. Non a caso la prima dote che le mamme si riconoscono e' la sensibilita'. Mentre la consapevolezza di non essere competenti per natura, ma per apprendimento, le aiuta a mettersi in discussione e a saper chiedere aiuto e conforto. L'ansia della prima separazione risulta poi alleviata se la mamma affida il piccolo, non a caso, ma a una persona che la rende partecipe della meravigliosa avventura di crescere suo figlio. Venuta meno la pretesa di essere unica e insostituibile, la nuova mamma sa imparare: dalle amiche, dai familiari e persino dagli scambi in internet perche' i problemi dei bambini, che sono quelli di sempre (coliche, insonnia, inappetenza) si ridimensionano quando vengono espressi e condivisi. In particolare con il marito perche' i nuovi papa', molto diversi da quelli di un tempo, sanno essere vicini a mamma e figlio non solo partecipando indirettamente ai loro scambi, ma in prima persona, da protagonisti. E' utile e arricchente che i punti di vista siano due quando si confrontano e si integrano a vicenda. E non importa se le faccende domestiche risultano un po' trascurate: nella famiglia affettiva ci sono ben altre priorita'! Prima tra tutte quella di essere genitori anche se e' un compito che tende a invadere tutti gli spazi, per cui la coppia si trova a lottare per preservare la propria intimita'. Ma non da sola. Gli amici hanno le stesse difficolta' ed e' piu' facile risolverle insieme in un clima di allegra, rinnovata solidarieta'. 7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 652 del 27 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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