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Nonviolenza. Femminile plurale. 214
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 214
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 10 Oct 2008 13:53:08 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 214 del 10 ottobre 2008 In questo numero: 1. Silvia Vegetti Finzi: Speranza e psicologia. Carattere e orientamento al futuro 2. Etty Hillesum: La posizione 3. Franca Ongaro Basaglia: Il capovolgimento 4. Simone Weil: La molla 5. Virginia Woolf: Che si chiudeva 1. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. SILVIA VEGETTI FINZI: SPERANZA E PSICOLOGIA. CARATTERE E ORIENTAMENTO AL FUTURO [Ringraziamo Silvia Vegetti Finzi (per contatti: silviavegettifinzi at virgilio.It) per averci messo a disposizione come contributo per la Giornata della nonviolenza il testo della conferenza presentata il 27 settembre 2008 agli incontri di "Torino Spiritualita' 2008". Silvia Vegetti Finzi (Brescia 1938), psicologa, pedagogista, psicoterapeuta, docente universitaria, saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938. Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista, collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura' di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari. Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E' membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi, il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri, intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile, intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza, l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico, dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi, Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986; La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992; (con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994; (con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza, Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996; (con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita' femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997; (con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg & Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003; Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005] La mia riflessione inizia con un'affermazione paradossale destinata, non a stupire, ma ad assumere un atteggiamento critico di fronte al concetto di speranza, cosi' abusato da risultare ovvio e banale. Mi sento infatti di dichiarare, contro ogni evidenza, che la speranza non esiste. O per lo meno non costituisce un patrimonio innato come l'istinto, ne' una risposta automatica alle frustrazioni di cui e' costellata la nostra vita. Non c'e' un'area cerebrale riservata alla speranza, come invece esiste per la paura. La speranza e' piuttosto, come le passioni, una costruzione culturale, un assemblaggio di rappresentazioni, concetti ed emozioni al tempo stesso individuale e collettivo. In ogni modo le speranze non sono "ameni inganni" perche' ci consentono di guardare avanti, di attendere con fiducia che la situazione cambi e di agire perche' migliori. Come si suol dire, anche dopo la notte piu' buia viene sempre il mattino. Ma non e' detto che la speranza sia sempre positiva: contaminata dall'invidia puo' diventare "speranza del male altrui" e, nell'amore, speranza di dominio o di possesso. Dai dizionari e' definita "Attesa di qualcosa di desiderato, considerato probabile ma insicuro", mentre la radice indoeropea "spe" significa espandersi, aumentare, crescere, di qui il termine "pro-sperare". Ad Aristotele si attribuisce una frase che la connette all'immaginazione collocandola tra coscienza e inconscio: "La speranza e' un sogno fatto da svegli". * Di solito al mattino, quando un'attesa positiva aiuta ad alzarsi, la speranza viene vissuta come una condizione affettiva lieve e continua, ma puo' anche raggiungere una intensita' tale da costituire un vero e proprio stato passionale, una disposizione che totalizza l'esperienza e orienta ogni aspetto della vita. La sua energia deriva dal desiderio, erotico o aggressivo, e ne condivide l'evoluzione e le vicissitudini. Nella forma di attesa della soddisfazione del bisogno possiamo trovarne un'anticipazione nell'istinto di sopravvivenza, ma se ne distacca poi sino ad assumere una configurazione autonoma. Progressivamente la cultura e l'educazione trasformano la tensione organica verso l'appagamento in un dispositivo che possiede persistenza e funzionalita' specifica nonostante il mutare delle circostanze in cui si esercita. Il passaggio da "io attendo" a "io spero", richiede un pensiero evoluto, una forte capacita' immaginativa, un sentimento sociale nella misura in cui nessuno spera da solo e nel vuoto. Per certi aspetti la speranza dipende dal temperamento innato. * Se osserviamo come i neonati affrontano l'allattamento vedremo che alcuni sono cosi' avidi da non tollerare dilazioni mentre altri aspettano di buon grado di essere alimentati. In certi casi la bramosia, trasformata in pianto irrefrenabile, disperato, ostacola l'adattamento sino a impedire i necessari movimenti di suzione. Ripetute esperienze di soddisfazione finiscono tuttavia per ridurre l'angoscia di morte e per accrescere i margini di tolleranza alla frustrazione. Per la costruzione della facolta' di sperare sono comunque necessarie due condizioni di base: la sicurezza e la fiducia. La prima si avvale di un ambiente relativamente stabile, di uno spazio delimitato e di un tempo organizzato. Gli imprevisti sono per i piu' piccoli destabilizzanti e ansiogeni. I bambini, profondamente abitudinari, amano i rituali e le ripetizioni: non a caso la loro prima richiesta e' "ancora". La fiducia poggia invece sulla dedizione di una figura materna, sulla sua disponibilita' ad accogliere nella mente il nuovo nato che necessita per crescere di essere ospitato, come vedremo, in un grembo psichico oltre che fisico. Ma la disposizione a sperare diventa carattere, forma della personalita', senso dell'esistenza solo progressivamente, attraverso le vicende della vita. * La forza d'animo, la capacita' di fronteggiare il pericolo, di resistere e risollevarsi dopo gli insuccessi e' il risultato di esperienze, non necessariamente gratificanti, ma formative. "Tutto cio' che non mi fa morire mi rende piu' forte" sostiene Nietzsche. Tra le esperienze che fanno crescere il primo posto spetta all'educazione, tanto a quella diretta quanto a quella indiretta, costituita dall'insieme delle relazioni in cui l'individuo e' inscritto. Ma perche' un cucciolo della razza umana divenga un soggetto educabile deve compiere un lungo percorso che, pur rimanendo invisibile, condizionera' il suo essere nel mondo. Se la speranza non e' un dato ma una costruzione, il risultato dell'assemblaggio di diverse componenti, dobbiamo, per comprenderla, ripercorrere il processo che conduce dal vivere soltanto nel presente all'attesa di un futuro possibile e desiderabile. * All'inizio della vita, subito dopo la nascita, l'unica dimensione dell'esistenza e' il qui e ora. Il neonato risponde ai bisogni che lo assalgono (il cui prototipo e' la fame) con la pretesa di ottenere tutto e subito. Ma poiche' e' impossibile far coincidere domanda e risposta sino a evitare qualsiasi interstizio di vuoto, di privazione, il corpo invia alla mente, dice Freud, una "richiesta di lavoro". Stimolata dal malessere somatico, la mente si attiva allora per raggiungere l'appagamento del bisogno il piu' presto e il piu' completamente possibile. La mancanza quindi, ben lungi dal costituire soltanto una dannosa frustrazione, svolge anche una funzione positiva perche' mette in moto l'attivita' psichica, la motiva e la orienta. Poiche' il pensiero neonatale funziona secondo l'onnipotenza dell'economia inconscia, la prima risposta alla frustrazione e' costituita dall'allucinazione. Il lattante affamato cerca, in un seno immaginato, una gratificazione che non c'e'. L'allucinazione non risolve certo il problema della fame ma la capacita' di prefigurare con la fantasia la realizzazione dell'attesa perdura anche nelle speranze piu' elaborate, come mostrano le utopie e i racconti di fantascienza. Solo col tempo, di fronte a ripetute esperienze di fallimento della risposta delirante, il neonato prendera' atto della sua incapacita' e, abbandonando l'onnipotenza del principio di piacere, accettera' almeno parzialmente il principio di realta': "otterro' la soddisfazione cui tendo quando e come sara' possibile". Dico parzialmente perche' un successivo tentativo sara' di ottenere dall'adulto che si prende cura di lui, di solito la madre, quella saturazione della mancanza, immediata e assoluta, che non e' riuscito a raggiungere con le proprie forze. Ma poiche' nessun adulto, per quanto sollecito, riuscira' mai ad essere all'altezza delle intransigenti esigenze di un neonato, la mancanza richiedera' di essere superata con altre, piu' complesse strategie. Prima tra tutte quella di rinviare la gratificazione e tollerare l'attesa. Un passaggio tutt'altro che facile e automatico perche' corrisponde a una seconda nascita: quella del pensiero riflessivo, tipicamente umano. Nel frattempo il nuovo nato ha affrontato una condizione essenziale per il suo sviluppo: la dipendenza, il fatto di essere assolutamente dipendente da un altro, dalla disponibilita' e dalla dedizione altrui, per la sua stessa sopravvivenza. Ripetute delusioni della scorciatoia allucinatoria gli hanno insegnato che non basta a se stesso e che, se vuole continuare a vivere, come il suo corpo esige, deve rassegnarsi a chiedere l'aiuto dell'altro. * L'intelligenza umana si costruisce cosi', come vedremo, nella condivisione e nel dialogo. Immaginiamo un bambino in preda ai morsi della fame. Che cosa fa? Si agita, piange, strilla, strepita. Ma nulla accade finche' una figura materna, chinandosi sulla culla, risponde con la sua presenza all'appello. Non una madre perfetta (non c'e' bisogno di perfezione per crescere un figlio) ma abbastanza buona per intuire che il piccolo non necessita solo di latte - non si tratta di riempire un contenitore vuoto - ma chiede che il suo appello sia ascoltato e il suo bisogno riconosciuto. Ogni domanda, dice Lacan, e' una domanda d'amore e come tale vuole essere intesa. Se la madre, affetta da una grave depressione, porge al figlio il cibo come un oggetto che serve esclusivamente a placare la fame, a colmare una mancanza fisiologica, se interviene con gesti meccanici, freddi e impersonali per tappargli un buco nello stomaco, uccide psicologicamente il bambino, lo schiaccia nella economia animale del bisogno. In questo senso l'anoressica, quando rifiuta il cibo, cerca di sottrarsi a una risposta reificata che fa di lei una cosa. La buona madre invece interpreta l'agitazione del figlio neonato come una domanda di comprensione e tratta i movimenti impulsivi del suo corpo come pensieri. Mentre appronta il latte gli sussurra: "Ma su, stai tranquillo, non vedi che sono qui, adesso ti do la pappa, stai buono, aspetta un momento". Non sono mere parole perche' cosi' dicendo ha preso dentro di se' le emozioni del neonato, tensioni cieche e mute che si scaricano in gesti compulsivi, le metabolizza e, dopo averle depurate dagli elementi insopportabili, distruttivi e disperanti, gliele restituisce rese pensabili e vivibili. Non solo la madre elabora dentro di se', come in un sogno da sveglia, i pensieri che attribuisce al bambino ma gli trasmette funzioni mentali che approntano l'apparato per pensare. * A quel punto il nuovo nato sara' in grado di sopravvivere alla frustrazione e attendere la gratificazione sospendendo la scarica motoria diretta e immediata. Processo che non accade in molti atti di violenza improvvisa e ingiustificata quando un adolescente o un adulto, incapace di pensare la frustrazione, regredisce all'agire. Appena il bambino ha interiorizzato la madre ed e' capace di evocarla, di immaginarla quando e' assente, diviene in grado di attendere la realizzazione della sua domanda senza cadere nella disperazione. Anche in futuro la speranza sara' sostenuta da presenze buone come Dio, la provvidenza, la storia, la fortuna, nell'intima convinzione che "lassu' qualcuno ci ama". In tal modo il desiderio, separato dall'urgenza del bisogno, diventa autonomo rispetto al corpo e si distacca dalle cose sino a diventare desiderio dell'altro, desiderio di riconoscimento, desiderio di amore. * Mentre il bisogno costituisce una domanda specifica che richiede una risposta specifica (la sete viene colmata solo dall'acqua), il desiderio e' plastico, mobile, intercambiabile. Non solo viene alimentato dalla mancanza (si desidera solo cio' che non c'e' piu' o non c'e' ancora) ma teme la saturazione che corrisponderebbe a una moratoria del pensiero, a una devitalizzazione della psiche. Il desiderio costituisce infatti la condizione del pensiero umano. Senza desiderio non c'e' tensione ne' intenzione e, tacitato il bisogno, una cosa vale l'altra. Mentre gli animali, dopo aver saturato i bisogni connessi alla sopravvivenza individuale e alla propagazione della specie, si addormentano, l'uomo alimenta l'insoddisfazione, chiede di piu' e di meglio rispetto a quanto ha sinora ottenuto. Il ciclo organico non gli basta per realizzarsi, per sentirsi all'altezza della sua specie. Incessantemente desidera, brama, domanda, cerca di ottenere ma nulla potra' mai garantire che le sue aspirazioni saranno esaudite. Ne' lo vorrebbe davvero perche' sente che solo il desiderio lo mantiene psicologicamente vivo, aperto al mondo, relato agli altri con cui deve confrontare e contrattare desideri spesso in conflitto. Il tempo, sostiene Agostino, e' la tensione dell'anima perche' solo la proiezione dell'agognata soddisfazione rompe l'assedio del presente e crea le coordinate prospettiche che disegnano il futuro. In questo senso l'avvenire e' un effetto dell'energia desiderante, senza la quale l'esistenza si affloscia e l'orizzonte s'oscura. * A questo punto sono emerse le componenti essenziali per la costruzione della capacita' di sperare: le fondamenta di sicurezza e di fiducia che la sostengono e gli elementi costituiti dalla mancanza, dal desiderio, dall'attesa e dall'incertezza che la strutturano. Da questo campo energetico si dipartono via via proiezioni desideranti piu' o meno stabili e complesse. In ogni caso la speranza e' il risultato di un costrutto mentale che tende a difendere dalla disperazione e a ottenere la felicita', pur accettando l'incertezza del futuro da cui nulla potra' mai liberarci. La caducita' e' il nostro destino. Eppure noi speriamo in cio' che non controlliamo, di cui non possiamo essere sicuri perche' non dipende da noi. * Vi e', nella speranza, una componente di ignoto che reclama la fede. Non a caso le tre virtu' teologali proclamate dalla Chiesa sono: fede, speranza e carita'. L'ultima, la carita', e' psicologicamente la prima perche' riattiva l'esperienza precoce dell'aiuto che, nel momento della massima dipendenza, abbiamo ricevuto dall'altro. La fede sorregge l'individuo nell'affrontare la sua precaria condizione di vivente e aiuta la societa' a superare l'angoscia della sua dissoluzione, ma si configura in modo assai diverso nelle diverse epoche e culture. Per cui la speranza puo' essere appaltata per intero da un progetto precostituito oppure procedere per ipotesi, segmenti, tentativi, prove ed errori. Il suo opposto e' la paura, paura della morte innanzitutto, ma anche del male, dell'infelicita' e del dolore, nostro e di chi amiamo. L'insicurezza suscita timore e il timore alimenta la speranza determinando una spirale che molti pensatori hanno trovato perversa, altri benefica. Fondamentale, in proposito, l'affermazione di Spinoza che, riprendendo l'etica stoica scrive: "Quanto piu' ,dunque, ci sforziamo di vivere sotto la guida della ragione, tanto piu' ci sforziamo di dipendere meno dalla Speranza e di liberarci dalla Paura..." (Ethica, IV, prop. XLVII sch.). Entrambe sono considerate da Spinoza "passioni tristi" perche' la paura, attesa di un male possibile, e la speranza, attesa di un bene possibile, ci distraggono dal compito di incidere sull'esistente e di migliorare il presente. Ma dalla paura dobbiamo liberarci, mentre dalla speranza dobbiamo soltanto dipendere meno. Entrambe le strategie, seppur differenti, richiedono per Spinoza un unico esercizio, quello della ragione, il cui consiglio regola la direzione delle nostre azioni sottraendole, per quanto possibile, all'arbitrio del caso. In un certo senso, di fronte alla tirannia della necessita' la speranza costituisce un moto di liberta', un'affermazione di soggettivita' e di autonomia: "spero dunque sono". Ma la sua funzione, avverte il filosofo, e' sempre ambivalente in quanto comporta il rischio dell'illusione e della passivita', elementi di razionalita' e di irrazionalita', componenti di logos e di pathos. Mentre Spinoza diffida della speranza, fragile attesa in un universo di leggi necessarie, Kant unifica gli interessi della ragione speculativa e pratica nella domanda: "che cosa posso sperare se faccio cio' che devo fare?". La risposta consiste nella tensione morale verso il Sommo bene, sintesi di virtu' e di felicita'. Bloch infine ne Il principio speranza sottolinea la forza costruttiva dello sperare, l'apporto di novita', la capacita' di trasformazione che implicano i suoi contenuti anticipativi. * In ogni caso la passione della speranza risulta costitutiva dell'antropologia e della storia umane. Se, come ultima dea, la Speranza fugge i Sepolcri, essa accompagna tuttavia la nostra vita modulandola, trasformando la mera esistenza in bio-grafia, e l'insieme delle biografie in storia che, dalla precognizione del futuro, ricava il senso del passato. Come per tutte le passioni la modalita' con cui la speranza individuale si esprime risulta profondamente debitrice dei modelli culturali della sua epoca. Per secoli la speranza e' stata alimentata dalla fede nell'aldila', dall'attesa di un trapasso che congiunge e sublima la mera vita in Vera Vita. La paura della morte ha trovato il miglior antidoto nella Salvezza, e la Salvezza ha trovato la piu' efficace garanzia nella Fede. Un'emozione che afferma e sostiene cio' che non puo' essere provato e che pure non costituisce una falsita' in quanto si sottrae al regime della verita' obiettiva e verificabile. Nel segno della Fede i poteri terreni ci condizionano ma non infrangono la perennita' dell'anima perche' la nostra essenza non appartiene al mondo finito ma a quello infinito. Ma l'avvento della modernita' si accompagna a una radicale riformulazione dell'individuo e della storia. "Paura e speranza nell'aldila', scrive Remo Bodei in Geometria delle passioni (Feltrinelli, 1991, p. 30), vengono secolarizzati... e da quel momento lo guardo comincera' a rivolgersi - su grande scala e da parte di moltitudini sterminate - alla carta del futuro, quale luogo di attuazione delle speranze per mezzo della politica. "L'esperienza e la consapevolezza di centinaia di milioni di uomini e di donne verra' sostanzialmente modificata... enfatizzando l'idea dell'uomo non piu' come creatura ma come 'creatore' storico di se stesso". * Il secolo scorso si e' caratterizzato per il diffondersi di grandi paure e di grandi speranze. Differenti utopie, reazionarie o rivoluzionarie, del passato o del futuro, hanno suscitato grandi passioni, dato senso all'esistenza, reso eroico il morire. Ma la caduta del muro di Berlino segna la fine delle ideologie e, per alcuni, della storia. Con la fine dei condizionamenti che ci hanno plasmato, il futuro diventa un fatto privato da gestire personalmente. Se da una parte questa liberta' costituisce una straordinaria opportunita' di creativita' e determinazione di se', dall'altra consegna l'individuo alla sua solitudine. Non e' facile decidere chi si deve essere e come vivere senza modelli di riferimento. Gli ideali proposti sono per lo piu' immagini di giovinezza, bellezza ed efficienza ad alto indice di suggestione, per cui la maggior parte dei ragazzi si confronta con un penoso senso di inadeguatezza e persino di vergogna. Dilagano in questi anni paure collettive - del pedofilo, dello spacciatore, dell'extracomunitario, dello zingaro, dell'inquinamento, del traffico, dell'inflazione e della disoccupazione - che inducono nella maggior parte delle persone atteggiamenti difensivi e comportamenti reattivi. Incapaci di condividere il disagio e il malessere in cui si trovano molti giovani cedono alle passioni tristi, fatte di rassegnazione, stanchezza e passivita'. Mentre la generazione che ha fatto il '68 utilizzava la rabbia per cambiare il mondo, gli adolescenti attuali rivolgono piuttosto la rabbia contro di se'. Lo scorso anno i suicidi tra i giovani compresi nella fascia 16-24 anni sono stati 4.000, la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Senza contare il sempre piu' precoce e diffuso ricorso alle droghe. Che fare di fronte a questa emergenza? Ci vorrebbe un nuovo orizzonte cui guardare con fiducia e speranza ma nessuno e' in grado di delinearlo da solo. Credo che un primo passo potrebbe consistere in un'alleanza tra generazioni, in una ripresa del dialogo tra chi ha esperito grandi attese (l'ultima e' stata quella della "immaginazione al potere") e anche grandi delusioni, e chi e' cresciuto in un mondo saturo di merci ma privo di promesse. "La societa' non ci chiede niente" lamentano molti giovani-adulti emarginati in un lavoro precario e insensato, infantilizzati dalla dipendenza economica dai genitori. Vivono il disagio della loro condizione ma non cercano alternative come se il presente fosse l'unica dimensione del tempo. E tutto fosse gia' accaduto. Ma se vogliamo iniziare una nuova narrazione occorre recuperare il passato per delineare il futuro. Non si arriva da nessuna parte senza partire da un tempo e da un luogo. La freccia del futuro scocca dall'arco del passato. L'importante e' considerare la speranza non una meta ma un cammino. E' piu' importante cercare che trovare, tentare senza la sicurezza di riuscire, sbagliare senza timore di ricominciare. Per risalire la china che precipita nel nulla, dobbiamo prendere le mosse dal piccolo, dal poco, dal quotidiano, dal condiviso, evitando l'impazienza, la fretta, la rinuncia e la fuga, con la consapevolezza che l'avvenire sa attendere. * Come scrive Emily Dickinson: Nessuna vita e' sferica Tranne le piu' ristrette; Queste son presto colme, Si svelano e hanno termine. Le grandi crescono lente, Dal ramo tardi pendono, Sono lunghe le estati delle Esperidi. 2. MAESTRE. ETTY HILLESUM: LA POSIZIONE [Da Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, p. 207. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma; Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo 'altro' e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2002; Maria Giovanna Noccelli, Oltre la ragione, Apeiron, Sant'Oreste (Roma) 2004] "Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una corrente di umanesimo e un'altra di odio". Allora ho saputo di nuovo che avrei preso posizione contro quell'odio. 3. MAESTRE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: IL CAPOVOLGIMENTO [Da Franca Ongaro Basaglia, Una voce, Il Saggiatore, Milano 1982, p. 118. Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio perche'?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore, Milano 1982; Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo, Editori Riuniti, Roma 1987; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia. Dalla recente antologia di scritti di Franco Basaglia, L'utopia della realta', Einaudi, Torino 2005, da Franca Ongaro Basaglia curata, riprendiamo la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia Giannichedda, che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963 insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce "Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano 1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in "Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche, saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997; Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di Venezia il 13 gennaio 2005"] Si tratta dunque di un capovolgimento totale dell'ottica cui siamo abituati: l'ottica della delega ad altri dei nostri problemi. 4. MAESTRE. SIMONE WEIL: LA MOLLA [Da Simone Weil, Quaderni. Volume primo, Adelphi, Milano 1982, 1991, p. 117. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] La molla della guerra e' la disperazione. 5. MAESTRE. VIRGINIA VOOLF: CHE SI CHIUDEVA [Da Virginia Woolf, Momenti di essere e altri racconti, Rizzoli, Milano 1995, p. 39 (e' l'incipit de "La casa degli spettri"). Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980; Nadia Fusini, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Mondadori, Milano 2006; Liliana Rampello, Il canto del mondo reale. Virginia Woolf, la vita nella scrittura, Il saggiatore, Milano 2005. Segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977] A qualsiasi ora ci si svegliasse c'era una porta che si chiudeva. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 214 del 10 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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