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Nonviolenza. Femminile plurale. 215
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 215
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Oct 2008 08:10:04 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 215 del 16 ottobre 2008 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Asparagi su Marte 2. Giancarla Codrignani: L'Unesco per l'educazione alla nonviolenza 3. Cristiana Pulcinelli: Il clima e la fame 4. Marina Forti intervista Faezeh Hashemi e Roshanak Siasi 5. Laura Pugno presenta "Mappe del corpo" di Ingrid de Kok 6. Antonella Stirati presenta "Largo all'eros alato" di Alexandra Kollontaj 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: ASPARAGI SU MARTE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] C'erano una volta le parole. Le ascoltavi e le leggevi, ci riflettevi su. Potevano commuoverti, o mandarti in collera, o divertirti, o spingerti a prendere decisioni. Le parole avevano dei significati. Ricordate quei tempi? Sui quotidiani gli articoli potevano piacerti o meno, contenere menzogne o verita', pure erano scritti in modo da non sfuggire ai significati delle parole. C'era una bambina che leggeva quegli articoli, mi viene ora in mente, e che pensava con ammirazione alle persone che avevano scritto cosi' bene tutte quelle parole: "Bisognera' essere molto intelligenti e studiare a fondo per diventare giornalisti". Oggi, va da se', l'ex bambina la pensa in tutt'altro modo, pero' continua ingenuamente a inorridire e ad indignarsi di come i massacri del senso coprano i massacri dei corpi. * Ecco come cominciava un pezzo su un giornale nazionale qualche giorno fa: "Uniti. Cosi' li hanno trovati insieme. Uniti come il papa' voleva fosse unita la sua famiglia". A cosa vi fa pensare tale incipit, cosa vi viene in mente? Che qualcuno ha trucidato un'intera famiglia, forse per rappresaglia contro il padre. Invece e' stato quest'ultimo a prendere i suoi figlioletti di 3 e 7 anni a martellate, ne ha dato notizia ai parenti, e poi si e' ucciso. Altri articoli sulla vicenda si aprivano con frasi tipo "Un compagno e un padre esemplare", "Non accettava la fine della relazione", "In preda a raptus", eccetera, eccetera (come disse Ambrose Bierce, "la sanita' mentale e' quella condizione che precede e segue immediatamente un omicidio"). Adesso qual e' l'immagine che vedete? Un galantuomo disperato, ridotto a tale follia dalla donna che voleva lasciarlo. Magari voltate pagina, perche' siete di fretta o perche' la storia e' troppo triste. Certo e' che ormai avete individuato il colpevole, anzi "la" colpevole, e non era il maggiordomo ne', stranamente, quello che aveva il martello in mano. Le altre notizie dovreste cercarle piu' in basso, a fine colonna, dove leggereste ad esempio che il padre in questione aveva alle spalle un divorzio e un'altra figlia: stante il fatto che le relazioni a due si fanno funzionare o fallire in due, credete ancora che quest'uomo non avesse nessuna responsabilita' nel fallimento delle proprie? Questo non toglie nulla alla pieta' umana per una persona che ha violentemente messo fine alla propria esistenza, e pero' tale compassione non mi acceca al punto da non vedere che prima di suicidarsi la stessa persona ha ucciso due bambini a colpi di martello. Il raptus. Il raptus gli fa montare i figli in auto, portarli in una zona dove non verra' disturbato durante gli omicidi, e lo costringe ad alzare ed abbassare ripetutamente il martello. Potete figurarvi la scena? Le piccole braccia che tentano di parare il colpo, gli occhi sgranati, le urla, il pianto? Non si e' trattato di uno sparo rapido in testa, i due bambini ci hanno messo un po' a morire. Quanto durano i raptus davvero non lo so, dovremmo chiederlo alla famosa psicologa che a commento di questo fatto di cronaca non ha trovato di meglio che scrivere (in pessimo italiano, tra l'altro) contro la legge 180 ed ha reiterato per tutto il pezzo come "troppi segnali di follia non vengano visti". Ma chi poteva vederli, signora, in un compagno perfetto e in un padre esemplare che voleva solo l'unita' della propria famiglia? Forse la donna che viveva con lui. Forse per questo aveva deciso che era meglio separarsi. Prima che lui facesse del male ai bambini, per esempio. Qualcuno le avrebbe creduto, l'avrebbe ascoltata, o aiutata, se ne avesse parlato? O le avremmo consigliato di sopportare perche' tenere unita una famiglia e' piu' importante delle vite di coloro che la compongono? Nessuno degli articoli che io ho letto ha speso una parola di comprensione per la madre dei due piccoli assassinati. L'unica sua frase riportata, tuttavia, l'ho capita benissimo: "Me li ha uccisi tutti e due". Non si tratta di un errore, leggetela bene: li ha uccisi "a me", per fare del male a me, per vendicarsi di me. Un gran bel padre, davvero. E pensare che io giudicavo pessimo il mio, di padre, per la sua abitudine di sfasciare facce e mobili. Direi che e' stato solo un po' meno "esemplare", infatti non ci ha ammazzati. * Mi piacerebbe poter sostenere che lo scempio del senso, nella narrazione pubblica, e' dovuto solo alla scarsa professionalita' dei giornalisti, ma temo che questa si inserisca in un disegno preciso: la riformulazione del senso comune rispetto a tutta una serie di conquiste sociali e politiche. In cima alla lista delle priorita' sembra esserci la liberta' delle donne. Il 26 settembre u.s. i principali quotidiani italiani riportano senza commento alcuno le esternazioni di un alto prelato italiano, con titoli che variano di poco ed il cui leit motiv e': la pillola anticoncezionale fa male. Il monsignore sostiene che vi sono studi scientifici che lo provano e che vengono tenuti nascosti. Non cita quali studi, fatti da chi, quando, e con che metodi. Ne' chi li occulta e perche'. Nessuno dei sedicenti giornalisti glielo chiede. Nessun sedicente direttore obietta: come posso passarti questo pezzo in cui non c'e' uno straccio di evidenza a sostenere le affermazioni del monsignore? E non ti accorgi che c'e' un'ipotesi di reato grave non verificata, e cioe' il tenere nascosti dati relativi alla salute pubblica? Com'e' che non hai chiesto conto di questo, quando tutti gli studi scientifici a nostra disposizione dicono da trent'anni il contrario? Ma se lo scopo e' creare allarme sociale rispetto al controllo della fertilita', spingendo le donne a credere di essere in pericolo se usano la pillola, lo scopo si raggiunge strillando i titoli e mistificando. Le opinioni diventano fatti, la direzione politica indicata da monsignore diventa "scienza". Nel corso della stessa esternazione, il prelato si rivolge "ai giovani" (citazione letterale): "Tendete ad anticipare molto stili di vita che a lungo andare portano ad annoiarsi. Quando a 15 anni cominciate a vivere con una coetanea come marito e moglie, che accadra' quando ne avrete trenta?". Permetta che la corregga, sig. giornalista, e creda, lo faccio umilmente. Il monsignore non si e' rivolto "ai giovani" intesi come la gioventu' italiana composta da ragazzi e ragazze, si e' rivolto ai giovani maschi, la sola categoria del gruppo che gli interessi. La sola autorizzata a prendere decisioni in merito di sessualita'. La sola che conti. Ed ha suggerito loro la vecchia solfa dell'uomo "cacciatore". E' ovvio che se stai con una tipa da quando avevi 15 anni poi ti stufi, e' sempre la solita minestra no? La noia delle fanciulle non e' contemplata, si sa che tutto quello che noi vogliamo e' un uomo da adorare, a cui stirare le camicie e a cui dare tanti bambini. Sperando che poi non ce li ammazzi in un raptus, ma questa e' un'altra storia. * E guardate assieme a che altri titoli, lo stesso giorno, appaiono le belle pensate di monsignore: "Al Mi-Sex le donne nude entrano gratis"; "Bruni nuda scomparsa dalla mostra"; "Ripa di Meana e l'amore per un trans"; "Che beffa per Ronaldo: la sua ultima fidanzata e' una escort di lusso"; "La capigliatura del premier" (probabilmente quest'ultimo e' l'articolo piu' osceno del mazzo). Cio' che l'informazione consuma e' del tutto ovvio: consuma l'attenzione di chi la riceve. Quando un mucchio di informazione-spazzatura riempie le nostre teste, perdiamo le notizie vere. Naturalmente chiunque di noi puo' cambiare canale, voltare pagina e persino coprire le "notizie" sullo schermo del computer con una mano mentre legge la posta dal server, ma questo non cambia il fatto che milioni di altri italiani vengono nel frattempo ipnotizzati da questo tipo di "informazione". C'e' una guerra in Afghanistan in cui il nostro paese e' coinvolto e noi non ne sappiamo niente. Non sappiamo niente di dove va a finire l'immondizia ammassata sulle strade del napoletano. Non sappiamo niente dello stato reale del nostro paese, in termini economici e sociali. Siamo sommersi da corpi nudi, corpi massacrati, corpi infiocchettati di lustrini, corpi imprigionati, corpi privi di vita. Corpi muti di donne e parole di uomini. Non so voi, ma io da tempo soffoco come se mi trovassi dentro ad un film horror. A volte, nel tentativo di respirare, cercavo le notizie cosiddette "scientifiche", ma ho dovuto arrendermi. Hanno la stessa fattura delle notizie su Ronaldo. Gli articoli sulla sonda Phoenix, al lavoro su Marte, mi hanno dato il colpo di grazia: la sonda ha recuperato ed analizzato un metro cubo di suolo marziano, trovandolo ricco di sostanze alcaline (per cui potrebbe sostenere la vita), ed il titolo del pezzo sul giornale e' "Si potrebbero piantare asparagi su Marte". Eh, gli affari sono affari, vedi come la mano invisibile del mercato si protende attraverso le stelle. Potremmo costruire sul pianeta rosso centri di detenzione abusiva (pardon, di soggiorno temporaneo) per immigrati e deportarvi gli insegnanti in soprannumero della riforma Gelmini, e tutti potrebbero coltivare asparagi in allegria. * Quanto ho me, visto che la lingua italiana mi sta abbandonando, sto imparando il cinese. La parola per "buono" (il suono e' un "ho" di gola) e' composta dai segni che indicano una donna e un bambino insieme. Penso che sarebbe fantastico se quella donna fosse felice, su un pianeta che la rispetta e la ama e che lei ama e rispetta; sarebbe fantastico se quel bambino crescesse sino a diventare un uomo che ama e rispetta i suoi simili e le sue simili. Ma temo che molto prima di vedere quel giorno vedro' qualcuno mangiare asparagi marziani. 2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. GIANCARLA CODRIGNANI: L'UNESCO PER L'EDUCAZIONE ALLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at alice.it) per questo intervento] Anche le istituzioni internazionali subiscono le difficolta' del guazzabuglio storico che stiamo vivendo. Qualche beneficio si puo' trarre, tuttavia, da alcune prese di posizioni che possono avere senso se conosciute. Purtroppo l'informazione non fa di questi tempi il suo mestiere al meglio. E' recente (2007) la Dichiarazione internazionale dell'Unesco su "Il diritto del bambino ad una educazione senza violenza". Non si puo' non apprezzare il richiamo ad una pedagogia che escluda nelle scuole le punizioni corporali e i trattamenti degradanti (anche nei confronti delle famiglie dei bimbi) in tutti i paesi del mondo. Purtroppo non sara' facile dare esecuzione al documento ufficiale per l'inadeguato riconoscimento dei diritti dell'infanzia che, anche nei paesi ritenuti acculturati, non solo non vengono rispettati in scuole in cui si discriminano gli stranieri e i disabili, ma sono oltraggiati nelle stesse famiglie, in cui si perpetrano nel silenzio crimini di incredibile violenza. Bisogna, davvero, educare l'opinione pubblica a "sradicare l'accettazione sociale e giuridica delle punizioni corporali", riflettendo anche sulla storia dei bambini e delle bambine che nei nostri paesi furono lasciati alla merce' della legge al "diritto di correzione" dei genitori, significativamente sempre un padre a cui era permesso "correggere" anche la moglie. Ma la cosa piu' significativa del documento e' destinata agli insegnanti, interpellati "allo scopo di sviluppare lo spirito critico dei ragazzi, di permettere di ragionare sull'origine e la risoluzione nonviolenta dei conflitti nella societa' cosi' come tra le nazioni e istillare i valori di tolleranza e di rispetto della dignita' e dei diritti umani". Il monito acquista valore perche' non lascia il discorso al privato e all'evoluzione sociale spontanea o alla buona volonta' dei media, ma invita gli Stati a deliberare le leggi idonee ad introdurre "ufficialmente l'educazione alla nonviolenza e alla pace a tutti i livelli del sistema scolastico con programmi adatti ad ogni Stato e ad ogni societa'". L'Unesco si dichiara "istanza di riferimento e di concertazione tra gli Stati, gli organismi governativi e non-governativi internazionali, la societa' civile e il settore privato per l'elaborazione congiunta di concetti, obiettivi e di politiche in favore dell'educazione dei bambini alla nonviolenza e alla pace". Si ha l'impressione che la pubblica opinione, non sapendo nulla di una presa di posizione cosi' rilevante (sembra che solo "Azione nonviolenta" l'abbia valorizzata) non ne approfitti. Quanto accade nella societa', responsabile da un lato di scarsa innovazione educativa e di insufficienti controlli, per esempio sui giochi ormai non innocui per i bambini a le bambine del nostro tempo, comporta che i ragazzini possono, da piccoli, essere trascurati nelle manifestazioni di disagio e, da grandi, essere indotti a bullismi scolastici e violenze da stadio dai programmi elettronici e dalle playstations donate, anche con sacrifici economici, da genitori ignari del fatto che i ragazzi, abituandosi a vedere forme di violenza e di morte mediatiche, diventano emotivamente indifferenti alla violenza anche nella realta'. Questo documento, quindi, e' un elemento su cui fare leva per riuscire (l'autorita' dell'Unesco tutela dalla ministra in carica o dal dirigente scolastico che interferisce con la liberta' di insegnamento) a portare nella scuola il discorso della nonviolenza, oggi ineludibile per chi voglia accorgersi che siamo in ritardo se vogliamo prevenire guai nella societa' e nel mondo. Bisogna urgentemente dimostrare ai piu' piccoli l'inutilita' delle reazione aggressiva e argomentare con i piu' grandi la scelta di umana decenza fra i pugni e il cervello. 3. AMBIENTE. CRISTIANA PULCINELLI: IL CLIMA E LA FAME [Dal quotidiano "L'Unita'" del 15 ottobre 2008 col titolo "Piu' fame e piu' immigrazione, crescono i guasti da febbre del pianeta" e il sommario "I cambiamenti climatici minacciano l'agricoltura, in molti casi unico sostentamento di popolazioni in miseria"] Oggi si calcola che siano 923 milioni gli esseri umani che soffrono di malnutrizione nel mondo, ma il loro numero e' destinato ad aumentare. Gli affamati della Terra vivono per lo piu' in aree rurali e i loro scarsissimi guadagni vengono dall'agricoltura. Ma proprio l'agricoltura e' in forte sofferenza e i motivi sono principalmente due. Da un lato il diffondersi delle coltivazioni di piante da cui ricavare combustibili si sta allargando a scapito delle coltivazioni da cui ricavare cibo. Dall'altro i cambiamenti climatici minacciano di colpire drammaticamente le capacita' di approvvigionamento di cibo e acqua pulita di una larga fetta della popolazione mondiale. E addirittura potrebbero far sparire molti piccoli contadini e pescatori. Per questo la Fao quest'anno ha scelto come temi caldi per celebrare la giornata dell'alimentazione che si svolge domani proprio i cambiamenti climatici e i biocombustibili. * In un seminario preparatorio che si e' svolto ieri a Roma, organizzato dalla Fao insieme alla sezione europea della Organizzazione mondiale della sanita' e alla Efsa (l'autorita' europea per la sicurezza alimentare) sono stati messi sul piatto i dati riguardo all'impatto del cambiamento del clima sulla salute, in particolare per quanto riguarda la disponibilita' di cibo a acqua. Non sono rassicuranti per nessuno, neppure per i paesi ricchi. Nella regione europea, ad esempio, si prevede una diminuzione della produttivita' agricola nell'area mediterranea, nell'Europa sud-orientale e in Asia centrale. I raccolti potrebbero ridursi fino al 30% in Asia centrale entro la meta' del XXI secolo. Il cambiamento climatico pone anche delle questioni di sicurezza alimentare. Temperature piu' alte favoriscono la crescita di batteri negli alimenti, come la salmonella. Il caldo rende piu' problematico mantenere la catena del freddo per garantire la sicurezza dei cibi oltre a favorire la comparsa di mosche ed altri insetti pericolosi per la salute. Per quanto riguarda la mancanza d'acqua, si prevede che al centro e al sud d'Europa e in Asia centrale colpira' un numero variabile tra 16 e 44 milioni di persone in piu' entro il 2080. La diminuzione della portata dei corsi d'acqua, che in estate arrivera' fino all'80%, determinera' una riduzione delle acque dolci ed un potenziale incremento della contaminazione delle acque. Il Mediterraneo e' riconosciuto come "zona calda" per il cambiamento climatico. La regione e' gia' caratterizzata da scarse risorse idriche che sono per di piu' non equamente distribuite all'interno dei paesi. Il cambiamento climatico potrebbe ridurre del 25% le piogge invernali in quest'area. L'intero territorio italiano, in particolare, e' gia' stato colpito da una diminuzione del 14% delle precipitazioni negli ultimi 50 anni. Mentre uno studio Nasa - Goddard Institute for Space Studies ha evidenziato che circa 4.500 chilometri quadrati delle aree costiere sono a rischio di inondazione. I dati piu' preoccupanti riguardano comunque i paesi poveri del mondo, dove l'agricoltura potrebbe subire i danni maggiori a causa da un lato della siccita', dall'altro dell'aumento di intensita' delle alluvioni e dell'erosione delle coste. * Ma le conseguenze, anche in questo caso, sarebbero globali. In particolare, dovremo fare i conti con ondate migratorie senza precedenti, hanno affermato gli esperti che si sono riuniti domenica scorsa a Bonn dove si e' svolta la prima conferenza indetta dalle Nazioni Unite su emigrazione e ambiente. Qualche anno fa il biologo Norman Myers aveva previsto che nel 2050 il numero dei rifugiati per cause ambientali raggiungera' il numero di 200 milioni di persone. Una cifra enorme che ancora rimane un valore guida per chi si occupa di questi temi. Gia' oggi il fenomeno e' cominciato, dicono alcuni studiosi. "In molti casi - ha affermato Tamer Afifi dell'universita' delle Nazioni Unite - l'emigrazione ha come causa un fenomeno ambientale anche se gli emigranti non la riconoscono. Dicono che sono andati via perche' non c'era lavoro, ma i motivi che ci sono dietro sono la desertificazione e l'erosione del suolo". 4. IRAN. MARINA FORTI INTERVISTA FAEZEH HASHEMI E ROSHANAK SIASI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 ottobre 2008 col titolo "La 'via iraniana' alla democrazia" e il sommario "In Iran sono aperte le manovre politiche per definire le candidature alle prossime elezioni presidenziali, in giugno. Lo schieramento riformista, all'opposizione, cerca di riunirsi. Una battaglia che si giochera' sull'economia e la vita reale della popolazione esposta alla crisi. Mentre le pressioni internazionali su Tehran restano forti Un incontro con Faezeh Hashemi e Roshanak Siasi, esponenti riformiste: 'L'occidente ha un doppio standard'"] Faezeh Hashemi Bahremani e' una donna giovane dal piglio energico, e' stata deputata al parlamento nazionale ed e' nota in Iran per avere per prima cercato di promuovere la partecipazione femminile allo sport, quando ancora era considerata tabu' nella Repubblica Islamica. Ha diretto la rivista "Zan" ("donna") e reti di ong femminili, e' una dirigente politica riconosciuta: ma sembra inevitabile presentarla come figlia dell'ex presidente della repubblica Ali Akbar Hashemi Rafsanjani - del resto, lei stessa ammette che il nome di suo padre l'ha aiutata, quando ha avanzato proposte che rompevano con tradizioni consolidate del suo mondo. Perfino i suoi manifesti elettorali apparivano innovativi nell'Iran dei primi anni '90, fotografata con il chador d'ordinanza ma le gambe accavallate... Roshanak Siasi e' ancor piu' giovane ma anche lei ha maturato un'esperienza sul campo come organizzatrice politica nella provincia del Gilan, nell'Iran settentrionale: ora e' nel consiglio nazionale di Kargozaran, il partito che fa capo allo stesso Rafsanjani. Lunedi' le due donne erano a Roma, insieme alla scrittrice e produttrice cinematografica Fereshteh Taerpour; le abbiamo incontrate a margine di una conferenza promossa dall'universita' Luiss e dal mensile "Il vicino oriente". Insieme, rappresentano una parte importante del composito fronte politico definito riformista, parola che la signora Hashemi vuole precisare: "Nella terminologia politica iraniana per riformisti si intende il movimento politico opposto ai conservatori, che succhiano il sangue alla religione per iniettarlo nel potere". Si tratta del fronte politico che si era raccolto dietro a Mohammad Khatami, presidente della repubblica per due mandati (dal 1998 al 2005), e che ora cerca di riemergere dalla pesante sconfitta politica degli ultimi anni. Il mandato del presidente Mahmoud Ahmadi Nejad infatti e' vicino al termine, nel giugno prossimo gli iraniani torneranno alle urne, e le manovre politiche per definire schieramenti e candidati sono ormai in pieno svolgimento. * Riusciranno i riformisti a unirsi su una sola candidatura? Da tempo circola il nome dell'ex presidente Khatami: sara' lui il candidato da contrapporre al fronte conservatore? Lui stesso non ha sciolto le riserve, proprio l'altro giorno ha dichiarato che potrebbe candidarsi solo con garanzie di un appoggio unitario. Certo, se da un lato ci fosse un calibro come Khatami, forse anche i conservatori (aspramente divisi) sarebbero indotti a unirsi dietro a Ahmadi Nejad... Ma la signora Hashemi taglia corto: "Non so se ci sara' un solo candidato per tutte le forze riformiste, lo credo improbabile: ma in ogni caso mi sembra poco probabile che sara' Khatami". Non sembra che Mehdi Karroubi voglia mollare, spiega: ex presidente del parlamento e capo della fazione politica chiamata Associazione del clero combattente, Karroubi era stato candidato presidenziale nel 2005: sembrava che dovesse andare lui al ballottaggio con Ahmadi Nejad. "Si', molti sostengono che nel 2005 l'errore dei riformatori e' stato quello di dividere i loro voti presentando ben quattro candidati", continua Faezeh Hashemi: "Ma non e' affatto detto che con un candidato unico avrebbero vinto". * Le due interlocutrici riconoscono che con Mahmoud Ahmadi Nejad ha vinto un particolare tipo di conservatorismo populista. "Il suo discorso ha fatto presa sugli strati piu' popolari", dice Siasi: "E' arrivato promettendo di distribuire il reddito del petrolio sulle tavole degli iraniani e lo ha fatto: ma distribuendo sussidi, senza fare nessun investimento produttivo, nelle infrastrutture". Spiega: Rafsanjani prima e Khatami poi avevano rafforzato la struttura economica, investito in infrastrutture. "I riformisti pero' non sono stati capaci di comunicare con gli elettori. Mentre Ahmadi Nejad, con la sua politica di elargizioni ha affascinato gli strati piu' disagiati della popolazione, quei trenta milioni di iraniani - su 70 milioni - che vivono in condizioni piu' difficili". * L'era Khatami ha cambiato il clima generale (oggi il manifesto elettorale della signora con gambe accavallate non farebbe piu' aggrottare le sopracciglia neppure nell'establishment): ma aveva suscitato molte speranze, forse troppe dice Siasi, e sono andate deluse. Le precisazioni della signora Hashemi qui tornano utili: "Mi considero riformista perche' mi batto per i diritti umani, i diritti dei cittadini, la liberta' delle idee, la libera competizione tra forze politiche, per il rafforzamento delle istituzioni civili. I riformisti iraniani sono influenzati dai concetti propri della democrazia occidentale: ma per noi liberta', uguaglianza, giustizia sono concetti religiosi da rielaborare in chiave moderna. Insomma, vogliamo evolvere una nostra idea di democrazia". * La delusione dell'era Khatami pero' pesa: cosa diranno i riformisti agli iraniani per conquistare il voto degli iraniani? "Certo non possiamo riprendere i discorsi di dieci anni fa", risponde Hashemi. "Credo che la priorita' oggi sia l'economia, il carovita, la vita reale dei cittadini. L'inflazione e' insopportabile, la disoccupazione aumenta, solo se si affrontano questi problemi si puo' costruire un discorso di riforme". Siasi fa notare che Khatami ha avuto contro tutti i poteri forti del sistema: "Un altro errore dei riformisti e' stato presentarsi con un programma irrealistico che ha creato aspettative poi deluse. Questa volta dobbiamo presentarci con un programma realizzabile". E poi, dice, "dovranno lavorare di piu' nella societa', con le ong, le associazioni, trovare strumenti per approfondire il dialogo". Il fatto e' che i riformisti si preparano a una competizione elettorale senza controllare i media: la televisione di stato e' bastione dei conservatori, hanno pochi giornali... "Non e' del tutto vero, c'e' una decina di giornali vicini ai riformisti", ribatte la signora Hashemi. Ci sono i siti internet, i blog: oggi gli strumenti di comunicazione sono molto piu' ampi di una volta, il mondo e' rimpicciolito. E poi, la critica a Ahmadi Nejad e' presente anche sui media non riformisti". E' vero: giorni fa un gruppo di noti economisti ha inviato una lettera molto critica al presidente Ahmadi Nejad, ed e' ormai la terza (anche se questa volta non e' stato pubblicato il testo): criticano la politica dei sussidi in cui e' "sperperato" il reddito del petrolio, a scapito di solidi investimenti nell'economia produttiva. Distribuire sussidi sara' una pessima politica economica, assistenziale, ma aiuta a raccogliere voti: come competeranno i rifornisti? "L'arte della politica e' offrire proposte giuste e convincenti, non offrire vantaggi materiali in cambio di voti", ribatte Hashemi. * Cosa si aspettano le esponenti riformiste dalla prossima amministrazione negli Stati uniti? "Guardi, non so se una vittoria di Barack Obama fara' davvero una differenza, per quanto riguarda le relazioni con l'Iran. Lo dimostra la storia: quando alla nostra presidenza c'era Khatami, certamente aperto al dialogo, e a Washington c'era Bill Clinton, cioe' un democratico, non e' successo nulla: le occasioni di dialogo sono state perse. Certo, tutti auspichiamo che non continui la politica aggressiva di Bush. Speriamo che l'occidente comprenda che non ha nulla da guadagnare a premere sull'Iran". Ma non pensa che certe dichiarazioni di Ahmadi Nejad abbiano un effetto negativo? "E' vero, ma in fondo sono parole. Negli ultimi duecento anni l'Iran non ha mai attaccato nessuno. Siamo stati attaccati, piuttosto: Saddam Hussein ha usato contro di noi armi chimiche bandite dalle convenzioni di Ginevra. La cosiddetta comunita' internazionale applica uno standard duplice". 5. LIBRI. LAURA PUGNO PRESENTA "MAPPE DEL CORPO" DI INGRID DE KOK [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2008 col titolo "Elegia e storia dal Sudafrica di Ingrid De Kok"] Ingrid de Kok, Mappe del corpo, a cura di Paola Splendore, Donzelli, Roma 2008, pp. 153, euro 14. * Viene tradotta per la prima volta in italiano, con Mappe del corpo, la poesia della sudafricana Ingrid de Kok, autoesiliata in Canada e tornata nel suo paese nei bui anni '80 dell'apartheid, come a espiare una colpa o riannodare i fili della memoria. La colpa di appartenere alla stirpe degli oppressori, mescolata alla necessita' di tornare alle sorgenti prime del ricordo: "bere la sua acqua", to drink its water, e' infatti l'immagine usata da De Kok per riferirsi a questo suo ritorno, alla reimmedesimazione quasi fisica con una storia, privata e pubblica, che brucia, a un paesaggio, il veld, percorso nel ricordo da immagini-fantasma mutilate e coperte di sangue. Ingrid de Kok, nata Ingrid Jean Fiske a Johannesburg nel 1951, dopo avere trascorso l'infanzia tra Stilfontein, una citta' di minatori nell'allora Western Transvaal, e la sua citta' d'origine, ha studiato letteratura e scienze politiche alla University of the Witwatersrand. A prevalere e' pero' la passione per la letteratura: nel '76 e' Junior Lecturer all'English Department dell'Universita' di Cape Town. L'anno dopo, la ritroviamo in Canada. In mezzo, c'e' una scelta che Ingrid sente obbligata se rimanesse nel proprio paese, quella del passaggio alla clandestinita', che tuttavia non riesce a compiere. Al tempo stesso, restare, acquiescente davanti allo spietato stato di cose di cui e' ogni giorno testimone, comporterebbe una colpa personale - non familiare, non ereditata: propria - troppo grande. Per questo, scrive Paola Splendore nella nota al testo, si esilia e resta in Canada fino al 1984, quando torna all'Universita' di Cape Town, dove lavora in un programma di educazione per adulti che finira' per dirigere. * Mappe del corpo (che verra' presentato oggi alla libreria Griot di Roma) e' costruito come un'antologia dalle quattro raccolte della scrittrice: Familiar Ground (1988), Transfer (1997) e Terrestrial Things (2002) piu' l'auto-antologia Seasonal Fires (2006): per tradurre i testi, la curatrice ha soggiornato a lungo a casa di De Kok, in Sudafrica, al punto che il volume compare nel sito dell'autrice alla stregua di un libro proprio. Poesia aperta e costruita sul crinale del rapporto tra pubblico e privato, tra drammaticamente pubblico e tragicamente privato, l'opera di Ingrid De Kok trova la sua vena migliore nell'elegia percorsa dalla sferzatura della storia. Non a caso diversi testi della selezione italiana sono dedicati alla Commissione per la Verita' e la Riconciliazione, il tribunale straordinario presieduto dall'arcivescovo Tutu a partire dal '95, negli anni della transizione dall'apartheid alla democrazia. Compito del tribunale era la raccolta della testimonianza delle violazioni dei diritti umani durante gli anni del regime al fine non di punire i colpevoli ma di ricostruire le tragedie umane vissute, stratificate e sedimentate nel corso di un'epoca. "Fine ultimo della Commissione - scrive Splendore - e' stato dissotterrare la verita' e renderla pubblica per poter curare le ferite di una nazione traumatizzata, compito... che ha avuto il merito di portare in primo piano il riconoscimento del dolore sofferto". In versi, De Kok racconta come il piu' alto turn-over, tra il personale di sostegno alla Commissione, fosse tra i fonici incaricati di elaborare le testimonianze delle atrocita' subite dalla popolazione nera: insanguinata cartina di tornasole del potere offensivo e insieme curativo della parola, un potere in cui questa poesia ancora necessariamente, segretamente crede, nonostante la propria incapacita' di restituire alle vittime l'interezza delle membra, del futuro, o anche solo dello spazio interno della mente. 6. LIBRI. ANTONELLA STIRATI PRESENTA "LARGO ALL'EROS ALATO" DI ALEXANDRA KOLLONTAJ [Dal quotidiano "Liberazione" del 14 ottobre 2008 col titolo "Largo all'eros alato, di Alexandra Kollantaj, il linguaggio della liberta'e quello del conflitto di classe" e il sommario "Il rapporto tra politica e amore ai tempi della rivoluzione"] Intellettuale, attivista politica e ministro nel governo presieduto da Lenin, Alexandra Kollontaj fu una delle figure di spicco della rivoluzione bolscevica. Largo all'eros alato, recentemente ripubblicato in un volumetto a cura di Lugi Cavallaro (Il melangolo, 9 euro), e' forse il suo pamphlet piu' famoso. Pubblicato nel 1923, questo breve scritto dedicato al rapporto tra politica e amore suscito' scandalo e fortissime opposizioni in seno al partito comunista russo. E in effetti, ancora oggi, esso ci appare trasgressivo. Il punto di partenza dell'autrice e' che l'amore... non e' eterno! Infatti, sia i modelli ideali dell'amore che le sue forme concrete cambiano nei diversi periodi storici, adattandosi alle diverse strutture sociali ed economiche. Ma allora, quale modello delle relazioni d'amore avrebbe dovuto imporsi nella neonata repubblica sovietica? La scandalosa risposta di Kollontaj fu che, nella nuova societa', l'amore non avrebbe piu' dovuto significare "possesso" dell'amata o dell'amato, e quindi avrebbe potuto anche non essere un sentimento esclusivo, rivolto ad un solo uomo o ad una sola donna. Per la nuova morale, cioe', sarebbe stato del tutto indifferente se le relazioni amorose fossero durature o passeggere, esclusive o molteplici, e rilevante invece solo la qualita' delle emozioni che le contraddistinguono - la delicatezza, il rispetto, l'ascolto e la comprensione dell'altra o dell'altro, il riconoscimento dell'uguaglianza. La piu' ampia liberta' nell'amore, dunque, ma al tempo stesso nulla di piu' distante da quello che Kollontaj definiva l'eros "senza ali", vale a dire "la trasformazione dell'atto sessuale in scopo a se' stante", slegato dall'attrazione per una particolare persona nella sua individualita', e che si manifesta anche nella mercificazione del sesso. Secondo Kollontaj l'eros "senza ali" e' l'altra faccia della morale borghese fondata sul matrimonio, e ha tra i suoi presupposti la disuguaglianza tra uomini e donne e la condizione di dipendenza di queste ultime. Al contrario, il nuovo volto di "eros alato" avrebbe consentito agli individui di esprimere e sviluppare la propria capacita' di amare, e sarebbe stato funzionale ad una societa' solidale, che per il suo stesso sviluppo ha bisogno di espandere l'affettivita' e di diffonderla in tutte le diverse trame delle relazioni sociali, in netto contrasto con "la fredda solitudine morale" tipica della societa' borghese. Viene cosi' delineata quella che potremmo definire una "utopia degli affetti", che ancora oggi sorprende e fa pensare. Essa e' evidentemente molto lontana da quanto avvenne realmente in Unione Sovietica negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del libretto, quando si torno' ad affermare una morale conservatrice e il "ritorno alla famiglia", come ci ricorda Cavallaro nella sua introduzione. La visione di Kollontaj ha invece forti assonanze con culture e sperimentazioni delle generazioni giovanili degli anni '60 e '70, ma ci parla del presente piu' per contrasto che per somiglianza. Infatti, sebbene la condizione femminile e la morale sessuale siano molto mutate, oggi assistiamo al tentativo di riaffermare i valori tradizionali, insieme (non a caso?) alla dilagante mercificazione dei corpi femminili, e alla tendenza a interpretare la liberta' come accesso alla sessualita' senza relazioni affettive. Per non parlare della "fredda solitudine della societa' borghese", oggi quanto mai pervasiva. Ma quali stimoli di riflessione costruttiva per la cultura politica delle donne e della sinistra si possono allora ancora trovare in questo pamphlet? Un elemento che colpisce e' l'assenza in questo scritto della Kollontaj di ogni riferimento all'esistenza di un conflitto di genere indipendente dalle condizioni materiali di vita nella societa' capitalistica. Nella sua sobria Autobiografia (Feltrinelli, 1975) troviamo in realta' parole molto toccanti sul tema della difficolta' nei rapporti tra uomini e donne e sul conflitto interiore che esso genera: "noi, la generazione piu' anziana... nell'uomo che amavamo credevamo di trovare ogni volta la persona esclusiva, l'unica con la quale fondere la nostra anima... Ma sempre avveniva il contrario poiche' l'uomo tentava di imporci il suo io e di assimilarci completamente a se stesso. E cosi' nasceva in tutte... la ribellione interiore... e correvamo verso la liberta'. Allora ci trovavamo nuovamente sole, infelici, ma libere" (p. 27). L'autrice si mostra pero' sempre fiduciosa che mutate condizioni - in cui le donne avessero accesso al lavoro, a servizi pubblici e a un sostegno per la maternita', a cultura e relazioni sociali - avrebbero potuto portare di per se' ad un superamento del conflitto di genere. Il contributo di riflessioni del femminismo moderno porta, io credo con ragione, a dubitare di questo. Tuttavia e' anche vero, come argomenta Cavallaro, che i processi di emancipazione e liberazione che hanno avuto un forte impulso negli anni '60 e '70 sia in Europa che negli Stati Uniti sono stati associati a cambiamenti importanti delle condizioni materiali, determinati dalla piena occupazione e dallo sviluppo dello stato sociale. Ed e' indubbio che nei paesi dove il welfare si e' maggiormente sviluppato, le donne hanno maggiori opportunita' nello scegliere il proprio percorso di vita. Mentre, d'altra parte, le tendenze alla restaurazione di oggi vanno insieme alla contrazione del ruolo dello stato e della spesa pubblica, in un modo che presenta alcune analogie con quanto accaduto in Unione Sovietica negli anni '20. Questo potrebbe indurci a riconsiderare con attenzione una lezione importante del femminismo marxista, che e' estremamente chiara negli scritti e nell'attivita' politica della Kollontaj, e cioe' che i cambiamenti nelle condizioni materiali dell'esistenza costituiscono una premessa comunque necessaria alla liberta' delle donne (come degli individui in generale). Sbaglieremmo se ritenessimo che nell'Italia di oggi questa lezione sia superata e che le istanze libertarie e di cambiamento culturale possano essere perseguite come se le concrete scelte di vita della maggioranza delle persone non fossero soggette a pesanti vincoli materiali. I dati di cui disponiamo segnalano del resto con insistenza l'importanza di tali vincoli per le scelte di vita. Prendiamo ad esempio un tema importante per le donne, quello delle decisioni riproduttive. Le indagini statistiche ci dicono che le donne italiane vorrebbero, in maggioranza, avere due o piu' figli, ma ne hanno, per lo piu', uno solo (a differenza, ad esempio, delle donne francesi, che esprimono le stesse intenzioni, ma le portano a compimento). A questa evidenza se ne puo' aggiungere un'altra, restituita da una recente indagine condotta dalla Fiom su centomila lavoratori e lavoratrici metalmeccanici, sia operai che impiegati (Metalmeccanic@, Meta Edizioni, 2008): un quinto delle famiglie con figli, e quasi un quarto delle famiglie composte da genitori con due figli conviventi, ha un reddito familiare inferiore alla soglia di poverta' (stimata a 1.600 euro) per una famiglia di 4 persone. Insomma, per moltissimi nuclei familiari, fare un secondo figlio non e' materialmente sostenibile. E si tratta qui, si noti bene, di nuclei familiari in cui almeno uno dei coniugi ha un lavoro stabile e regolare a tempo pieno, con un reddito mensile non dissimile da quelli prevalenti nel mondo del lavoro dipendente, pubblico e privato. Ma se le cose stanno cosi', e' evidente che anche altre scelte, come rompere una unione coniugale che non funziona piu', o scegliere di vivere la maternita' al di fuori di una convivenza di coppia, possono essere impraticabili per ragioni solidamente materiali, quali il reddito e il costo dell'affitto. Viene allora naturale pensare anche che un fenomeno oscuro e pervasivo come la violenza tra le mura domestiche (l'Istat rivela che in Italia una donna su sei ha subito violenze fisiche o sessuali, per lo piu' ripetute, dal partner o ex-partner) sebbene abbia certamente origini profonde e complesse, potrebbe tuttavia essere arginato - perlomeno nel senso della limitazione del danno - da un insieme di condizioni che, semplicemente, rendano materialmente piu' facile per una donna andarsene di casa. Insomma, la lettura del libretto di Kollontaj, e della interessante introduzione del curatore, puo' aiutarci a rimettere a fuoco un fatto semplice ma spesso trascurato, e cioe' che l'attenzione alla concretezza della vita quotidiana e dei suoi bisogni dovrebbe essere denominatore comune tra chi parla il linguaggio delle liberta', dei diritti, della qualita' della vita e delle relazioni, e chi quello del conflitto di classe o dell'economia, e che essa dovrebbe costituire il ponte tra istanze di cambiamento culturale e sociale profonde e obiettivi concreti e immediati dell'azione politica. Una capacita' che ha caratterizzato, ad esempio, i momenti migliori dell'esperienza del movimento delle donne negli anni '70. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 215 del 16 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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