Voci e volti della nonviolenza. 243



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 243 del 14 ottobre 2008

In questo numero:
1. Verso il quarantesimo anniversario della scomparsa di Aldo Capitini
2. Massimiliano Fortuna: Un profilo di Aldo Capitini
3. Francesco Pullia presenta le "Lettere 1931-1968" tra Aldo Capitini e
Walter Binni
4. Francesco Pullia presenta le "Lettere 1952-1968" tra Aldo Capitini e
Danilo Dolci

1. VERSO IL QUARANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI ALDO CAPITINI
[Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura
di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente
e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo
Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo
Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza
di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a
Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro
di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini
sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org]

Ricorre il 19 ottobre 2008 il quarantesimo anniversario della scomparsa di
Aldo Capitini.
"Azione nonviolenta", la rivista da Capitini fondata, ha dedicato al tema il
suo fascicolo di ottobre.
Altre iniziative ancora sarebbe opportuno che per l'occasione venissero
promosse.

2. MASSIMILIANO FORTUNA: UN PROFILO DI ALDO CAPITINI
[Attraverso Nanni Salio (per contatti: nanni at serenoregis.org) riceviamo il
seguente testo di Massimiliano Fortuna, collaboratore del Centro studi
"Sereno Regis" di Torino]

Aldo Capitini, del quale ricorre in questi giorni il quarantesimo
anniversario della morte (Perugia, 23 dicembre 1899 - 19 ottobre 1968), non
e' semplicemente una figura di rilievo della nonviolenza italiana, a lui si
deve infatti il contributo determinante per l'introduzione stessa in Italia
del pensiero nonviolento e delle sue tecniche e modi di attuazione, oltre
che della riflessione sulla rilevanza dell'eredita' gandhiana. Persino la
parola nonviolenza e' di conio capitiniano (per primo la scrisse infatti
senza stacchi, allo scopo di non connotarla come un concetto soltanto
negativo). Eppure, anche se gratificato da una cerchia di ammiratori
piuttosto solida e duratura nel tempo, continua in linea di massima a essere
autore poco letto e poco conosciuto, i suoi libri relegati al margine
dell'interesse accademico e editoriale. Nessun editore di rilievo ha finora
pensato di "riscoprirlo", i suoi testi sono stati riproposti soltanto da
editori piccoli, quando non piccolissimi, circolati in semiclandestinita'
(1).
Mario Martini, che di Capitini e' studioso devoto e scrupoloso,
nell'introdurre una recente antologia di scritti capitiniani da lui curata
esordisce cosi': "Come massimo teorizzatore ed attuatore della nonviolenza
in Italia, ma forse anche in ambito europeo, Aldo Capitini ne ha pensato e
messo in pratica piu' di tanti altri i principi e i metodi" (2). Queste
righe offrono senza dubbio una chiave di comprensione fondamentale - non
l'unica certamente - per cominciare a addentrarsi nella nonviolenza
capitiniana: essa rimanda infatti a una dimensione nella quale teoria e
pratica sono strettamente, inscindibilmente congiunte. Seguendo il percorso
intellettuale di Capitini e' inevitabile assistere al prendere corpo e forma
di questa teoria: dalla prima formulazione negli Elementi di un'esperienza
religiosa, suo testo d'esordio (1937) (3), sino al progressivo arricchirsi
del discorso filosofico e religioso, consolidatosi in un'elaborazione via
via piu' compiuta. Altrettanto inevitabilmente pero' un'occhiata, anche
sbrigativa, alle sue pagine autobiografiche rivela immediatamente che questo
teorizzare affonda le proprie radici in un'urgenza pratica, nella necessita'
del fare, del coinvolgimento in prima persona. Instancabile e assidua e'
l'attivita' che Capitini affianca allo studio, quasi prodigioso il fiorire
di iniziative dovuto a un uomo dalla salute precaria come la sua.
L'attenzione alle vicende politiche nazionali e internazionali si riverbera
in un'analisi quasi quotidiana; Capitini non ha mai aderito esplicitamente a
un partito eppure, o forse precisamente per questo, la sua biografia e'
impastata di agire politico: dalla lotta contro il fascismo alla
costituzione del Centro di orientamento sociale (C.O.S.) di Perugia, nel
quale cercava di coinvolgere il maggior numero possibile di persone per
discutere ad ampio raggio di qualunque problema amministrativo e sociale
inerente alla comunita', nel tentativo di dar concretezza all'ideale
regolativo dell'omnicrazia, del potere di tutti. Del resto il risvolto
prioritario della sua lotta nonviolenta e' eminentemente etico-politico,
animato da un continuo testa a testa contro l'oppressione dell'uomo e la
riduzione della sua voce addolorata a trascurabile rumore di sottofondo.
Decisivo e' anche il coinvolgimento di Capitini nell'ambito educativo,
incluso quello strettamente scolastico - egli stesso e' stato pedagogista e
docente universitario di pedagogia (4). Consequenziale all'educazione alla
nonviolenza e' infatti la promozione di effettive azioni di resistenza
nonviolenta, fra tutte occupa forse un posto privilegiato l'obiezione di
coscienza. L'appoggio dato a Pietro Pinna, l'obiettore di coscienza italiano
per antonomasia, e in seguito suo importante collaboratore, divenne anche
l'occasione per teorizzare piu' compiutamente il ruolo dell'obiezione,
ulteriore conferma dell'indissolubilita' dell'intreccio fra prassi e teoria.
Ne' si puo' evitare di menzionare la Marcia della pace Perugia-Assisi, quasi
un compendio simbolico del suo impegno e della sua ricerca, perche' basata,
come l'attivita' dei C.O.S., sul coinvolgimento dal basso del piu' alto
numero possibile di persone, perche' esempio riuscito di lotta attiva non
riducibile a semplice resistenza passiva e, infine, perche' riflette il
posto centrale che nell'universo capitiniano occupa la dimensione
dell'incontro. Corposa novita' per il panorama italiano, la Marcia
s'inseriva peraltro in una tradizione di marce nonviolente che risale sino a
Gandhi.
Questa concezione nonviolenta corrisponde dunque a una visione del mondo che
tenta di delinearsi filosoficamente, o se si preferisce di giustificarsi
razionalmente, in assidua simbiosi con una sperimentazione pratica protesa a
risolvere i conflitti in forme incruente. Anche a Capitini si attagliano
perfettamente le parole del titolo dell'autobiografia di Gandhi, Storia dei
miei esperimenti con la verita', la sua nonviolenza non va intesa percio'
come un principio statico, e nemmeno come un valore, perlomeno un valore in
cui rispecchiarsi oggettivamente, ma e' un atto di incessante riformulazione
e correzione, nel quale il piano etico e quello conoscitivo si implicano e
si alimentano vicendevolmente, sostenuti entrambi dalla necessita' della
testimonianza continua quale mezzo di analisi e comprensione del proprio
agire. Si eviti quindi l'errore di ridurre la nonviolenza a un semplice
metodo di lotta, a una tecnica d'azione: e' anche questo naturalmente
(Capitini scrive un libro pionieristico su Le tecniche della nonviolenza),
ma far risaltare questo aspetto a discapito dell'insieme significa perdere
di vista la complessa costruzione filosofica capitiniana e la ricchezza
dello sfondo esistenziale di cui la lotta nonviolenta non costituisce che
una parte.
Analogamente a quel che accade in Gandhi, in Capitini la dimensione
religiosa riveste un ruolo centrale, per rendersene conto puo' essere
sufficiente dare un semplice sguardo ai titoli dei suoi libri e notare
quante volte compaia in essi un riferimento alla religione. In una pagina di
Aggiunta religiosa all'opposizione leggiamo che "la vita religiosa e'
essenzialmente unita' amore verso tutti, ed apertura a una realta' liberata
dai limiti del male e della morte, realta' liberata di cui facciamo parte
tutti, di qualsiasi condizione, vivi e morti" (5). Una tensione escatologica
bruciante anima le pagine di Capitini e affiora di continuo in esse, la
realta' liberata che si prospetta nella sua opera e' una realta' che si
proietta in un tempo non solo umano e in uno spazio non soltanto
politico-sociale, ma in una redenzione che coinvolge l'intero universo. La
salvezza a cui Capitini non cessa di guardare non e' percio' limitata alla
sola vita umana, ma profondamente legata alla convinzione che si dia una
compresenza che accomuna tutti gli esseri in una dimensione ulteriore
rispetto alla semplice esistenza visibile. Anche in forza di questa
convinzione Capitini sposa pienamente la scelta del vegetarianesimo. Pietro
Pinna si e' domandato se questa persuasione "sconcertante" e "paradossale"
si leghi inevitabilmente all'esercizio della nonviolenza, se cioe' l'agire
nonviolento possa conservare del tutto la sua efficacia a prescindere da una
simile prospettiva escatologica (6). E' certo questo un punto di discussione
aperto, la cui risposta va in ultima analisi lasciata alle diverse
sensibilita' individuali, altrettanto certo e' pero' il dovere di non
sorvolare rapidamente su questa opzione spirituale, se si vuole intendere
Capitini nella sua interezza. Un'interezza che forse e' causa primaria della
sua difficile assimilazione culturale, nella misura in cui egli si muove con
medesima disinvoltura tanto sul terreno laico quanto su quello profetico, sa
parlare con la stessa passione di riforma scolastica e, magari poche righe
dopo, di tramutazione strutturale dell'universo. Insomma, proiettata su
questo sentiero sdrucciolevole della teoria-pratica la sua opera corre il
rischio di apparire eccessivamente teorica agli uomini pratici e,
specularmente, pervasa da una troppo accentuata vocazione all'impegno
concreto per i teorici.
E' dunque lecito porsi, con giusto pessimismo, il problema dell'eredita'
capitiniana. Eredita' a maggior ragione difficoltosa, se si considera in
fondo che per Capitini l'avversario piu' insidioso non e' il suo opposto
simmetrico - il bellicista, il guerrafondaio -, ma la sua caricatura: il
pacifista. Il pacifismo ideologico, semplicistico, confezionato in pochi
frasi fatte, che si limita a proiettare il male all'esterno di se' e' il
nemico naturale della nonviolenza capitiniana, meditata e quotidianamente
sofferta. Sembra allora inevitabile domandarsi se a Capitini sara' dato
avere un'eredita' degna di questo nome, se per paradosso a minarla non possa
essere la sua stessa ricchezza intellettuale, oppure se la sua figura corra
ad esempio il rischio, gia' in un caso fra i meno penalizzanti, di venire
ridotta a un esempio di alto spessore morale e null'altro. Puo' darsi che
questa eredita' abbia la possibilita' di venire tramandata in modo
significativo solo se si rinuncia a qualcosa della pienezza originaria, solo
se amputata e magari contaminata con altro. Domande che possono ricevere
risposte differenti, ma che non e' possibile eludere se si vuole affrontare
un discorso su Capitini oggi e sulla sua auspicabile rilevanza per il tempo
presente e futuro.
*
Note
1. Si possono ricordare le edizioni di Vita religiosa, Cappelli, Bologna
1985; di Elementi di un esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; di Il
potere di tutti, Guerra, Perugia 1999; e poi l'importante, ma purtroppo
scarsamente diffusa, pubblicazione degli Scritti sulla nonviolenza, a cura
di Luisa Schippa, Protagon, Perugia 1992 e degli Scritti filosofici e
religiosi, a cura di Mario Martini, Protagon, Perugia 1994. Una nota lieta
e' data dall'avvio di una collaborazione tra la Fondazione Centro Studi Aldo
Capitini e un editore di media grandezza come Carocci in vista della
pubblicazione dell'intero epistolario capitiniano; al momento due sono i
volumi usciti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma
2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008.
Su supporto non cartaceo si segnalano il cd Incontro con Aldo Capitini,
curato dall'Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini (Perugia 2000), e
i siti internet www.aldocapitini.it e www.cosinrete.it.
2. Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, a cura di Mario Martini,
Ets, Pisa 2004, p. 9. Non si devono dimenticare due precedenti antologie: Il
messaggio di Aldo Capitini, a cura di Giovanni Cacioppo, Lacaita, Manduria
1977 e Opposizione e liberazione, a cura di Piergiorgio Giacche', Linea
d'ombra, Milano 1991 (poi L'ancora del mediterraneo, Napoli 2003).
3. Se si eccettuano una recensione e alcune pagine di versi apparse prima
del 1937.
4. Studi recenti sui risvolti pedagogici del pensiero di Capitini sono:
Caterina Foppa Pedretti, Spirito profetico ed educazione in Aldo Capitini.
Prospettive filosofiche, religiose e pedagogiche del post-umanesimo e della
compresenza, Vita e Pensiero, Milano 2005; Massimo Pomi, Al servizio
dell'impossibile: un profilo pedagogico di Aldo Capitini, La Nuova Italia,
Milano 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della
nonviolenza di Aldo Capitini, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2007.
5. Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, cit., p. 128.
6. Cfr. Il messaggio di Aldo Capitini, cit., p. 211 e sg.

3. FRANCESCO PULLIA PRESENTA LE "LETTERE 1931-1968" TRA ALDO CAPITINI E
WALTER BINNI
[Ringraziamo Francesco Pullia (per contatti: francesco.pullia at gmail.com) per
averci messo a disposizione questa sua recensione dal titolo "Il carteggio
Capitini-Binni. Quarant'anni di grande tensione morale" apparsa su "Notizie
Radicali" del 15 maggio 2008]

"Per noi la nonviolenza e' intrinseca a tutta la visione della realta' e
dell'avvenire e fa tutt'uno con essa". Cosi' Aldo Capitini (Perugia,
1899-1968) scriveva all'amico Walter Binni (Perugia, 1913 - Roma, 1997) in
una lettera datata 8 luglio 1966 e contenuta nell'intenso carteggio tra i
due intellettuali umbri pubblicato di recente dall'editore Carocci per conto
della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini.
Intitolato Lettere 1931-1968, e curato da Lanfranco Binni e Lorella Giuliani
con una bella introduzione di Mario Martini, non e' un semplice epistolario
ma la testimonianza di un affascinante percorso interiore che accomuna, sia
pur con evidenti ed ovvie diversita' di carattere, due amici legati da
singolare passione civile e da un rigoroso laicismo di fondo.
Nella fitta corrispondenza, che ricopre un arco temporale quasi
quarantennale, si ritrovano i motivi ispiratori del pensiero del filosofo
perugino: la religiosita', dichiaratamente anticoncordataria, come libera
aggiunta e apertura interiore in contrasto con il confessionalismo e le
modalita' coercitive delle gerarchie ecclesiastiche ("bisogna rompere con
l'istituzione religiosa tradizionale e tutto cio' che essa da' (...) Sara'
uno stimolo a creare, ricreare, rinnovare", ribadisce Capitini in una
missiva del 23 luglio 1959), la collaborazione di tutti, morti inclusi, alla
creazione di una nuova, corale, socialita' ("la compresenza di tutti gli
esseri nati e quindi passati per la concretezza del mondo", 4 novembre
1962), il dolore come occasione privilegiata per accedere alla
consapevolezza della finitezza ("mi pare che il raccoglimento religioso
cominci proprio con il dolore e la rinuncia a voler avere tutto cio' che
hanno gli altri", 14 novembre 1955) e stimolo a trasformare una realta'
inaccettabile ("mi piace non l'adesione, ma il lavorio, l'aggiunta", 14
agosto 1955), la nonviolenza come tensione intima e profonda (non mancano i
riferimenti all'azione svolta in Sicilia da Danilo Dolci), la politica come
ambito per verificare ardite idealita' e incidere nella costruzione del
presente ("Io non sono per l'utopismo, ma per la incisivita' del valore
nella realta', e capacita' di cambiarla nei suoi modi e categorie", 8
dicembre 1951), il rifiuto del dato convenzionale, il liberalsocialismo.
Da parte sua, Binni, storico e critico della letteratura, si sfoga contro le
consorterie, gli intrallazzi, le mediocrita' dominanti nel mondo accademico
e nella vita di una citta' di provincia come Perugia ("sempre piu' e' per me
una citta' di fantasia e di paesaggio interiore: la gente mi interessa
sempre meno", annota il 28 luglio 1949), le doppiezze e incomprensioni
incontrate nel corso del suo mandato parlamentare (fu deputato all'Assemblea
Costituente) e della lunga militanza socialista (nell'estate del 1956
promosse un Movimento dei "socialisti senza tessera", e nel 1959 si iscrisse
al Psi, partito in cui rimase fino al definitivo abbandono nel 1968).
C'e' sempre estrema franchezza tra i due.
In una lettera inviata a Capitini alla fine del marzo 1957, Binni confessa:
"io la tua fede non riesco a viverla realmente e il momento tragico-elegiaco
e' sempre piu' forte di quello epico-rasserenatore". E, ancora: "non riesco
bene a distinguere il senso alto, purificatore della morte dal peso fra cupo
e struggente delle perdite e della richiesta disperata di un volto, di una
parola che nella memoria (maledetta forza del tempo) vanno perdendo
sicurezza" (6 o 7 novembre 1957).
*
L'anticlericalismo, inteso come rifiuto delle ipocrisie e delle
superstizioni su cui fa leva la casta sacerdotale per esercitare e
consolidare il proprio potere, e' un po' una costante: "ho letto il tuo
articolo sulla religione del papa e l'ho trovato sinceramente efficacissimo.
Penso che dovrebbe essere diffuso proprio tra i cattolici di buona fede e
penso percio' che i preti o taceranno per impedirne la notorieta' o
cercheranno tutti i modi per denigrarti" (27 luglio 1957). Il 24 luglio 1959
rimarca: "io poi per istinto rifiuto ogni mediazione sacerdotale ad ogni
effetto".
Capitini, da parte sua, nel riferire all'amico sulla riuscita di un
affollatissimo convegno su Stato e Chiesa organizzato a Roma, il 6-7 aprile
1957, dal "Mondo" di Pannunzio, ravvisa un risveglio antivaticanesco e lo
giudica positivamente. Condanna le norme concordatarie sull'insegnamento
della religione nell'istruzione pubblica e definisce i preti come rovina
dell'Italia da sette secoli (8 luglio 1960) aggiungendo che in mancanza di
una Chiesa di Cristo svolto secondo lo spirito, sarebbe da sperare che gli
italiani fossero a sinistra e nonviolenti (ibidem)...
*
Il 1968 e' l'anno cruciale per il filosofo della compresenza, tormentato da
un eccessivo rigonfiamento della cistifellea. Si fa strada in lui il
presagio, rivelatosi purtroppo veritiero, dell'approssimarsi della fine. Il
7 ottobre entra in sala operatoria ("si tratta di vedere quanto e come
reggera' questo strumento che porto con me da piu' di sessantotto anni",
annota poco prima dell'intervento).
Binni e la moglie Elena riceveranno qualche giorno dopo un bigliettino:
"Carissimi, Aldo". L'indirizzo dei destinatari, come quello del mittente, e'
scritto da un'altra mano come pure l'annotazione: "il 19 ottobre alle ore
23,30...". In un appunto inedito Binni dira': "Non posso rivedere quella
cartolina con le due sole parole senza provare un impulso di pianto".

4. FRANCESCO PULLIA PRESENTA LE "LETTERE 1952-1968" TRA ALDO CAPITINI E
DANILO DOLCI
[Ringraziamo Francesco Pullia (per contatti: francesco.pullia at gmail.com) per
averci messo a disposizione questa sua recensione dal titolo "La
corrispondenza tra Aldo Capitini e Danilo Dolci, una lezione da meditare a
fondo" apparsa su "Notizie Radicali" del 30 settembre 2008]

Il fitto carteggio tra Aldo Capitini (1899-1968) e Danilo Dolci (1924-1997),
appena pubblicato dall'editore Carocci in un bel volume curato da Giuseppe
Barone e Sandro Mazzi, e' di grande utilita' per comprendere come e quanto
l'elaborazione della proposta nonviolenta in Italia sia maturata in un
ambito filosofico, politico, religioso del tutto alternativo, e per questo
contrastato, a quello dei due confessionalismi dominanti, vale a dire il
clericofascista e il cattocomunista.
Gli stati d'animo riscontrabili nella corrispondenza, che va dall'ottobre
1952 (il 14 ottobre di quell'anno Dolci aveva attuato il primo di una lunga
serie di digiuni) fino al 24 settembre 1968, pochi giorni prima, quindi,
della scomparsa del pensatore perugino per i postumi di un'operazione alla
cistifellea (19 ottobre), lo attestano in modo inconfutabile.
L'entusiasmo e la passione con cui prende forma, si articola, si evolve e si
approfondisce la tematica nonviolenta si accompagnano, infatti, spesso allo
sconforto procurato dall'imbattersi costantemente in un muro di ostilita',
diffidenza, ostracismo.
Se in Dolci c'e' l'amarezza per le palesi connivenze tra mafia, partiti,
magistratura, vertici ecclesiastici (nel 1964 il cardinale di Palermo lo
addita, insieme a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l'autore del Gattopardo,
nientemeno che come responsabile di una campagna denigratoria contro la
Sicilia; il giudice del Tribunale di Roma non solo non tiene conto delle sue
documentate denunce nei confronti di due parlamentari siciliani, di cui uno
e' sottosegretario alla sanita', ma, anzi, finira' per condannarlo insieme
all'amico Franco Alasia; la Commissione antimafia e' restia ad acquisire le
sue testimonianze su provate collusioni tra politici e malavitosi), in
Capitini traspare l'avvilimento per le difficolta' editoriali continuamente
incontrate.
"Tieni conto", scrive il filosofo a Dolci nel giugno 1966, "che il mio libro
sul Concilio e' uscito proprio quando comunisti, socialisti, laici,
cattolici, fanno riverenze al Vaticano e cosi' c'e' una dura congiura del
silenzio" e lo informa che gli e' stata bloccata la pubblicazione di un
testo. Ancora, nel giugno 1967: "Feltrinelli non mi fa sapere perche' non
diffonde il mio libro (Le tecniche della nonviolenza, - ndr), un modo di
agire alquanto arbitrario contro cui non posso far nulla".
Nel nostro paese, come sconsolatamente constata nel giugno 1959, "la piu'
pronta sollecitudine e' quella di colpire, in vari modi, chi tenta di
liberarlo dall'arretratezza, dallo sfruttamento, dall'inettitudine, dalla
superstizione".
Dolci porta avanti il proprio lavoro maieutico a Partinico, promuove
instancabilmente azioni sociali, in seguito alle quali viene arrestato e
processato, come nel celebre caso dello sciopero alla rovescia della
trazzera, da' vita a manifestazioni e marce, come quella di duecento
chilometri per la Sicilia occidentale e un mondo nuovo, da Partanna a
Palermo, svoltasi dal 5 al 12 marzo 1967, viaggia molto, si reca in India,
in America, nel nord Europa, e' insignito nel 1958 del Premio Lenin per la
pace ("dovresti ben dire", gli raccomanda a questo proposito Capitini,
"quale e' il tuo pensiero circa il regime politico russo e occidentale o,
perlomeno, affermare che il tuo metodo ha sempre escluso la violenza,
compresa quella rivoluzionaria. Sta' attento a non fare la minima
concessione a parti politiche. Riafferma che sei indipendente. La tua opera
e' di condurre i rivoluzionari, nell'evoluzione attuale della opposizione
nel mondo, a riconoscere il valore del metodo nonviolento") e, a partire dal
1965, candidato, purtroppo senza successo, al Nobel.
*
Nativo di Sesana (Trieste), ha gia' scelto come propria dimora Trappeto dopo
che in quel borgo di pescatori, a meta' strada tra Palermo e Trapani, un
bambino, Benedetto Barretta, era morto letteralmente di fame. E'
interessante, a questo proposito, il racconto della vicenda fatto da lui
stesso a Massimiliano Tarozzi per la rivista "DuemilaUno" (anno X, n. 49,
marzo-aprile 1995): "Quando nel 1952 a Trappeto mori' un bambino di fame
feci il mio primo digiuno. Avevo visto che la percentuale dei bambini che
morivano per fame era molto alta (8,7%), non si poteva piu' continuare a
inseguire i moribondi, bisognava intervenire. Quando ho visto le condizioni
disperate di questo bambino sono corso alla farmacia di Balestratte per
cercare del latte da portargli, ma e' stato inutile. E' morto proprio
davanti a me. Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento
preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che
esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le
strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo
una vaga intuizione, ma non la certezza, che nella zona le cose potessero
cambiare. Mi ero messo d'accordo con dei pescatori e con degli agricoltori
(uno si chiamava Paolino, un altro Toni) che se io fossi morto, sarebbero
andati avanti loro. Molta gente veniva dove stavo io, piangeva e mi chiedeva
perche' lo facessi. C'era ad esempio una vecchia che piangeva. Le ho detto:
'Non piangere, quando si semina il frumento bisogna essere contenti', e lei
sorrideva piangendo. Perche' la gente sa cosa e' la fame, soprattutto quei
siciliani lo sapevano. Io non avevo ancora l'idea che quello potesse essere
un lievito per muovere la gente. Avevo iniziato a digiunare perche' avrei
avuto schifo di me a continuare a mangiare tranquillo intanto che gli altri
morivano. E invece in quell'occasione mi sono accorto della forza di questo
mezzo, che poi ho valorizzato con una coscienza diversa. Imparai che, a
certe condizioni, il digiuno poteva diventare una forza. Un mio amico e
collaboratore, Franco Alasia, quando ha saputo della nostra lotta e' venuto
giu' subito da Sesto S. Giovanni, e ha cominciato a fare la spola con la
Regione Sicilia. Le autorita' avevano paura che di uno scandalo. Ero gia'
abbastanza noto perche' quando arrivai in Sicilia a 28 anni, avevo gia'
pubblicato poesie su diverse antologie nazionali (avevo cominciato a
scriverle tra i 16 e i 18 anni) e alcuni mi conoscevano anche
dall'universita' di Milano. Se fossi stato un pescatore forse mi avrebbero
lasciato morire. Invece venne un Monsignore da parte del presidente della
Regione e si impegno' formalmente a realizzare quello che chiedevamo e cioe'
togliere la popolazione dall'estrema necessita' in cui viveva attraverso
lavori pubblici come portare l'acqua potabile e fare fognature e strade.
Allora ho fatto una riunione con gli altri pescatori con cui avevamo
organizzato l'iniziativa e abbiamo detto: 'Fidiamoci, si fa sempre in tempo
a ricominciare'. L'hanno fatto. In tre mesi Trappeto e' stato l'unico Comune
della zona che ha avuto tutte le strade. E' stato un grande shock. Prima
della fine della settimana di digiuno mi arrivo' la prima lettera di Aldo
Capitini. Io gli ho risposto e abbiamo iniziato un fitto rapporto
epistolare".
*
Capitini, dal canto suo, si dedica attivamente ai Centri di orientamento
sociale, C.O.S., e a quelli di orientamento religioso, C.O.R., da lui
concepiti e avviati come strumenti di democrazia di base, organizza incontri
e convegni sulla nonviolenza, legge molto, studia, fa per diverso tempo la
spola con l'universita' di Cagliari dove, prima di riuscire ad essere
trasferito, per motivi di salute, a Perugia, ha una docenza.
Non lesina mai suggerimenti, anche bibliografici, all'amico e insiste sulla
necessita' di fornire un'aggiunta religiosa, in senso anticonfessionale,
mazziniano, gandhiano, all'impegno per la creazione di una societa' aperta.
In Attraverso due terzi del secolo (in "La Cultura", anno VI, n. 6, 1968)
cosi' rievoca il suo "incontro" con Danilo Dolci: "Sapevo di lui e gli
scrissi quando egli fece il suo primo digiuno a Trappeto per la morte di una
bambina di stenti (in realta' si trattava di un bambino - ndr). Gli dissi
che non aveva il diritto di morire prima che egli avesse informato
sufficientemente noi tutti della situazione e lo pregai percio' di
sospendere il digiuno".
Tra i due si instaura subito un'intesa profonda e, piu' di una volta, Dolci
mostra sincera riconoscenza per i consigli e gli stimoli che l'amico gli ha
dato: "Il tuo libro", confessa, riferendosi a Religione aperta, in una
lettera del primo settembre 1955, "e' tanto sostanzioso che preferisco
leggerlo lentamente, mi e' sempre illuminante e nutriente". E ancora:
"L'incontro con te e con Gandhi attraverso di te ('53-'54) mi e' stato
fondamentale, anche se capisco come Gandhi molto debba essere integrato da
quanto di meglio il socialismo propone, e la tecnica e la scienza" (16
dicembre 1955).
In una lettera del 23 dicembre 1955 sempre Dolci rende noti, tra l'altro,
alcuni particolari sulla vicenda della trazzera: "Lo 'sciopero alla
rovescia' dell'altro giorno e' stato interrotto da 28 poliziotti (di cui 2
marescialli). Il Commissario di pubblica sicurezza, bestemmiando,
minacciando di buttarci tutti in galera, perche' 'si commetteva un reato a
toccar la strada', ha convenuto, per riuscire ad interrompere il lavoro, che
s'impegnera' a far aprire lavori subito (...) La cosa piu' notevole e' stata
che gli operai al Commissario infuriato, insistevano: 'Basta mitra: vogliamo
lavoro'. E la gente comincia a ripeterlo e a capirlo. Non avevo che il
telefono in camera: erano tagliati i fili. Ma ora siamo riusciti a pagare.
Mi e' arrivata ieri sera una lettera che mi ha commosso profondamente. Un
mio amico mi scrive che Vittorini, quando gli e' morto il figlio, prima di
mettersi piu' a disposizione della famiglia come era necessario in un
momento simile, gli aveva dato per noi un assegno di centomila lire".
*
Entrambi, sia Dolci che Capitini, hanno una spiccata sensibilita' lirica che
emerge continuamente sin dallo stesso modo di accostarsi ai problemi.
Capitini nel 1937, insieme a Guido Calogero (1904-1986), conosciuto alla
Normale di Pisa, aveva lanciato il manifesto del liberalsocialismo ("due
rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo e
percio' non la riluttanza ai due termini, ma anzi l'orgoglio di dirsi
socialisti e liberali, con tutta la suggestione morale che questi due
termini portano" - Nuova socialita' e riforma religiosa, Einaudi, Torino,
1950, p. 92) e Dolci, ventun anni dopo, ravvisa nella concezione del dialogo
di Calogero una sorta di interpretazione ristretta ben diversa
dall'apertura, centrale, invece, nel pensiero del perugino: "non procede",
infatti, "dal fondo, costruendo con la coscienza e l'intelligenza, scavando:
riproponendosi tutto da capo, ma considera il procedere uno scegliere tra i
tanti (o pochi) binari gia' esistenti; ha alcuni modelli in mente, secondo
cui uno dovrebbe adeguarsi. Piu' che scoprire, la sua azione tende a
giustificare la politica, una certa politica". Si sa, tuttavia, che,
nonostante qualche divergenza, Dolci ebbe da Calogero un grande sostegno
alla sua azione educatrice: "I consigli che mi ha dato sono, in fondo,
ottimi. Si possono riassumere cosi': chiarificare, non rimanere uno
'scelto', non lasciarsi risucchiare. Naturalmente" (27 gennaio 1958).
*
Nel carteggio si riscontrano i temi che hanno caratterizzato la riflessione
capitiniana, dal superamento della sovranita' nazionale assoluta, con lo
"sviluppo di strutture democratiche autonome e intercomunicanti in ogni
parte del mondo", alla nonviolenza come rivoluzione corale, "amore per i
singoli tu", alla forte polemica nei confronti del Vaticano latore di una
religione che non si fonda "sulla compresenza di tutti e sulla vita
pienamente solidale di tutti", "divide l'umanita' in credenti e non
credenti, in salvati e dannati", si prefigge di "lasciare le cose come
sono": "Bisognerebbe anche dire che e' una cosa seria, drammatica, la
presenza della Chiesa cattolica in Italia! Ma non credo che siano molti a
voler fare questa battaglia" (22 dicembre 1967).
L'alternativa al cattolicesimo papista e alla simonia e' data dalla
nonviolenza gandhiana "che e' amore all'esistenza, alla liberta', allo
sviluppo di tutti". E ancora: "Nel Duecento e nel Trecento, l'Umbria era
piena di estremisti francescani che mangiavano il pane con qualche oliva ma
crearono le premesse della filosofia moderna dell'individuo (da Ockham a
Leibniz) e le premesse del nostro lavoro social-religioso, appunto perche'
anti-autoritario"(22 agosto 1962).
Il 29 marzo 1964 Capitini scrive a Dolci: "ho letto le disgraziate parole
del cardinale franchista (si riferisce al cardinale di Palermo, Ernesto
Ruffini, che non aveva fatto mistero delle sue simpatie per il dittatore
spagnolo Franco e che si era scagliato, in una lettera 'pastorale' contro
l'azione nonviolenta di Dolci - ndr) che scusano la mafia (la mafia - aveva
detto il cardinale - non era niente di particolarmente grave, era la stessa
specie di criminalita' che si poteva trovare ovunque, in Italia e nel
mondo - ndr) e accusano te, in nome del 'clero' che lui capeggia. E' come
una via libera alla mafia e al governo per colpirti. Negli stessi giorni
(venerdi') il Papa (Paolo VI - ndr) ha detto che Cristo e' crocifisso nella
cosiddetta 'Chiesa del silenzio', cioe' dove i cattolici trovano
impedimenti, come se Cristo non sia crocifisso dove un qualsiasi essere
umano e' offeso nell'esistenza, nella liberta', nella giustizia, come per
es. in Spagna dai governanti cattolici contro i quali nulla dice".
Illuminante, poi, quanto si legge nella lettera inviata da Tabiano il 25
agosto 1964: "l'idea del santo come consacrato a Dio, come separato, come
destino superiore, come potere speciale in mezzo agli altri, mi pare che sia
religiosamente da cancellare. E forse Cristo stesso la superava dicendo che
il primato sta nel farsi umili, ultimi, nel servire gli altri, preparando
cosi' un'idea del santo come centro di apertura e dedizione. Una cosa molto
estranea a quella venuta dopo, di carattere istituzionale, per cui e'
un'istituzione che proclama i santi! Per esempio, coloro che giovarono
all'istituzione stessa come il cardinale Bellarmino, perche' lotto' contro i
riformatori, e Pio X, perche' stermino' il modernismo! E' sempre
l'atteggiamento della Chiesa romana di prender lei il posto della storia
aperta, sostituendole il suo autoritarismo. Al vedere tanto errore
religioso, vien voglia di dire che nessuno conosce il 'santo', e nemmeno lui
lo sa, ma che ci sono i 'santi ignoti' (...) Cosi', non solo sembra assurdo
condizionare la santita' alla 'fede buona' o verita', come dice la Chiesa
romana, per cui la santita' diventa un fatto interno, di partito, ma anche
risulta inutilizzabile il fatto di 'miracoli' compiuti dal santo, perche'
veramente oggi il fatto taumaturgico non ha piu' il prestigio di una volta e
bisogna ritrovarsi molto rozzi per dire: 'Lui fa miracoli, dunque tutto cio'
che dice e' vero'. Che cosa resta? (...) l'apertura costante agli altri,
alla loro esistenza, liberta', sviluppo (che e' la definizione della
nonviolenza), con una bonta' che non torna mai indietro, che ripete se'
settanta volte sette, e' probabilmente cio' che resta eliminando
l'istituzionalismo e il miracolismo. Si puo' dire che sia giusta
l'espressione di 'virtu' al grado eroico' perche', nel mondo com'e', quella
intensificazione porta spesso sacrificio, lotta, morte propria. Ma bisogna
nello stesso tempo affermare che nessuno puo' accertare con esattezza di
misure ne' per se' ne' per gli altri questo 'grado eroico'. E chi si pone
come 'centro' di fede e di lavoro, da solo o con gli altri in un gruppo, sa
bene che lo fa non per indicare la propria eventuale santita', ma quella
degli altri e forse di tutti, invitando a non escluderne mai la realta' o la
possibilita' (...) Lo schema di virtu' che tu proponi e' buono in quanto
razionalita' aperta, attiva e stimolante, attenta ai singoli, al loro
sviluppo nel concreto dei loro limiti e delle difficolta' da vincere a una a
una. E' una posizione di umanesimo aperto che congeda la vecchia idea del
santo legata ad un sacro di chiusura (istituzionale, legalistico). E' una
necessaria posizione per congedare lo stesso termine di santo. Si vedra' poi
se risorgera' in modo rilevante, connesso a un sacro di apertura. Per ora io
uso, dal 1936 e da prima, i termini persuaso e apertura, profondamente
persuaso e intensamente aperto; forse qualcuno dira' 'santita' aperta'".
*
Non si puo', infine, tacitare, in questa corrispondenza, una profonda
delusione per i partiti, per la loro chiusura: "Einaudi ti ha mandato, a suo
tempo, Verso un mondo nuovo?" chiede Dolci a Capitini e aggiunge: "Ne
uscira' tra poco una edizione nuova ma ho notato difficolta' anche per le
sinistre ad impostare un discorso per la pianificazione in cui c'entri
l'obiezione di coscienza". E, parlando dell'organizzazione della marcia per
il Vietnam (4-29 novembre 1967) da Milano e Napoli a Roma, esprime senza
mezzi termini le sue preoccupazioni: "Non affidiamo l'iniziativa ai
dirigenti giovanili politici (...) perche' ci siamo accorti che spesso fanno
della piccola burocrazia-politicheria, ad imitazione dei piu' grandi".
Capitini, da parte sua, qualche settimana prima di congedarsi da questo
mondo, scrive non senza amarezza e un briciolo di rassegnazione: "sono
rientrato nella clinica di patologia chirurgica per fare l'operazione di
asportazione della cistifellea (...) I giovani del convegno a cui non ho
potuto partecipare per via della malattia non hanno considerato molto la mia
proposta di presentarci alle elezioni regionali con una lista di
'rivoluzione nonviolenta per la democrazia diretta' non tanto per essere
eletti, quanto per far conoscere la nostra posizione".

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 243 del 14 ottobre 2008

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