[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 638
- Subject: Minime. 638
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 13 Nov 2008 00:52:58 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 638 del 13 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Le stragi afgane, l'apartheid in Italia 2. Giorgio Luti 3. Adriano Apra' ricorda Raffaele Andreassi 4. Ivan Della Mea ricorda Luciano Della Mea 5. Alessandro Portelli ricorda Studs Terkel 6. Giovanna Providenti ricorda Malalai Kakar 7. Silvia Calamandrei presenta "The Man Who Loved China" di Simon Winchester, biografia di Joseph Needham 8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 9. L'Agenda dell'antimafia 2009 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LE STRAGI AFGANE, L'APARTHEID IN ITALIA Una e la stessa e' la lotta contro la guerra e contro il razzismo. Opporsi occorre all'infinita carneficina afgana, alla guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria cui anche l'Italia sciaguratamente scelleratamente partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. Opporsi occorre a questo immane crimine: e la via e' nel ripudio della guerra, nella scelta della pace, nel disarmo e nella smilitarizzazione dei conflitti, nel salvare le umane vite anziche' sopprimerle. * Il regime della segregazione razzista ha raggiunto l'Italia: dagli enti locali al governo e' un'eruzione continua, un'orgia ribollente di razzismo istituzionale, di barbarie nazista. Con le ronde, la camorra e i sadici annidati fin nelle istituzioni ad agire come bande armate, seviziatrici, assassine. Opporsi occorre a questo quotidiano orrore, per ripristinare la legalita' costituzionale, la primazia della dignita' umana e dello stato di diritto, il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, come e' scritto in quel patto giurato sessant'anni fa dai paesi civili del mondo tutto che si chiama Dichiarazione universale dei diritti umani. Una e la stessa e' la lotta contro la guerra e contro il razzismo. 2. LUTTI. GIORGIO LUTI Giorgio Luti e' stato un maestro. Tra i suoi libri quello che abbiamo piu' amato apparve nel 1987 nelle Edizioni cultura della pace di padre Balducci: L'utopia della pace nella Resistenza, una raccolta di lettere e testimonianze della Resistenza europea (in gran parte estratte dalle due classiche raccolte einaudiane delle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana ed europea) aperte da un suo ampio saggio. Nato nel 1926, aveva preso parte alla Resistenza Giorgio Luti, ed e' stato un illustre studioso della letteratura italiana e un docente universitario di chiara fama. Qui gli rendiamo, addolorati e grati, un estremo saluto. 3. MEMORIA. ADRIANO APRA' RICORDA RAFFAELE ANDREASSI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 novembre 2008 col titolo "Il mio pittore naif lungo le rive del Po" e il sommario "Cinema. E' morto Raffaele Andreassi, regista vagabondo fra le regioni della penisola. Un ricordo del cineasta scomparso, autore isolato appassionato di storie italiane 'minori', dalle inchieste degli anni Sessanta alla vita di outsider come Antonio Ligabue. Fra i suoi film, I lupi dentro, affresco epico girato nella Bassa Padana"] Nato nel 1924 a L'Aquila, cresciuto a Reggio Emilia, trasferitosi a Roma nell'immediato dopoguerra, Andreassi e' un autore "isolato", da scoprire. Oltre a un libro di poesie (Paesi del cuore, 1958) e all'attivita' di giornalista e di fotografo, ha realizzato, dal 1950, un centinaio fra cortometraggi e documentari, molti dei quali sull'arte. Per la televisione, oltre ad alcuni "caroselli", ha diretto, fra il 1962 e il 1975, una trentina di servizi a carattere giornalistico e documentaristico. Nel 1963 realizza il film-inchiesta I piaceri proibiti, mentre del 1969 e' il film di finzione Flashback, selezionato in concorso al festival di Cannes. Infine, nel 1999, porta a termine una sorta di summa della sua opera di documentarista d'arte, con risultati che vanno molto al di la' delle premesse: I lupi dentro, tre ore sui pittori naif della bassa padana. Del suo vasto lavoro di cortometraggista solo una quarantina di titoli sono visionabili, e diversi fra quelli preferiti dall'autore mancano ancora all'appello; praticamente sconosciuta resta la sua attivita' televisiva, data la nota chiusura degli archivi Rai ai ricercatori esterni; quanto a I piaceri proibiti e Flashback, gia' passati inosservati all'uscita, ne esistono per ora solo copie della Cineteca Nazionale. Basta tuttavia la visione, oltre che dei lungometraggi, di una ventina dei suoi cortometraggi realizzati fra il 1955 (il primo reperito e' Gli uomini del sale) e il 1969 (L'orizzonte) - i successivi mediometraggi sull'arte sono in genere meno interessanti, gia' troppo contaminati da tecniche "televisive" - per imporre il nome di Andreassi all'attenzione. Rispetto alla produzione cortometraggistica dell'epoca, la sua si distingue per rigore formale, assenza o riduzione all'essenziale di voce fuori campo e musica, presenza di voci e suoni d'ambiente registrati in diretta. Lo stile e' improntato a una ricerca, attenta anche se discreta, della giusta composizione dell'inquadratura, animata spesso da panoramiche e carrelli, che apparenta Andreassi alle ricerche di Antonioni e Zurlini. Colpisce il suo vagabondaggio attraverso ogni regione della penisola alla scoperta di realta' "minori" trasfigurate, quasi bloccate nel loro tempo e nel loro spazio, da una macchina da presa insieme partecipe e distanziata. La realta', anche quando colta in presa diretta, e' sempre una realta' messa in scena. Tipici in questo senso sono certi momenti di Ligabue al lavoro (in Lo specchio, la tigre e la pianura, 1960, e Antonio Ligabue pittore, 1965), in cui il pittore sottopone la realta' a una trasformazione non dissimile, nel procedimento piu' che nello stile, da quella operata dal regista con le sue inquadrature. Ancora piu' emblematico, quasi programmatico, e' il confronto congiunto, nel bellissimo Agnese (1961), fra il ritratto di una modella fatto dal regista e quello fatto da De Chirico. Non sorprende l'oscillare di Andreassi tra documentario - I fidanzati (1957), Lettera dalla provincia (1960), Bambini (1960), Amore (1965), Gli animali (1965) - e finzione - Mezzafaccia (1959), Epilogo (1960), Tornare all'alba (1962), La citta' calda (1962) - poiche' per lui non c'e' realta' che non suggerisca una forma. Il suo sguardo costruisce, attraverso le tessere dei vari cortometraggi, un universo personale e coerente, pudico, crepuscolare, fatto di cose sussurrate, di malinconia trattenuta, di silenziosi dolori, con una tensione latente all'astrazione che diventa esplicita in film come Risveglio (1957), Il silenzio (1964), L'orizzonte (1969). Nei suoi film sull'arte, soprattutto su contemporanei italiani visitati spesso nel loro ambiente, colti al lavoro, fatti parlare, c'e', al confronto, maggiore impulso a "documentare" (con risultati eccezionali nei film su Ligabue, un artista che Andreassi ha contribuito a far scoprire) anche se le loro opere vengono sottoposte a uno smontaggio analitico dove ritorna il gusto per l'astrazione (il suo film piu' esemplare e' in questo senso Alternative attuali, 1966). I piaceri proibiti si distingue fra i numerosi film-inchiesta sexy di moda negli anni '60 per un approccio all'argomento decisamente piu' delicato e moderno. Il film e' diviso in sette episodi (particolarmente riusciti i due ultimi, che sono anche i piu' elaborati: Il padre e La borsetta). Le situazioni, nate da racconti di prostitute o di loro clienti, sono ricostruite ma "recitate" spesso dalle stesse protagoniste o comunque da non attori. Ne viene fuori una serie di ritratti assai tristi di donne rinunciatarie, che subiscono passivamente le manie o gli oltraggi di chi le avvicina. Ambientato nell'appennino tosco-emiliano nel settembre 1944, Flashback, di cui Andreassi firma anche fotografia e montaggio, e' un film minimalista, quasi privo di parlato, concentrato su un unico personaggio, un soldato tedesco isolato dalla sua compagnia in ritirata. La macchina da presa lo segue ossessivamente a contatto con gli alberi, il torrente, le pietre, i muri di un villaggio abbandonato, fino alla sua riconciliazione finale - nella morte - con la natura, al di la' degli orrori della guerra. Questo notevole film resta per il regista un'esperienza tematicamente anomala, anche se stilisticamente vi ritroviamo la sua attenzione per i suoni, i dettagli, le "pieghe" della realta'. I lupi dentro, straordinario documentario epico su una realta' minimale, avrebbe potuto far riscoprire Andreassi anche ai piu' distratti. Non ha certo aiutato a questo la consueta distribuzione "confidenziale" del Luce. Ora che Andreassi ci ha lasciato, senza poter gioire appieno dei non molti che credevano in lui, resta il rimpianto di un cineasta "fuori norma" per la discrezione con cui ha attraversato il nostro cinema dagli anni '50 agli anni '90; ma anche confratello, in questo, di quegli autori italiani di oggi che le voci grosse dell'industria "pesante" e di una critica complice tendono a nascondere, e che all'estero potrebbero invidiarci se venissero fatti conoscere. Non contentiamoci dunque di retrospettive, ma di prospettive per ribadire il nostro "altro" cinema. A futura memoria. 4. MEMORIA. IVAN DELLA MEA RICORDA LUCIANO DELLA MEA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2008, col titolo "Ridere e piangere, in faccia al padrone" e il sommario "Luciano Della Mea, a cinque anni dalla sua morte. Considerazioni sulla vita quotidiana in chiave sovversiva. Nello scritto di un socialista libertario, che fu tale fino alla fine. E, nella memoria, anche dopo"] Il 25 marzo 2003 moriva Luciano Della Mea. Mio fratello. Per vicende che non ha senso raccontare posso dire che non fummo abbastanza intimi: a volte le storie di famiglia, per come si combinano - peggio, per come si scombinano - mortificano l'intimita', possono perfino renderla quasi impossibile. Eppure, e nonostante i sedici anni di differenza, siamo stati fratelli sodali in molte faccende della politica, della cultura, della societa'. Tensione comune fu sempre quella di essere cittadini, citoyens, partecipanti, ricchi di senso civico e cioe' di qualcosa che latita da sempre nella societa' italiana. Prima di morire mi disse: "Voglio si sappia che fui sempre socialista libertario". Ho fatto in modo che si sapesse. Il mio ricordo, il piu' intimo, e' un Ivan o Luigi o tutti e due seduti sul sagrato della Pieve di Torre Alta di Ponte del Giglio (Lucca) con l'urna delle ceneri di Luciano in grembo in attesa che venissero tumulate nella tomba della Gisella che ci fu madre comune. Certo, questo personale e' assai politico e non credo soltanto per me, ma puo' finire qui. Altrettanto certo e' che non ne avrei detto se proprio in questi giorni non mi fosse accaduto di leggere uno scritto di Luciano, due pagine, un post scriptum, di Lettera di un impaziente a David Cooper, edito da Mazzotta e dall'Istituto Ernesto de Martino nel 1976. Lo ripropongo al tempo che si vive, in contrapposizione e in rivolta contro, durissimamente contro, il fare politica e il fare cultura che ci tocca. E' a tutti i sinistri anche larghissimamente intesi, anche ex, che chiedo di leggerlo e a tutti dico: in omaggio ai tempi, questi, lasciate pur perdere il compagno Luciano Della Mea, ma non potete ignorare il cittadino Luciano Della Mea: non sarebbe soltanto sbagliato, sarebbe infame. * Un ridere sovversivo "Morazzano (Montescudaio), dicembre 1976. "A proposito del riso: a me piace ridere quando ci riesco, e qualche volta sono capace di ridere da solo, anche su me stesso, come ora che ho scritto tutta questa roba (si riferisce al libro summenzionato, ndr), ma soprattutto di ridere e far ridere quando sono con certe donne e con certi uomini e soprattutto con ragazzi. "Ero convinto che, in questo modo, fottevo i padroni e i politici che, appunto, ridono troppo pubblicamente, per finta, istituzionalmente, risi pettinati, cotonati, stampati, e cosi' facendo cercano di far ridere la gent e usando teatrini e palcoscenici, cioe' mediazioni artificiali che astraggano l'uomo da se' per farlo ridere a orario fisso e senza scopo e ragione umana. Ma poi mi sono accorto, con dolore, che qualcosa non andava. "Il fatto e' che da anni non riuscivo piu' a piangere in solitudine, e questo rendeva velleitario il mio riso. "Ora ho pianto, in solitudine, senza freni, e ho deciso che se avro' voglia di piangere, piangero' anche in pubblico. Sono persuaso che, cosi', i padroni dovrebbero affrettarsi a farmi fuori, piu' che per la mia precedente lunga milizia 'sovversiva', perche' piangendo e ridendo a quel modo, io mi deistituzionalizzo, cioe' nasco e rinasco uomo, esco dalle trappole e dalle gabbie delle sicurezze programmate e imposte 'dalla culla alla tomba', che non fanno ne' ridere ne' piangere (...). "Allora anche la politica diventa una cosa seria, non piu' astratta idealisticamente e opportunisticamente, da rapporti umani che, per verita' storica, possono definirsi tali solo se diventano diversi e nuovi rispetto agli attuali. "Sempre a proposito del riso: accade che mia nipotina Elisa, che ha dieci mesi mentre dico queste cose, ha preso confidenza con la mia figura e il piu' delle volte appena mi vede ride con la bocca e con gli occhi (cosa rara). Quando ride lei, rido anch'io ma non in modo parassitario nei suoi confronti. "A volte accade il contrario, attacco a ridere io e ride anche lei, se io rido di cuore. Naturalmente capita che Elisa pianga per bisogni che non sa esprimere con parole e che io non riesco a capire. Allora mi do da dare come un matto affinche' Elisa riveli il suo bisogno e torni a ridere dopo che esso sia stato soddisfatto; e lo faccio con gesti, versi, smorfie fischi, boccacce puerili. "A volte mi capita d'irritarmi se non ottengo lo scopo desiderato, e cosi' facendo ecco che torno a istituzionalizzarmi come nonno, come padre, come maestro, come medico, come ministro, come padrone, come partito, come stato: in definitiva, come non uomo. Piu' spesso, per fortuna, Elisa torna a ridere, la prendo in braccio, la accarezzo, la bacio e mi viene da piangere con questo pensiero-dubbio atroce e nello stesso tempo rivoluzionario, comunista, degno di riflessione politica: fino a quando, Elisa?". * Ho voluto ricordare, su questo giornale, un contributo di mio fratello Luciano, per dirlo e farlo vivo ancorche' nel quinto anniversario della morte. Ritengo che questo suo scritto sia attuale oggi anche piu' di quando fu pubblicato. Infine, io credo per Luciano come per tanti altri, valga sempre quella frase di Franco Fortini, che ci fu comune amico: "Chi ha compagni non morira'". 5. MEMORIA. ALESSANDRO PORTELLI RICORDA STUDS TERKEL [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 novembre 2008 col titolo "Studs Terkel, le voci dell'altra America" e il sommario "Ricordi. Per Rizzoli una raccolta delle sue interviste"] Nel 1984 feci un piccolo esperimento all'universita': un seminario di letteratura americana su un autore che di dichiaratamente letterario non aveva niente, ma che aveva scritto libri di straordinario potere narrativo. L'autore era Studs Terkel, un produttore di programmi radio di Chicago; i libri si chiamavano Hard Times, Division Street Usa, Working, American Dreams: Lost and Found, e parlavano dei tempi duri della Grande Depressione; dell'identita' profonda di una metropoli come Chicago e, attraverso questa, dell'America intera; dell'esperienza e del significato del lavoro; dei sogni americani perduti e ritrovati. Quando dico "parlavano" non lo dico per metafora: erano, nel meglio di una tradizione letteraria cosi' attenta alla voce come quella americana, "libri parlanti", fatti di interviste soprattutto radiofoniche, storie di vita trascritte, montate, brevemente commentate e offerte all'immaginazione e all'intelligenza dei lettori. L'esperimento ando' bene, spero per gli studenti che ascoltarono un'America che non immaginavano, certo per me che stavo maturando le idee sulla storia orale e sul rapporto fra testo e voce, fra storia e desiderio e immaginario. Non ho mai incontrato di persona Studs Terkel, ma non ho piu' lasciato lui e i suoi libri, finche' non ci ha lasciato lui, pochi giorni fa, a 96 anni splendidamente vissuti. Mi ha accompagnato con "The Good War", la "guerra buona", rigorosamente fra ironiche virgolette; Chicago, un saggio-icona sulla sua citta' che sembra un'espansione creativa di certi versi di Carl Sandburg; The Great Divide, significativamente intitolato "ripensamenti sul sogno americano"; Race, sull'irrisolta (ancora, nonostante Obama) "ossessione americana" della razza; e, a fine anni '90, due esplorazioni sul secolo che si avviava alla fine, Coming of Age e My American Century; e la sua autobiografia, Talking to Myself: A Memory of My Times (1994). Nato nel 1912, negli anni '90 Studs Terkel faceva i conti con tutta la sua vita e il suo tempo come se si avviasse alla fine (nel 1998 pose fine al suo lavoro alla radio, cominciato e continuato tutti i giorni fin dal 1952); per nostra fortuna, aveva ancora diversi anni, e almeno tre libri, davanti a se'. Di tutto questo lavoro, in Italia e' arrivato poco: non e' la sua l'America che piace ai mass media e ai cantori subalterni dell'eccezionalita' americana. Division Street, Usa fu tradotto negli anni '60 come un'opera marginale di sociologia, ed e' fuori catalogo. E' ancora disponibile un suo libro sui grandi del jazz e proprio in questi giorni da Rizzoli e' uscita un'antologia, Americani (pp. 487, euro 20), che comprende interviste scelte dai suoi libri principali. Un libro che tutti quelli che dicono di voler bene all'America farebbero bene a leggere, perche' finirebbero per volerle ancora piu' bene ma forse per ragioni diverse da quelle che si aspettavano. Studs Terkel era maturato negli anni della Grande Depressione, del New Deal, dell'impetuosa nascita dei sindacati e delle lotte sociali, ed era sempre rimasto fedele alle idee radicali e progressiste maturate in quegli anni cruciali. "Non ho mai ritrattato", diceva, e l'aveva anche pagato con la lista nera e con periodi difficili di disoccupazione ed emarginazione. Pure, non c'e' una riga di ideologia in tutta la sua sterminata produzione. Non mi risulta che sia stato mai comunista; apparteneva piuttosto a quella tradizione di progressismo grassroots del Midwest che attraversa figure cosi' diverse come il socialista Eugene Debs, il "populista" Bob LaFollette, il comunista Woody Guthrie (non a caso, il saluto finale delle sue trasmissioni radio era una frase prelevata da un talking blues di Woody Guthrie - "Take it easy, but take it" - prendetevela con calma, ma prendetela). Di quella tradizione, Studs Terkel trasmette in ogni pagina dei suoi libri l'elemento caratterizzante: una fondamentale fiducia nella natura umana, una fiducia senza la quale nessuna speranza nel progresso sociale e in diversi rapporti fra le persone e' concepibile. La sua grande virtu' di intervistatore e' la capacita' di far uscire comunque il meglio che le persone hanno dentro di se', anche quando non sono persone gradevoli. E' questa fiducia che definisce il suo metodo e la sua filosofia: l'ascolto, fondato sull'idea democratica che ogni persona abbia qualcosa da dire, che in ogni persona ci sia qualcosa da imparare. La copertina del libro lo definisce "il maestro americano della storia orale", ma Terkel non penso' mai a se stesso come a uno storico (o a un sociologo), e non rispetto' mai i protocolli di nessuna disciplina che non fosse quella della passione di conoscenza, dell'impulso democratico, e del rispetto e ascolto dell'altro. Ma tutti gli storici orali americani, e non, hanno prima o poi fatto i conti con l'opera di Studs Terkel, magari criticamente: la svolta metodologica della oral history americana fu segnata da un saggio di Mike Frisch che era un'affettuosa lettura critica di Hard Times e da un libro di Ronald Grele, Envelopes of Sound, che si apre con una straordinaria intervista a Studs Terkel. Una sua frase, ripresa anche nella quarta di copertina di Americani, dice: "Confesso di non aver mai fatto ricorso a fonti altamente affidabili". Ed e' proprio sulle forme dell'inaffidabilita' che si e' venuta costruendo la storia orale contemporanea, attenta sia alla ricostruzione dei fatti, sia soprattutto al modo in cui i fatti danno forma alla soggettivita', anche attraverso l'errore e l'immaginario. In Envelopes of Sound, Studs Terkel parla dell'intervista come una forma di jazz, fatta di riffs and improvisation. E' una splendida definizione dell'intervista non come tecnica ma come arte, un dialogo musicale inventato ogni volta "a orecchio". Nell'epoca del trionfo della televisione, infatti, Studs Terkel resta ostinatamente attaccato alla radio, il medium principe del suono, della voce, della parola. La sua carriera era cominciata - ed e' continuata fino alla fine - con il lavoro di disc-jockey e di critico musicale dal vivo: basta pensare a quanto gli dobbiamo per averci fatto conoscere, fra i tanti, la voce monumentale di Mahalia Jackson. Percio' a mano a mano che affinava l'arte dell'intervista radiofonica, Studs Terkel veniva esplorando le forme della parola e abituando se stesso e il suo pubblico all'arte dell'ascolto. La radio non ti blandisce con immagini e colori, ti chiede una severa e affascinante disciplina di concentrazione; e ti offre tempi meno frenetici, meno condizionati dallo spettacolo e dal mercato - tempi in cui e' possibile, in diretta, raccontare e ascoltare una vita. Anni fa, con altre persone che si occupavano di storia orale, ci infognammo a discutere se essa sia un'arte dell'individuo o del collettivo, e concludemmo che al centro della sua esplorazione sono i modi in cui i singoli stanno dentro i grandi fatti sociali. Questa e' l'America di Studs Terkel: un'America di individui, alcuni famosi e potenti, e tantissimi di quei (relativamente) sconosciuti che hanno formato il tessuto civile del paese. L'amore di Studs Terkel per la sua America, come quello di Woody Guthrie, e' intriso della consapevolezza di quanto bisogno ci sia di cambiamento radicale, e di quanto il meglio del paese non sia nelle sue classi dirigenti e nelle sue istituzioni, ma in coloro che, opponendosi al potere, hanno lottato - da soli e su piccola scala, collettivamente e in grandi movimenti - per metterlo in discussione, o anche solo per sopravvivere e ritrovarsi in mezzo a sfide e difficolta', e che lo raccontano con l'eloquenza della passione e la limpidezza della parola di tutti i giorni. Non e' un'America superpotenza, e' un paese fatto, alla pari di tutti gli altri, di persone comuni e straordinarie, una per una e tutti insieme. Peccato che Studs Terkel non sia arrivato a vedere la conclusione della corsa di Barack Obama; perche' nel meglio di quello che Obama ha messo in movimento c'e' tanta dell'America che Studs Terkel per quasi un secolo ha cercato, ascoltato, raccontato. 6. LUTTI. GIOVANNA PROVIDENTI RICORDA MALALAI KAKAR [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "Malalai Kakar" e il sommario "Assassinata dai Talebani la mattina del 29 settembre 2008, era la prima donna in Afghanistan a essersi diplomata all'Accademia di polizia e la prima donna inquirente e dirigente del dipartimento dei crimini contro le donne di Kandahar"] Malalai Kakar, assassinata dai talebani la mattina del 29 settembre 2008 mentre usciva di casa insieme a uno dei suoi figli (rimasto gravemente ferito), non era solo una delle poche donne poliziotto in Afghanistan. Era la prima donna in Afghanistan ad aver frequentato ed essersi diplomata all'Accademia di polizia, la prima donna ad assumere il ruolo d'inquirente e dirigente del dipartimento dei crimini contro le donne di Kandahar, la poliziotta piu' celebre della nazione, e, soprattutto, era un simbolo di giustizia per le donne. Kandahar, un tempo considerata uno dei centri commerciali piu' importanti del paese, in quanto passaggio obbligato delle merci pakistane verso l'Iran e l'Iraq, ha visto un conflitto bellico particolarmente aspro ai tempi dell'invasione sovietica ed e' oggi una delle piu' conosciute roccaforti del fondamentalismo islamico dei talebani, che, interpretando la sharia a proprio uso e consumo, miete il terrore tra la popolazione e vieta alle donne di lavorare, studiare e persino di uscire di casa se non accompagnate da un uomo. Malalai Kakar, che all'epoca dell'invasione sovietica, nel 1979, era una adolescente, entro' in polizia nel 1982. Ma dopo meno di quindici anni fu costretta aii'esilio: quando i talebani si imposero al potere in Afghanistan, dal 1996 al 2001 lei, insieme ad altri tre milioni di afgani, venne accolta profuga in Pakistan. Li' rimase per dieci anni, durante i quali incontra suo marito, un impiegato delle Nazioni Unite e un "uomo moderno", come lo definiva lei. Insieme a lui forma una famiglia con sei figli, che, alla caduta del governo talebano, ritorna a Kandahar, dove Malalai riprende il lavoro di poliziotta, per scelta, anzi, per amore, come lei stessa dichiara in un video su di lei visionabile sul sito di Youtube. Il video la riprende dapprima durante il tempo in cui si prepara per andare al lavoro e poi durante il suo esercizio quotidiano presso la postazione di polizia dove lavora, mentre indossa la sua uniforme e carica con le pallottole prima una pistola e poi il kalashnikov. Malalai racconta la sua storia a chi la sta riprendendo: "Mio padre insegna all'accademia di polizia. Mi sono arruolata nelle forze di polizia perche' mio padre mi ha trasmesso l'amore per il suo lavoro. Io mi sento coraggiosa, onesta e forte e, al lavoro, mi sento come un uomo". Poi Malalai, coprendosi interamente con il burqa si dirige verso la stazione di polizia dove lavora e dove viene ripresa mentre svolge le sua attivita' quotidiane: in divisa, con il burqa alzato e pesante sopra la testa e noncurante della telecamera. Prima fa fare pace a due vicini, facendo chiedere scusa al responsabile dell'offesa e facendogli promettere di non ripetere piu' il torto. Poi accoglie due donne in burqa. Invitandone una a sedere accanto a lei, le alza il burqa e, infilandovisi dentro per guardarla bene in volto, le chiede: "cos'e' successo? che ti ha fatto davvero tuo marito, eh?". Oltre a questo video, su internet si trovano numerosi articoli della stampa internazionale che parlano delle operazioni di sequestro di armi e di droga nella zona di Kandahar cui lei aveva preso parte, e la descrivono come una persona eccezionale il cui nome, oltretutto, rinvia a una eroina afghana della guerra contro i britannici, alla fine del XIX secolo. In una intervista fattele da "Marieclaire" (www.marieclaire.com/world/news/kandahar-cop-4) Malalai racconta dei molti messaggi con minacce di morte che ogni mattina strappa dalla porta di casa prima che i figli possano vederle, del suo lavoro in polizia e dei molti episodi di quotidiana sopravvivenza e sopraffazione in un mondo cosi' difficile come e' l'Afghanistan di oggi. Inoltre si sofferma sulla necessita' della presenza femminile in polizia e in tutti i servizi pubblici per permettere alle donne, cui e' vietato interagire con uomini estranei, di poter ricevere assistenza da dottori, assistenti sociali, avvocati, etc. Il bisogno di tali figure femminili e' particolarmente sentito in un paese in cui il tasso di assassinii domestici e violenza contro le donne e' altissimo, in cui il 60% delle ragazze sono costrette a sposarsi all'eta' di sedici anni, e in cui non sono poche le donne che, in segno di protesta, si uccidono dandosi fuoco. Non sono neanche poche le donne che formano reti di auto-aiuto tra loro e/o che trovano il coraggio di denunciare le sopraffazioni subite. E per trovare questo coraggio e' spesso determinante la presenza di un'altra donna che bussi alla loro porta. "Le cose che faccio io gli uomini non le farebbero mai - diceva Malalai alla giornalista di "Marieclaire" - Mi ricordo di quel caso in cui continuavo a bussare alla porta ma i bambini non mi volevano aprire. Coperta dal mio burqa dissi loro che ero una zia, e cosi' mi aprirono". Quando entro' nella casa trovo' una donna e suo figlio incatenati piedi e mani, sopravvissuti per dieci mesi a solo pane e acqua. Si trattava di una vedova risposata al cognato il quale dopo averne abusato l'aveva ripudiata e lasciata in queste condizioni. "I talebani possono minacciarmi" diceva ancora Malalai Kakar "Ma le donne e i bambini mi amano, perche' sanno che ho salvato, e posso continuare a salvare, molte di loro". 7. LIBRI. SILVIA CALAMANDREI PRESENTA "THE MAN WHO LOVED CHINA" DI SIMON WINCHESTER, BIOGRAFIA DI JOSEPH NEEDHAM [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 novembre 2008 col titolo "Le avventure di uno scienziato innamorato della Cina" e il sommario "Biografie. In Inghilterra un libro su Joseph Needham"] Autore del monumentale Scienza e civilta' in Cina, Joseph Needham sarebbe stato entusiasta l'estate scorsa della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino: vi avrebbe ritrovato una sontuosa ricostruzione scenografica del millenario primato cinese, dalla scrittura alla stampa alla bussola, da lui descritto in Occidente tra gli anni '40 e '50 del "secolo breve". L'incontro di Needham con la Cina avvenne nel '37, quando a Cambridge arrivo' la nanchinese Lu Gwei-djen, studiosa di biochimica muscolare come Dorothy, la moglie di Needham. Fu un colpo di fulmine, racconta Simon Winchester nella bella biografia The Man Who Loved China da poco uscita per HarperCollins: l'amore per la giovane scienziata (che avrebbe sposato ottantenne, dopo la morte di Dorothy), si tradusse in una passione per la lingua e la cultura cinese, che trasformo' rapidamente il biologo Needham, autore di un magistrale studio di embriologia, in uno dei maggiori sinologi del Regno Unito. Cosi', quando si tratto' di inviare qualcuno a Chongqing a stringere rapporti con i cinesi in guerra contro il Giappone, la scelta cadde su di lui. Dopo un lungo viaggio via mare verso Calcutta e poi su un aereo militare, Needham atterro' nel febbraio '43 a Kunming, nello Yunnan. Da buon biologo, Needham noto' innanzi tutto le tecniche cinesi di innesto sui susini, e la differenza rispetto a quelle osservate nei giardini e nei frutteti inglesi della sua infanzia. Subito si propose di verificare sugli antichi testi cinesi di botanica a quando risalisse l'invenzione dell'innesto, interrogandosi se fosse precedente e distinta da quella occidentale. E' la prima annotazione per quello studio comparativo delle tecniche e delle scienze che si sarebbe tradotto nell'opera enciclopedica avviata nel dopoguerra e continuata ancora oggi dall'Istituto di ricerca di Cambridge a lui intitolato (in Italia Einaudi ha tradotto solo tre volumi e poi l'impresa si e' apparentemente arenata). Nonostante la guerra lo studioso riusci' a compiere ben undici avventurose spedizioni raccogliendo materiali per la sua opera. La prima, avviata nell'agosto 1943, si spinse fino ai confini col Xinjiang, nel deserto del Turkestan cinese, per visitare le grotte di Dunhuang, dove nel 1907 l'archeologo Sir Aurel Stein aveva scoperto un'immensa biblioteca che custodiva il primo libro stampato della storia, un esemplare del Sutra del Diamante, risalente all'868 d.C., sei secoli prima di Gutenberg. Lungo il percorso Needham si appassiono' alle imprese artigiane organizzate dal neozelandese Rewi Alley, un altro "amico della Cina" impegnato a sostenere la produzione di guerra con il movimento Gung Ho. Si incontrarono a Shuangshipu, lungo l'antica via della Seta e ne nacque l'amicizia di una vita. Needham ammirava in particolare il modo con cui Alley sapeva sfruttare l'ingegnosita' cinese, capace di sopperire alla mancanza di materiali con il riciclaggio (ne approfittera' Mao con lo slogan "camminare su due gambe", combinando industrializzazione moderna e manifattura artigiana, mentre nel nuovo secolo diventera' un fattore chiave del boom cinese). Un grande interrogativo si poneva lo scienziato in missione diplomatica: perche' la Cina, avanti in tutto, si fosse a un certo punto arrestata, facendosi sopravanzare dalla rivoluzione scientifica e industriale dell'Occidente. Era una domanda che stava a cuore anche ai suoi interlocutori cinesi, nazionalisti ma soprattutto comunisti, in cerca della strada per la fuoriuscita della Cina dall'arretratezza e dalla dominazione straniera. E Zhou Enlai coltivo' la relazione con lo studioso di Cambridge, suo prezioso alleato nel dopoguerra. Al ritorno dalla Cina Needham si adopero' per la costruzione dell'Unesco, curandone il progetto di cooperazione scientifica: dopo l'esperienza cinese e con il suo background, era l'uomo ideale per dirigere la Divisione di Scienze naturali, e lo fece dal '46 al '48, quando fu colpito dal bando contro i comunisti decretato dall'amministrazione Truman. In piena guerra fredda, fu Zhou Enlai ad affidargli nel '52 la presidenza della Commissione d'inchiesta sulla guerra batteriologica che si pensava gli americani stessero conducendo in Corea e nelle confinanti regioni cinesi. Needham certifico' la veridicita' delle accuse, guadagnandosi l'impopolarita' in patria e notevoli difficolta' accademiche nella Cambridge degli anni '50. Dagli archivi sovietici uscirebbe oggi comprovato che si tratto' di una manipolazione dei servizi segreti russi e che gli scienziati caddero nella trappola delle prove predisposte in loco. Agli occhi del popolo pacifista Needham fu pero' tra gli scienziati progressisti che denunciarono il Generale Peste, e si acquisto' gratitudine eterna da parte del governo cinese, mentre fu a lungo bandito come "persona non grata" negli Usa. Negli anni '50 lo studioso si concentro' nella stesura del suo libro, il cui primo volume usci' nel 1954. Il successo scientifico e il prestigio che l'Universita' di Cambridge ne ricavo' compensarono la disgrazia politica, fino ad assicurargli l'elezione a master del College nel '65. I periodici viaggi in Cina, anche quello del '72 in piena Rivoluzione culturale, non sembrarono scuotere la sua fede nel socialismo cinese. Zhou Enlai continuo' a essere il suo punto di riferimento e solo nel '78, dopo la morte di Zhou e Mao, espresse su "Nature" i suoi dubbi sulla "disastrosa" politica di Mao riguardo alla scienza. Ancora nel '72 - narra Winchester - sarebbe stato convocato da Mao in persona per un consulto sulla scelta tra bicicletta e automobile come mezzo di locomozione dei cinesi. Usando il suo appellativo cinese, Mao aveva chiesto a "Li Yuese" se la bicicletta non fosse meglio dell'automobile. E lui, dopo una pausa di riflessione aveva risposto che a Cambridge la sua vecchia bici soddisfaceva perfettamente tutti i suoi bisogni. Mao colse al balzo la risposta e taglio' corto: "Bene, dunque accontentiamoci delle biciclette". E' un dialogo non registrato, forse mai avvenuto, ma significativo se letto alla luce dell'impetuoso sviluppo del traffico automobilistico odierno nelle strade di Pechino. 8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 638 del 13 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 261
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 219
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 261
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 219
- Indice: