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Voci e volti della nonviolenza. 243
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 243
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 14 Oct 2008 13:26:47 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 243 del 14 ottobre 2008 In questo numero: 1. Verso il quarantesimo anniversario della scomparsa di Aldo Capitini 2. Massimiliano Fortuna: Un profilo di Aldo Capitini 3. Francesco Pullia presenta le "Lettere 1931-1968" tra Aldo Capitini e Walter Binni 4. Francesco Pullia presenta le "Lettere 1952-1968" tra Aldo Capitini e Danilo Dolci 1. VERSO IL QUARANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI ALDO CAPITINI [Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org] Ricorre il 19 ottobre 2008 il quarantesimo anniversario della scomparsa di Aldo Capitini. "Azione nonviolenta", la rivista da Capitini fondata, ha dedicato al tema il suo fascicolo di ottobre. Altre iniziative ancora sarebbe opportuno che per l'occasione venissero promosse. 2. MASSIMILIANO FORTUNA: UN PROFILO DI ALDO CAPITINI [Attraverso Nanni Salio (per contatti: nanni at serenoregis.org) riceviamo il seguente testo di Massimiliano Fortuna, collaboratore del Centro studi "Sereno Regis" di Torino] Aldo Capitini, del quale ricorre in questi giorni il quarantesimo anniversario della morte (Perugia, 23 dicembre 1899 - 19 ottobre 1968), non e' semplicemente una figura di rilievo della nonviolenza italiana, a lui si deve infatti il contributo determinante per l'introduzione stessa in Italia del pensiero nonviolento e delle sue tecniche e modi di attuazione, oltre che della riflessione sulla rilevanza dell'eredita' gandhiana. Persino la parola nonviolenza e' di conio capitiniano (per primo la scrisse infatti senza stacchi, allo scopo di non connotarla come un concetto soltanto negativo). Eppure, anche se gratificato da una cerchia di ammiratori piuttosto solida e duratura nel tempo, continua in linea di massima a essere autore poco letto e poco conosciuto, i suoi libri relegati al margine dell'interesse accademico e editoriale. Nessun editore di rilievo ha finora pensato di "riscoprirlo", i suoi testi sono stati riproposti soltanto da editori piccoli, quando non piccolissimi, circolati in semiclandestinita' (1). Mario Martini, che di Capitini e' studioso devoto e scrupoloso, nell'introdurre una recente antologia di scritti capitiniani da lui curata esordisce cosi': "Come massimo teorizzatore ed attuatore della nonviolenza in Italia, ma forse anche in ambito europeo, Aldo Capitini ne ha pensato e messo in pratica piu' di tanti altri i principi e i metodi" (2). Queste righe offrono senza dubbio una chiave di comprensione fondamentale - non l'unica certamente - per cominciare a addentrarsi nella nonviolenza capitiniana: essa rimanda infatti a una dimensione nella quale teoria e pratica sono strettamente, inscindibilmente congiunte. Seguendo il percorso intellettuale di Capitini e' inevitabile assistere al prendere corpo e forma di questa teoria: dalla prima formulazione negli Elementi di un'esperienza religiosa, suo testo d'esordio (1937) (3), sino al progressivo arricchirsi del discorso filosofico e religioso, consolidatosi in un'elaborazione via via piu' compiuta. Altrettanto inevitabilmente pero' un'occhiata, anche sbrigativa, alle sue pagine autobiografiche rivela immediatamente che questo teorizzare affonda le proprie radici in un'urgenza pratica, nella necessita' del fare, del coinvolgimento in prima persona. Instancabile e assidua e' l'attivita' che Capitini affianca allo studio, quasi prodigioso il fiorire di iniziative dovuto a un uomo dalla salute precaria come la sua. L'attenzione alle vicende politiche nazionali e internazionali si riverbera in un'analisi quasi quotidiana; Capitini non ha mai aderito esplicitamente a un partito eppure, o forse precisamente per questo, la sua biografia e' impastata di agire politico: dalla lotta contro il fascismo alla costituzione del Centro di orientamento sociale (C.O.S.) di Perugia, nel quale cercava di coinvolgere il maggior numero possibile di persone per discutere ad ampio raggio di qualunque problema amministrativo e sociale inerente alla comunita', nel tentativo di dar concretezza all'ideale regolativo dell'omnicrazia, del potere di tutti. Del resto il risvolto prioritario della sua lotta nonviolenta e' eminentemente etico-politico, animato da un continuo testa a testa contro l'oppressione dell'uomo e la riduzione della sua voce addolorata a trascurabile rumore di sottofondo. Decisivo e' anche il coinvolgimento di Capitini nell'ambito educativo, incluso quello strettamente scolastico - egli stesso e' stato pedagogista e docente universitario di pedagogia (4). Consequenziale all'educazione alla nonviolenza e' infatti la promozione di effettive azioni di resistenza nonviolenta, fra tutte occupa forse un posto privilegiato l'obiezione di coscienza. L'appoggio dato a Pietro Pinna, l'obiettore di coscienza italiano per antonomasia, e in seguito suo importante collaboratore, divenne anche l'occasione per teorizzare piu' compiutamente il ruolo dell'obiezione, ulteriore conferma dell'indissolubilita' dell'intreccio fra prassi e teoria. Ne' si puo' evitare di menzionare la Marcia della pace Perugia-Assisi, quasi un compendio simbolico del suo impegno e della sua ricerca, perche' basata, come l'attivita' dei C.O.S., sul coinvolgimento dal basso del piu' alto numero possibile di persone, perche' esempio riuscito di lotta attiva non riducibile a semplice resistenza passiva e, infine, perche' riflette il posto centrale che nell'universo capitiniano occupa la dimensione dell'incontro. Corposa novita' per il panorama italiano, la Marcia s'inseriva peraltro in una tradizione di marce nonviolente che risale sino a Gandhi. Questa concezione nonviolenta corrisponde dunque a una visione del mondo che tenta di delinearsi filosoficamente, o se si preferisce di giustificarsi razionalmente, in assidua simbiosi con una sperimentazione pratica protesa a risolvere i conflitti in forme incruente. Anche a Capitini si attagliano perfettamente le parole del titolo dell'autobiografia di Gandhi, Storia dei miei esperimenti con la verita', la sua nonviolenza non va intesa percio' come un principio statico, e nemmeno come un valore, perlomeno un valore in cui rispecchiarsi oggettivamente, ma e' un atto di incessante riformulazione e correzione, nel quale il piano etico e quello conoscitivo si implicano e si alimentano vicendevolmente, sostenuti entrambi dalla necessita' della testimonianza continua quale mezzo di analisi e comprensione del proprio agire. Si eviti quindi l'errore di ridurre la nonviolenza a un semplice metodo di lotta, a una tecnica d'azione: e' anche questo naturalmente (Capitini scrive un libro pionieristico su Le tecniche della nonviolenza), ma far risaltare questo aspetto a discapito dell'insieme significa perdere di vista la complessa costruzione filosofica capitiniana e la ricchezza dello sfondo esistenziale di cui la lotta nonviolenta non costituisce che una parte. Analogamente a quel che accade in Gandhi, in Capitini la dimensione religiosa riveste un ruolo centrale, per rendersene conto puo' essere sufficiente dare un semplice sguardo ai titoli dei suoi libri e notare quante volte compaia in essi un riferimento alla religione. In una pagina di Aggiunta religiosa all'opposizione leggiamo che "la vita religiosa e' essenzialmente unita' amore verso tutti, ed apertura a una realta' liberata dai limiti del male e della morte, realta' liberata di cui facciamo parte tutti, di qualsiasi condizione, vivi e morti" (5). Una tensione escatologica bruciante anima le pagine di Capitini e affiora di continuo in esse, la realta' liberata che si prospetta nella sua opera e' una realta' che si proietta in un tempo non solo umano e in uno spazio non soltanto politico-sociale, ma in una redenzione che coinvolge l'intero universo. La salvezza a cui Capitini non cessa di guardare non e' percio' limitata alla sola vita umana, ma profondamente legata alla convinzione che si dia una compresenza che accomuna tutti gli esseri in una dimensione ulteriore rispetto alla semplice esistenza visibile. Anche in forza di questa convinzione Capitini sposa pienamente la scelta del vegetarianesimo. Pietro Pinna si e' domandato se questa persuasione "sconcertante" e "paradossale" si leghi inevitabilmente all'esercizio della nonviolenza, se cioe' l'agire nonviolento possa conservare del tutto la sua efficacia a prescindere da una simile prospettiva escatologica (6). E' certo questo un punto di discussione aperto, la cui risposta va in ultima analisi lasciata alle diverse sensibilita' individuali, altrettanto certo e' pero' il dovere di non sorvolare rapidamente su questa opzione spirituale, se si vuole intendere Capitini nella sua interezza. Un'interezza che forse e' causa primaria della sua difficile assimilazione culturale, nella misura in cui egli si muove con medesima disinvoltura tanto sul terreno laico quanto su quello profetico, sa parlare con la stessa passione di riforma scolastica e, magari poche righe dopo, di tramutazione strutturale dell'universo. Insomma, proiettata su questo sentiero sdrucciolevole della teoria-pratica la sua opera corre il rischio di apparire eccessivamente teorica agli uomini pratici e, specularmente, pervasa da una troppo accentuata vocazione all'impegno concreto per i teorici. E' dunque lecito porsi, con giusto pessimismo, il problema dell'eredita' capitiniana. Eredita' a maggior ragione difficoltosa, se si considera in fondo che per Capitini l'avversario piu' insidioso non e' il suo opposto simmetrico - il bellicista, il guerrafondaio -, ma la sua caricatura: il pacifista. Il pacifismo ideologico, semplicistico, confezionato in pochi frasi fatte, che si limita a proiettare il male all'esterno di se' e' il nemico naturale della nonviolenza capitiniana, meditata e quotidianamente sofferta. Sembra allora inevitabile domandarsi se a Capitini sara' dato avere un'eredita' degna di questo nome, se per paradosso a minarla non possa essere la sua stessa ricchezza intellettuale, oppure se la sua figura corra ad esempio il rischio, gia' in un caso fra i meno penalizzanti, di venire ridotta a un esempio di alto spessore morale e null'altro. Puo' darsi che questa eredita' abbia la possibilita' di venire tramandata in modo significativo solo se si rinuncia a qualcosa della pienezza originaria, solo se amputata e magari contaminata con altro. Domande che possono ricevere risposte differenti, ma che non e' possibile eludere se si vuole affrontare un discorso su Capitini oggi e sulla sua auspicabile rilevanza per il tempo presente e futuro. * Note 1. Si possono ricordare le edizioni di Vita religiosa, Cappelli, Bologna 1985; di Elementi di un esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; di Il potere di tutti, Guerra, Perugia 1999; e poi l'importante, ma purtroppo scarsamente diffusa, pubblicazione degli Scritti sulla nonviolenza, a cura di Luisa Schippa, Protagon, Perugia 1992 e degli Scritti filosofici e religiosi, a cura di Mario Martini, Protagon, Perugia 1994. Una nota lieta e' data dall'avvio di una collaborazione tra la Fondazione Centro Studi Aldo Capitini e un editore di media grandezza come Carocci in vista della pubblicazione dell'intero epistolario capitiniano; al momento due sono i volumi usciti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Su supporto non cartaceo si segnalano il cd Incontro con Aldo Capitini, curato dall'Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini (Perugia 2000), e i siti internet www.aldocapitini.it e www.cosinrete.it. 2. Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, a cura di Mario Martini, Ets, Pisa 2004, p. 9. Non si devono dimenticare due precedenti antologie: Il messaggio di Aldo Capitini, a cura di Giovanni Cacioppo, Lacaita, Manduria 1977 e Opposizione e liberazione, a cura di Piergiorgio Giacche', Linea d'ombra, Milano 1991 (poi L'ancora del mediterraneo, Napoli 2003). 3. Se si eccettuano una recensione e alcune pagine di versi apparse prima del 1937. 4. Studi recenti sui risvolti pedagogici del pensiero di Capitini sono: Caterina Foppa Pedretti, Spirito profetico ed educazione in Aldo Capitini. Prospettive filosofiche, religiose e pedagogiche del post-umanesimo e della compresenza, Vita e Pensiero, Milano 2005; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile: un profilo pedagogico di Aldo Capitini, La Nuova Italia, Milano 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2007. 5. Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, cit., p. 128. 6. Cfr. Il messaggio di Aldo Capitini, cit., p. 211 e sg. 3. FRANCESCO PULLIA PRESENTA LE "LETTERE 1931-1968" TRA ALDO CAPITINI E WALTER BINNI [Ringraziamo Francesco Pullia (per contatti: francesco.pullia at gmail.com) per averci messo a disposizione questa sua recensione dal titolo "Il carteggio Capitini-Binni. Quarant'anni di grande tensione morale" apparsa su "Notizie Radicali" del 15 maggio 2008] "Per noi la nonviolenza e' intrinseca a tutta la visione della realta' e dell'avvenire e fa tutt'uno con essa". Cosi' Aldo Capitini (Perugia, 1899-1968) scriveva all'amico Walter Binni (Perugia, 1913 - Roma, 1997) in una lettera datata 8 luglio 1966 e contenuta nell'intenso carteggio tra i due intellettuali umbri pubblicato di recente dall'editore Carocci per conto della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini. Intitolato Lettere 1931-1968, e curato da Lanfranco Binni e Lorella Giuliani con una bella introduzione di Mario Martini, non e' un semplice epistolario ma la testimonianza di un affascinante percorso interiore che accomuna, sia pur con evidenti ed ovvie diversita' di carattere, due amici legati da singolare passione civile e da un rigoroso laicismo di fondo. Nella fitta corrispondenza, che ricopre un arco temporale quasi quarantennale, si ritrovano i motivi ispiratori del pensiero del filosofo perugino: la religiosita', dichiaratamente anticoncordataria, come libera aggiunta e apertura interiore in contrasto con il confessionalismo e le modalita' coercitive delle gerarchie ecclesiastiche ("bisogna rompere con l'istituzione religiosa tradizionale e tutto cio' che essa da' (...) Sara' uno stimolo a creare, ricreare, rinnovare", ribadisce Capitini in una missiva del 23 luglio 1959), la collaborazione di tutti, morti inclusi, alla creazione di una nuova, corale, socialita' ("la compresenza di tutti gli esseri nati e quindi passati per la concretezza del mondo", 4 novembre 1962), il dolore come occasione privilegiata per accedere alla consapevolezza della finitezza ("mi pare che il raccoglimento religioso cominci proprio con il dolore e la rinuncia a voler avere tutto cio' che hanno gli altri", 14 novembre 1955) e stimolo a trasformare una realta' inaccettabile ("mi piace non l'adesione, ma il lavorio, l'aggiunta", 14 agosto 1955), la nonviolenza come tensione intima e profonda (non mancano i riferimenti all'azione svolta in Sicilia da Danilo Dolci), la politica come ambito per verificare ardite idealita' e incidere nella costruzione del presente ("Io non sono per l'utopismo, ma per la incisivita' del valore nella realta', e capacita' di cambiarla nei suoi modi e categorie", 8 dicembre 1951), il rifiuto del dato convenzionale, il liberalsocialismo. Da parte sua, Binni, storico e critico della letteratura, si sfoga contro le consorterie, gli intrallazzi, le mediocrita' dominanti nel mondo accademico e nella vita di una citta' di provincia come Perugia ("sempre piu' e' per me una citta' di fantasia e di paesaggio interiore: la gente mi interessa sempre meno", annota il 28 luglio 1949), le doppiezze e incomprensioni incontrate nel corso del suo mandato parlamentare (fu deputato all'Assemblea Costituente) e della lunga militanza socialista (nell'estate del 1956 promosse un Movimento dei "socialisti senza tessera", e nel 1959 si iscrisse al Psi, partito in cui rimase fino al definitivo abbandono nel 1968). C'e' sempre estrema franchezza tra i due. In una lettera inviata a Capitini alla fine del marzo 1957, Binni confessa: "io la tua fede non riesco a viverla realmente e il momento tragico-elegiaco e' sempre piu' forte di quello epico-rasserenatore". E, ancora: "non riesco bene a distinguere il senso alto, purificatore della morte dal peso fra cupo e struggente delle perdite e della richiesta disperata di un volto, di una parola che nella memoria (maledetta forza del tempo) vanno perdendo sicurezza" (6 o 7 novembre 1957). * L'anticlericalismo, inteso come rifiuto delle ipocrisie e delle superstizioni su cui fa leva la casta sacerdotale per esercitare e consolidare il proprio potere, e' un po' una costante: "ho letto il tuo articolo sulla religione del papa e l'ho trovato sinceramente efficacissimo. Penso che dovrebbe essere diffuso proprio tra i cattolici di buona fede e penso percio' che i preti o taceranno per impedirne la notorieta' o cercheranno tutti i modi per denigrarti" (27 luglio 1957). Il 24 luglio 1959 rimarca: "io poi per istinto rifiuto ogni mediazione sacerdotale ad ogni effetto". Capitini, da parte sua, nel riferire all'amico sulla riuscita di un affollatissimo convegno su Stato e Chiesa organizzato a Roma, il 6-7 aprile 1957, dal "Mondo" di Pannunzio, ravvisa un risveglio antivaticanesco e lo giudica positivamente. Condanna le norme concordatarie sull'insegnamento della religione nell'istruzione pubblica e definisce i preti come rovina dell'Italia da sette secoli (8 luglio 1960) aggiungendo che in mancanza di una Chiesa di Cristo svolto secondo lo spirito, sarebbe da sperare che gli italiani fossero a sinistra e nonviolenti (ibidem)... * Il 1968 e' l'anno cruciale per il filosofo della compresenza, tormentato da un eccessivo rigonfiamento della cistifellea. Si fa strada in lui il presagio, rivelatosi purtroppo veritiero, dell'approssimarsi della fine. Il 7 ottobre entra in sala operatoria ("si tratta di vedere quanto e come reggera' questo strumento che porto con me da piu' di sessantotto anni", annota poco prima dell'intervento). Binni e la moglie Elena riceveranno qualche giorno dopo un bigliettino: "Carissimi, Aldo". L'indirizzo dei destinatari, come quello del mittente, e' scritto da un'altra mano come pure l'annotazione: "il 19 ottobre alle ore 23,30...". In un appunto inedito Binni dira': "Non posso rivedere quella cartolina con le due sole parole senza provare un impulso di pianto". 4. FRANCESCO PULLIA PRESENTA LE "LETTERE 1952-1968" TRA ALDO CAPITINI E DANILO DOLCI [Ringraziamo Francesco Pullia (per contatti: francesco.pullia at gmail.com) per averci messo a disposizione questa sua recensione dal titolo "La corrispondenza tra Aldo Capitini e Danilo Dolci, una lezione da meditare a fondo" apparsa su "Notizie Radicali" del 30 settembre 2008] Il fitto carteggio tra Aldo Capitini (1899-1968) e Danilo Dolci (1924-1997), appena pubblicato dall'editore Carocci in un bel volume curato da Giuseppe Barone e Sandro Mazzi, e' di grande utilita' per comprendere come e quanto l'elaborazione della proposta nonviolenta in Italia sia maturata in un ambito filosofico, politico, religioso del tutto alternativo, e per questo contrastato, a quello dei due confessionalismi dominanti, vale a dire il clericofascista e il cattocomunista. Gli stati d'animo riscontrabili nella corrispondenza, che va dall'ottobre 1952 (il 14 ottobre di quell'anno Dolci aveva attuato il primo di una lunga serie di digiuni) fino al 24 settembre 1968, pochi giorni prima, quindi, della scomparsa del pensatore perugino per i postumi di un'operazione alla cistifellea (19 ottobre), lo attestano in modo inconfutabile. L'entusiasmo e la passione con cui prende forma, si articola, si evolve e si approfondisce la tematica nonviolenta si accompagnano, infatti, spesso allo sconforto procurato dall'imbattersi costantemente in un muro di ostilita', diffidenza, ostracismo. Se in Dolci c'e' l'amarezza per le palesi connivenze tra mafia, partiti, magistratura, vertici ecclesiastici (nel 1964 il cardinale di Palermo lo addita, insieme a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'autore del Gattopardo, nientemeno che come responsabile di una campagna denigratoria contro la Sicilia; il giudice del Tribunale di Roma non solo non tiene conto delle sue documentate denunce nei confronti di due parlamentari siciliani, di cui uno e' sottosegretario alla sanita', ma, anzi, finira' per condannarlo insieme all'amico Franco Alasia; la Commissione antimafia e' restia ad acquisire le sue testimonianze su provate collusioni tra politici e malavitosi), in Capitini traspare l'avvilimento per le difficolta' editoriali continuamente incontrate. "Tieni conto", scrive il filosofo a Dolci nel giugno 1966, "che il mio libro sul Concilio e' uscito proprio quando comunisti, socialisti, laici, cattolici, fanno riverenze al Vaticano e cosi' c'e' una dura congiura del silenzio" e lo informa che gli e' stata bloccata la pubblicazione di un testo. Ancora, nel giugno 1967: "Feltrinelli non mi fa sapere perche' non diffonde il mio libro (Le tecniche della nonviolenza, - ndr), un modo di agire alquanto arbitrario contro cui non posso far nulla". Nel nostro paese, come sconsolatamente constata nel giugno 1959, "la piu' pronta sollecitudine e' quella di colpire, in vari modi, chi tenta di liberarlo dall'arretratezza, dallo sfruttamento, dall'inettitudine, dalla superstizione". Dolci porta avanti il proprio lavoro maieutico a Partinico, promuove instancabilmente azioni sociali, in seguito alle quali viene arrestato e processato, come nel celebre caso dello sciopero alla rovescia della trazzera, da' vita a manifestazioni e marce, come quella di duecento chilometri per la Sicilia occidentale e un mondo nuovo, da Partanna a Palermo, svoltasi dal 5 al 12 marzo 1967, viaggia molto, si reca in India, in America, nel nord Europa, e' insignito nel 1958 del Premio Lenin per la pace ("dovresti ben dire", gli raccomanda a questo proposito Capitini, "quale e' il tuo pensiero circa il regime politico russo e occidentale o, perlomeno, affermare che il tuo metodo ha sempre escluso la violenza, compresa quella rivoluzionaria. Sta' attento a non fare la minima concessione a parti politiche. Riafferma che sei indipendente. La tua opera e' di condurre i rivoluzionari, nell'evoluzione attuale della opposizione nel mondo, a riconoscere il valore del metodo nonviolento") e, a partire dal 1965, candidato, purtroppo senza successo, al Nobel. * Nativo di Sesana (Trieste), ha gia' scelto come propria dimora Trappeto dopo che in quel borgo di pescatori, a meta' strada tra Palermo e Trapani, un bambino, Benedetto Barretta, era morto letteralmente di fame. E' interessante, a questo proposito, il racconto della vicenda fatto da lui stesso a Massimiliano Tarozzi per la rivista "DuemilaUno" (anno X, n. 49, marzo-aprile 1995): "Quando nel 1952 a Trappeto mori' un bambino di fame feci il mio primo digiuno. Avevo visto che la percentuale dei bambini che morivano per fame era molto alta (8,7%), non si poteva piu' continuare a inseguire i moribondi, bisognava intervenire. Quando ho visto le condizioni disperate di questo bambino sono corso alla farmacia di Balestratte per cercare del latte da portargli, ma e' stato inutile. E' morto proprio davanti a me. Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo una vaga intuizione, ma non la certezza, che nella zona le cose potessero cambiare. Mi ero messo d'accordo con dei pescatori e con degli agricoltori (uno si chiamava Paolino, un altro Toni) che se io fossi morto, sarebbero andati avanti loro. Molta gente veniva dove stavo io, piangeva e mi chiedeva perche' lo facessi. C'era ad esempio una vecchia che piangeva. Le ho detto: 'Non piangere, quando si semina il frumento bisogna essere contenti', e lei sorrideva piangendo. Perche' la gente sa cosa e' la fame, soprattutto quei siciliani lo sapevano. Io non avevo ancora l'idea che quello potesse essere un lievito per muovere la gente. Avevo iniziato a digiunare perche' avrei avuto schifo di me a continuare a mangiare tranquillo intanto che gli altri morivano. E invece in quell'occasione mi sono accorto della forza di questo mezzo, che poi ho valorizzato con una coscienza diversa. Imparai che, a certe condizioni, il digiuno poteva diventare una forza. Un mio amico e collaboratore, Franco Alasia, quando ha saputo della nostra lotta e' venuto giu' subito da Sesto S. Giovanni, e ha cominciato a fare la spola con la Regione Sicilia. Le autorita' avevano paura che di uno scandalo. Ero gia' abbastanza noto perche' quando arrivai in Sicilia a 28 anni, avevo gia' pubblicato poesie su diverse antologie nazionali (avevo cominciato a scriverle tra i 16 e i 18 anni) e alcuni mi conoscevano anche dall'universita' di Milano. Se fossi stato un pescatore forse mi avrebbero lasciato morire. Invece venne un Monsignore da parte del presidente della Regione e si impegno' formalmente a realizzare quello che chiedevamo e cioe' togliere la popolazione dall'estrema necessita' in cui viveva attraverso lavori pubblici come portare l'acqua potabile e fare fognature e strade. Allora ho fatto una riunione con gli altri pescatori con cui avevamo organizzato l'iniziativa e abbiamo detto: 'Fidiamoci, si fa sempre in tempo a ricominciare'. L'hanno fatto. In tre mesi Trappeto e' stato l'unico Comune della zona che ha avuto tutte le strade. E' stato un grande shock. Prima della fine della settimana di digiuno mi arrivo' la prima lettera di Aldo Capitini. Io gli ho risposto e abbiamo iniziato un fitto rapporto epistolare". * Capitini, dal canto suo, si dedica attivamente ai Centri di orientamento sociale, C.O.S., e a quelli di orientamento religioso, C.O.R., da lui concepiti e avviati come strumenti di democrazia di base, organizza incontri e convegni sulla nonviolenza, legge molto, studia, fa per diverso tempo la spola con l'universita' di Cagliari dove, prima di riuscire ad essere trasferito, per motivi di salute, a Perugia, ha una docenza. Non lesina mai suggerimenti, anche bibliografici, all'amico e insiste sulla necessita' di fornire un'aggiunta religiosa, in senso anticonfessionale, mazziniano, gandhiano, all'impegno per la creazione di una societa' aperta. In Attraverso due terzi del secolo (in "La Cultura", anno VI, n. 6, 1968) cosi' rievoca il suo "incontro" con Danilo Dolci: "Sapevo di lui e gli scrissi quando egli fece il suo primo digiuno a Trappeto per la morte di una bambina di stenti (in realta' si trattava di un bambino - ndr). Gli dissi che non aveva il diritto di morire prima che egli avesse informato sufficientemente noi tutti della situazione e lo pregai percio' di sospendere il digiuno". Tra i due si instaura subito un'intesa profonda e, piu' di una volta, Dolci mostra sincera riconoscenza per i consigli e gli stimoli che l'amico gli ha dato: "Il tuo libro", confessa, riferendosi a Religione aperta, in una lettera del primo settembre 1955, "e' tanto sostanzioso che preferisco leggerlo lentamente, mi e' sempre illuminante e nutriente". E ancora: "L'incontro con te e con Gandhi attraverso di te ('53-'54) mi e' stato fondamentale, anche se capisco come Gandhi molto debba essere integrato da quanto di meglio il socialismo propone, e la tecnica e la scienza" (16 dicembre 1955). In una lettera del 23 dicembre 1955 sempre Dolci rende noti, tra l'altro, alcuni particolari sulla vicenda della trazzera: "Lo 'sciopero alla rovescia' dell'altro giorno e' stato interrotto da 28 poliziotti (di cui 2 marescialli). Il Commissario di pubblica sicurezza, bestemmiando, minacciando di buttarci tutti in galera, perche' 'si commetteva un reato a toccar la strada', ha convenuto, per riuscire ad interrompere il lavoro, che s'impegnera' a far aprire lavori subito (...) La cosa piu' notevole e' stata che gli operai al Commissario infuriato, insistevano: 'Basta mitra: vogliamo lavoro'. E la gente comincia a ripeterlo e a capirlo. Non avevo che il telefono in camera: erano tagliati i fili. Ma ora siamo riusciti a pagare. Mi e' arrivata ieri sera una lettera che mi ha commosso profondamente. Un mio amico mi scrive che Vittorini, quando gli e' morto il figlio, prima di mettersi piu' a disposizione della famiglia come era necessario in un momento simile, gli aveva dato per noi un assegno di centomila lire". * Entrambi, sia Dolci che Capitini, hanno una spiccata sensibilita' lirica che emerge continuamente sin dallo stesso modo di accostarsi ai problemi. Capitini nel 1937, insieme a Guido Calogero (1904-1986), conosciuto alla Normale di Pisa, aveva lanciato il manifesto del liberalsocialismo ("due rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo e percio' non la riluttanza ai due termini, ma anzi l'orgoglio di dirsi socialisti e liberali, con tutta la suggestione morale che questi due termini portano" - Nuova socialita' e riforma religiosa, Einaudi, Torino, 1950, p. 92) e Dolci, ventun anni dopo, ravvisa nella concezione del dialogo di Calogero una sorta di interpretazione ristretta ben diversa dall'apertura, centrale, invece, nel pensiero del perugino: "non procede", infatti, "dal fondo, costruendo con la coscienza e l'intelligenza, scavando: riproponendosi tutto da capo, ma considera il procedere uno scegliere tra i tanti (o pochi) binari gia' esistenti; ha alcuni modelli in mente, secondo cui uno dovrebbe adeguarsi. Piu' che scoprire, la sua azione tende a giustificare la politica, una certa politica". Si sa, tuttavia, che, nonostante qualche divergenza, Dolci ebbe da Calogero un grande sostegno alla sua azione educatrice: "I consigli che mi ha dato sono, in fondo, ottimi. Si possono riassumere cosi': chiarificare, non rimanere uno 'scelto', non lasciarsi risucchiare. Naturalmente" (27 gennaio 1958). * Nel carteggio si riscontrano i temi che hanno caratterizzato la riflessione capitiniana, dal superamento della sovranita' nazionale assoluta, con lo "sviluppo di strutture democratiche autonome e intercomunicanti in ogni parte del mondo", alla nonviolenza come rivoluzione corale, "amore per i singoli tu", alla forte polemica nei confronti del Vaticano latore di una religione che non si fonda "sulla compresenza di tutti e sulla vita pienamente solidale di tutti", "divide l'umanita' in credenti e non credenti, in salvati e dannati", si prefigge di "lasciare le cose come sono": "Bisognerebbe anche dire che e' una cosa seria, drammatica, la presenza della Chiesa cattolica in Italia! Ma non credo che siano molti a voler fare questa battaglia" (22 dicembre 1967). L'alternativa al cattolicesimo papista e alla simonia e' data dalla nonviolenza gandhiana "che e' amore all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo di tutti". E ancora: "Nel Duecento e nel Trecento, l'Umbria era piena di estremisti francescani che mangiavano il pane con qualche oliva ma crearono le premesse della filosofia moderna dell'individuo (da Ockham a Leibniz) e le premesse del nostro lavoro social-religioso, appunto perche' anti-autoritario"(22 agosto 1962). Il 29 marzo 1964 Capitini scrive a Dolci: "ho letto le disgraziate parole del cardinale franchista (si riferisce al cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, che non aveva fatto mistero delle sue simpatie per il dittatore spagnolo Franco e che si era scagliato, in una lettera 'pastorale' contro l'azione nonviolenta di Dolci - ndr) che scusano la mafia (la mafia - aveva detto il cardinale - non era niente di particolarmente grave, era la stessa specie di criminalita' che si poteva trovare ovunque, in Italia e nel mondo - ndr) e accusano te, in nome del 'clero' che lui capeggia. E' come una via libera alla mafia e al governo per colpirti. Negli stessi giorni (venerdi') il Papa (Paolo VI - ndr) ha detto che Cristo e' crocifisso nella cosiddetta 'Chiesa del silenzio', cioe' dove i cattolici trovano impedimenti, come se Cristo non sia crocifisso dove un qualsiasi essere umano e' offeso nell'esistenza, nella liberta', nella giustizia, come per es. in Spagna dai governanti cattolici contro i quali nulla dice". Illuminante, poi, quanto si legge nella lettera inviata da Tabiano il 25 agosto 1964: "l'idea del santo come consacrato a Dio, come separato, come destino superiore, come potere speciale in mezzo agli altri, mi pare che sia religiosamente da cancellare. E forse Cristo stesso la superava dicendo che il primato sta nel farsi umili, ultimi, nel servire gli altri, preparando cosi' un'idea del santo come centro di apertura e dedizione. Una cosa molto estranea a quella venuta dopo, di carattere istituzionale, per cui e' un'istituzione che proclama i santi! Per esempio, coloro che giovarono all'istituzione stessa come il cardinale Bellarmino, perche' lotto' contro i riformatori, e Pio X, perche' stermino' il modernismo! E' sempre l'atteggiamento della Chiesa romana di prender lei il posto della storia aperta, sostituendole il suo autoritarismo. Al vedere tanto errore religioso, vien voglia di dire che nessuno conosce il 'santo', e nemmeno lui lo sa, ma che ci sono i 'santi ignoti' (...) Cosi', non solo sembra assurdo condizionare la santita' alla 'fede buona' o verita', come dice la Chiesa romana, per cui la santita' diventa un fatto interno, di partito, ma anche risulta inutilizzabile il fatto di 'miracoli' compiuti dal santo, perche' veramente oggi il fatto taumaturgico non ha piu' il prestigio di una volta e bisogna ritrovarsi molto rozzi per dire: 'Lui fa miracoli, dunque tutto cio' che dice e' vero'. Che cosa resta? (...) l'apertura costante agli altri, alla loro esistenza, liberta', sviluppo (che e' la definizione della nonviolenza), con una bonta' che non torna mai indietro, che ripete se' settanta volte sette, e' probabilmente cio' che resta eliminando l'istituzionalismo e il miracolismo. Si puo' dire che sia giusta l'espressione di 'virtu' al grado eroico' perche', nel mondo com'e', quella intensificazione porta spesso sacrificio, lotta, morte propria. Ma bisogna nello stesso tempo affermare che nessuno puo' accertare con esattezza di misure ne' per se' ne' per gli altri questo 'grado eroico'. E chi si pone come 'centro' di fede e di lavoro, da solo o con gli altri in un gruppo, sa bene che lo fa non per indicare la propria eventuale santita', ma quella degli altri e forse di tutti, invitando a non escluderne mai la realta' o la possibilita' (...) Lo schema di virtu' che tu proponi e' buono in quanto razionalita' aperta, attiva e stimolante, attenta ai singoli, al loro sviluppo nel concreto dei loro limiti e delle difficolta' da vincere a una a una. E' una posizione di umanesimo aperto che congeda la vecchia idea del santo legata ad un sacro di chiusura (istituzionale, legalistico). E' una necessaria posizione per congedare lo stesso termine di santo. Si vedra' poi se risorgera' in modo rilevante, connesso a un sacro di apertura. Per ora io uso, dal 1936 e da prima, i termini persuaso e apertura, profondamente persuaso e intensamente aperto; forse qualcuno dira' 'santita' aperta'". * Non si puo', infine, tacitare, in questa corrispondenza, una profonda delusione per i partiti, per la loro chiusura: "Einaudi ti ha mandato, a suo tempo, Verso un mondo nuovo?" chiede Dolci a Capitini e aggiunge: "Ne uscira' tra poco una edizione nuova ma ho notato difficolta' anche per le sinistre ad impostare un discorso per la pianificazione in cui c'entri l'obiezione di coscienza". E, parlando dell'organizzazione della marcia per il Vietnam (4-29 novembre 1967) da Milano e Napoli a Roma, esprime senza mezzi termini le sue preoccupazioni: "Non affidiamo l'iniziativa ai dirigenti giovanili politici (...) perche' ci siamo accorti che spesso fanno della piccola burocrazia-politicheria, ad imitazione dei piu' grandi". Capitini, da parte sua, qualche settimana prima di congedarsi da questo mondo, scrive non senza amarezza e un briciolo di rassegnazione: "sono rientrato nella clinica di patologia chirurgica per fare l'operazione di asportazione della cistifellea (...) I giovani del convegno a cui non ho potuto partecipare per via della malattia non hanno considerato molto la mia proposta di presentarci alle elezioni regionali con una lista di 'rivoluzione nonviolenta per la democrazia diretta' non tanto per essere eletti, quanto per far conoscere la nostra posizione". ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 243 del 14 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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