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Minime. 611
- Subject: Minime. 611
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 17 Oct 2008 01:17:49 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 611 del 17 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. La rimozione 2. Secondo Al-Jazeera sempre piu' militari afgani disertano per arruolarsi nei talebani 3. Rossana Rossanda ricorda Michele Rago 4. Roberto Ciccarelli intervista Isabelle Stengers 5. Alessandro Portelli presenta "Oltre Babilonia" di Igiaba Scego 6. Laura Pugno presenta "No Geisha" a cura di Cathy Lane 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LA RIMOZIONE "- Geronte: Solo restasti? - Tetragono: Con il vero solo. E con le vittime di tanta strage. - Geronte: Non solo dunque..." (Eufemio Cecidi, Torneamento di vanitati) C'e' una guerra in corso in Afghanistan. Una guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e totalitaria. Una guerra cui l'Italia partecipa in violazione della sua legge fondamentale. * Che pena le tante riviste pacifiste italiane che dall'estate del 2006 non dicono una parola sulla guerra e le stragi in Afghanistan, sul fatto che l'Italia e' in guerra, sul fatto che prosegue la flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione, sul fatto che l'eversione dall'alto nel nostro paese ha vinto anche grazie alla loro omerta', alla loro complicita'. Che pena le tante organizzazioni pacifiste italiane che dall'estate del 2006 non dicono una parola sulla guerra e le stragi in Afghanistan, sul fatto che l'Italia e' in guerra, sul fatto che prosegue la flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione, sul fatto che l'eversione dall'alto nel nostro paese ha vinto anche grazie alla loro omerta', alla loro complicita'. E che pena i tanti sofisti e burocrati pacifisti e fin pretesamente "nonviolenti" italiani che dall'estate del 2006 non dicono una parola sulla guerra e le stragi in Afghanistan, sul fatto che l'Italia e' in guerra, sul fatto che prosegue la flagrante violazione dell'articolo 11 della Costituzione, sul fatto che l'eversione dall'alto nel nostro paese ha vinto anche grazie alla loro omerta', alla loro complicita'. * Eppure: nessuno puo' ignorare che la guerra e' in corso; nessuno puo' ignorare che la guerra consiste di stragi; nessuno puo' ignorare che la guerra uccide degli esseri umani. Eppure: nessuno puo' ignorare che la partecipazione italiana alla guerra afgana configura l'abbattimento della Costituzione in uno dei suoi principi fondamentali; nessuno puo' ignorare che la partecipazione italiana alla guerra e' un golpe, un golpe assassino. * Ma le tante riviste pacifiste italiane, le tante organizzazioni pacifiste italiane, i tanti sofisti e burocrati pacifisti e fin pretesamente "nonviolenti" italiani con poche, davvero poche e non sempre limpide eccezioni, tacciono, rimuovono, negano che l'orrore sia in corso, e cosi' negano aiuto alle vittime, e cosi' fiancheggiano gli sterminatori. Eppure ci vorrebbe tanto poco a veder chiaro: e tanto poco ci vorrebbe a capire che se non ci si impegna contro la guerra sterminatrice, tutto il resto (tutto il resto che serve di fatto a occultare questo crimine e questa complicita') e' fasullo e furfantesco, destituito di ogni credibilita'. * Perche' accade questo, questo orrore, questo schifo? Perche' questo accade quando - pensando che sia per una sola volta, come se fosse nulla e invece e' tutto - ci si prostituisce al male: che esso ti rende schiavo per sempre. Per sempre: finche' non trovi la forza di rompere quella catena in cui da te stesso ti sei imprigionato. Quelle tante riviste pacifiste italiane, quelle tante organizzazioni pacifiste italiane, quei tanti sofisti e burocrati pacifisti e fin pretesamente "nonviolenti" italiani, se non spezzano questa catena di omerta', di complicita', di correita', di prostituzione alla guerra e alle stragi, nulla piu' mai avranno da dire che altri possano voler ascoltare. Un atto di pentimento, di contrizione, di ammissione di colpa e vergogna, e' necessario e urgente. Atti di riparazione non sono piu' possibili: gli assassinati dalla guerra restano assassinati. Nulla e nessuno puo' lavare o perdonare la corresponsabilita' con gli omicidi. Ma almeno si puo' far cessare l'omerta', almeno si puo' far cessare la complicita', almeno si puo' iniziare a battersi affinche' altre persone uccise non siano. * Chiamiamo nonviolenza la forza della verita'. Cessi la partecipazione italiana alla guerra. L'Italia torni al rispetto della legalita' costituzionale e del diritto internazionale. L'Italia si impegni per la cessazione della guerra, per salvare le vite. La pace si costruisce con la pace, la solidarieta' tra tutti gli esseri umani, il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani. Chiamiamo nonviolenza la forza della verita'. 2. AFGHANISTAN. SECONDO AL-JAZEERA SEMPRE PIU' MILITARI AFGANI DISERTANO PER ARRUOLARSI NEI TALEBANI [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 15 ottobre 2008 dal titolo "Sempre piu' militari afgani disertano per arruolarsi nei talebani"] Mentre la Nato, per uscire dal pantano della guerra in Afghanistan, punta tutto sul rafforzamento delle forze di sicurezza locali, sempre piu' soldati dell'Esercito nazionale afgano e agenti della Polizia nazionale passano, armi e bagagli, dalla parte dei talebani. Secondo un'inchiesta dell'emittente araba Al-Jazeera, questo fenomeno e' in costante aumento. Nell'ultimo mese, solo nella provincia di Herat - sotto comando italiano - almeno settanta militari afgani si sono arruolati nella guerriglia, cui hanno portato in dote armi e soprattutto l'addestramento ricevuto dagli istruttori militari occidentali. La ragione non sarebbe, come accadeva in passato per le diserzioni, le basse paghe e la pericolosita' del mestiere, bensi' una scelta ideologica. Il comandante Sulieman Ameri e i suoi sedici uomini fino a tre settimane fa erano in polizia: ora sono talebani. "Non possiamo collaborare con gli infedeli che occupano il nostro Paese", dice Ameri ad Al-Jazeera. "Ho visto con i miei occhi cosa fannno alla nostra gente e come si comportano: l'alcolismo, la prostituzione. Ho capito che dobbiamo combatterli e cacciarli via". "Io ho ricevuto 45 giorni di addestramento dagli americani", racconta un altro ex soldato ora nei talebani, "e ora usero' la mia esperienza al servizio della jihad contro gli infedeli". 3. LUTTI. ROSSANA ROSSANDA RICORDA MICHELE RAGO [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo ottobre 2008 col titolo: "Michele Rago" e il sommario "Ricordo. Era esperto di letteratura francese, incontro' il comunismo e il giornalismo, fu collaboratore del 'Politecnico', del 'Contemporaneo' e redattore de 'l'Unita''. Il Pci era fatto anche di gente come lui, di un tessuto prezioso di idee e speranze"] Si e' spento due mesi fa un compagno e amico di lunghi anni, Michele Rago. Ha voluto che ne fosse data notizia solo piu' tardi per fastidio, penso, della valanga di telegrammi, condoglianze e ricordi che precipita a ogni dipartita per il senso di colpa di quelli che restano. Siamo tutti, noi vecchi, cosi' appesantiti dalle vicende del '900 e cosi' poco portatori di comunicazioni liete che ci isoliamo invece che tenerci vicini e quando uno di noi se ne va, sappiamo soltanto di essere piu' soli a condividere una memoria, che difendiamo a voce sempre piu' bassa. Michele e' stato un uomo di grande cultura e un giornalista di quelli che mettono avanti un libro o un autore, antico o nuovo, prima di se stessi. Ma era uno che se ne stava sempre un poco da parte, anche nel pieno dell'attivita', per un suo riserbo, per non imporre e imporsi, forse per scetticismo verso l'enfasi e il chiasso che erano la modalita' romana della sinistra. Lo ricordo nelle riunioni sempre seduto un po' indietro, le braccia conserte e la parola breve, dubitosa o incomoda, lontano dalla ricerca di effetti. Cosi' e' anche ritratto, se ricordo bene, in un dipinto di Renato Guttuso, "La discussione", penso attorno al 1956. Era nato da una famiglia pugliese, presto emigrata a Chicago, presto rientrata a Bari perche' il padre lasciava moglie e figli per un'altra donna e non si faceva piu' vedere. Mi dicono che questo lo avrebbe segnato: nessuno ti delegittima ad esistere come un genitore che ti rifiuta. In piena miseria, i soli studi regolari che pote' fare, appena finita la prima guerra mondiale, furono le elementari. Poi dovette lavorare per aiutare madre e fratelli, rubando per se' ore e notti di studio, aiutato da un bravo prete e dalla scoperta della biblioteca pubblica di Bari. Sembrera' strano agli odierni svogliati, ma a quei tempi non c'era dubbio per nessuno che la strada per passare nella vita passava dal sapere e che per sapere bisognava rinunciare innanzitutto a molto del poco tempo per se' che rimaneva dal lavoro salariato. Cosi' Michele, dopo sforzi sui quali non era avvezzo a indugiare, nel 1933 avrebbe potuto superare da solo l'esame di maturita' e iscriversi all'universita' di Roma. Dove avrebbe incontrato Ingrao e Alicata e Lucio Lombardo Radice, insomma i comunisti. Avrebbe fatto parte di quel gruppo fino al 1942, quando, vinto un concorso di bibliotecario, dovette prendere il posto alla biblioteca di Brera a Milano. Ma per breve tempo, perche' i bombardamenti alleati e la palese diffidenza dei tedeschi verso la tenuta degli italiani obbligarono a sfollare i libri in tutta fretta. Nel 1943 era di nuovo a Roma durante la liberazione della citta' e iniziava il lavoro di giornalista all'Ansa, probabilmente per incarico del partito. Lo avrebbe continuato dopo il 25 aprile a Milano, in un foglio "indipendente" finanziato dal Pci, "Milano-Sera", che ebbe notevole successo, e poi come redattore de "l'Unita'". In quel tempo collaboro' con "Il Politecnico" di Vittorini, che spalancava orizzonti sconosciuti e le culture che per vent'anni ci erano state precluse dal roboante fascismo. Quella francese gli era la piu' congeniale. Dobbiamo esserci conosciuti in quell'allegro tumulto, ma l'amicizia comincio' qualche anno dopo; chiamato a Roma per dirigere nel 1948 un altro effimero quotidiano "indipendente" sotto quelle fatali elezioni, e subito defunto dopo di esse, dovette occuparsi della diffusione del libro che il Pci riteneva compito suo e delle federazioni, in un paese cosi' arretrato (di qui probabilmente anche la memoria furibonda della sua egemonia). Non erano solo i testi classici degli Editori Riuniti, peraltro in Italia prima inesistenti, ma una bella collana economica a un certo punto diretta da un altro colto personaggio, Diemoz - laica e illuminista, che era cominciata con il Trattato della tolleranza di Voltaire e dove apparve il primo e scandaloso libro di Sibilla Aleramo. Nello stesso tempo Rago pubblicava con Bompiani Romanzi francesi dei secoli XVII e XVIII e diventava corrispondente de "l'Unita'" a Parigi. Nel 1954 vi sbarcavo anch'io cercando Sartre, Georges Friedman, Le Corbusier, tutta gente con la quale il Pcf era ai ferri corti. Non ne avevo chiesto il permesso a nessuno in Italia, dove peraltro nessuno me lo avrebbe negato. Caddi dunque dalle nuvole quando, telefonando a Rago, mi chiese con voce calma se avessi preso contatti con il Pcf e dove ero: "No, perche'?" e "In albergo". Ahi! ferma la', se non volevo creare un incidente fra i due partiti dovevo parlare prima con qualcuno di autorevole al Boulevard Poissonniers. Conosceva bene Jeanne Modigliani e mi avrebbe fatto avere un appuntamento con Victor Leduc, responsabile della Cultura. Trovai in un bar Jeanne, che non somigliava affatto al quadro del padre, e in seguito avremmo lavorato assieme a sostegno del Fln algerino per un foglio clandestino che sovvenzionava Feltrinelli. Dopo avermi bene esaminato, Jeanne mi assicuro' che potevo parlare con Leduc alle due del pomeriggio; ma arrivandovi dieci minuti prima fui praticamente rovesciata per le scale da qualcuno che si precipitava giu' furiosamente infilandosi la giacca. Leduc non voleva o non poteva vedermi. Michele non batte' ciglio e cerco' Hesve', allora pezzo grosso dell'Ufficio politico, che mi parve una persona normale (e forse per questa ragione sarebbe stato cacciato poco dopo). Insomma, avuto, per dir cosi', il timbro sul passaporto, potei catturare i miei intellettuali ed altri e con Michele passammo lunghe sere a discutere sulle rive della Senna. Non c'era ancora il trauma del '56. Nel quale anche lui dovette inarcarsi come un gatto sotto il temporale, ma come me non lascio'; non eravamo ne' ingenui ne' cinici. E sono vicende che legano. Lavoro' poi alla Commissione culturale con Alicata e collaborando strettamente al "Contemporaneo", il mensile di letteratura diretto da Carlo Salinari, e quando fui a Roma a dirigere quella sezione tentammo, benche' la stampa non fosse di mia competenza, un totale restyling della rivista, manifestamente ispirato al primo "Politecnico" - fogli grandi, tipo quotidiano e aria nuova. Lo dirigeva Michele e a me parve bellissimo. Ma come tutto quello che feci in quella carica, non dovette piacere a molti altri; qualcuno si senti' piu' escluso che liberato, perche' nel controllo del partito, di cui io non volevo sapere, c'e' il calore e la repulsione di una famiglia oppressiva ma che hai dietro di te. Insomma, l'incarico gli fu tolto con qualche pretesto amministrativo e cominciava una lotta politica nella quale io sarei stata esclusa da ogni incarico e piu' tardi anche Michele. Non so in quale circostanza; certo non fece scene e si ritiro' all'Universita', a Lecce, a Salerno, a Siena. Diversamente da Ninetta Zandegiacomi, non fu con noi a fondare "il manifesto". Si trovava ormai fuori, universita' e collaborazioni letterarie a "l'Unita'", e forse era stato preso da una certa stanchezza e scetticismo. Nel 1972 una sua recensione de Il contesto di Sciascia suscito' i furori di Colajanni, Macaluso e Guttuso, gli venne impedito di replicare e lascio' sia "l'Unita'" sia il partito. Sarebbe rimasto a insegnare lingua e letteratura francese e avrebbe pubblicato traduzioni e introduzioni in Italia e in Francia di Celine, Diderot, L'abate Galiani, Rousseau, Flaubert. Finche' la vista glielo avesse permesso. Lo vidi l'ultima volta al funerale della figlia di Luigi Pintor, Roberta, sul piazzale di San Lorenzo al Verano e gli andai incontro: "Chi sei?", mi chiese gentilmente. Non vedeva piu'. Si dicono tante cose nel bene e nel male dei partiti, ma ce n'e' stato uno, che non era come gli altri, il Partito comunista, fatto di gente come Michele, fedele per una vita, che nulla chiesero e nulla ebbero se non un'idea o una speranza che impedi' a lungo all'Italia di diventare la mucillagine di adesso. Un partito che non era ne' una struttura ne' una burocrazia, ma il convergere di molte vite, un tessuto fitto e di fili spesso preziosi, del quale gli attuali Ds non hanno ne' memoria ne' idea. Michele e' stato uno di essi. 4. RIFLESSIONE. ROBERTO CICCARELLI INTERVISTA ISABELLE STENGERS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 settembre 2008 col titolo "Un'intervista con Isabelle Stengers. Scienza dell'immaginazione" e il sommario "Nelle biotecnologie come nella medicina assistiamo a politiche di negoziazione tra gli esperti e i 'saperi minori' sviluppati dai destinatari dell'attivita' scientifica. I laboratori sono cioe' luoghi dove si riflettono i conflitti presenti nella societa'"] In quanto belga, e non francese, Isabelle Stengers ama ricordare ai suoi interlocutori che la esse finale del suo cognome va pronunciata. Il suo non e' un vezzo nazionalistico, ma un avvertimento umoristico a diffidare del rapporto troppo diretto che i cugini francesi e, piu' in generale, i laici, gli illuministi e i materialisti hanno con l'universale. Un'attitudine critica verso l'universale emersa nell'intervista, avvenuta durante il Festival della filosofia di Modena, durante la quale ha tenuto ad abbassare i toni enfatici che tanto la filosofia, quanto la scienza, adottano quando si occupano dei problemi che evocano temi come la vita, il progresso e la storia. Sin dalla pubblicazione, nel 1979, de La nuova alleanza, il libro scritto con il Nobel della chimica Ilya Prigogine, che l'ha resa nota e apprezzata come filosofa della scienza, Stengers non ha mai smesso di criticare le forme di perentorieta' usate dalle scienze rispetto alle altre scienze, dei saperi tradizionali rispetto ai saperi cosiddetti minori, degli esperti rispetto ai cittadini, del potere rispetto all'innovazione. Il suo impegno si e' in seguito sviluppato su due fronti: ricordando ai saperi dominanti le condizioni materiali e storiche delle verita' trattate come assolute; oppure prestando voce alle culture tradizionali (le streghe), alle pratiche scientifiche scartate a beneficio delle scienze sperimentali (l'ipnosi). "La scienza - afferma Stengers - tende a cancellare il conflitto che la oppone al reale in nome di una politica della legge e dell'ordine. Per capirlo, basta leggere La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn: cio' che la scienza moderna insegna agli scienziati e' risolvere problemi 'normali', rompicapi, puzzle per poi passare ad un altro 'paradigma'. Il problema e', invece, il modo in cui gli scienziati guardano i fenomeni, il modo in cui la scienza dichiara 'reale' un fenomeno piuttosto che un altro, il modo in cui una pratica viene definita 'scientifica' rispetto ad un'altra pratica giudicata 'non scientifica'. La rappresentazione di un fenomeno scientifico e' un'invenzione politica. A me, questa invenzione, interessa nella misura in cui non si colloca in un orizzonte in cui bisogna garantire un ordine ed una gerarchia tra la realta' e l'immaginazione, tra cio' che e' e cio' che dovrebbe essere". * - Roberto Ciccarelli: Nelle sue opere emerge sempre una tensione costante in direzione di una lettura politica delle scienze, e in particolare verso un'analisi politica del rapporto tra i poteri e i saperi. Quali sono le ragioni profonde di questa lettura? - Isabelle Stengers: Sono molti i significati che possono essere attribuiti alla parola "politica", almeno quanti sono i modi per parlare della relazione tra scienza e politica. Il problema deve essere affrontato ad un livello generale: chi ha il diritto di parlare di cosa? Prendiamo Galileo. Lui ha negato l'autorita' di una determinata rappresentazione scientifica, ispirata alla Bibbia, di stabilire la legittimita' di un fenomeno. Il conflitto sull'astronomia e' stata un evento politico che ha imposto un nuovo tipo di sapere, ha contestato l'autorita' della Chiesa in nome di un'altra autorita', quella della scienza sperimentale. Galileo ha creato nel suo laboratorio un evento positivo che ha creato un nuovo conflitto tra diverse rappresentazioni del mondo, e quindi tra pratiche scientifiche: quella ispirata alla teologia e quella elaborata nei laboratori. * - Roberto Ciccarelli: La scoperta di Galileo ha portato anche alla luce l'elemento fondamentale delle scienze sperimentali: il meccanismo di esclusione rispetto ad altre pratiche non scientifiche. Lei ha tracciato una vera e propria genealogia di questo processo attraverso il quale un sapere "maggiore", in particolare quello delle "scienze dure" come la fisica, "squalifica" i saperi "minori". E' proprio questo il risultato dell'evento politico di cui lei parla? - Isabelle Stengers: Ho affrontato questa genealogia dei saperi scientifici a partire dal punto di vista di cio' che essi rifiutano. Questo rifiuto e' dovuto al fatto che ai cosiddetti saperi scientifici "minori" viene negata la possibilita' di provare la veridicita' dei fenomeni di cui si occupano. Le cosiddette scienze maggiori sono, come del resto hanno detto Gilles Deleuze e Felix Guattari, scienze che non studiano un processo in un paesaggio concreto. Hanno imposto l'esigenza della prova e credo che essa sia stata l'arma piu' importante usata dalle scienze sperimentali per individuare i fenomeni al fine di separarli dal mondo, "purificandoli", prendendo in considerazione la loro astrattezza e non il loro rapporto con altri fenomeni. Ho definito questo processo nei termini di una strategia di squalificazione quando mi sono occupata della storia della commissione nominata da Luigi XVI per verificare l'esistenza del magnetismo animale, uno dei primi tentativi di studio dell'ipnosi. E' stato il primo episodio eclatante, avvenuto poco prima della rivoluzione francese, nel quale gli scienziati sperimentali hanno definito i criteri di legittimita' di un fenomeno usando la prova come un'arma di guerra per squalificare la pratica scientifica del magnetismo che, da allora, e' stata considerata una "scienza minore". * - Roberto Ciccarelli: Intende dire che c'e' stato un momento, nella storia delle scienze moderne, in cui la razionalita' e' stata concepita come strumento di governo e non solo come analisi del reale o dispositivo di innovazione? - Isabelle Stengers: E' una duplicita' presente sin da Galileo ma che si manifesta a partire dall'evento che le ho raccontato. Una volta squalificata l'autorita' dell'ipnosi presso la popolazione, quei commissari la destinarono al disprezzo, dichiarandone l'inutilita' ai fini scientifici. Il mesmerismo non provava nulla, quindi non esisteva. La commissione degli scienziati nominata dal re instillo' la paura dell'irrazionale, di cio' che non puo' essere provato. Da allora l'ipnosi e' una pratica da ciarlatani, chi la usa viene condannato in senso politico e morale. Questa decisione segna, in un certo senso, la fine dell'Illuminismo, nel senso che da allora la scienza e' stata usata sempre piu' spesso per governare l'ordine pubblico. Quanto agli scienziati, essi iniziano a vivere il proprio ruolo in maniera dualistica: da una parte, affermano la loro liberta' di ricerca ma, dall'altra parte, diventano a tutti gli effetti i guardiani dell'ordine costituito. * - Roberto Ciccarelli: Lei ha una formazione scientifica, poi ha scelto la filosofia. Una volta ha sostenuto che la chimica le ha insegnato l'arte della mescolanza, cosi' come Deleuze le ha insegnato l'arte dell'incontro. Da questo lei ha dedotto un modello per la scienza. Vorrei sapere quale modello oggi trae per la politica. - Isabelle Stengers: Per capire il rapporto tra filosofia, scienza e politica bisogna innanzitutto sottrarsi all'esercizio dell'autorita'. A me non interessa introdurre una gerarchia nei rapporti tra le pratiche politiche e scientifiche, quindi un principio di ordine, o un equilibrio statico, che impediscono il divenire di tali pratiche. Si tratta, al contrario, di stabilire un'ecologia tra le pratiche scientifiche, qualcosa che ho definito nei termini di una farmacologia. Rispetto alla nostra tradizione filosofica e scientifica che ha in odio ogni forma di mescolanza e considera i fenomeni solo in maniera netta e distinta, credo che bisogna adottare questa prospettiva. Questo concetto e' stato introdotto da Jacques Derrida, il quale ha spiegato che la scrittura e' un pharmakon, una forma di dosaggio della follia. Io preferisco usare pharmakon nel senso tradizionale, quello della medicina. Nella nostra tradizione, sin da Platone, i pharmaka, queste cose pericolose che richiedono un'arte di dosaggio, sono stati squalificati a beneficio dei principi garanti del bene e del vero. L'arte del dosaggio obbliga, al contrario, a trovare un nuovo rapporto tra pratiche scientifiche e pratiche non scientifiche. Essa insegna che le cose non si danno mai in maniera buona o cattiva, razionale o irrazionale. L'ho capito quando ho lavorato, prima in Olanda, poi in Francia, con le associazioni di autosostegno dei consumatori di droghe. Mi sono trovata davanti ad un evento che investe sia la politica, sia i saperi scientifici. Non e' possibile pensare il loro ruolo nella societa' senza porsi il problema democratico per eccellenza: la produzione attiva di saperi da parte dei gruppi che si impegnano politicamente a partire dalla propria situazione. In questi casi, gli scienziati e gli esperti sono stati obbligati a negoziare politicamente l'uso dei propri saperi con i gruppi interessati. Questa negoziazione e' stata il risultato di un'intelligenza collettiva che e' la forma ideale in cui il pharmakon viene usato. Essa ha permesso di connettersi ad altre idee e ad altre pratiche, di sperimentare nuove connessioni al di la' delle gerarchie esistenti tra le pratiche. * - Roberto Ciccarelli: Lei non ha mai nascosto il suo impegno politico a favore della sinistra. Prima con i Verdi, poi con la Sinistra Unita in Belgio. Le domando, infine, qual e' il contributo delle scienze sperimentali per spiegare la sua crisi attuale? - Isabelle Stengers: Le scienze sperimentali potrebbero spingere la sinistra a pensare un accordo che non deriva da nessuna soggezione a un'autorita', ma al contrario dalla possibilita' di affermare un disaccordo per risolvere un problema comune. E' quello che ho imparato dagli scienziati: i conflitti tra le interpretazioni di un fenomeno sono secondari rispetto al problema che li ha messi insieme. La possibilita' di risolvere tale problema e' piu' forte di cio' che li divide. Cio' che dovrebbe interessare la sinistra sono i problemi che spingono a pensare, producono un divenire. Mi piace molto la definizione che Deleuze ha dato nel suo Abecedario: chi e' di sinistra non parte da chi e' vicino, ma da chi e' lontano. Questo significa sentirsi responsabili per chi ha perso il lavoro, per chi subisce un'ingiustizia. Ma significa anche pensare come comporre un mondo in comune, un problema che obbliga ad un nuovo rapporto con la natura e non solo con gli umani. Per questo la sinistra non dovrebbe schierarsi con le vittime solo in quanto vittime, ma sostenerle per cio' che esse possono diventare oltre la loro identita' di vittime. * Postilla biobibliografica. Una filosofa della scienza Isabelle Stengers e' una studiosa che da sempre critica la pretesa della scienza di una descrizione oggettiva dei fatti e dei fenomeni che studia. Un'attitudine critica che ha attirato su di lei accuse di pregiudizi antiscientifici. E con sospetto e' stato anche considerato l'uso che la studiosa belga fa di autori come Michael Foucault, Gilles Deleuze e Felix Guattari. Laureata in chimica all'Universita' libera di Bruxelles, dove oggi insegna, Isabelle Stengers e' tuttavia considerata una delle piu' penetranti e celebrate filosofe della scienza. Membro del comitato di orientamento della rivista "Cosmopolitiche", laboratorio teorico ecologista che ha elaborato un progetto culturale radicale e democratico, Stengers e' autrice dell'omonima opera pubblicata da Luca Sossella Editore, nella quale ricostruisce una potente genealogia della scienza moderna. Insieme al premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine, ha scritto il dittico La nuova alleanza (Einaudi) e Tra il tempo e l'eternita' (Boringhieri) nel quale elabora una densa critica al primato delle cosiddette "scienze dure", in particolare la fisica. In seguito, Stengers ha intrapreso un intenso dialogo con Michel Foucault, Gilles Deleuze e Felix Guattari, formulando una critica delle pretese autoritarie della scienza moderna. Nel libro scritto insieme all'etnopsichiatra Tobie Nathan (Medici e stregoni, Boringhieri) e in Scienze e poteri: bisogna averne paura? (Boringhieri) ha sottolineato l'onnipresenza dell'autorita' nella scienza, in particolare nella definizione gerarchica tra pratiche scientifiche "minori" e "maggiori". Stengers ha anche lavorato sulla critica della psicoanalisi con lo psichiatra Leon Chertok scrivendo Il cuore e la ragione. L'ipnosi come problema da Lavoisier a Lacan (Feltrinelli) e contribuendo al Libro nero della psicoanalisi. E' autrice con Philippe Pignarre de La sorcellerie capitaliste. Pratiques de desenvoutement (La Decouverte). Nel prossimo gennaio uscira' la seconda parte. E' cofondatrice di Les empecheurs de penser en rond, casa editrice di frontiera tra filosofia, sociologia della medicina, psichiatria e scienze della vita, che oggi fa parte del gruppo Le Seuil. 5. LIBRI. ALESSANDRO PORTELLI PRESENTA "OLTRE BABILONIA" DI IGIABA SCEGO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 ottobre 2008 col titolo "Una citta'-mondo in Oltre Babilonia di Igiaba Scego] In un libro di qualche anno fa, Franco Moretti aveva introdotto la categoria di "opere mondo": libri abbondanti, dalla struttura complessa e magari resa incerta proprio dall'ambizione di mettere il mondo intero tra le pagine di un libro. Ci ho pensato - fatte le debite proporzioni - leggendo Oltre Babilonia di Igiaba Scego (Donzelli, Roma 2008), un vasto romanzo intensamente politico e intensamente carnale che, facendo perno su Roma e passando per Tunisi, affonda nella Somalia colonizzata, liberata, distrutta, e nell'Argentina desaparecida ed esiliata, intrecciando storie - quattro madri e figlie e il controcanto di un padre introvabile - in forme geometriche e variopinte come quelle stoffe africane che il padre, appunto, dipinge e regala nei tempi di un incessante errare. La frase Oltre Babilonia, spiega una voce narrante, si ispira a Bob Marley, all'immagine biblica di una estrema sofferenza, da cui si spera di uscire vivi - come in fondo fanno le protagoniste. Un romanzo simile, pero', non puo' non evocare anche l'immagine della Babele multilingue all'origine di tutte le diaspore. Non a caso alcune delle storie si incrociano a Tunisi in una scuola di arabo frequentata da gente di ogni provenienza. Lo spagnolo ricordato e rimpianto, il somalo perduto, ritrovato, perduto di nuovo (e l'inglese, il francese, il portoghese citati da libri, film, canzoni) si impastano in un italiano intriso dei sapori del nostro tempo. I racconti della reaparecida argentina e del "padre" somalo assente sono fatti davanti al registratore, per trasmettere memorie e sentimenti a figli lontani nelle emozioni, o nello spazio e nel tempo, e hanno i ritmi e gli andirivieni dell'oralita'. Ma in questo plurilinguismo Igiaba Scego, afroitaliana di seconda generazione, emerge come una voce intrinsecamente romana: piu' il libro si spande in un'inclusivita' globale, piu' si fa intenso il suo sapore metropolitano locale. Le voci narranti e dialoganti della Nus-Nus, della "negropolitana", hanno il gusto e il lessico della lingua di strada parlate dalle generazioni contemporanee oggi a Roma, con gli echi musicali e televisivi e con l'ironia, i barocchismi, l'autodenigrazione difensiva di cui da sempre e' fatta la lingua di questa citta'. Oltre Babilonia, insomma, prova a mettere almeno tre continenti in un solo libro, ma anche in una sola citta', una citta'-mondo. Una canzone di Steve Earle, su New York, dice: "Vivo in una citta' di immigranti, non ho bisogno di viaggiare". La Roma di questo romanzo va oltre. E' una citta' di immigranti (e di esuli), e questi immigranti viaggiano senza sosta, e per capirne di piu' dobbiamo viaggiare con loro. Su questa citta' convergono due delle grandi ferite, reali e simboliche, della storia contemporanea: la Somalia, resa nella sua quotidianita' attraverso il colonialismo italiano, l'euforia breve dell'indipendenza, la beffa dell'"amministrazione fiduciaria" italiana, il neocolonialismo, la dittatura "comunista" e poi solo personale di Siad Barre coi suoi amici italiani, le guerre civili che della bella Mogadiscio fanno un luogo di morte; e la Buenos Aires fascista dei generali, dei torturati, degli scomparsi, degli esiliati. Ma le ferite universali sono anche metafora di ferite personali. Guerre e torture colpiscono in primo luogo i corpi; e sui corpi si infliggono le violenze che separano i protagonisti di questo romanzo, per questo scandito in una serie di monologhi che - come in Amatissima di Toni Morrison - solo alla fine si schiudono nella speranza di potersi accostare l'un l'altro. I due livelli, quello della grande storia e quello delle storie personali, si saldano nell'episodio centrale del doppio stupro, su una donna e su un uomo, compiuto dai colonialisti in Somalia. Che questi soldati fossero italiani, poi, apre su tutta un'altra storia nostra che libri come questo, o come Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi, con gentilezza implacabile, ci impongono di ascoltare. 6. LIBRI. LAURA PUGNO PRESENTA "NO GEISHA" A CURA DI CATHY LANE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2008 col titolo "Simulacri di donne inquiete dal Giappone ipertecnologico" e il sommario "I cambiamenti radicali che investono la societa' giapponese si riflettono nei racconti dell'antologia No geisha, appena uscita per Mondadori. In queste storie le protagoniste, giovanissime o mature, scoprono una immagine di se' assai diversa da quella tradizionale. La presentazione al festival di Udine"] Non piu' solo mogli e madri, o artiste e seduttrici, e nemmeno manager in carriera come negli anni Ottanta e Novanta. Oggi le donne giapponesi hanno davanti a se' un ampio ventaglio di scelte: a testimoniarlo nel campo della letteratura, al festival "Geisha no geisha" che si apre oggi a Udine, saranno scrittrici come Randy Taguchi, autrice della trilogia composta da Presa elettrica, Antenna e da Mosaic, romanzi all'incrocio tra nuove tecnologie e sensibilita' sciamaniche (due gia' pubblicati in Italia, il terzo in uscita a luglio, per Fazi). O come Ami Sakurai, giornalista e scrittrice di cui Newton Compton ha mandato in libreria nel 2006 Un mondo innocente, romanzo controverso sulla relazione segreta tra la giovanissima Ami, prostituta attraverso internet, e il fratello, affetto da un ritardo mentale. O come Hitomi Kanehara, che gia' a vent'anni, nel 2003, aveva vinto, insieme alla coetanea Wataya Risa, il Premio Akutagawa (in precedenza assegnato, tra gli altri, a Ryu Murakami e Kenzaburo Oe) con Serpenti e piercing, ambientato nella sottocultura dei praticanti estremi del tatuaggio e della scarificazione corporale, anch'esso pubblicato da Fazi. Accanto a loro, meno nota nel nostro paese, Hasegawa Junko, che figura adesso tra le autrici dell'antologia No Geisha. Otto modi di essere donna nel Giappone di oggi, appena uscita per Mondadori. Curata da Cathy Lane (studiosa di letteratura giapponese nata a Liverpool e trasferitasi da diversi anni a Tokyo), No Geisha conta su un pool di traduttori - Alessandro Clementi, Bruno Forzan, Laura Testaverde e Lara Stanislao, coordinati da Gianluca Coci -, e porta la prefazione di Ruth Ozeki, autrice nippoamericana di Carne (Einaudi), che inquadra cosi' il contesto socioculturale dell'operazione antologica: "La societa' nipponica sta subendo cambiamenti radicali. La famiglia tradizionale, il cui pilastro era rappresentato dalla moglie-madre casalinga, sta scomparendo. I matrimoni e le nascite stanno calando, mentre il numero dei divorzi e' in continua crescita. Per le donne aumentano le opportunita' di far carriera, e molte decidono di sposarsi sempre piu' tardi o di non sposarsi affatto. Il risultato di questi e altri fattori sociali e' che le giapponesi oggi hanno liberta' economica e sessuale come mai prima. In che modo le donne si stanno adattando ai cambiamenti del loro paese? E' mutata anche l'immagine che hanno di se stesse, e come?". Mentre il Giappone ipertecnologico si modernizza anche nei livelli piu' profondi della percezione dei ruoli maschili e femminili, si moltiplicano le figure di scrittrici: molte delle autrici presentate da No Geisha, pur essendo nomi affermati nella letteratura di origine, non sono state ancora tradotte in italiano. L'antologia raccoglie cosi' testi dell'ex sceneggiatrice radiofonica Tamaki Daido, della venticinquenne Rio Shimamoto, della saggista e romanziera Yuzuki Muroi, dell'attrice e disegnatrice di manga Shungiku Uchida, autrice di Father Fucker, una storia di abusi familiari pubblicata da Marsilio nel 2003, di Chiya Fujino, transessuale, anche lei vincitrice del Premio Akutagawa con Una promessa d'estate (Einaudi 2004), di Eimi Yamada "considerata all'unanimita' la pioniera della nuova generazione di scrittrici giapponesi famose per le loro descrizioni, dirette e sessualmente esplicite, della vita delle donne", nonche' autrice di piu' di cento romanzi, saggi e raccolte di racconti, di cui due pubblicati da Marsilio, Occhi nella notte (1994) e Bad Mama Jama (1996) e uno da Bompiani (Trash, 1995), della stessa Junko Hasegawa, famosa in Giappone per i suoi articoli arricchiti da vignette umoristiche, e dalla "decana" Nobuko Takagi, nata nel 1946. Nella loro successione, i racconti dell'antologia compongono un ideale percorso della vita della donna giapponese dall'adolescenza alla menopausa: in Milk di Tamaki Daido, l'amicizia di un gruppo di ragazze, narrato dalla segretamente distaccata Komugi, si frantuma nel passaggio dalle medie al liceo; in Inside di Rio Shimamoto, il racconto che da' il titolo alla raccolta, Inside and other short fiction, nella versione originale pubblicata da Kodansha, un'adolescente scopre il sesso e l'intimita' mentre al contempo si trova a vivere la separazione dei genitori; in Piss di Yuzuki Muroi, una prostituta ventenne e' truffata dal fidanzato e dall'amica che l'ha introdotta al mestiere; nelle Labbra del figlio, di Shungiku Uchida, una giovane madre e manager, tramite il casuale incontro con un invadente tassista, fa entrare in collisione i suoi due ruoli; nella Stanza, di Chiya Fujino, la giovane Kyoko, abbandonata con freddezza dal marito, sperimenta lo stesso sentimento di irritazione e gelo nei confronti della goffa e infantile Kitahara; in Fiesta di Eimi Yamada, il desiderio di una donna sgraziata, platonicamente e inutilmente innamorata di un collega che la ignora, trova finalmente sfogo con violenza sul suo oggetto; nell'Uovo infecondo di Junko Hasegawa, la trentaseienne Moriko, licenziata dal suo boss-amante, perde l'ultima occasione di mettere al mondo una bambina "dell'anno del cavallo e del sangue di tipo B" come lei stessa, sua madre e sua nonna; nell'Ombra dell'orchidea, di Nobuko Takagi, infine, la cinquantenne Michiko, rosa dalla gelosia per una giovane paziente del marito medico, appena morta, e per il possibile rapporto erotico che i due sospetta abbiano intrattenuto, si confronta col fantasma della rivale, incarnato da una magnifica orchidea, ricostruendolo a suo piacimento e recuperando cosi' la tranquillita' necessaria ad andare avanti. Ne esce, nel complesso, un quadro inquieto e al contempo familiare della vita delle no-geishe giapponesi di oggi, di eta' in eta', in cui le donne italiane e occidentali - e anche questa e' globalizzazione, o e' solo la natura costante dell'essere umano? - possono internamente ritrovarsi. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 611 del 17 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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