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Nonviolenza. Femminile plurale. 219
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 219
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 13 Nov 2008 15:48:34 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 219 del 13 novembre 2008 In questo numero: 1. Nadia Angelucci: Brevi dal mondo 2. Lea Melandri: Il corpo, la legge e le pratiche politiche del femminismo 3. Marinella Correggia: Virunga 4. Marina Forti: Jatropha 1. MONDO. NADIA ANGELUCCI: BREVI DAL MONDO [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Brevi dal mondo" e il sommario "Mondo, Nobel alternativi; Italia, Una donna nel Tribunale ecclesiastico; Ruanda, Parlamento a maggioranza femminile; Colombia, Uccisa una militante della Ruta pacifica de las mujeres; Ecuador, Nuova Costituzione; Angola, Triplicata la presenza femminile in Parlamento] Nobel alternativi Dei cinque vincitori dell'edizione 2008 del premio "Right Livelihood" (noto anche come Nobel Alternativo), quattro sono donne e tre provengono dal Sud del mondo. Creata nel 1980 da Jakob von Uexkull, la fondazione "Right Livelihood" ha l'obiettivo di "onorare e sostenere quelli che in modo pratico offrono risposte esemplari alle piu' urgenti sfide di oggi" e offre un premio che quest'anno ammonta a 210.000 euro a vincitore. I cinque di quest'anno, selezionati da una giuria internazionale tra 91 candidati provenienti da 44 paesi, si sono distinti in differenti campi di azione quali: il diritto alla terra, la pace e la partecipazione politica, la lotta alle violenze contro le donne e l'impegno per un'informazione libera e democratica. Vediamo nel dettaglio chi sono. Per la loro ininterrotta attivita', sin dagli anni della lotta dell'indipendenza dalla Gran Bretagna, per il diritto alla terra dei dalit (fuori casta) e contro gli abusi dei latifondisti e delle compagnie multinazionali e' stata premiata la coppia indiana Krishnammal e Sankaralingam Jagannathan. Ha ricevuto il premio anche la ginecologa tedesca Monika Hauser, fondatrice di Medica Mondiale, organizzazione medico-sociale che si dedica all'aiuto di donne e ragazze vittime della violenza sessuale sistematica nella zone di guerra di tutto il mondo, con attivita' anche in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo. Il lavoro della conduttrice del programma radiofonico e televisivo "Democracy Now", la giornalista americana Ami Goodman, ha ricevuto l'ambito riconoscimento con la motivazione di "aver sviluppato un modello di giornalismo politico indipendente che porta a milioni di persone voci alternative spesso escluse dai grandi media". Emblematico il premio a Asha Haji Elmi, la donna somala che nel 2000 ha fondato, nel suo paese, il "sesto clan", quello delle donne, per organizzare la partecipazione delle donne nella promozione del dialogo tra i clan tradizionali sostenendo "a rischio della vita la partecipazione femminile nella pace e la riconciliazione in Somalia". Nel paese in guerra e diviso storicamente in cinque clan la vincitrice, deputata dal 2004, ha dichiarato all'agenzia Misna che "a quei tavoli dove si e' progettata la ricostruzione delle istituzioni della Somalia, il 'sesto clan' ha rappresentato gli interessi generali dei cittadini, sfuggendo alle logiche particolari dei diversi gruppi di appartenenza ed e' stato capace di fare da mediatore e tramite tra tutti i soggetti coinvolti". Ha poi affermato che "sia nei colloqui di Arta del 2000 sia in quelli di Nairobi del 2002, il 'sesto clan', composto da una rete trasversale di gruppi femminili e singole persone, si e' conquistato il rispetto ed e' riuscito a far riservare alle donne una quota del 12% in parlamento". Asha Haji Elmi, sposata con un uomo appartenente a un altro clan, ha riferito di aver avuto lei stessa delle difficolta' a superare le divisioni tra le due famiglie riconoscendosi nell'identita' femminile e impegnandosi, all'inizio, nella tutela dei diritti di donne e bambini attraverso la "Save Somali Women and Children" (Sswc), la prima organizzazione non governativa somala nata nel 1992. "Far riconoscere le donne come un soggetto politico accanto agli altri clan e' servito anche a costruire una nuova immagine della donna nel paese, per ottenere piu' visibilita' e rispetto e combattere i pregiudizi", continua la premio Nobel alternativo 2008, che ha anche aggiunto che il lavoro del "sesto clan" ha portato alla nomina di due donne ministro nel governo di transizione somalo che ha sede nella citta' di Baidoa. * Italia. Una donna nel Tribunale ecclesiastico Ilaria Zuanazzi, 46 anni, di Verona sara' la prima donna a sedere sullo scranno del tribunale ecclesiastico regionale del Piemonte. E' entrata a far parte dei quindici giudici che compongono la Corte dopo che la sua nomina e' stata ratificata dalla Conferenza episcopale di Piemonte e Valle d'Aosta. Laureata in giurisprudenza a Padova, ha ottenuto nel 1986 la "licenza summa con laude" alla Pontificia Universita' Lateranense. Attualmente insegna diritto canonico alla Facolta' di giurisprudenza di Torino e diritto ecclesiastico a Cuneo. Il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e moderatore del tribunale ecclesiastico, ha dichiarato che "la componente femminile potra' garantire un supplemento di sensibilita' e attenzione nella valutazione delle cause matrimoniali, tale da accrescere il senso e la portata pastorale di queste decisioni". * Ruanda. Parlamento a maggioranza femminile Nel nuovo parlamento ruandese, per la prima volta nel mondo, la maggioranza dei seggi andra' alle donne. Questo risultato va ben oltre il 30% imposto dalle delle "quote rosa" in vigore nel paese. Nel parlamento uscente, le donne erano comunque il 48,8%. Venti deputate sono state elette tramite il sistema proporzionale, mentre ventiquattro seggi sono stati assegnati a donne con criteri non partitici da grandi elettrici che rappresentano le associazioni femminili del Paese. A vincere le elezioni legislative, le seconde dalla guerra civile del 1994, e' stato il Fronte patriottico del Ruanda (Fpr), con 42 seggi sui 53 assegnati con voto diretto. Il partito socialdemocratico si e' assicurato sette seggi e il partito liberale quattro. * Colombia. Uccisa una militante della Ruta pacifica de las mujeres Olga Marina Vergara, femminista e pacifista colombiana, e' stata uccisa a Medellin il 24 settembre da un commando che ha fatto irruzione nella casa in cui si trovava assassinando Olga, sua figlia, suo genero e il suo nipotino di 5 anni. Vergara era molto conosciuta nella sua citta' per il lavoro che da anni svolgeva in favore delle donne con Ruta pacifica de las mujeres, associazione femminista, pacifista, antimilitarista e nonviolenta che dal 1996 si impegna per l'avanzamento del processo di pace in Colombia. * Ecuador. Nuova Costituzione Niente per noi stessi, tutto per la patria. Questo e' lo slogan che ha accompagnato per otto mesi i lavori dell'Assemblea Costituente in Ecuador. E lo scorso 28 settembre i cittadini della Repubblica ecuadoriana si sono espressi, attraverso un referendum, sull'introduzione della nuova Costituzione. Una maggioranza, che ha superato il 65%, si e' pronunciata a favore del nuovo testo che contiene alcune importanti novita' e una visione solidaristica dei rapporti tra i cittadini. Innanzitutto vengono stabiliti cinque diversi tipi di proprieta': pubblica, privata, mista, popolare e solidale. La Carta assicura poi l'educazione e la sanita' gratuite per tutti e l'accesso sicuro e permanente ad una alimentazione sana e sufficiente; l'acqua assurge a diritto umano inalienabile. Si riconosce il diritto della popolazione a vivere in un ambiente sano e si dichiara di interesse pubblico la preservazione dell'ambiente e la prevenzione del danno ambientale. Per la prima volta vengono riconosciuti dei diritti alla natura. I popoli indigeni, che per secoli hanno vissuto la discriminazione, hanno finalmente conquistato la plurinazionalita' dello stato e le due principali lingue ancestrali, kichwa e shuar, diventano lingue ufficiali insieme allo spagnolo. L'Ecuador viene poi definito "territorio di pace" e si proibisce la costruzione di basi militari straniere e la cessione a stranieri di basi o installazioni militari nazionali e questo conferma che la base di Manta, strategicamente la piu' importante del Sud America e fino ad ora in mano agli Stati Uniti, tornera' in mano allo Stato ecuadoriano. Sul tema dell'informazione, da sempre nel piccolo stato andino nelle mani di poche famiglie di potenti, si e' stabilito che lo Stato promuovera' la pluralita' dell'informazione e non permettera' il monopolio o l'oligopolio nella proprieta' dei mezzi di informazione. Viene riconosciuto a tutti il diritto a migrare e lo Stato non considerera' illegale nessun essere umano straniero che scegliera' di vivere in Ecuador. La nuova Costituzione riconosce poi i diritti delle coppie di fatto anche omosessuali. * Angola. Triplicata la presenza femminile in Parlamento Nelle passate elezioni del 5 settembre in Angola la presenza femminile in Parlamento e' triplicata passando da 29 a 81 presenze e raggiungendo la percentuale del 36% dei 220 seggi dell'Assemblea Nazionale. Il Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola, partito di maggioranza, ha ottenuto l'81% dei voti e ha tra i suoi 191 deputati 77 donne. La minoranza, Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola che ha raggiunto il 10% ha 16 deputati di cui 4 donne. Nel paese e' stata introdotta una legge che prevede l'inserimento del 30% di donne nelle liste elettorali. * Fonti: Misna, Adn-Kronos, Rai News 24. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL CORPO, LA LEGGE E LE PRATICHE POLITICHE DEL FEMMINISMO [Dal sito della Libera universita' delle donne (www.universitadelledonne.it) col titolo "Il corpo, la legge e le pratiche politiche del femminismo"] Che senso ha parlare del corpo in termini di "proprieta'", "avere il corpo", "appropriarsi del corpo", quando in realta' siamo corpo, corpo pensante? Che cosa cambia nel momento in cui prendiamo coscienza che il corpo non e' neutro, che e' sessuato, e che sulla diversita' biologica del maschio e della femmina la storia - in quanto storia di una comunita' di soli uomini - ha costruito il piu' duraturo dei rapporti di potere: divisione dei ruoli sessuali, esclusione delle donne dalla vita pubblica, identificazione della donna con il corpo, la natura? Ma, soprattutto, che cosa cambia quando l'attenzione sul corpo si sposta dalla sfera pubblica - dove e' visto come oggetto di diritti, leggi, eticita', religione - a quella considerata tradizionalmente privata - il vissuto, l'esperienza corporea particolare di ogni individuo -, quando cioe' si addentra, come ha fatto il femminismo piu' radicale degli anni '70, nelle "acque insondate della persona", in una zona considerata "non politica"? Quando il femminismo ha parlato di "corpo politico", non intendeva riferirsi a leggi, questioni etiche - anche se poi battaglie di questo tipo ci sono state (divorzio, aborto, diritto di famiglia) -, ma riportare la persona, il corpo, la sessualita', la vita affettiva, i legami familiari, dentro la storia, la cultura, la politica, dove sono sempre stati, con quella modalita' che Giorgio Agamben descrive come "messa al bando", inclusione mediante un'esclusione, atto del "potere sovrano" che sottosta alla fondazione della polis (Giorgio Agamben, Homo sacer, Einaudi 1995). Il femminismo rappresento' allora il sintomo della crisi della politica - come politica separata dalla vita, "mutilata" di una parte essenziale dell'umano, anche quando parlava di rivoluzione, nascita di una societa' alternativa -, e, al medesimo tempo, l'embrione di un suo ripensamento. Oggi questa crisi e' evidente, ma, al posto di una politica della vita, reinvenzione dello spazio pubblico, come ci auguravamo, si e' fatta strada l'antipolitica. Quando si parla di "proprieta'" del corpo, "diritti", "etica pubblica", si corre il rischio di appiattire un termine dentro l'altro: quando, per esempio, si parla di "proprieta' del corpo" solo attraverso il "giuridicismo delle nostre democrazie" (Rossana Rossanda); o quando si chiamano "questioni eticamente sensibili" realta' prevalentemente politiche, non riconosciute come tali. Uscire dalla confusione non vuol dire isolare un aspetto dall'altro, ma mettersi in condizione di trovare nessi che gia' ci sono e che vanno esplorati. Partiro' dal primo termine: che cosa vuol dire avere, possedere, appropriarsi del proprio corpo? Perche' non diciamo invece essere corpo, corpo pensante? Quanto ha influito su questo aspetto oggettivato, proprietario, del corpo la scissione originaria tra corpo e linguaggio, e quella che vi e' andata confusa tra maschile e femminile? "Il corpo nasce, invecchia e muore e noi nasciamo, invecchiamo, moriamo con lui: con, come se fosse altro da noi. Alzi la mano chi non direbbe la stessa frase. Non percepiamo il corpo come un 'modo', se non un involucro del nostro essere? Malgrado che sappiamo bene di non esistere senza di esso, lo sentiamo come qualcosa di interno/esterno. Invecchiamo, ci ammaliamo, moriamo nostro malgrado; e' lui, il corpo, che ci trascina nei suoi ritmi, programmi e disastri" (Rossana Rossanda, "Lapis", n. 8, 1990). Nel libro La perdita, Rossanda riprende il tema e scrive: "Sappiamo di 'essere' il nostro corpo, ma pensiamo di 'averlo', come se la coscienza avesse un altro ordine di esistenza, stesse nel corpo come in una casa, lumaca nel guscio. Dirci: il corpo e' la prima casa che ho e il corpo sono io, non fa esattamente lo stesso. Essere e avere non sono lo stesso". Fra tutte le opposizioni incomponibili, tutti i dualismi, la piu' resistente ai nostri sforzi di pacificazione e' sicuramente quella di un Io costretto a riconoscersi straniero nel proprio corpo, parte del ciclo biologico e, al medesimo tempo, di una "natura" speciale, irriducibile alla materia di cui sono fatti gli altri viventi. Se per tutti vale questa scissione tra un Io che si e' immaginato eterno, onnipotente, e la materia di cui siamo fatti, per le donne, identificate col corpo e considerate a lungo prive di un Io, l'alienazione e' ancora piu' profonda. E' sempre Rossanda a raccogliere e sottolineare, nel libro Le altre (Feltrinelli 1978), il cambiamento che la coscienza femminile porta, per esempio, nell'idea di liberta', o meglio il senso diverso che la liberta' ha per la donna, e cioe', prioritariamente, liberta' di essere: "Dunque la liberta' per lei e' ancora e prima di tutto il ritrovare una identita', essere. E' un tema niente affatto semplice, ne' risolto nel giuridicismo delle nostre democrazie: la questione della inalienabilita' della persona. Per le donne ha una dimensione tanto grande quanto la negazione di cui sono state oggetto: immensa. Esse sanno che la persona resta violata al di la' delle dichiarazioni di diritto: dalla miseria, dal comando, dall'ideologia, da quella proiezione dell'oppressore che stinge anche all'interno di noi. E' questo senso dell'alienazione dell'Io profondo, che si esprime nel bisogno di chiedersi: ma chi sono? e si proietta di continuo negli slogan femministi 'Io sono mia'... e' il messaggio piu' reciso che il nuovo movimento delle donne ci manda". * Il femminismo tra diritti e pratiche di liberazione "Riappropriazione" del corpo in tutti i suoi aspetti - dal biologico alla vita psichica e intellettuale - significo', per il femminismo degli anni '70, partire dalla storia personale, dal vissuto, dalla narrazione di se', per esplorare tutto cio' che la subordinazione al dominio maschile, alla sua visione del mondo, aveva comportato, come interiorizzazione di modelli, cancellazione di un sentire proprio. La critica va alle istituzioni della vita pubblica, che, sulla cancellazione del corpo, hanno costruito il loro sapere e potere. Le donne del "Centro per la salute della donna", costituitosi a Padova nel 1974, scrivono: "La nostra controparte nella lotta non e' la Medicina, ma lo Stato che, attraverso la Medicina e l'organizzazione sanitaria, vuole continuare ad espropriarci del nostro corpo, trasformato in strumento di lavoro domestico di riproduzione materiale e cioe' fisica, affettiva e sessuale del marito, e di riproduzione biologica e affettiva dei figli". I consultori autogestiti perseguivano la riappropriazione del corpo, della medicina, e il diritto alla salute. Alcuni si prefiggevano di travasare le esperienze dei gruppi per la medicina delle donne dentro le strutture pubbliche. La "pratica dell'inconscio", il "self help", l'"autovisita", furono i tentativi piu' radicali di insediarsi nel proprio essere fisico, psichico, intellettuale, attraverso una pratica di relazione tra donne in cui era escluso e criticato il ricorso ai saperi istituiti. Era un modo per sottrarre al medico, allo psicanalista, all'esperto, la conoscenza e la modificazione di se'. * La questione delle leggi, dei diritti, della politica organizzata, si pone in tutta la sua contraddittorieta' nel momento in cui si dovette affrontare il problema dell'aborto. Nell'incontro che si tenne al Circolo De Amicis a Milano, nel febbraio 1975, la resistenza a fare dell'aborto una battaglia di diritti, insieme a forze politiche organizzate, fu sollevata da molte. "E' venuto alla ribalta questo argomento dell'aborto per delle ragioni che in parte passano sopra le nostre teste, cioe' in una politica di tipo tradizionale, fatta anche da gente coraggiosa, non lo metto in dubbio, che pero' segue la sua logica e ci siamo state come coinvolte. Per forza, perche' e' una cosa che ci riguarda in prima persona e tutti vogliono in questo momento coinvolgerci, dai preti, i vari partiti, i gruppi di opinione, sinistra extraparlamentare. Ora questo puo' rappresentare un pericolo, perche' ci da senso di importanza e euforia, pero' rimane che la tematica e' impostata fuori di noi, dalle nostre teste, e allora, secondo me, il ritrovarci tra noi, significa che noi affrontiamo questa tematica nei modi politici che sono nostri, che non sono quelli della politica tradizionale e quindi con il racconto di esperienze e anche con prese di posizione che magari non hanno grande coerenza, ma riflettono quello che e' il nostro pensiero... Non e' nel nostro interesse trattare del problema dell'aborto per se stesso. Il nostro sforzo e' invece, mi sembra, di legare questo problema a tutta la nostra condizione, e a una questione in particolare, che e' quella della nostra sessualita' e del nostro corpo" (Lea Melandri, Una visceralita' indicibile). La prova di quanto fosse lontana dal discorso sulla legge e sui diritti l'analisi che si fece allora dell'aborto, e' dimostrata dal fatto che per tutta la durata del convegno i temi furono: sessualita', frigidita', omosessualita', rapporto con la madre, sessualita' vaginale e clitoridea. La voce "aborto", nel Lessico politico delle donne. Teorie del femminismo, sintetizza cosi' i due diversi atteggiamenti piu' diffusi e dibattuti tra le donne nei confronti della richiesta di una normativa sull'aborto: "Mentre i laici e i cattolici contrapposti portavano avanti la battaglia per l'aborto a livello parlamentare, il Movimento delle donne ha continuato separatamente il suo dibattito. Schematizzando si possono individuare due posizioni di fondo: una che ha visto nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse assistito e gratuito l'aborto, la conquista di un diritto civile e il riconoscimento sociale dei diritti e della forza delle donne; l'altra posizione non ha ritenuto invece utile per le donne una riforma sociale, come e' una normativa dell'aborto, attuata da un sistema che non comprende le donne e in cui le donne non hanno diritto di espressione. Non si e' voluto soprattutto affermare il 'diritto civile' a subire la violenza dell'aborto. Rimanere incinte senza desiderarlo o essere costrette ad abortire anche se si desidera un figlio, provoca nelle donne conflitti e situazioni tali che nessuna legge puo' pensare di regolare, sistematizzare o risolvere. Per questo si e' chiesta semplicemente l'abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione... Il rapporto con la maternita' e la riproduzione e quindi in negativo anche quello con l'aborto, si puo' chiarire solo attraverso la ricerca di una sessualita' non segnata dall'uomo, affrontando l'analisi del rapporto uomo-donna, comprendendo i motivi e le dinamiche per cui si resta incinte, pur dovendo poi abortire.". E' interessante notare come questa posizione critica rispetto al ricorso a una legge ritorni oggi - a trent'anni esatti dalla sua approvazione (25 maggio 1978) - nei commenti di una generazione di femministe piu' giovani: le donne del gruppo A/Matrix di Roma. Scrive Angela Azzaro sul quotidiano "Liberazione" (21 maggio 2008): "La maggior parte delle donne si batteva non per una legge, ma per la depenalizzazione del reato di aborto. Il ragionamento era chiaro: la legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Cosi' e' stato, anche perche' alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all'obiezione di coscienza da una parte, e dall'altra alle varie interpretazioni su quando e come inizia la vita. Il bilancio da fare ci riporta direttamente agli anni '70, quando le donne non chiedevano diritti concessi da parte degli uomini, ma liberta'. Oggi la sfera personale ritorna con prepotenza sotto i riflettori... la destra la vuole piegare al volere di Dio, la sinistra la riduce a una questione di diritti". Beatrice Busi, sullo stesso giornale, richiama opinioni e scritti dei gruppi femministi degli anni '70: "qualsiasi forma di legislazione sull'aborto, anche la piu' ampia, presuppone un controllo sulla donna". L'autodeterminazione non e' piu' tale, se si subordina all'interesse dei partiti e delle logiche parlamentari, se una volta ottenuta la legge si impiegano le energie in una lotta difensiva le cui regole sono date dalle istituzioni ospedaliere, giudiziarie, amministrative. La storia recente da' ragione di questi dubbi. Quel testo, con tutte le sue ambiguita', viene oggi attaccato e svuotato di senso. "La lotta contro l'aborto - prosegue Busi - e' stata una lotta a tutto campo, di certo non liquidabile con l'idea di rivendicare e ottenere un 'diritto'. Parlare pubblicamente di aborto ha significato anzitutto una radicale messa in discussione della sessualita' e dei rapporti tra uomo e donna. Ha significato praticare la consapevolezza e la riappropriazione del proprio corpo attraverso strutture e relazioni diverse, come hanno fatto i centri per la salute delle donne. Ha portato con se' anche la reinvenzione del pubblico, la costruzione di nuove istituzioni dal basso, attraverso l'apertura dei consultori autogestiti, dei centri di medicina delle donne". * A caratterizzare l'originalita' e la radicalita' del femminismo degli anni '70 - ma anche, come si vede dalla ripresa che ne fanno i collettivi femministi e lesbici oggi, la sua lezione piu' duratura - sono le sue pratiche anomale - autocoscienza, pratica dell'inconscio, self-help -, che hanno al centro il corpo, indagato, narrato, come luogo essenziale della costruzione di una individualita' femminile intera, ne' solo corpo ne' solo mente, quindi sotto il profilo del radicamento biologico, psichico e intellettuale. Analizzato, soprattutto, con la consapevolezza che identificate col corpo, il corpo ha finito per invadere, informare la loro identita' in toto, un corpo a cui hanno dato forma le paure e i desideri dell'uomo: corpo violato, sfruttato, controllato, ridotto a funzione sessuale e riproduttiva. Ci sono voluti secoli prima che venisse riconosciuta alle donne un'anima, tanto che, all'inizio del '900, un misogino visionario ma lucidissimo nel dar voce alla tradizione greco-cristiana dell'Occidente, Otto Weininger, in Sesso e carattere (1903) (Feltrinelli 1978), poteva scrivere: "La femmina perfetta ignora sia l'imperativo logico sia quello morale e le parole legge, dovere, obbligo verso se stessi sono quelle che le suonano piu' strane. E' dunque con tutto il diritto che concludiamo per la mancanza della personalita' sovrasensuale. La donna assoluta non ha Io". Non si e' parlato allora quasi mai di "differenza" femminile, ma di "inesistenza" con riferimento agli effetti della "violenza invisibile" o simbolica, che ha portato le donne a incorporare la visione del mondo del sesso dominante, a parlare la stessa lingua, a confondere l'amore con la violenza, a mettere in atto adattamenti, assimilazione, dolorose resistenze. In un passaggio del libro Smarririsi in pensieri lunari, Agnese Seranis (Graus editore, Napoli 2007) sintetizza molto bene quello che e' stato il viaggio intrapreso allora come scoperta, riappropriazione di un se' sottratto alla naturalizzazione, ma anche al confinamento in un genere: "In ogni luogo io mi scoprivo inesistente che' non ero che l'ombra dei loro desideri o dei loro bisogni mentre io volevo essere io volevo conoscere volevo tenere nelle mani cio' che ero magari per offrirlo per scambiarlo e' solo questo che desideravo donare alla pari cio' che effettivamente ero io mentre sino ad oggi mi sembrava di non donare nulla se non il mio corpo a cui essi davano pensieri a cui essi prestavano immagini. Io l'avevo capito che essi volevano solo dialogare con se stessi o con un'altra inventata da loro stessi che non inquietasse che non proponesse una lettura diversa della vita e con cui dovessero confrontare il loro stesso ruolo". * Nelle ricostruzioni che si fanno del femminismo degli anni '70, di solito si riproducono polarizzazioni note: chi vi vede solo battaglie per i diritti (emancipazione) e chi solo pratiche di liberazione. Nello slogan "modificazione di se' e modificazione del mondo" era invece indicata la presa di distanza da ogni dualismo e la ricerca di nessi. La partecipazione alle manifestazioni per il divorzio, l'aborto, contro la violenza sessuale, e' sempre avvenuta in modo critico, preceduta da anni di lavoro collettivo, per evitare che diventassero "un pezzo di riforma" isolata dalla messa in discussione della sessualita' e della cultura dominante maschile. Il femminismo, proprio perche' era sintomo della perdita di confini tra vita privata ed esistenza politica, casa e citta', e, al medesimo tempo, inizio di un suo ripensamento, si e' trovato a fare i conti con quelle che Giorgio Agamben definisce le "aporie" della democrazia moderna, gli aspetti ambigui, contraddittori delle conquiste democratiche. "Con l'Habeas corpus (1679) non semplicemente homo ma corpus e' il nuovo soggetto della politica e la democrazia moderna nasce propriamente come rivendicazione ed esposizione di questo 'corpo': dovra' avere un corpo da mostrare". "Aporia della democrazia e' voler giocare la liberta' e la felicita' degli uomini nel luogo stesso - la nuda vita - che segnava il loro asservimento". Ma la frattura non sembra essersi ricomposta. Due modi mortiferi di acquistare cittadinanza sono la biopolitica del totalitarismo (morte e sangue) e la societa' dei consumi. "Gli spazi, le liberta' e i diritti che gli individui guadagnano nel loro conflitto coi poteri centrali, preparano ogni volta, simultaneamente, una tacita ma crescente iscrizione della loro vita nell'ordine statuale". Scrive Roberto Esposito nel suo libro Bios (Einaudi 2004): "o la biopolitica produce soggettivita' o produce morte... o rende soggetto il proprio oggetto o lo oggettiva definitivamente. O e' politica della vita o sulla vita". Il femminismo - e prima ancora il movimento non-autoritario nella scuola - sono stati un inizio di "biopolitica affermativa", una politica che voleva "andare alle radici dell'umano", mettere in gioco il corpo, e quindi l'intera vita, interrogare l'esperienza, vedere la soggettivita' come corpo pensante, sessuato, plurale - fuori dalla figura astratta del cittadino -, capace di riconoscersi nella sua singolarita' e in cio' che lo accomuna agli altri, consapevole che solo avanzando verso strati profondi di noi stessi si puo' accedere a un orizzonte piu' generale. Voleva dire uscire da tante rovinose contrapposizioni, tra particolare e universale, necessita' e liberta', individuo e collettivita', che, costruite come poli complementari, portano fatalmente agli accorpamenti che sono oggi sotto i nostri occhi e che chiamiamo genericamente "antipolitica". * Forse e' per questa radicalita' delle pratiche del movimento delle donne in Italia che il pensiero femminista sul diritto ha avuto da noi una minore diffusione che in altri paesi. Si puo' dire in generale, come ha scritto Alessandra Facchi in un saggio contenuto nel libro Filosofia del diritto contemporaneo, che il diritto ha continuato a essere per il femminismo "un oggetto ambiguo e controverso", visto come strumento di miglioramento, ma anche come l'espressione piu' pericolosa della cultura maschile. Anche in Italia il dibattito ha finito per insabbiarsi dentro il dilemma uguaglianza/differenza: politiche paritarie e politiche volte a tutelare o valorizzare le differenze di genere, cioe' i valori tradizionalmente femminili rivisti e risignificati positivamente. Si tratta sempre di valori, modelli - biologici, psichici, culturali - che "trasferiti in norme giuridiche hanno mostrato i loro limiti". Anche senza condividere le posizioni del libro Non credere di avere dei diritti, pubblicato dalla Libreria delle donne di Milano nel 1987, il femminismo in Italia propende a pensare che gli interesse delle donne siano meglio tutelati da regolazione giuridica leggera. Pur riconoscendo la portata simbolica della legge, che rende pubblico cio' che e' privato e modifica percio' le coscienze, resta la comprensibile diffidenza per uno strumento cosi' fortemente segnato dal punto di vista maschile, tanto da far passare in ombra la nascita di quel soggetto imprevisto per la vita pubblica che sono le donne, l'affermazione della loro esistenza politica, della liberta' di decidere del proprio corpo e della propria vita. * Infine, un chiarimento sull'ambiguo confine tra etica e politica, proprio per quanto riguarda le problematiche che hanno il corpo come parte in causa, quelle che oggi vengono chiamate quasi da tutti "questioni eticamente sensibili", e che sono invece, alla luce del pensiero femminista, essenzialmente politiche. Il modo con cui la sinistra liberale, laica, democratica, ha finora affrontato l'invasivita' delle gerarchie vaticane e' stata la contrapposizione frontale Stato-Chiesa, morale religiosa - etica pubblica: una scelta volontaristica e poco produttiva di cambiamenti. Piu' utile sarebbe analizzare i legami che ci sono stati storicamente tra due ambiti del potere che si sono sorretti a vicenda, legami che oggi si rinsaldano producendo figure ibride, come gli "atei devoti". Soprattutto, bisogna chiedersi come cambia l'idea di laicita', come si modificano i confini tra religione e politica - ma anche tra etica e politica -, nel momento in cui viene alla coscienza il fatto che nessuna di queste due sfere e' "neutra", dal punto di vista del sesso. Detto altrimenti: al di la' di tutto cio' che le differenzia e le oppone, c'e' quantomeno un elemento comune, l'appartenenza alla storia del dominio maschile. Una guarda piu' alla sfera privata, alla vita personale, l'altra e' proiettata verso la sfera pubblica, ma e' proprio questa complementarieta' a rivelare la loro parentela, la comune matrice in quel protagonista unico della storia, il sesso maschile, che ha diviso, contrapposto, gerarchizzato aspetti indisgiungibili dell'essere umano: il corpo biologico e il pensiero, la sopravvivenza economica e quella affettiva, la necessita' e la liberta'. La consapevolezza nuova, che fa il suo ingresso nella storia col movimento delle donne, negli anni '70 - il rapporto tra i sessi visto attraverso le problematiche del corpo, della sessualita', dell'esperienza personale - modifica sia il confine tra religione e laicita', sia quello piu' ambiguo tra etica e politica, mostrando come la morale abbia fatto da schermo, occultandoli, a rapporti di potere che attengono alla politica. L'equivocita' in cui sono stati tenuti i due termini diventa piu' chiara se si pensa al modo con cui si e' fatta strada, nel dibattito interno alla sinistra, l'urgenza di costruire un'"etica pubblica". Nessuno dubita che nella storia della sinistra manchino valori, principi morali, eppure da molte parti si e' detto e scritto che su questo versante occorreva colmare un vuoto, ed e' stato quando si e' cominciato a parlare di "questioni eticamente sensibili": aborto, fecondazione assistita, eutanasia, ricerca sulle cellule staminali. Ci si e' accorti che, su queste vicende, mancava una visione propria da contrapporre a quella dell'integralismo cattolico. La definizione di un'"etica laica" si e' venuta cosi' configurando, per analogia, come l'equivalente dell'etica religiosa; qualcuno ha pensato che potessero persino dialogare, tracciare nuovi equilibri. Cio' significa che, al di la' dei contenuti diversi, c'e' concordanza nel ricondurre esperienze essenziali dell'umano, che hanno il corpo come parte in causa, al campo della morale, come se fossero problemi di coscienza, da lasciare alla responsabilita' del singolo. Viene cosi' occultato sia il fatto che le "questioni di vita" parlano, piu' o meno direttamente, del rapporto di potere tra i sessi, sia il profondo rivolgimento che le ha portate oggi a collocarsi "nel cuore della politica", sintomo della sua crisi e, insieme, possibilita' di una sua ridefinizione; possono decretarne la fine, la consegna ad altri poteri - mercato, religione, scienza, media -, a quella che viene chiamata "antipolitica", o avviare un processo di rinnovamento, come quello che hanno lasciato intravedere i movimenti non autoritari degli anni '70. Piu' che di un moltiplicarsi di diritti e di leggi, quello di cui c'e' bisogno oggi e' una cultura politica che abbia al centro la vita nella sua interezza. In questa prospettiva, l'eredita' del femminismo ha molto da dire. 3. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: VIRUNGA [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo novembre 2008 col titolo "Virunga, parco in guerra"] Guardiaparco assassinati da bracconieri o da armati in guerra. Gli ultimi gorilla di montagna e gli altri animali selvatici sterminati. Gli alberi tagliati e bruciati. Nella tristissima situazione della popolazione del Nord Kivu, area di stupefacente bellezza e altrettanto stupefacente sfortuna, ecco altre vittime, mietute nel Parco nazionale Virunga Kahuzi-Biega, il piu' antico d'Africa, sito dell'Unesco, davvero ultimo rifugio di specie a rischio di estinzione. La madrepatria di duecento fra i settecento gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) ancora vivi sul pianeta e' stata resa famosa dal film Gorilla nella nebbia, la storia dell'etologa Diane Fossey che dedico' la vita e la morte a questi nostri stretti, ma pacifici, cugini. L'altro ieri il "National Geographic News" scriveva che le truppe del "generale" Laurent Nkunda hanno preso il controllo degli uffici del Parco Virunga a Rumangabo e del settore dove si trovano i gorilla. Oltre cinquanta guardiaparco sono stati costretti a fuggire nella foresta. Al telefono, il direttore ha detto che "i guardiaparco sono dispersi, non hanno cibo ne' acqua, sono in una zona di guerra... Una decina sono arrivati a Goma disidratati". Ma l'emergenza dura da anni. Il guardaparco Jean Pierre Jobogo Mirindi ha di recente scritto: "Il Parco e' una vittima. Le truppe di Nkunda sostenute dal Ruanda non rispettano gli impegni di pace. Per ragioni strategiche occupano il parco nella zona dei gorilla, la piu' adatta a ricevere piu' facilmente sostegno militare dal Ruanda". Jobogo chiede alle Nazioni Unite di applicare il capitolo 7 della Carta per imporre la pace e si augura che, anche se la protezione dell'ambiente e degli animali non e' fra i loro compiti, facciano il loro lavoro "con il minimo impatto". In questi ultimi giorni Jabogo ha mandato un breve messaggio a Francesco Mantero, direttore della Riserva naturale di Monterano, nel Lazio: "Non sappiamo se tutti i gorilla siano salvi". Un video girato dal Parco (www.virunga.cd) il 27 ottobre mostra persone impaurite e intrappolate mentre "si spara proprio nell'area dei gorilla". Il lavoro di guardiaparco nel Virunga e' eroico anche quando non ci sono combattimenti in corso. Oltre seicento ranger sono stati uccisi dal 1994 a oggi da bracconieri e tagliatori illegali di legno pregiato, nel corso di scontri o dopo essere stati presi in ostaggio. Scrive sempre Jobogo, nel 2003 ferito da cacciatori di ippopotami: "Sull'altro lato del Parco Virunga, i settori Kurolirwe e Burungu sono distrutti dalla deforestazione e dall'allevamento. I guardiaparco non sono in grado di allontanare gli armati che pascolano il bestiame; ne' i sempre piu' numerosi sfollati di guerra...". Se il bracconaggio contro i gorilla ha ridotto la sua portata, c'e' una recrudescenza nella caccia agli elefanti, per la carne e per l'avorio. In assenza di qualunque sistema pensionistico o assistenziale, i familiari dei guardiaparco assassinati precipitano nella miseria. La Riserva di Monterano da tempo sostiene economicamente, coinvolgendo le scuole e i cittadini e vendendo oggetti artigianali, gli orfani e le vedove del Virunga attraverso l'associazione congolese dei guardiaparco. Per contributi: conto corrente 20089389 (del Comune di Canale Monterano), causale: per il Virunga. La Riserva di Monterano, insieme a Federparchi, ha presentato alla Regione Lazio un progetto della International Ranger Federation (associazione alla quale aderiscono l'Associazione italiana guardaparco Aigap come "ranger" italiani come quelli del Virunga) che prevede formazione artigianale per le mamme e istruzione per i bambini. 4. MONDO. MARINA FORTI: JATROPHA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 agosto 2008 col titolo "Il Kenya adotta la jatropha"] Si chiama jatropha curcas, e' un cespuglio delle euphorbiacee che produce semi oleosi (ma tossici), cresce in climi semiaridi e su terreni impoveriti e marginali. Per questo e' una pianta molto popolare tra i fautori di una via locale e sostenibile ai carburanti di origine vegetale. Prendiamo il Kenya. Lo scorso maggio la ministra dell'energia di Nairobi, signora Faith Odongo, ha annunciato una strategia su cinque anni per sviluppare un'industria locale del bio-diesel a partire dall'olio di jatropha. Il suo piano, dice, andra' a vantaggio di fasce piu' ampie di popolazione, servira' alla produzione agricola, permettera' di creare lavoro e riequilibrare zone urbane e rurali. La strategia prevede di incentivare la coltivazione del cespuglio dai semi oleosi, quindi la produzione di olio e la sua trasformazione in diesel, infine di costruire una rete di distribuzione di questo carburante. Una simile strategia ha diversi vantaggi, ha spiegato di recente la ministra a "Irin News" (notiziario on line dell'Ufficio Onu per gli affari umanitari): per il 2012 il Kenya potrebbe aver ridotto del 5% le sue importazioni di diesel, con notevole risparmio. inoltre punta a ridurre la quota di kerosene (oggi comune negli usi domestici) nel mix dei combustibili e sostituirlo con il diesel di origine vegetale. E questo senza togliere terre "buone", cioe' fertili e ben irrigate, all'agricoltura: quindi senza minacciare la produzione alimentare. E' proprio per questo che la jatropha e' indicata come una potenziale fonte di energia alternativa: poiche' cresce, appunto, su terre poco fertili non compete con la produzione alimentare - come nel caso della canna da zucchero, la soja, il mais, la palma da olio che ora si vuole coltivare in modo intensivo per farne carburanti. E' anche molto efficiente, almeno secondo i raffronti fatti da un'associazione di coltivatori indiani di jatropha, che paragona l'olio di jatropha ad altri olii vegetali materia prima per il diesel (www.jatrophabiodiesel.org): a tutto vantaggio del cespuglio euphorbiaceo, perche' serve (in India) il raccolto di un ettaro per fare 3.000 chili d'olio, quindi il diesel costera' circa 43 dollari a barile, mentre (negli Usa) un ettaro di soja fa 375 chili d'olio, da cui un diesel a 73 dollari per barile. E' paragonabile alla jatropha, per resa e costi, solo l'olio di palma prodotto in Malaysia o Indonesia: ma qui il costo ambientale e sociale e' insostenibile, poiche' per espandere le coltivazioni di palma continuano a scomparire foreste... Non cosi' per la jatropha: almeno finche' resta un'alternativa su piccola scala. E' un punto essenziale. In Kenya la ministra Odongo si dichiara ottimista, dice (a "Irin News") che i progetti pilota di coltivazione della euphorbiacea oleosa danno risultati positivi. Cita "coltivazioni sperimentali a Mpeketoni, presso la citta' costiera di Lamu, dove non c'e' luce elettrica: la gente la' usa l'olio tratto da quei semi per alimentare le lampade". Il nuovo diesel potrebbe invece far funzionare generatori di corrente elettrica comunitari, dice la ministra. Bel progetto, dunque. Bisognera', certo, che le coltivazioni pilota si consolidino, che il governo promuova una rete di distribuzione: nel frattempo pero' "Irin" cita scettici coltivatori che hanno visto salire il prezzo dei semi oleosi. Cita anche la stampa locale per dire che un'azienda giapponese, Biwako Bio-laboratory inc, ha annunciato un investimento di 19 milioni di dollari in dieci anni, per coltivare centomila ettari a jatropha e farne biodiesel. Cosi' sorge il dubbio: stiamo parlando di un'industria locale su piccola scala, o di grandi progetti industriali? ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 219 del 13 novembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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