Nonviolenza. Femminile plurale. 215



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 215 del 16 ottobre 2008

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Asparagi su Marte
2. Giancarla Codrignani: L'Unesco per l'educazione alla nonviolenza
3. Cristiana Pulcinelli: Il clima e la fame
4. Marina Forti intervista Faezeh Hashemi e Roshanak Siasi
5. Laura Pugno presenta "Mappe del corpo" di Ingrid de Kok
6. Antonella Stirati presenta "Largo all'eros alato" di Alexandra Kollontaj

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: ASPARAGI SU MARTE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

C'erano una volta le parole. Le ascoltavi e le leggevi, ci riflettevi su.
Potevano commuoverti, o mandarti in collera, o divertirti, o spingerti a
prendere decisioni. Le parole avevano dei significati. Ricordate quei tempi?
Sui quotidiani gli articoli potevano piacerti o meno, contenere menzogne o
verita', pure erano scritti in modo da non sfuggire ai significati delle
parole. C'era una bambina che leggeva quegli articoli, mi viene ora in
mente, e che pensava con ammirazione alle persone che avevano scritto cosi'
bene tutte quelle parole: "Bisognera' essere molto intelligenti e studiare a
fondo per diventare giornalisti". Oggi, va da se', l'ex bambina la pensa in
tutt'altro modo, pero' continua ingenuamente a inorridire e ad indignarsi di
come i massacri del senso coprano i massacri dei corpi.
*
Ecco come cominciava un pezzo su un giornale nazionale qualche giorno fa:
"Uniti. Cosi' li hanno trovati insieme. Uniti come il papa' voleva fosse
unita la sua famiglia". A cosa vi fa pensare tale incipit, cosa vi viene in
mente? Che qualcuno ha trucidato un'intera famiglia, forse per rappresaglia
contro il padre. Invece e' stato quest'ultimo a prendere i suoi figlioletti
di 3 e 7 anni a martellate, ne ha dato notizia ai parenti, e poi si e'
ucciso. Altri articoli sulla vicenda si aprivano con frasi tipo "Un compagno
e un padre esemplare", "Non accettava la fine della relazione", "In preda a
raptus", eccetera, eccetera (come disse Ambrose Bierce, "la sanita' mentale
e' quella condizione che precede e segue immediatamente un omicidio").
Adesso qual e' l'immagine che vedete? Un galantuomo disperato, ridotto a
tale follia dalla donna che voleva lasciarlo. Magari voltate pagina, perche'
siete di fretta o perche' la storia e' troppo triste. Certo e' che ormai
avete individuato il colpevole, anzi "la" colpevole, e non era il
maggiordomo ne', stranamente, quello che aveva il martello in mano. Le altre
notizie dovreste cercarle piu' in basso, a fine colonna, dove leggereste ad
esempio che il padre in questione aveva alle spalle un divorzio e un'altra
figlia: stante il fatto che le relazioni a due si fanno funzionare o fallire
in due, credete ancora che quest'uomo non avesse nessuna responsabilita' nel
fallimento delle proprie? Questo non toglie nulla alla pieta' umana per una
persona che ha violentemente messo fine alla propria esistenza, e pero' tale
compassione non mi acceca al punto da non vedere che prima di suicidarsi la
stessa persona ha ucciso due bambini a colpi di martello.
Il raptus. Il raptus gli fa montare i figli in auto, portarli in una zona
dove non verra' disturbato durante gli omicidi, e lo costringe ad alzare ed
abbassare ripetutamente il martello. Potete figurarvi la scena? Le piccole
braccia che tentano di parare il colpo, gli occhi sgranati, le urla, il
pianto? Non si e' trattato di uno sparo rapido in testa, i due bambini ci
hanno messo un po' a morire. Quanto durano i raptus davvero non lo so,
dovremmo chiederlo alla famosa psicologa che a commento di questo fatto di
cronaca non ha trovato di meglio che scrivere (in pessimo italiano, tra
l'altro) contro la legge 180 ed ha reiterato per tutto il pezzo come "troppi
segnali di follia non vengano visti".
Ma chi poteva vederli, signora, in un compagno perfetto e in un padre
esemplare che voleva solo l'unita' della propria famiglia? Forse la donna
che viveva con lui. Forse per questo aveva deciso che era meglio separarsi.
Prima che lui facesse del male ai bambini, per esempio. Qualcuno le avrebbe
creduto, l'avrebbe ascoltata, o aiutata, se ne avesse parlato? O le avremmo
consigliato di sopportare perche' tenere unita una famiglia e' piu'
importante delle vite di coloro che la compongono? Nessuno degli articoli
che io ho letto ha speso una parola di comprensione per la madre dei due
piccoli assassinati. L'unica sua frase riportata, tuttavia, l'ho capita
benissimo: "Me li ha uccisi tutti e due". Non si tratta di un errore,
leggetela bene: li ha uccisi "a me", per fare del male a me, per vendicarsi
di me. Un gran bel padre, davvero. E pensare che io giudicavo pessimo il
mio, di padre, per la sua abitudine di sfasciare facce e mobili. Direi che
e' stato solo un po' meno "esemplare", infatti non ci ha ammazzati.
*
Mi piacerebbe poter sostenere che lo scempio del senso, nella narrazione
pubblica, e' dovuto solo alla scarsa professionalita' dei giornalisti, ma
temo che questa si inserisca in un disegno preciso: la riformulazione del
senso comune rispetto a tutta una serie di conquiste sociali e politiche. In
cima alla lista delle priorita' sembra esserci la liberta' delle donne. Il
26 settembre u.s. i principali quotidiani italiani riportano senza commento
alcuno le esternazioni di un alto prelato italiano, con titoli che variano
di poco ed il cui leit motiv e': la pillola anticoncezionale fa male. Il
monsignore sostiene che vi sono studi scientifici che lo provano e che
vengono tenuti nascosti. Non cita quali studi, fatti da chi, quando, e con
che metodi. Ne' chi li occulta e perche'. Nessuno dei sedicenti giornalisti
glielo chiede. Nessun sedicente direttore obietta: come posso passarti
questo pezzo in cui non c'e' uno straccio di evidenza a sostenere le
affermazioni del monsignore? E non ti accorgi che c'e' un'ipotesi di reato
grave non verificata, e cioe' il tenere nascosti dati relativi alla salute
pubblica? Com'e' che non hai chiesto conto di questo, quando tutti gli studi
scientifici a nostra disposizione dicono da trent'anni il contrario? Ma se
lo scopo e' creare allarme sociale rispetto al controllo della fertilita',
spingendo le donne a credere di essere in pericolo se usano la pillola, lo
scopo si raggiunge strillando i titoli e mistificando. Le opinioni diventano
fatti, la direzione politica indicata da monsignore diventa "scienza".
Nel corso della stessa esternazione, il prelato si rivolge "ai giovani"
(citazione letterale): "Tendete ad anticipare molto stili di vita che a
lungo andare portano ad annoiarsi. Quando a 15 anni cominciate a vivere con
una coetanea come marito e moglie, che accadra' quando ne avrete trenta?".
Permetta che la corregga, sig. giornalista, e creda, lo faccio umilmente. Il
monsignore non si e' rivolto "ai giovani" intesi come la gioventu' italiana
composta da ragazzi e ragazze, si e' rivolto ai giovani maschi, la sola
categoria del gruppo che gli interessi. La sola autorizzata a prendere
decisioni in merito di sessualita'. La sola che conti. Ed ha suggerito loro
la vecchia solfa dell'uomo "cacciatore". E' ovvio che se stai con una tipa
da quando avevi 15 anni poi ti stufi, e' sempre la solita minestra no? La
noia delle fanciulle non e' contemplata, si sa che tutto quello che noi
vogliamo e' un uomo da adorare, a cui stirare le camicie e a cui dare tanti
bambini. Sperando che poi non ce li ammazzi in un raptus, ma questa e'
un'altra storia.
*
E guardate assieme a che altri titoli, lo stesso giorno, appaiono le belle
pensate di monsignore: "Al Mi-Sex le donne nude entrano gratis"; "Bruni nuda
scomparsa dalla mostra"; "Ripa di Meana e l'amore per un trans"; "Che beffa
per Ronaldo: la sua ultima fidanzata e' una escort di lusso"; "La
capigliatura del premier" (probabilmente quest'ultimo e' l'articolo piu'
osceno del mazzo).
Cio' che l'informazione consuma e' del tutto ovvio: consuma l'attenzione di
chi la riceve. Quando un mucchio di informazione-spazzatura riempie le
nostre teste, perdiamo le notizie vere.
Naturalmente chiunque di noi puo' cambiare canale, voltare pagina e persino
coprire le "notizie" sullo schermo del computer con una mano mentre legge la
posta dal server, ma questo non cambia il fatto che milioni di altri
italiani vengono nel frattempo ipnotizzati da questo tipo di "informazione".
C'e' una guerra in Afghanistan in cui il nostro paese e' coinvolto e noi non
ne sappiamo niente. Non sappiamo niente di dove va a finire l'immondizia
ammassata sulle strade del napoletano. Non sappiamo niente dello stato reale
del nostro paese, in termini economici e sociali. Siamo sommersi da corpi
nudi, corpi massacrati, corpi infiocchettati di lustrini, corpi
imprigionati, corpi privi di vita. Corpi muti di donne e parole di uomini.
Non so voi, ma io da tempo soffoco come se mi trovassi dentro ad un film
horror.
A volte, nel tentativo di respirare, cercavo le notizie cosiddette
"scientifiche", ma ho dovuto arrendermi. Hanno la stessa fattura delle
notizie su Ronaldo. Gli articoli sulla sonda Phoenix, al lavoro su Marte, mi
hanno dato il colpo di grazia: la sonda ha recuperato ed analizzato un metro
cubo di suolo marziano, trovandolo ricco di sostanze alcaline (per cui
potrebbe sostenere la vita), ed il titolo del pezzo sul giornale e' "Si
potrebbero piantare asparagi su Marte". Eh, gli affari sono affari, vedi
come la mano invisibile del mercato si protende attraverso le stelle.
Potremmo costruire sul pianeta rosso centri di detenzione abusiva (pardon,
di soggiorno temporaneo) per immigrati e deportarvi gli insegnanti in
soprannumero della riforma Gelmini, e tutti potrebbero coltivare asparagi in
allegria.
*
Quanto ho me, visto che la lingua italiana mi sta abbandonando, sto
imparando il cinese. La parola per "buono" (il suono e' un "ho" di gola) e'
composta dai segni che indicano una donna e un bambino insieme. Penso che
sarebbe fantastico se quella donna fosse felice, su un pianeta che la
rispetta e la ama e che lei ama e rispetta; sarebbe fantastico se quel
bambino crescesse sino a diventare un uomo che ama e rispetta i suoi simili
e le sue simili. Ma temo che molto prima di vedere quel giorno vedro'
qualcuno mangiare asparagi marziani.

2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. GIANCARLA CODRIGNANI: L'UNESCO PER
L'EDUCAZIONE ALLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at alice.it) per
questo intervento]

Anche le istituzioni internazionali subiscono le difficolta' del
guazzabuglio storico che stiamo vivendo. Qualche beneficio si puo' trarre,
tuttavia, da alcune prese di posizioni che possono avere senso se
conosciute. Purtroppo l'informazione non fa di questi tempi il suo mestiere
al meglio.
E' recente (2007) la Dichiarazione internazionale dell'Unesco su "Il diritto
del bambino ad una educazione senza violenza". Non si puo' non apprezzare il
richiamo ad una pedagogia che escluda nelle scuole le punizioni corporali e
i trattamenti degradanti (anche nei confronti delle famiglie dei bimbi) in
tutti i paesi del mondo. Purtroppo non sara' facile dare esecuzione al
documento ufficiale per l'inadeguato riconoscimento dei diritti
dell'infanzia che, anche nei paesi ritenuti acculturati, non solo non
vengono rispettati in scuole in cui si discriminano gli stranieri e i
disabili, ma sono oltraggiati nelle stesse famiglie, in cui si perpetrano
nel silenzio crimini di incredibile violenza. Bisogna, davvero, educare
l'opinione pubblica a "sradicare l'accettazione sociale e giuridica delle
punizioni corporali", riflettendo anche sulla storia dei bambini e delle
bambine che nei nostri paesi furono lasciati alla merce' della legge al
"diritto di correzione" dei genitori, significativamente sempre un padre a
cui era permesso "correggere" anche la moglie.
Ma la cosa piu' significativa del documento e' destinata agli insegnanti,
interpellati "allo scopo di sviluppare lo spirito critico dei ragazzi, di
permettere di ragionare sull'origine e la risoluzione nonviolenta dei
conflitti nella societa' cosi' come tra le nazioni e istillare i valori di
tolleranza e di rispetto della dignita' e dei diritti umani". Il monito
acquista valore perche' non lascia il discorso al privato e all'evoluzione
sociale spontanea o alla buona volonta' dei media, ma invita gli Stati a
deliberare le leggi idonee ad introdurre "ufficialmente l'educazione alla
nonviolenza e alla pace a tutti i livelli del sistema scolastico con
programmi adatti ad ogni Stato e ad ogni societa'".
L'Unesco si dichiara "istanza di riferimento e di concertazione tra gli
Stati, gli organismi governativi e non-governativi internazionali, la
societa' civile e il settore privato per l'elaborazione congiunta di
concetti, obiettivi e di politiche in favore dell'educazione dei bambini
alla nonviolenza e alla pace".
Si ha l'impressione che la pubblica opinione, non sapendo nulla di una presa
di posizione cosi' rilevante (sembra che solo "Azione nonviolenta" l'abbia
valorizzata) non ne approfitti. Quanto accade nella societa', responsabile
da un lato di scarsa innovazione educativa e di insufficienti controlli, per
esempio sui giochi ormai non innocui per i bambini a le bambine del nostro
tempo, comporta che i ragazzini possono, da piccoli, essere trascurati nelle
manifestazioni di disagio e, da grandi, essere indotti a bullismi scolastici
e violenze da stadio dai programmi elettronici e dalle playstations donate,
anche con sacrifici economici, da genitori ignari del fatto che i ragazzi,
abituandosi a vedere forme di violenza e di morte mediatiche, diventano
emotivamente indifferenti alla violenza anche nella realta'.
Questo documento, quindi, e' un elemento su cui fare leva per riuscire
(l'autorita' dell'Unesco tutela dalla ministra in carica o dal dirigente
scolastico che interferisce con la liberta' di insegnamento) a portare nella
scuola il discorso della nonviolenza, oggi ineludibile per chi voglia
accorgersi che siamo in ritardo se vogliamo prevenire guai nella societa' e
nel mondo. Bisogna urgentemente dimostrare ai piu' piccoli l'inutilita'
delle reazione aggressiva e argomentare con i piu' grandi la scelta di umana
decenza fra i pugni e il cervello.

3. AMBIENTE. CRISTIANA PULCINELLI: IL CLIMA E LA FAME
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 15 ottobre 2008 col titolo "Piu' fame e piu'
immigrazione, crescono i guasti da febbre del pianeta" e il sommario "I
cambiamenti climatici minacciano l'agricoltura, in molti casi unico
sostentamento di popolazioni in miseria"]

Oggi si calcola che siano 923 milioni gli esseri umani che soffrono di
malnutrizione nel mondo, ma il loro numero e' destinato ad aumentare. Gli
affamati della Terra vivono per lo piu' in aree rurali e i loro scarsissimi
guadagni vengono dall'agricoltura. Ma proprio l'agricoltura e' in forte
sofferenza e i motivi sono principalmente due. Da un lato il diffondersi
delle coltivazioni di piante da cui ricavare combustibili si sta allargando
a scapito delle coltivazioni da cui ricavare cibo. Dall'altro i cambiamenti
climatici minacciano di colpire drammaticamente le capacita' di
approvvigionamento di cibo e acqua pulita di una larga fetta della
popolazione mondiale. E addirittura potrebbero far sparire molti piccoli
contadini e pescatori. Per questo la Fao quest'anno ha scelto come temi
caldi per celebrare la giornata dell'alimentazione che si svolge domani
proprio i cambiamenti climatici e i biocombustibili.
*
In un seminario preparatorio che si e' svolto ieri a Roma, organizzato dalla
Fao insieme alla sezione europea della Organizzazione mondiale della sanita'
e alla Efsa (l'autorita' europea per la sicurezza alimentare) sono stati
messi sul piatto i dati riguardo all'impatto del cambiamento del clima sulla
salute, in particolare per quanto riguarda la disponibilita' di cibo a
acqua. Non sono rassicuranti per nessuno, neppure per i paesi ricchi. Nella
regione europea, ad esempio, si prevede una diminuzione della produttivita'
agricola nell'area mediterranea, nell'Europa sud-orientale e in Asia
centrale. I raccolti potrebbero ridursi fino al 30% in Asia centrale entro
la meta' del XXI secolo. Il cambiamento climatico pone anche delle questioni
di sicurezza alimentare. Temperature piu' alte favoriscono la crescita di
batteri negli alimenti, come la salmonella. Il caldo rende piu' problematico
mantenere la catena del freddo per garantire la sicurezza dei cibi oltre a
favorire la comparsa di mosche ed altri insetti pericolosi per la salute.
Per quanto riguarda la mancanza d'acqua, si prevede che al centro e al sud
d'Europa e in Asia centrale colpira' un numero variabile tra 16 e 44 milioni
di persone in piu' entro il 2080. La diminuzione della portata dei corsi
d'acqua, che in estate arrivera' fino all'80%, determinera' una riduzione
delle acque dolci ed un potenziale incremento della contaminazione delle
acque.
Il Mediterraneo e' riconosciuto come "zona calda" per il cambiamento
climatico. La regione e' gia' caratterizzata da scarse risorse idriche che
sono per di piu' non equamente distribuite all'interno dei paesi. Il
cambiamento climatico potrebbe ridurre del 25% le piogge invernali in
quest'area. L'intero territorio italiano, in particolare, e' gia' stato
colpito da una diminuzione del 14% delle precipitazioni negli ultimi 50
anni. Mentre uno studio Nasa - Goddard Institute for Space Studies ha
evidenziato che circa 4.500 chilometri quadrati delle aree costiere sono a
rischio di inondazione.
I dati piu' preoccupanti riguardano comunque i paesi poveri del mondo, dove
l'agricoltura potrebbe subire i danni maggiori a causa da un lato della
siccita', dall'altro dell'aumento di intensita' delle alluvioni e
dell'erosione delle coste.
*
Ma le conseguenze, anche in questo caso, sarebbero globali. In particolare,
dovremo fare i conti con ondate migratorie senza precedenti, hanno affermato
gli esperti che si sono riuniti domenica scorsa a Bonn dove si e' svolta la
prima conferenza indetta dalle Nazioni Unite su emigrazione e ambiente.
Qualche anno fa il biologo Norman Myers aveva previsto che nel 2050 il
numero dei rifugiati per cause ambientali raggiungera' il numero di 200
milioni di persone. Una cifra enorme che ancora rimane un valore guida per
chi si occupa di questi temi.
Gia' oggi il fenomeno e' cominciato, dicono alcuni studiosi. "In molti
casi - ha affermato Tamer Afifi dell'universita' delle Nazioni Unite -
l'emigrazione ha come causa un fenomeno ambientale anche se gli emigranti
non la riconoscono. Dicono che sono andati via perche' non c'era lavoro, ma
i motivi che ci sono dietro sono la desertificazione e l'erosione del
suolo".

4. IRAN. MARINA FORTI INTERVISTA FAEZEH HASHEMI E ROSHANAK SIASI
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2008 col titolo "La 'via
iraniana' alla democrazia" e il sommario "In Iran sono aperte le manovre
politiche per definire le candidature alle prossime elezioni presidenziali,
in giugno. Lo schieramento riformista, all'opposizione, cerca di riunirsi.
Una battaglia che si giochera' sull'economia e la vita reale della
popolazione esposta alla crisi. Mentre le pressioni internazionali su Tehran
restano forti Un incontro con Faezeh Hashemi e Roshanak Siasi, esponenti
riformiste: 'L'occidente ha un doppio standard'"]

Faezeh Hashemi Bahremani e' una donna giovane dal piglio energico, e' stata
deputata al parlamento nazionale ed e' nota in Iran per avere per prima
cercato di promuovere la partecipazione femminile allo sport, quando ancora
era considerata tabu' nella Repubblica Islamica. Ha diretto la rivista "Zan"
("donna") e reti di ong femminili, e' una dirigente politica riconosciuta:
ma sembra inevitabile presentarla come figlia dell'ex presidente della
repubblica Ali Akbar Hashemi Rafsanjani - del resto, lei stessa ammette che
il nome di suo padre l'ha aiutata, quando ha avanzato proposte che rompevano
con tradizioni consolidate del suo mondo. Perfino i suoi manifesti
elettorali apparivano innovativi nell'Iran dei primi anni '90, fotografata
con il chador d'ordinanza ma le gambe accavallate...
Roshanak Siasi e' ancor piu' giovane ma anche lei ha maturato un'esperienza
sul campo come organizzatrice politica nella provincia del Gilan, nell'Iran
settentrionale: ora e' nel consiglio nazionale di Kargozaran, il partito che
fa capo allo stesso Rafsanjani. Lunedi' le due donne erano a Roma, insieme
alla scrittrice e produttrice cinematografica Fereshteh Taerpour; le abbiamo
incontrate a margine di una conferenza promossa dall'universita' Luiss e dal
mensile "Il vicino oriente". Insieme, rappresentano una parte importante del
composito fronte politico definito riformista, parola che la signora Hashemi
vuole precisare: "Nella terminologia politica iraniana per riformisti si
intende il movimento politico opposto ai conservatori, che succhiano il
sangue alla religione per iniettarlo nel potere".
Si tratta del fronte politico che si era raccolto dietro a Mohammad Khatami,
presidente della repubblica per due mandati (dal 1998 al 2005), e che ora
cerca di riemergere dalla pesante sconfitta politica degli ultimi anni. Il
mandato del presidente Mahmoud Ahmadi Nejad infatti e' vicino al termine,
nel giugno prossimo gli iraniani torneranno alle urne, e le manovre
politiche per definire schieramenti e candidati sono ormai in pieno
svolgimento.
*
Riusciranno i riformisti a unirsi su una sola candidatura? Da tempo circola
il nome dell'ex presidente Khatami: sara' lui il candidato da contrapporre
al fronte conservatore? Lui stesso non ha sciolto le riserve, proprio
l'altro giorno ha dichiarato che potrebbe candidarsi solo con garanzie di un
appoggio unitario. Certo, se da un lato ci fosse un calibro come Khatami,
forse anche i conservatori (aspramente divisi) sarebbero indotti a unirsi
dietro a Ahmadi Nejad... Ma la signora Hashemi taglia corto: "Non so se ci
sara' un solo candidato per tutte le forze riformiste, lo credo improbabile:
ma in ogni caso mi sembra poco probabile che sara' Khatami". Non sembra che
Mehdi Karroubi voglia mollare, spiega: ex presidente del parlamento e capo
della fazione politica chiamata Associazione del clero combattente, Karroubi
era stato candidato presidenziale nel 2005: sembrava che dovesse andare lui
al ballottaggio con Ahmadi Nejad. "Si', molti sostengono che nel 2005
l'errore dei riformatori e' stato quello di dividere i loro voti presentando
ben quattro candidati", continua Faezeh Hashemi: "Ma non e' affatto detto
che con un candidato unico avrebbero vinto".
*
Le due interlocutrici riconoscono che con Mahmoud Ahmadi Nejad ha vinto un
particolare tipo di conservatorismo populista. "Il suo discorso ha fatto
presa sugli strati piu' popolari", dice Siasi: "E' arrivato promettendo di
distribuire il reddito del petrolio sulle tavole degli iraniani e lo ha
fatto: ma distribuendo sussidi, senza fare nessun investimento produttivo,
nelle infrastrutture". Spiega: Rafsanjani prima e Khatami poi avevano
rafforzato la struttura economica, investito in infrastrutture. "I
riformisti pero' non sono stati capaci di comunicare con gli elettori.
Mentre Ahmadi Nejad, con la sua politica di elargizioni ha affascinato gli
strati piu' disagiati della popolazione, quei trenta milioni di iraniani -
su 70 milioni - che vivono in condizioni piu' difficili".
*
L'era Khatami ha cambiato il clima generale (oggi il manifesto elettorale
della signora con gambe accavallate non farebbe piu' aggrottare le
sopracciglia neppure nell'establishment): ma aveva suscitato molte speranze,
forse troppe dice Siasi, e sono andate deluse. Le precisazioni della signora
Hashemi qui tornano utili: "Mi considero riformista perche' mi batto per i
diritti umani, i diritti dei cittadini, la liberta' delle idee, la libera
competizione tra forze politiche, per il rafforzamento delle istituzioni
civili. I riformisti iraniani sono influenzati dai concetti propri della
democrazia occidentale: ma per noi liberta', uguaglianza, giustizia sono
concetti religiosi da rielaborare in chiave moderna. Insomma, vogliamo
evolvere una nostra idea di democrazia".
*
La delusione dell'era Khatami pero' pesa: cosa diranno i riformisti agli
iraniani per conquistare il voto degli iraniani? "Certo non possiamo
riprendere i discorsi di dieci anni fa", risponde Hashemi. "Credo che la
priorita' oggi sia l'economia, il carovita, la vita reale dei cittadini.
L'inflazione e' insopportabile, la disoccupazione aumenta, solo se si
affrontano questi problemi si puo' costruire un discorso di riforme". Siasi
fa notare che Khatami ha avuto contro tutti i poteri forti del sistema: "Un
altro errore dei riformisti e' stato presentarsi con un programma
irrealistico che ha creato aspettative poi deluse. Questa volta dobbiamo
presentarci con un programma realizzabile". E poi, dice, "dovranno lavorare
di piu' nella societa', con le ong, le associazioni, trovare strumenti per
approfondire il dialogo".
Il fatto e' che i riformisti si preparano a una competizione elettorale
senza controllare i media: la televisione di stato e' bastione dei
conservatori, hanno pochi giornali... "Non e' del tutto vero, c'e' una
decina di giornali vicini ai riformisti", ribatte la signora Hashemi. Ci
sono i siti internet, i blog: oggi gli strumenti di comunicazione sono molto
piu' ampi di una volta, il mondo e' rimpicciolito. E poi, la critica a
Ahmadi Nejad e' presente anche sui media non riformisti". E' vero: giorni fa
un gruppo di noti economisti ha inviato una lettera molto critica al
presidente Ahmadi Nejad, ed e' ormai la terza (anche se questa volta non e'
stato pubblicato il testo): criticano la politica dei sussidi in cui e'
"sperperato" il reddito del petrolio, a scapito di solidi investimenti
nell'economia produttiva. Distribuire sussidi sara' una pessima politica
economica, assistenziale, ma aiuta a raccogliere voti: come competeranno i
rifornisti? "L'arte della politica e' offrire proposte giuste e convincenti,
non offrire vantaggi materiali in cambio di voti", ribatte Hashemi.
*
Cosa si aspettano le esponenti riformiste dalla prossima amministrazione
negli Stati uniti? "Guardi, non so se una vittoria di Barack Obama fara'
davvero una differenza, per quanto riguarda le relazioni con l'Iran. Lo
dimostra la storia: quando alla nostra presidenza c'era Khatami, certamente
aperto al dialogo, e a Washington c'era Bill Clinton, cioe' un democratico,
non e' successo nulla: le occasioni di dialogo sono state perse. Certo,
tutti auspichiamo che non continui la politica aggressiva di Bush. Speriamo
che l'occidente comprenda che non ha nulla da guadagnare a premere
sull'Iran". Ma non pensa che certe dichiarazioni di Ahmadi Nejad abbiano un
effetto negativo? "E' vero, ma in fondo sono parole. Negli ultimi duecento
anni l'Iran non ha mai attaccato nessuno. Siamo stati attaccati, piuttosto:
Saddam Hussein ha usato contro di noi armi chimiche bandite dalle
convenzioni di Ginevra. La cosiddetta comunita' internazionale applica uno
standard duplice".

5. LIBRI. LAURA PUGNO PRESENTA "MAPPE DEL CORPO" DI INGRID DE KOK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2008 col titolo "Elegia e
storia dal Sudafrica di Ingrid De Kok"]

Ingrid de Kok, Mappe del corpo, a cura di Paola Splendore, Donzelli, Roma
2008, pp. 153, euro 14.
*
Viene tradotta per la prima volta in italiano, con Mappe del corpo, la
poesia della sudafricana Ingrid de Kok, autoesiliata in Canada e tornata nel
suo paese nei bui anni '80 dell'apartheid, come a espiare una colpa o
riannodare i fili della memoria. La colpa di appartenere alla stirpe degli
oppressori, mescolata alla necessita' di tornare alle sorgenti prime del
ricordo: "bere la sua acqua", to drink its water, e' infatti l'immagine
usata da De Kok per riferirsi a questo suo ritorno, alla reimmedesimazione
quasi fisica con una storia, privata e pubblica, che brucia, a un paesaggio,
il veld, percorso nel ricordo da immagini-fantasma mutilate e coperte di
sangue.
Ingrid de Kok, nata Ingrid Jean Fiske a Johannesburg nel 1951, dopo avere
trascorso l'infanzia tra Stilfontein, una citta' di minatori nell'allora
Western Transvaal, e la sua citta' d'origine, ha studiato letteratura e
scienze politiche alla University of the Witwatersrand. A prevalere e' pero'
la passione per la letteratura: nel '76 e' Junior Lecturer all'English
Department dell'Universita' di Cape Town. L'anno dopo, la ritroviamo in
Canada. In mezzo, c'e' una scelta che Ingrid sente obbligata se rimanesse
nel proprio paese, quella del passaggio alla clandestinita', che tuttavia
non riesce a compiere. Al tempo stesso, restare, acquiescente davanti allo
spietato stato di cose di cui e' ogni giorno testimone, comporterebbe una
colpa personale - non familiare, non ereditata: propria - troppo grande. Per
questo, scrive Paola Splendore nella nota al testo, si esilia e resta in
Canada fino al 1984, quando torna all'Universita' di Cape Town, dove lavora
in un programma di educazione per adulti che finira' per dirigere.
*
Mappe del corpo (che verra' presentato oggi alla libreria Griot di Roma) e'
costruito come un'antologia dalle quattro raccolte della scrittrice:
Familiar Ground (1988), Transfer (1997) e Terrestrial Things (2002) piu'
l'auto-antologia Seasonal Fires (2006): per tradurre i testi, la curatrice
ha soggiornato a lungo a casa di De Kok, in Sudafrica, al punto che il
volume compare nel sito dell'autrice alla stregua di un libro proprio.
Poesia aperta e costruita sul crinale del rapporto tra pubblico e privato,
tra drammaticamente pubblico e tragicamente privato, l'opera di Ingrid De
Kok trova la sua vena migliore nell'elegia percorsa dalla sferzatura della
storia. Non a caso diversi testi della selezione italiana sono dedicati alla
Commissione per la Verita' e la Riconciliazione, il tribunale straordinario
presieduto dall'arcivescovo Tutu a partire dal '95, negli anni della
transizione dall'apartheid alla democrazia. Compito del tribunale era la
raccolta della testimonianza delle violazioni dei diritti umani durante gli
anni del regime al fine non di punire i colpevoli ma di ricostruire le
tragedie umane vissute, stratificate e sedimentate nel corso di un'epoca.
"Fine ultimo della Commissione - scrive Splendore - e' stato dissotterrare
la verita' e renderla pubblica per poter curare le ferite di una nazione
traumatizzata, compito... che ha avuto il merito di portare in primo piano
il riconoscimento del dolore sofferto". In versi, De Kok racconta come il
piu' alto turn-over, tra il personale di sostegno alla Commissione, fosse
tra i fonici incaricati di elaborare le testimonianze delle atrocita' subite
dalla popolazione nera: insanguinata cartina di tornasole del potere
offensivo e insieme curativo della parola, un potere in cui questa poesia
ancora necessariamente, segretamente crede, nonostante la propria
incapacita' di restituire alle vittime l'interezza delle membra, del futuro,
o anche solo dello spazio interno della mente.

6. LIBRI. ANTONELLA STIRATI PRESENTA "LARGO ALL'EROS ALATO" DI ALEXANDRA
KOLLONTAJ
[Dal quotidiano "Liberazione" del 14 ottobre 2008 col titolo "Largo all'eros
alato, di Alexandra Kollantaj, il linguaggio della liberta'e quello del
conflitto di classe" e il sommario "Il rapporto tra politica e amore ai
tempi della rivoluzione"]

Intellettuale, attivista politica e ministro nel governo presieduto da
Lenin, Alexandra Kollontaj fu una delle figure di spicco della rivoluzione
bolscevica. Largo all'eros alato, recentemente ripubblicato in un volumetto
a cura di Lugi Cavallaro (Il melangolo, 9 euro), e' forse il suo pamphlet
piu' famoso. Pubblicato nel 1923, questo breve scritto dedicato al rapporto
tra politica e amore suscito' scandalo e fortissime opposizioni in seno al
partito comunista russo. E in effetti, ancora oggi, esso ci appare
trasgressivo. Il punto di partenza dell'autrice e' che l'amore... non e'
eterno! Infatti, sia i modelli ideali dell'amore che le sue forme concrete
cambiano nei diversi periodi storici, adattandosi alle diverse strutture
sociali ed economiche. Ma allora, quale modello delle relazioni d'amore
avrebbe dovuto imporsi nella neonata repubblica sovietica? La scandalosa
risposta di Kollontaj fu che, nella nuova societa', l'amore non avrebbe piu'
dovuto significare "possesso" dell'amata o dell'amato, e quindi avrebbe
potuto anche non essere un sentimento esclusivo, rivolto ad un solo uomo o
ad una sola donna. Per la nuova morale, cioe', sarebbe stato del tutto
indifferente se le relazioni amorose fossero durature o passeggere,
esclusive o molteplici, e rilevante invece solo la qualita' delle emozioni
che le contraddistinguono - la delicatezza, il rispetto, l'ascolto e la
comprensione dell'altra o dell'altro, il riconoscimento dell'uguaglianza. La
piu' ampia liberta' nell'amore, dunque, ma al tempo stesso nulla di piu'
distante da quello che Kollontaj definiva l'eros "senza ali", vale a dire
"la trasformazione dell'atto sessuale in scopo a se' stante", slegato
dall'attrazione per una particolare persona nella sua individualita', e che
si manifesta anche nella mercificazione del sesso. Secondo Kollontaj l'eros
"senza ali" e' l'altra faccia della morale borghese fondata sul matrimonio,
e ha tra i suoi presupposti la disuguaglianza tra uomini e donne e la
condizione di dipendenza di queste ultime. Al contrario, il nuovo volto di
"eros alato" avrebbe consentito agli individui di esprimere e sviluppare la
propria capacita' di amare, e sarebbe stato funzionale ad una societa'
solidale, che per il suo stesso sviluppo ha bisogno di espandere
l'affettivita' e di diffonderla in tutte le diverse trame delle relazioni
sociali, in netto contrasto con "la fredda solitudine morale" tipica della
societa' borghese.
Viene cosi' delineata quella che potremmo definire una "utopia degli
affetti", che ancora oggi sorprende e fa pensare. Essa e' evidentemente
molto lontana da quanto avvenne realmente in Unione Sovietica negli anni
immediatamente successivi alla pubblicazione del libretto, quando si torno'
ad affermare una morale conservatrice e il "ritorno alla famiglia", come ci
ricorda Cavallaro nella sua introduzione. La visione di Kollontaj ha invece
forti assonanze con culture e sperimentazioni delle generazioni giovanili
degli anni '60 e '70, ma ci parla del presente piu' per contrasto che per
somiglianza. Infatti, sebbene la condizione femminile e la morale sessuale
siano molto mutate, oggi assistiamo al tentativo di riaffermare i valori
tradizionali, insieme (non a caso?) alla dilagante mercificazione dei corpi
femminili, e alla tendenza a interpretare la liberta' come accesso alla
sessualita' senza relazioni affettive. Per non parlare della "fredda
solitudine della societa' borghese", oggi quanto mai pervasiva.
Ma quali stimoli di riflessione costruttiva per la cultura politica delle
donne e della sinistra si possono allora ancora trovare in questo pamphlet?
Un elemento che colpisce e' l'assenza in questo scritto della Kollontaj di
ogni riferimento all'esistenza di un conflitto di genere indipendente dalle
condizioni materiali di vita nella societa' capitalistica. Nella sua sobria
Autobiografia (Feltrinelli, 1975) troviamo in realta' parole molto toccanti
sul tema della difficolta' nei rapporti tra uomini e donne e sul conflitto
interiore che esso genera: "noi, la generazione piu' anziana... nell'uomo
che amavamo credevamo di trovare ogni volta la persona esclusiva, l'unica
con la quale fondere la nostra anima... Ma sempre avveniva il contrario
poiche' l'uomo tentava di imporci il suo io e di assimilarci completamente a
se stesso. E cosi' nasceva in tutte... la ribellione interiore... e
correvamo verso la liberta'. Allora ci trovavamo nuovamente sole, infelici,
ma libere" (p. 27). L'autrice si mostra pero' sempre fiduciosa che mutate
condizioni - in cui le donne avessero accesso al lavoro, a servizi pubblici
e a un sostegno per la maternita', a cultura e relazioni sociali - avrebbero
potuto portare di per se' ad un superamento del conflitto di genere. Il
contributo di riflessioni del femminismo moderno porta, io credo con
ragione, a dubitare di questo. Tuttavia e' anche vero, come argomenta
Cavallaro, che i processi di emancipazione e liberazione che hanno avuto un
forte impulso negli anni '60 e '70 sia in Europa che negli Stati Uniti sono
stati associati a cambiamenti importanti delle condizioni materiali,
determinati dalla piena occupazione e dallo sviluppo dello stato sociale. Ed
e' indubbio che nei paesi dove il welfare si e' maggiormente sviluppato, le
donne hanno maggiori opportunita' nello scegliere il proprio percorso di
vita. Mentre, d'altra parte, le tendenze alla restaurazione di oggi vanno
insieme alla contrazione del ruolo dello stato e della spesa pubblica, in un
modo che presenta alcune analogie con quanto accaduto in Unione Sovietica
negli anni '20.
Questo potrebbe indurci a riconsiderare con attenzione una lezione
importante del femminismo marxista, che e' estremamente chiara negli scritti
e nell'attivita' politica della Kollontaj, e cioe' che i cambiamenti nelle
condizioni materiali dell'esistenza costituiscono una premessa comunque
necessaria alla liberta' delle donne (come degli individui in generale).
Sbaglieremmo se ritenessimo che nell'Italia di oggi questa lezione sia
superata e che le istanze libertarie e di cambiamento culturale possano
essere perseguite come se le concrete scelte di vita della maggioranza delle
persone non fossero soggette a pesanti vincoli materiali. I dati di cui
disponiamo segnalano del resto con insistenza l'importanza di tali vincoli
per le scelte di vita. Prendiamo ad esempio un tema importante per le donne,
quello delle decisioni riproduttive. Le indagini statistiche ci dicono che
le donne italiane vorrebbero, in maggioranza, avere due o piu' figli, ma ne
hanno, per lo piu', uno solo (a differenza, ad esempio, delle donne
francesi, che esprimono le stesse intenzioni, ma le portano a compimento). A
questa evidenza se ne puo' aggiungere un'altra, restituita da una recente
indagine condotta dalla Fiom su centomila lavoratori e lavoratrici
metalmeccanici, sia operai che impiegati (Metalmeccanic@, Meta Edizioni,
2008): un quinto delle famiglie con figli, e quasi un quarto delle famiglie
composte da genitori con due figli conviventi, ha un reddito familiare
inferiore alla soglia di poverta' (stimata a 1.600 euro) per una famiglia di
4 persone. Insomma, per moltissimi nuclei familiari, fare un secondo figlio
non e' materialmente sostenibile. E si tratta qui, si noti bene, di nuclei
familiari in cui almeno uno dei coniugi ha un lavoro stabile e regolare a
tempo pieno, con un reddito mensile non dissimile da quelli prevalenti nel
mondo del lavoro dipendente, pubblico e privato. Ma se le cose stanno cosi',
e' evidente che anche altre scelte, come rompere una unione coniugale che
non funziona piu', o scegliere di vivere la maternita' al di fuori di una
convivenza di coppia, possono essere impraticabili per ragioni solidamente
materiali, quali il reddito e il costo dell'affitto. Viene allora naturale
pensare anche che un fenomeno oscuro e pervasivo come la violenza tra le
mura domestiche (l'Istat rivela che in Italia una donna su sei ha subito
violenze fisiche o sessuali, per lo piu' ripetute, dal partner o ex-partner)
sebbene abbia certamente origini profonde e complesse, potrebbe tuttavia
essere arginato - perlomeno nel senso della limitazione del danno - da un
insieme di condizioni che, semplicemente, rendano materialmente piu' facile
per una donna andarsene di casa.
Insomma, la lettura del libretto di Kollontaj, e della interessante
introduzione del curatore, puo' aiutarci a rimettere a fuoco un fatto
semplice ma spesso trascurato, e cioe' che l'attenzione alla concretezza
della vita quotidiana e dei suoi bisogni dovrebbe essere denominatore comune
tra chi parla il linguaggio delle liberta', dei diritti, della qualita'
della vita e delle relazioni, e chi quello del conflitto di classe o
dell'economia, e che essa dovrebbe costituire il ponte tra istanze di
cambiamento culturale e sociale profonde e obiettivi concreti e immediati
dell'azione politica. Una capacita' che ha caratterizzato, ad esempio, i
momenti migliori dell'esperienza del movimento delle donne negli anni '70.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 215 del 16 ottobre 2008

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it