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Minime. 607
- Subject: Minime. 607
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 13 Oct 2008 01:11:47 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 607 del 13 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Rossana Rossanda: Domande alle sinistre 2. Ogni giorno la nonviolenza 3. Claudio Bazzocchi: Leggere Machiavelli 4. Una postilla al testo che precede 5. Gino Buratti: Sperimentare la nonviolenza 6. Alessandro Capuzzo: Per l'unita' del movimento per la pace 7. Mao Valpiana: Col lievito dell'amore 8. Antonino Mangano: Il primo digiuno di Danilo Dolci 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: DOMANDE ALLE SINISTRE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre 2008 col titolo "Domande alle sinistre". Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005; con Manuela Fraire, La perdita, Bollati Boringhieri, Torino 2008. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Non credo che una sinistra possa dirsi esistente se di fronte alla piu' grossa crisi del capitalismo dal 1929 non sa che cosa proporre. Questi erano i lumi che la cittadina sprovveduta chiedeva di avere dai leader delle sinistre e dell'opposizione e dagli amici economisti, ma non ne ha avuti. Stando cosi' le cose, mi azzardo ad avanzare alcune osservazioni e proposte elementari che, se sono infondate, spero vengano vigorosamente contraddette. * Prima osservazione. Perche' le sinistre non si chiedono la ragione per cui non solo le destre thatcheriana e reaganiana ma anch'esse si sono e restano persuase che non c'e' altra via economica da percorrere che non sia la privatizzazione (spesso liquidazione) di tutti i beni pubblici e di gran parte dei servizi, quelli di interesse sociale inclusi? E perche' era giusto incitarli alla concorrenza dentro e fuori i confini nazionali ed europei? La destra ha detto che i privati li avrebbero gestiti meglio e che le tariffe si sarebbero abbassate, ma questo non e' successo affatto e in nessun luogo. * Seconda osservazione. Perche' le sinistre hanno accettato, talvolta mollemente opponendosi, la detassazione delle imprese, delle successioni e delle grandi fortune, togliendo entrate allo stato, nella previsione che i capitali, rimpinguati, sarebbero stati investiti nella produzione? Non e' stato affatto cosi', la produzione non e' mai stata cosi' bassa, fino all'orlo - per esempio in Francia - della recessione. * Terza osservazione. Perche' le sinistre, che fino a ieri rappresentavano il lavoro dipendente, hanno accettato che per facilitare la crescita si dovessero abbassare, rispetto al passato, i salari mentre lo Stato doveva restringere nella spesa sociale quel tanto che c'era di salario indiretto (vedi, in Italia, finanziaria e protocollo sul welfare dell'anno scorso)? Con l'ovvia conseguenza di una caduta generale del potere di acquisto in tutti i ceti dipendenti? Stando cosi' le cose non occorrono grandi discussioni filosofiche sulla crisi della politica. * Quarta osservazione. Non so se dovunque, ma e' certo che in Italia questa strada ha condotto non solo a una produzione bassa ma non puntata sull'innovazione di prodotto, bensi' al basso costo del lavoro, in questo dando la testa al muro, o cercando le condizioni per delocalizzare, perche' sia nell'Est del nostro continente sia fuori di esso i salari sono ancora piu' bassi che da noi. * Quinta osservazione. Perche' le sinistre e le loro stesse teste d'uovo non si sono accorte che i capitali, invece che in produzione se ne andavano sia in modo legale sia in modo fraudolento, nella speculazione finanziaria, dandosi a tali demenze che stanno sbaraccando l'intero sistema? * Ultima osservazione. Perche' le sinistre non sanno dire altro, a mezza bocca o con grandi sorrisi, che i buchi formati dalle banche, dalle assicurazioni e dagli hedge fund, mandati a picco per demenza dei loro dirigenti, vengano sanati col denaro pubblico, cioe' quello dei contribuenti, senza chiedere nessuna proprieta' pubblica effettiva in cambio? Suppongo la risposta: non si puo' reimmaginare un intervento pubblico perche' si sa che lo stato gestisce malissimo. Gia'. Perche', il privato gestisce bene? Nell'epoca dei "trenta gloriosi", cioe' della partecipazione pubblica e statale, nessuno di questi immensi guasti si e' verificato. * Dunque in nome di che cosa, che non sia il pregiudizio, non viene oggi riproposta una politica di intervento pubblico? Certo esso implica darsi non solo una linea economica ma un metodo di gestione pubblica pulito, fatto di diritti chiari invece che ottativi. Perche' e' vero che questo e' mancato dando luogo a quelli che sono stati chiamati boiardi di stato e a clientelismi di vario tipo. Un intervento pubblico non sarebbe il socialismo, come qualche ignorantissimo afferma, ma darebbe luogo a una forma di contrattazione partecipata fra cittadini e istituzioni assai diversa dall'attuale riduzione della democrazia a fiera quinquennale del voto. Chi ci impedisce di metterci a ripensarlo? Nessuno. Chi lo propone? Nessuno. Salvo qualche isolato pensatore americano come Krugman con la riproposizione di un new deal. Chi dirige la musica in Italia e' ancora Berlusconi, con la sua speranza che la "scarsa" modernizzazione delle banche italiane ci salvi dal terremoto. Con maggior ragione si puo' obiettare che una politica di intervento pubblico non si fa da soli, tantomeno in tempi di globalizzazione e dopo che lo stato nazionale si e' consegnato mani e piedi alla Costituzione europea che, sotto il profilo politico, e' flebile, come si e' visto nel caso dei rom e, sotto quello economico, e' superliberista. Da parte mia, obietto che lo spazio europeo puo' essere invece una carta da giocare, per la sua dimensione e la sua moneta unica; vi si potrebbero mettere in atto i processi macroeconomici che oggi un intervento pubblico comporterebbe. Che cosa impedisce che una sinistra possa e debba muoversi su questo terreno su scala continentale? Non penso che mancherebbero le resistenze, e potenti. Ma questo e' il momento per aprire il conflitto con qualche possibilita' di vincere. I lavoratori europei non sarebbero con noi, invece che darsi alla disperazione o consegnarsi alla Lega o al primo Haider che passa perche' gli salvi protezionisticamente l'azienda? La verita' e' che si tratta di una scelta non "economica", ma "politica". Ecco quanto. Naturalmente sono pronta a riflettere su tutte le critiche demolitrici che mi si vorranno inviare. 2. MATERIALI. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA Proseguiamo la pubblicazione degli interventi ricevuti in occasione della Giornata internazionale della nonviolenza che si e' celebrata il 2 ottobre. Altri ne pubblicheremo nei prossimi giorni. E ringraziamo ancora tutte le persone che ci hano inviato - e ci stanno inviando ancora - i loro tutti graditissimi contributi. 3. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. CLAUDIO BAZZOCCHI: LEGGERE MACHIAVELLI [Ringraziamo Claudio Bazzocchi (per contatti: claudio.bazzocchi at poste.it) per questo intervento, prezioso contributo alla riflessione per la Giornata della nonviolenza] Care amiche e cari amici della nonviolenza, riscoprite e leggete Machiavelli. Machiavelli non e' "il Galileo della politica" - come ebbero a dire Vincenzo Gioberti, Ernst Cassirer e tanti altri - ma un pensatore tragicamente preso tra necessita' e passione, tra teoria e azione, tra caos e ordine. Machiavelli e' una figura di pensatore tragico - anche se assolutamente non nichilista - ben lontano da stereotipi che non stanno solo nei manuali di storia delle idee di quart'ordine, ma anche nelle analisi di politologi affermati o di importanti teorici della nonviolenza. Insomma, Machiavelli non e' ne' il rigoroso scienziato della politica che enuncia regole dell'agire razionale in base all'analisi della realta', ne' il bieco e immorale teorico della preminenza dei fini sui mezzi. Per Machiavelli e' proprio il divario tra ipotesi politica e realta' a muovere all'azione, e' la consapevolezza di quella distanza che fa nascere la volonta' di superarla per quanto e' possibile. La politica si configura allora come luogo della riproduzione dell'esistenza e della contrapposizione alle leggi della natura e della storia. E' grazie a Machiavelli che nasce la politica moderna e assieme ad essa i successivi progetti di liberazione, fino alla maturita' teorica e rivoluzionaria del marxismo, passando per la dialettica hegeliana. I grandi movimenti di liberazione che nascono dal ceppo del movimento operaio hanno tratto e ancora traggono - checche' ne dicano i nuovi e vecchi maestri delle moltitudini e delle relazioni primarie sottratte al potere - la loro forza dalla considerazione che il campo politico e' l'unico orizzonte di senso dell'uomo, che diventa creatore di liberazione, esclusivamente dentro la storia e, nello stesso tempo, contro la storia stessa e le sue leggi. La nonviolenza presuppone invece la trasparenza del mondo e l'armonia nel rapporto tra uomo e natura. Machiavelli rompe proprio con l'umanesimo quattrocentesco affermando che il mondo non e' trasparente. Il problema, per il segretario fiorentino, e' costituito dalla caoticita' del reale, dal suo essere sfuggente, intreccio di eventi e cose mutevoli nel tempo e nello spazio. Quanto distanti e poco appropriate sono le valutazioni del pensiero di Machiavelli da parte dei teorici e dei politologi nonviolenti! Per Krippendorff, Machiavelli sapeva di non dire nulla di nuovo, ma decise di mettersi "in piena consapevolezza al servizio dei signori del suo tempo e della sua polis, la piccola repubblica di Firenze". Fu infatti consapevole di "dare forma e voce sistematica, e adeguatamente contestualizzata, a quello che essi comunque pensavano e facevano", tanto che "da quel momento in poi l'avrebbero fatto non solo con la 'coscienza tranquilla' ma anche con idee chiare e un consapevole calcolo, non piu' o prevalentemente solo in modo istintivo, pescando nella riserva vecchia di secoli degli istinti di dominio". Ma ancor piu' nefasta fu per Krippendorff l'influenza di Machiavelli sui governati dei secoli a venire, a "causa dell'effetto disciplinante indotto dalla divulgazione delle leggi della grande politica": "Nella misura in cui gli intellettuali, primi fra tutti gli storici, poi a seguire gli studiosi di diritto pubblico, i filosofi e infine una pubblicistica politica in rapida crescita nel XIX secolo, descrivevano la politica estera degli Stati, il cittadino lettore venne per cosi' dire fatto entrare nei gabinetti dei governanti (o credette di poter comprendere i loro discorsi, l'autorappresentazione della loro prospettiva di dominio, e si fece convincere dalla loro logica, cosi' come gli veniva spiegata dagli esperti, o meglio: impietri', per cosi' dire, di rispetto innanzi alle vaste dimensioni astratte della politica mondiale. Ne fu affascinato e introietto' la logica del dominio, si identifico' con i suoi leader lungimiranti, che erano in grado di dominare con lo sguardo i destini dei popoli. Nell'ambito della cultura tedesca esisteva a tale scopo l'istituzione dello Stammtisch ('tavolo degli avventori abituali'), in paesi climaticamente piu' felici la 'piazza' politicizzante degli uomini, in altri il pub, oppure l'osteria, in ogni caso non erano organismi politici eletti quelli in cui veniva discussa con passione l'astratta politica mondiale dei grandi capi di Stato". Ora, sarebbe molto facile rispondere a Krippendorff che Machiavelli non scrisse al servizio dei potenti del tempo, dal momento che compose le sue opere maggiori mentre era in esilio, una volta allontanato dal suo ufficio di segretario della seconda cancelleria a causa dell'avvento dei Medici. E' pero' piu' importante sottolineare come Krippendorff ci voglia far credere che Machiavelli non abbia detto nulla di nuovo, che sia stato in sostanza solo un brillante uomo di corte al servizio dei signori dell'epoca. E' certo molto difficile praticare un dialogo e un confronto con chi decide di liberarsi del fondatore della politica europea in poche righe! Da ultimo vogliamo far notare che dice bene Krippendorff quando afferma che il pensiero di Machiavelli ebbe grande influenza sui dominati. Certo, non perche' - come egli sostiene - abbiano a causa di esso introiettato le leggi del dominio, ma per il fatto che i suoi scritti aprivano la politica al popolo e ad un mondo finalmente colto nella sua molteplicita' e tragicita'. La politica diventa con Machiavelli speranza di senso, proprio perche' sfera in cui si mette a tema la contraddizione tra la limitatezza della natura umana e lo sterminato campo di una storia finalmente liberata all'azione, all'azione delle grandi masse. Certamente meglio di noi ha scritto Claude Lefort in uno straordinario saggio su Machiavelli, Gramsci e Marx: "E' vero, Machiavelli ha esposto i termini di una politica tirannica e ha affermato che il tiranno, se vuole essere all'altezza del suo ruolo, deve agire conformemente ad essi; ma questa osservazione non prova che egli abbia preso la parola per rivolgersi al tiranno. Di piu': anche ammettendo che il Principe servisse da insegnamento a sovrani e a uomini di Stato senza scrupoli, non si puo' concludere che fosse destinato a loro. Ogni insegnamento realista ha un doppio effetto; lo si puo' verificare quotidianamente dall'uso che la classe dominante fa del marxismo, scoprendovi la propria natura, la logica dei propri interessi e gli espedienti necessari alla propria conservazione. Fa parte dell'essenza del realismo svelare i meccanismi della vita sociale e dunque poter essere messo a profitto da ogni gruppo che intenda difendere la propria posizione. Ma per sapere a quale intenzione risponda, conviene cercare fino a che punto ispiri i diversi gruppi, in che misura questi se ne possano appropriare, e infine se non fornisca a uno di loro un modo di pensare adeguato alla sua natura". Jean-Marie Muller, filosofo nonviolento cristiano, non e' da meno rispetto a Krippendorff e scrive che Machiavelli "non ha fondato che la scienza politica del dispotismo". Machiavelli e' per Muller colui che "definisce i criteri dell'efficacia dell'azione dal punto di vista dell'arte politica, al di fuori di ogni considerazione delle categorie morali del bene e del male". Inoltre, le stesse disgrazie dell'Italia sarebbero derivate per Muller proprio dai comportamenti dei principi che mettevano in pratica - e sempre lo avevano fatto anche prima di lui - gli stessi consigli di Machiavelli. Anche per Muller dunque l'ex segretario fiorentino non avrebbe scoperto nulla di nuovo. Inoltre, il suo pensiero viene giudicato dal filosofo francese con un metro morale che Machiavelli non riconosceva, anzi contestava duramente. Infatti, per lui il male e il negativo non erano il risultato della mancanza di adesione a principi morali trascendentali, bensi' il prodotto della contraddizione tra finito e infinito nella vita degli uomini, ovvero della non coincidenza tra storia ed esistenza. L'unde malum di Machiavelli e' dunque profondamente laico e moderno e non puo' essere analizzato con semplici categorie di bene e di male, peraltro non meglio ancorate ad alcuna concezione religiosa o filosofica precisa da parte di Muller. Il pensiero nonviolento mostra, nell'interpretazione del pensiero di Machiavelli, sia mancanza di spessore filosofico sia una propensione antipolitica che tende a considerare la storia e l'esistenza umana come coincidenti e il mondo delle cose come trasparente all'uomo, a patto di una sua purificazione e riforma interiore. Vale la pena ricordare le parole di Gennaro Sasso che, criticando la posizione crociana che parlava di "autonomia della politica" in Machiavelli, ci ricorda che nel pensiero del grande fiorentino l'etica non si media con la politica e quindi non puo' esistere nemmeno autonomia. Insomma, Sasso ci esorta ad andare oltre la considerazione del rapporto tra etica e politica, per giudicare Machiavelli come colui per il quale "la politica... e' una totalita' che si costituisce attraverso il rimpianto per il mondo perduto dell'etica, della bonta', della purezza". E quel rimpianto - ci dice ancora Sasso - non avrebbe senso e non darebbe un carattere alto ed austero al pensiero di Machiavelli, se "la politica non si ponesse, essa, come il centro di un sistema coerente ed esclusivo, come una 'totalita'', articolata bensi', ma dai suoi stessi attributi, e da niente altro". Una tale concezione ci dice che in Machiavelli fine e mezzo non si distinguono. L'uomo di Machiavelli ha nel suo destino la politica, che e' quell'insieme di mezzi che egli assume per cercare di superare la contraddizione data dalla sua finitezza. La politica allora e' si' mezzo, ma nello stesso tempo anche fine, perche' da essa non si esce: infatti tende a riscattare la situazione dalla quale essa stessa nasce. Allora ha poco senso interrogarsi su bene e male, mezzi e fini, quando analizziamo il pensiero di Machiavelli. Se la politica e' il destino degli uomini, non esiste ne' bene ne' male, ne' fuori ne' dentro, ne' mezzi ne' fini. E' qui la vera radice della politica moderna e dei successivi progetti di emancipazione pensati perlomeno in Occidente. 4. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. UNA POSTILLA AL TESTO CHE PRECEDE Claudio Bazzocchi, cui sono assai grato per questo acuto intervento (e che qui prego che ne invii altri, e di frequente, a questo foglio) mi consentira', non la difesa d'ufficio di Krippendorff e di Muller - che ovviamente non ne hanno bisogno -, ma due o tre osservazioni ulteriori. La nonviolenza ovviamente non e' riducibile alla meditazione - alla tradizione teorica - di alcuni pensatori: essa e' teoria-prassi che molti inveramenti ha avuto; ad esempio io che scrivo queste righe dissento finanche da Gandhi e da Capitini su punti che a loro avviso erano sostanziali, ma questo non mi impedisce di essere persona amica della nonviolenza ed anche di apprezzare il molto che del loro meditare ed agire condivido. Tutti siamo passati attraverso Machiavelli, e personalmente trovo riduzionista e discutibile sia l'immagine che emerge dalle altrui citazioni riportate nell'intervento, sia quella che ne offre l'autore, che pure per certi versi e' anch'essa vicina al mio sentire. Io sono di quelli che hanno lungamente letto e meditato tutte - tutte - le opere di Machiavelli, e studiato anche i principali monumenti di mezzo millennio di riflessione critica sul suo legato; mi permetto pertanto in tutta umilta' di osservare che un pur legittimo e tante volte effettualmente ammannito approccio del tipo "Machiavelli vs Gandhi" e' nella sua ipersemplificazione e rozzezza non solo filologicamente ed ermeneuticamente inadeguato, ma anche operativamente infecondo; ma mi permetto anche di osservare che un approccio storico-critico non esaurisce la questione, e comunque anch'esso deve essere cauto e consapevole di molti limiti e molte contraddizioni. E' certo bene non ridurre Machiavelli ne' al mefistofele di tanti "Antimachiavel" che si son dati (ed i cui autori, per cosi' dire, non sempre eran tipi raccomandabili), ne' a quell'immaginetta devozionale e strumentale cui una lunga tradizione risorgimentale e rivoluzionaria ha voluto adattarlo. Ed e' certo bene che della nonviolenza si tenga per ferma una nozione contestuale e dialettica, in primis di lotta contro la violenza con la forza della verita': lotta concreta nella situazione concreta - come avrebbe detto quel tale. Ma e' certo infine necessario altresi' che quel criterio fondamentale della coerenza tra mezzi e fini, e quell'altro altrettanto fondamentale del "tu non uccidere" siano tenuti per dirimenti. Alla luce delle vicende del Novecento la nonviolenza e' la teoria-prassi che da' conto delle radici profonde di tante tragedie, ed offre una via all'azione per la liberazione dell'umanita'. Non a caso il massimo storico inveramento della nonviolenza in cammino ci sembra di cogliere nell'esperienza del movimento delle donne. Da un amico della nonviolenza marxiano e leopardiano (o sofocleo e kafkiano? o arendtiano e woolfiano? molte sono le lingue, e le vie) si accettino questo brevi considerazioni. 5. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. GINO BURATTI: SPERIMENTARE LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Gino Buratti (per contatti: c/o Accademia apuana della pace: info at aadp.it) per questo intervento] Il 2 ottobre, giorno in cui Gandhi e' nato, giornata internazionale della nonviolenza, ci offre, se vogliamo evitare di cadere semplicemente nel ritualismo, un'ulteriore opportunita' di ragionare insieme sulla nonviolenza e le prospettive che abbiamo davanti. Dinanzi al fallimento di una politica ed una cultura incentrata sul dominio e la violenza, dobbiamo riconoscere le difficolta' che ci troviamo davanti, sulle quali dobbiamo misurare, come movimenti nonviolenti, la nostra azione politica. Il quadro di riferimento non e' semplice: l'Onu, che pure ha dedicato una giornata alla nonviolenza, e' lontana dal riuscire a proporre politiche di intervento nonviolento in caso di crisi internazionali, allineandosi in questo agli stati. La politica, d'altra parte, riesce solo a riferirsi, quando va bene, alla nonviolenza in termini astratti e generici, che vanno dai pellegrinaggi ai luoghi e alle parole simbolo della nonviolenza (Marcia della pace, Barbiana, Marthin Luther King, Gandhi che diventa pretesto per una pubblicita'), senza che questa scelta diventi invece fondante dell'agire e delle politiche da proporre. Quando l'assunzione della nonviolenza si limita alle semplici enunciazioni, come nel caso del mio partito (ma gli altri fanno anche peggio), non trasformando l'agire politico e i programmi, esplodono, davanti a noi, le contraddizioni profonde, come quelle vissute nell'ultimo congresso, nel quale in un istante siamo stati capaci, omologandoci alle altre culture politiche, di negare tutti i capisaldi della nonviolenza: la valorizzazione delle differenze e del costruire una sinistra plurale, la consapevolezza che la mia verita' non e' sufficiente a cogliere la complessita' delle contraddizioni, per cui ho bisogno anche di quella dell'altro... In questo contesto, se non vogliamo cadere nel ritualismo, credo che siamo chiamati veramente a fare memoria della storia e dell'elaborazione della nonviolenza, nei suoi punti alti, cosi' come nelle lotte quotidiane, assumendoci l'onere tuttavia di individuare nel presente i percorsi, le azioni e le politiche per tradurre la nonviolenza in azione di lotta, e non come negazione dei conflitti e delle contraddizioni, come qualche politico, anche di sinistra, vuole proporci. Siamo chiamati a esigere dalla politica la coerenza tra i valori enunciati, gli obiettivi e i mezzi messi in campo, comprendendo come l'agire nonviolento richieda veramente di immergersi completamente nelle pratiche di democrazia partecipata e diffusa, nell'assunzione della propria parzialita' e della necessita' di una moltitudine di angoli di lettura delle contraddizioni, di stare dentro la complessita', senza scegliere le facile scorciatoie che appartengono alle pratiche di politiche violente e militariste. L'elaborazione del movimento nonviolento deve "contagiare" l'agire politico, senza prestare il fianco, invece, ad accostamenti puramente strumentali. La nonviolenza e la pace non possono essere semplicemente ridotte ad aspirazioni etiche o ad un sistema di valori relegato alla sfera dell'utopia: il sogno, come Martin Luther King ha insegnato, rimane alto e vivo quando si traduce in lotte e conquiste quotidiane, che superino le contraddizioni dell'ingiustizia, della violenza di un'economia che per fare stare bene una minoranza deve affamare il resto del mondo, della violenza con cui affermiamo la nostra democrazia, schiacciando l'esistenza altrui, di un sistema sociale che sempre meno si occupa degli ultimi e dei poveri, ma sempre piu' e' costruito a tutela di chi sta bene ai danni di altri. Pensiamo a quale azione nonviolenta dobbiamo mettere in atto dinanzi a questa economia, dinanzi a queste politiche sociali e culturali che sempre piu' causano emarginati, dinanzi a questo squilibrio di risorse che causa la fame, dinanzi a queste guerre sempre piu' legate all'economia e allo sfruttamento delle risorse. * La nonviolenza non puo' solo essere testimonianza, ma deve sperimentarsi; e nella pratica quotidiana segnare la differenza rispetto al facile messaggio della violenza, che ci viene riproposto dalla politica e dai media. Credo che sia compito dei movimenti per la pace individuare azioni che pongano richieste esplicite e chiare alla politica, sapendo che lo scontro e' su interessi economici e militari fortissimi (gli Usa sono governati dalla lobbies del petrolio e dell'industria militare), per cui dobbiamo dotarci di una linea politica di ampio respiro che permetta di influenzare l'azione dei governi. Per fare questo credo veramente che dobbiamo, uscendo dal nostro particolare, lavorare in rete, mettendo in comune saperi, ricerche, esperienze, per offrire percorsi altri rispetto alle scorciatoie che ci vengono offerte: dinanzi a questo ossessionante martellare di messaggi sulla sicurezza, che poi si traducono in politiche che colpiscono semplicemente gli ultimi e non le ragioni della violenza, se riuscissimo, condividendo le diverse esperienze, a proporre nelle nostre citta' politiche praticabili altre, centrate sulla qualita' delle relazioni (sociali, ambientali, economiche, lavorative...) sono consapevole che faremmo un gran servizio alla societa' e alla nonviolenza. Al tempo stesso e' il momento che quelle forze politiche che spesso si richiamano alla tradizione nonviolenta traducano in scelte di governo quei loro valori, perche' la nonviolenza non puo' essere relegata solo alle sfera delle massime aspirazioni, ma deve tradursi nella quotidianita', facendo scelte che diano ad essa le gambe per muoversi. E' possibile misurare la forza dirompente della nonviolenza, dopo i danni nefasti prodotti dalla cultura militare, solo sperimentandola concretamente, e non solo delegandola alla pura azione di movimento. Per concludere, ma per dare concretezza a scelte che avviino veramente processi di gestione dei conflitti alternativi alla logica militare, chiedo: a) Alla politica e a quelle forze che spesso si richiamano alla nonviolenza: - di mettere all'ordine del giorno delle scelte di governo l'opzione nonviolenta, per dare gambe ad una gestione nonviolenta; - di sottrarre risorse al settore militare e di investire in ricerca sulla nonviolenza, perche' la nonviolenza non e' un'aspirazione a volersi bene e ad andare d'accordo, ma e' il calarsi nei conflitti, sporcandosi le mani, e scegliendo soluzioni altre rispetto alla morte e alla guerra; - di andare a costruire, almeno a livello europeo, corpi civili di pace, che richiedono pero' ovviamente ricerca, risorse, capacita' di investimento; - di smilitarizzare l'idea di "polizia internazionale"; - di partire dagli ultimi, nel pensare al modello sociale, perche' solo in questo modo costruiremo un modello sociale nel quale tutti vivono bene. b) Ai movimenti e alle forze politiche: - di avviare una pratica politica, che diventi anche prospettiva di governo, nella quale non vi sia separazione tra fini e mezzi, e nella quale anche il compromesso tra culture diverse, diventi un percorso alto e trasparente; - di passare da una idea della nonviolenza legata solo alla convivenza, all'idea di nonviolenza come azione quotidiana del fare politica; - di avviare una riflessione sulla disobbedienza civile e sugli strumenti di questa disobbedienza; - di individuare percorsi praticabili e riconoscibili per costruire una cultura ed una pratica politica nonviolenta. 6. OGNI GIORNO LA NNONVIOLENZA. ALESSANDRO CAPUZZO: PER L'UNITA' DEL MOVIMENTO PER LA PACE [Ringraziamo Alessandro Capuzzo (per contatti: compax at inwind.it) per questo intervento] Un documento di Alberto L'Abate su "Le trame e l'ordito", redatto alla fine del seminario estivo alla Casa della nonviolenza di Ghilarza, traccia un parallelo fra azione dei tessitori nella tradizione gandhiana del khadi e sviluppo di sinergÏe fra vari attori del movimento per la pace nostrano. Su questa base, alla riunione di "Incrociare i percorsi" svoltasi a Quarrata, e' stato proposto il ragionamento seguente, che parte da un assunto: la strategicita' dei Corpi civili di pace, quale configurazione della parte piu' importante del modello di difesa a venire, a partire dal confronto diretto nel presente con la difesa armata. La valorizzazione del lavoro svolto sul campo finora, dei metodi e interventi messi in pratica da Corpi civili di pace nel mondo, trova divulgazione un po' piu' ampia col progetto denominato "Info-eas", in partenza nelle scuole di otto regioni assieme al Ministero degli esteri. Maggiori nessi, alla maniera di Dolci, sarebbero da costruire fra questioni "estere" e situazione interna; individuando un lavoro sui legami tra politiche "armate" e questioni civili aperte nel Paese. A cominciare ad esempio da Vicenza. Partendo da premesse condivise, si potrebbe sviluppare un maggior dialogo e una sinergia praticabile, da molti gia' ricercata, tra campagne diverse; ad esempio fra i due progetti di legge d'iniziativa popolare su nucleare e basi militari, fra le Carovane per la pace del 2007, quella realizzata in questi giorni, e cosi' via. Nessi, utili a costruire condivisione sugli obiettivi, per le attivita' comuni verso Forum sociale europeo, Forum mondiale, G8 (alla Maddalena?), Marcia Perugia-Assisi, Onu dei Popoli. Necessari ad arrivare uniti anche alla Marcia mondiale della pace, annunciata per autunno 2009. Per facilitare l'assunzione comune di responsabilita' bisognerebbe identificare alcune mete unficanti, da perseguire insieme. Un'iniziativa italiana congiunta per portarci fuori dalla guerra in Afghanistan, sulla quale molti sarebbero in grado di spendersi, a cominciare da Emergency, potrebbe avere buone chances di ripercussione in Europa. Ci siamo riusciti, anche se non del tutto, per l'Iraq; potremmo farcela un'altra volta. A Ghilarza si e' iniziato a parlare di percorso nonviolento verso il G8 in Sardegna, in modo che dall'Isola nasca una presa di posizione chiara, un nuovo avvio, dopo quanto successo nel 2001 al G8 di Genova. La Marcia mondiale della pace 2009 dalla Nuova Zelanda al Sud America, quale strumento in grado di smuovere situazioni globali, andrebbe presa in carico collettivamente, magari in collegamento coi Social forum. Iniziare a "incrociare percorsi", giungere a una necessaria unita' nel movimento, arginare la crescita di fascismo, razzismo e nazionalismo, sono obiettivi vitali. 7. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. MAO VALPIANA: COL LIEVITO DELL'AMORE [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: mao at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento] La giornata internazionale della nonviolenza sta crescendo lentamente. E' il modo migliore per crescere. Tante grandi e piccole manifestazioni ed attivita' si sono tenute in molte citta' e paesi d'Italia. A volte per iniziativa di una sola persona: un volantino, un cartello, un comunicato stampa, l'esposizione della bandiera con il fucile spezzato. Tante persone in quel giorno si sono fatte centro, hanno dato vita ad un'azione nonviolenta. Sono piccoli ruscelli che se uniti insieme possono dare forma ad un torrente, e poi confluire in un fiume. E' cosi', solo cosi' che cresce la nonviolenza. Senza tanti proclami roboanti e inutili, senza spot televisivi, senza finanziamenti pubblici. E' il modo giusto e migliore per celebrare il compleanno di Gandhi, che diceva: "Noi non possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore". 8. MEMORIA. ANTONINO MANGANO: IL PRIMO DIGIUNO DI DANILO DOLCI [Attraverso Amico Dolci (per contatti: amicodolci at libero.it), che ringraziamo di cuore, riceviamo e pubblichiamo. Amico Dolci, musicista e amico della nonviolenza, figlio di Danilo Dolci, ne prosegue l'opera educativa e di suscitamento e riconoscimento di umanita'. Antonino Mangano, docente di pedagogia sociale all'universita' di Messina, e' presidente dell'associazione "Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci". Tra le opere di Antonino Mangano: Tecnologia e democrazia nella scuola, 1974; La scuola di tutti in Italia, 1978; Problemi e prospettive della pedagogia sociale, 1988; Danilo Dolci educatore, 1992; Devianza minorile e condizionamento sociale; 1998-99; Danilo Dolcis Erziehung zur positiven Freiheit, 1998. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it, danilo1970.interfree.it, www.danilodolci.toscana.it, www.inventareilfuturo.com, www.cesie.org, www.nonviolenti.org] Gli atti di Danilo non sono mai casuali, ma hanno sempre un senso, che li trascende; interessante e' chiedersi quale e' il senso di questo suo primo digiuno. Un primo significato, forse quello piu' importante, e' di natura morale: indica la necessita' di aprirsi ai bisogni e ai diritti dell'Altro, in un mondo chiuso nell'Io, in cui l'attenzione all'utile, agli interessi economici, al dominio sull'uomo, ai piaceri egoistici, prevale sui doveri. Non e' una richiesta di elemosine; sottolinea invece un dovere e un diritto. Il diritto alla vita e alla qualita' della vita, allo sviluppo personale nel segno della liberta', solennemente proclamati in quegli anni, fra l'altro, da documenti come la Costituzione italiana e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948). Non mancano altri significati, di natura affettiva, intellettuale. Il digiuno diventa anche, fondamentalmente, un atto politico. Esso si appella alla coscienza civile della base, rivela fiducia nella popolazione, che deve ormai saper cogliere e affrontare i problemi dal basso, a fronte di un'indifferenza e di una chiusura delle classi al potere, che continuano a collocarsi in alto. Questi significati e questi problemi non appartengono solo al passato, e non sono piu' locali o nazionali, ma si estendono in sede globale, planetaria. L'occupazione per tutti, l'interdipendenza tra i popoli e le culture, il rispetto empatico ed intellettuale per i deboli, il senso positivo delle diversita', la partecipazione democratica "dal basso", sono tra le prospettive piu' chiare del pensiero e della vita di un grande amico dell'umanita', qual era e rimane Danilo Dolci. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 607 del 13 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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