[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 213
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 213
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 9 Oct 2008 11:45:41 +0200
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 213 del 9 ottobre 2008 In questo numero: 1. Hannah Arendt: La liberta' fondamentale 2. Shirin Ebadi: Contro fame e poverta' 3. Marinella Correggia: Energia per l'Africa 4. Marina Forti: Ayabaca 5. Isabella Bossi Fedrigotti intervista Almudena Grandes 6. Valeria Gennero intervista Alexis Wright 1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA LIBERTA' FONDAMENTALE [Da Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, p. 331. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano 2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Secondo l'etimologia greca, cioe' secondo l'autointerpretazione dei Greci, la radice della parola che designa la liberta', eleutheria, e' eleuthein hopos ero', "andare cosi' come desidero", ed e' fuori di dubbio che la liberta' fondamentale venisse intesa come liberta' di movimento. Una persona era libera se poteva muoversi come desiderava; non l'Io-voglio, ma l'Io-posso costituiva il criterio discriminante. 2. RIFLESSIONE. SHIRIN EBADI: CONTRO FAME E POVERTA' [Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 settembre 2008 col titolo "Shirin Ebadi: Ecco la mia sfida contro fame e poverta'" e la nota redazionale "Anticipiamo parte dell'intervento conclusivo che il premio Nobel per la pace 2003 pronuncera' domani alla Conferenza "Food and Water for Life" in corso a Venezia"] So che le mie parole di oggi sembrano un sogno, pero' la nostra sfida e' pensare sognando, ma agire in modo realistico, sperando di consegnare alle generazioni future un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto dai nostri genitori. La mia precisa proposta per la riduzione della poverta' e la fame nel mondo, alla Conferenza "Food and Water for Life", e' che la concessione dei prestiti e crediti ai Paesi venga vincolata alla riduzione del loro budget militare. In un Paese che chiede prestiti o aiuti internazionali, il budget militare non deve superare il totale del budget per l'istruzione e per la sanita'. La mia seconda proposta e' che, se un Paese povero non e' in grado di ripagare il proprio debito estero, avra' il debito annullato se scioglie il proprio esercito. Eliminare la fame e la poverta' nel mondo non e' realizzabile senza la diminuzione delle spese militari e, se e' necessario, lo scioglimento delle forze armate, nel rispetto per i diritti umani e la democrazia. La Conferenza di Venezia tratta infatti l'argomento piu' importante e piu' complesso che il mondo moderno si trova ad affrontare: i diritti dell'uomo, e in particolare quello piu' attuale, "il diritto allo sviluppo". Oggi non puo' esistere il progresso economico di un popolo fra popoli che vivono in poverta' e in condizioni difficili. Non si puo' godere della tranquillita' e del benessere economico, mentre nei Paesi vicini i bambini non hanno neppure la possibilita' di andare a scuola. Non possiamo essere fieri dello sviluppo economico del nostro Paese, mentre milioni di persone nel mondo soffrono la fame e non hanno nemmeno accesso all¥acqua potabile... Purtroppo ogni giorno cresce la distanza tra i poveri e i ricchi nel mondo e le misure adottate dall'Onu e dalle altre organizzazioni internazionali finora non sono riuscite a ridurla. Il divario tra i paesi progrediti e i paesi in via di sviluppo e' enorme. Secondo un rapporto pubblicato da Undp, l'aspettativa di vita in Giappone e' di 82 anni, mentre in Sierra Leone e' solo di 34 anni. Il guadagno giornaliero dell'83% della popolazione dell'Uganda e' meno di un dollaro, mentre nei paesi europei e negli Stati Uniti annualmente vengono spesi 17 miliardi di dollari per il cibo degli animali domestici. In Angola 156 bambini su mille muoiono prima di raggiungere i due anni per mancanza di igiene e poverta', mentre negli Stati Uniti sono meno di otto su mille. Come si puo' colmare questo divario senza una cooperazione mondiale? La concessione dei prestiti e crediti per la realizzazione dei progetti che aiutano lo sviluppo di un Paese e' una strada facile da percorrere. Ma, facendo cosi', incorriamo in un grande pericolo. Nei Paesi dove i governi non sono democratici e quindi tutto il potere politico, amministrativo ed economico e' nelle mani di una persona o di un ristretto gruppo di persone, la concessione di crediti significherebbe aiutare i dittatori e andare contro gli interessi del popolo oppresso. Servirebbe a rafforzare i dittatori nel calpestare ancora di piu' i diritti del popolo, nel violare i diritti umani e nell'ignorare la democrazia... Per evitare questo circolo vizioso, bisogna porre una precondizione, prima di concedere prestiti e crediti, cioe' il rispetto dei diritti umani. In mancanza del rispetto dei diritti umani, come si puo' raggiungere uno sviluppo economico? ... Quindi, gli esperti delle Nazioni Unite devono porre lo sviluppo dei diritti umani nel mondo in cima ai propri obbiettivi di sviluppo, perche', se un Paese non democratico riesce a raggiungere lo sviluppo per un certo periodo di tempo, siate certi che questo sviluppo non sara' sostenibile e duraturo. Un altro punto da notare e' l'alto costo degli armamenti nazionali che causa l'aumento della poverta'. Secondo i rapporti internazionali, nella maggior parte dei Paesi del mondo il costo degli armamenti supera il budget stanziato per l'istruzione e per la sanita' messi insieme. Questo vuol dire che le ricchezze nazionali, che devono essere spese per migliorare la vita della popolazione del Paese, vengono spese per l'acquisto delle armi e per uccidere la gente. Ci sono dei Paesi dove il numero dei soldati supera il numero degli insegnanti. Quindi, la diminuzione del budget militare e' una delle misure piu' importanti da prendere a livello mondiale. Non dimentichiamo che paesi come il Giappone o il Costarica non hanno eserciti; e non soltanto non hanno alcun problema sotto questo aspetto, ma hanno raggiunto uno sviluppo sostenibile. 3. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: ENERGIA PER L'AFRICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 ottobre 2008, col titolo "Carbone per l'Africa?"] L'Africa sub-sahariana e' spenta, dal punto di vista dell'energia elettrica. Solo due abitanti su dieci vi hanno accesso, e secondo un recente rapporto del Regional Economic Outlook for Sub-Saharan Africa (del Fondo monetario internazionale), solo nel 2007 quasi due terzi dei paesi della regione hanno avuto a che fare con una crisi energetica acuta, caratterizzata da frequenti e prolungati black-out. Come accendere la luce, e i frigoriferi, e servizi importanti per migliorare le condizioni di vita e ridurre la fatica, in Africa? Certo, ci sarebbe l'energia idroelettrica. Di dighe ce n'e' abbastanza, in Africa. Ma oltre ai danni ecologici e sociali di cui si sono resi colpevoli gli impianti piu' grandi, l'idroelettrico non e' considerato in grado di tenere il passo del rapido aumento della popolazione e della crescita attesa della domanda elettrica (il 70% della quale crescita avverra' nel Sud del mondo, e anche l'Africa fara' la sua parte). Oltretutto, le frequenti siccita' ne decurtano la potenza. E sempre piu' l'acqua servira' anche per l'agricoltura. Per la produzione di energia elettrica esistono numerose altre fonti: il petrolio, il gas, l'energia solare; ma nel giudizio di molti (come riporta un articolo dell'organo di informazione alternativo Alternet: www.other-net.info/index.php) gli impianti necessari costano troppo. Gia': finche' le risorse finanziarie disponibili al mondo saranno messe negli armamenti e nel salvataggio delle borse, nessuno o pochi sosterranno il solare in Africa... C'e' dunque chi propone di ricorrere alla piu' abbondante (ancora per decenni e decenni) ed economica delle fonti fossili: il carbone. L'Africa avrebbe riserve di carbone per 50 miliardi di tonnellate, degli 850 miliardi di tonnellate mondiali. Il carbone e' visto come combustibile fossile d'elezione - obtorto collo - nello sviluppo economico di paesi come Cina e India. Se anche in molti paesi "sviluppati" e' una quota importante nella produzione di energia elettrica, e' scontato che i paesi in via di sviluppo esplorino le proprie abbondanti risorse carbonifere. L'Africa, e' da prevedersi, usera' il carbone anche, ad esempio, per la produzione di cemento e acciaio: l'alternativa della legna contribuisce alla deforestazione. Inoltre c'e' una domanda significativa di mattoncini di carbone per la cottura dei cibi e altri usi domestici. L'articolo citato minimizza l'impatto ambientale di questa nera filiera energetica. Sostiene che il carbone, risorsa si' abbondante ma finita, deve essere estratto con maggiore efficienza e che poi bisogna mitigare l'impatto degli impianti, facendo ricorso al "carbone pulito", cioe' a moderne tecnologie che appaiono meno impattanti. Queste finora in Africa non sono arrivate; ci arriveranno? Oltretutto la "pulizia" del "nuovo carbone" e' contestata con veemenza anche nei paesi ricchi. Le cosiddette "tecniche di cattura e stoccaggio" del carbonio per evitare le emissioni di CO2 sono ancora di la' da venire mentre l'effetto serra va combattuto nei prossimi 10-20 anni. Potremmo dire che l'Africa ha finora avuto cosi' poche responsabilita' climatiche da potersene permettere un po'... Ma il caos climatico ricade prima di tutto su quel continente, sulla sua agricoltura, sul suo regime delle piogge. E poi l'estrazione stessa del carbone ha effetti distruttivi sull'ambiente: le miniere livellano la topografia di intere regioni, inquinano le falde, ammazzano minatori. "Ricorrere al carbone come importante fonte energetica sarebbe un grosso passo indietro nella storia del progresso umano", si legge nel saggio Collasso, di Howard Kunstler. 4. MONDO. MARINA FORTI: AYABACA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 settembre 2008 col titolo "Il rifiuto di Ayabaca"] Gli abitanti di Ayabaca, nel Peru' settentrionale, stanno celebrando alla grande il primo anniversario del loro referendum municipale: un anno fa hanno deciso, col 95% dei voti, di rifiutare progetti di miniere nel loro territorio. Ayabaca e' un minuscolo centro urbano di 5.000 anime sulla cordigliera di Piura, a 2.700 metri sulle Ande, ed e' il capoluogo di una provincia che comprende anche diversi villaggi rurali. E' un ambiente molto particolare: comprende zone di foresta tropicale d'alta quota avvolta dalla nebbia perenne (la chiamano "foresta nebbiosa") e zone di paramos, un ecosistema unico che si produce attorno ai 3.000 metri d'altezza sulle Ande settentrionali, tra le ultime foreste e i picchi innevati: erbe e arbusti, con specie endemiche tra cui dei colibri' e un certo tapiro di montagna, protetto. Dunque il 16 settembre di un anno fa la stragrande maggioranza degli abitanti di Ayabaca ha messo alla porta le aziende minerarie che progettano di estrarre oro, argento, rame e molibdeno, perche' avrebbero distrutto la loro vita basata sull'agricoltura e un po' di turismo. Le aziende hanno cercato di minimizzare l'importanza del referendum popolare, che pero' e' un'istituzione sancita dalla costituzione peruviana. Del resto il referendum e' stato solo l'ultimo atto di un conflitto annoso. Gli abitanti di Ayabaca testimoniano di pressioni e intimidazioni di grande violenza (ne riferisce il notiziario on-line "Environmental News Service" del 10 settembre) da parte di un'azienda mineraria, la Majaz Mining Company, a cui il governo del presidente Alan Garcia ha concesso un permesso per prospezioni nella zona. Gli abitanti hanno bloccato la strada che porta al sito della concessione, e i blocchi continuano nonostante l'azienda abbia piu' volte offerto soldi. Le autorita' proteggono l'azienda, e cominciano ad accusare gli abitanti di collusione col terrorismo: oltre 300 cittadini della provincia sono indagati per questo, e decine sono stati arrestati in seguito alle proteste contro i progetti. La stampa locale ha riferito di alcuni omicidi: uno dei dirigenti dell'opposizione alle miniere, l'agronomo Reemberto Herrera Racho, e' stato ucciso nel 2004; l'anno dopo e' stato ucciso un altro leader, Melanio Garcia Gonzales. In questo caso un testimone, un dirigente della comunita' rurale di Huancabamba, ha visto Garcia cadere crivellato di colpi e la polizia portare via il cadavere, ma l'omicidio resta imputato a ignoti. Una trentina di contadini sono stati rapiti e torturati per tre giorni nell'accampamento dell'azienda mineraria, secondo quanto testimonia un medico americano del gruppo Phisicians for Human rights ("Medici per i diritti umani") che li ha curati nel 2005. Un contadino e' stato picchiato cosi' duramente con il calcio di una pistola che ha perso un occhio. Inoltre 200 contadini sono imputati di aver invaso terre municipali. Con un livello di intimidazioni cosi' violento, quasi stupisce che gli abitanti di Ayabaca abbiano ancora avuto il coraggio di votare contro le aziende minerarie. E si capisce perche' ora, sostenuti da una piccola rete di gruppi per i diritti umani, abbiano voluto celebrare la ricorrenza in modo pubblico. A loro favore ora c'e' un voto del Congresso (parlamento) peruviano, che in agosto ha deciso di revocare un "piano di sviluppo" del bacino amazzonico che avrebbe moltiplicato gli sfruttamenti minerari, forestali e petroliferi: e benche' Ayabaca sia sulle Ande, rientra nello spartiacque amazzonico: stavolta il governo federale deve revocare la concessione mineraria alla Majaz. O almeno, cosi' sperano a Ayabaca. 5. LIBRI. ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI INTERVISTA ALMUDENA GRANDES [Dal "Corriere della sera" del 30 settembre 2008 col titolo "Almudena Grandes. Ho scoperto l'impegno: la guerra di Spagna fu tra il bene e il male" e il sommario "La scrittrice racconta il suo primo romanzo politico, che ha sullo sfondo gli anni del conflitto tra repubblicani e franchisti"] Madrid - La dedica di Cuore di ghiaccio, il nuovo romanzo di Almudena Grandes che uscira' giovedi' da Guanda ("A Luis, Mauro, Irene e Elisa. Vi proteggo io") gliel'ha ispirata Machado, pero' piu' sua, di Almudena, non potrebbe essere. Nessun dubbio infatti che sia lei, cosi' forte, esuberante, vitale, traboccante di parole, di energia - oltre che di successo letterario - la protettrice della sua famiglia, del bel marito timido e poeta e dei tre figli, uno di lei, una di lui e la piccola di tutti e due. Prova della sua inesausta facondia sono le oltre mille pagine del nuovo libro, il suo primo romanzo politico, ma insieme anche romanzo storico, familiare e sentimentale: in primo piano un uomo e una donna che s'incontrano, carichi di eredita' assai diverse; in secondo le rispettive famiglie, fratelli, genitori e nonni; in terzo i personaggi di contorno, le citta', i paesaggi e, dietro a tutto, la storia o, meglio, il periodo piu' controverso, piu' bruciante e doloroso della storia spagnola, i tragici anni della guerra civile. Il tutto raccontato fin nel dettaglio con una precisione quasi maniacale che non lascia in bianco e nero nessun particolare: anche il piu' piccolo e piu' secondario prende, infatti, forza e colore nel grande affresco di quasi un secolo di vita spagnola. Il fatto e' che la Grandes ha l'innato gusto di raccontare la vita e lo ha dimostrato nei suoi ormai numerosi romanzi: va con la lanterna a esplorare le caverne oscure dell'animo, delle memorie sepolte, dei rapporti familiari, degli accadimenti casuali e degli incontri fatali e illumina ogni anfratto di modo che, un po' alla volta, la trama appare in piena luce, pezzo dopo pezzo. Luogo di partenza, piccolo chiarore in mezzo al buio che intorno regna ancora fitto, e' il funerale di un anziano e geniale immobiliarista venuto dal niente, arricchitosi al tempo del franchismo, rispettato da tutti, ammirato e amato non solo dai familiari. Tra i parenti, gli amici e il piccolo gruppo di abitanti del villaggio riuniti intorno alla tomba di famiglia, compare, in ritardo e in disparte, per riandarsene quasi subito, una sconosciuta sui trentacinque anni, bella, elegante, che solo Alvaro, il figlio piu' giovane e meno in linea con il modello paterno, nota, rimanendone turbato: non a caso, visto che gli sconvolgera' la vita e non soltanto perche' lo costringera' ad aprire gli occhi su chi fosse stato veramente suo padre. "Ma un funerale - spiega Almudena, incontrastata regina della sua borghesissima casa madrilena, piena di bei mobili tradizionali, lei che non e' ne' borghese ne' tradizionale - e' stato anche il mio punto di partenza, la prima pietra della mia costruzione. La cerimonia non avveniva a Torrelodones dove ho ambientato quella letteraria, bensi' a Las Rozas, altro sobborgo di Madrid e a sua volta un tempo villaggio di pastori e contadini; si seppelliva il padre di un mio amico scrittore e a un certo punto ho visto arrivare, in ritardo, una bella donna che non conoscevo. Era in realta' una normalissima, domestica cugina, ma nella mia fantasia e' diventata l'affascinante, misteriosa Raquel, nipote di combattenti repubblicani". * - Isabella Bossi Fedrigotti: E' stato difficile mettersi nei panni di Alvaro, il protagonista, e cercare di guardare il mondo con occhi di uomo, di raccontare gli avvenimenti con voce di uomo? - Almudena Grandes: Doveva essere un romanzo maschile - perche' la guerra e' soprattutto maschile - e percio' e' stato giocoforza scrivere "da uomo". Non e' stato difficile, anche se non sono sicura che un uomo avrebbe notato certi particolari che posso notare io, come, per esempio, le calze sotto il ginocchio sulle gambe nodose delle donne di paese, in piedi vicino alla tomba, nella scena del funerale. Difficile e lunga e' stata piuttosto la preparazione del romanzo, la ricognizione attraverso la nostra storia recente. Anche se gia' ne sapevo molto, ho dovuto studiare a fondo la tragedia delle due Spagne divise e ogni volta che incominciavo a scrivere usciva qualche nuovo testo, qualche memoria inedita su quel periodo, per cui dovevo interrompere e leggere prima di poter riprende la mia strada, ogni volta modificandola un poco. Ecco perche' ci ho messo piu' di quattro anni a concludere il libro, nonostante io scriva tutti i giorni, sabati e domeniche comprese, dalle nove di mattina alle tre del pomeriggio: le ore piu' appassionanti della mia vita. * - Isabella Bossi Fedrigotti: Come mai un romanzo cosi' marcatamente ideologico, che divide il mondo in due, buoni da una parte, cattivi dall'altra? - Almudena Grandes: Il mondo che racconto e' diviso in due, tra bene e male, non tra buoni e cattivi. Di questi e di quelli ce ne furono ovviamente da entrambe le parti e nel mio libro molti sono le due cose insieme. Ma che l'ideologia di una parte fosse giusta e l'altra sbagliata e' fuori discussione. * - Isabella Bossi Fedrigotti: Perche' scrivere della guerra civile? - Almudena Grandes: Perche' e' il tema del momento, non piu' rinviabile, e innumerevoli miei coetanei ne hanno scritto e ne stanno scrivendo, saggi, analisi, romanzi. Siamo la terza generazione ed e' normale che tocchi a noi il compito di elaborare il tema. E' normale che la prima generazione avesse scelto il silenzio, dall'una e dall'altra parte, perche' troppi erano stati gli orrori visti e vissuti. La seconda, cresciuta nella paura e nell'ombra lunga di fatti indicibili, ha per lo piu' fatto lo stesso. Noi siamo liberi sia da ombre che da paure e sarebbe un gran peccato se non ne approfittassimo. La ferita, infatti, piu' che rimanere aperta, finirebbe con andare in suppurazione. * - Isabella Bossi Fedrigotti: In che senso? - Almudena Grandes: Inquinerebbe - come inquina - il sistema della grande politica, per esempio, ma inquinerebbe - come inquina - anche la piccola convivenza privata. Non penso tanto alle citta', ma ai paesi dove tutti si conoscono. Immagini di dover vivere per quaranta e piu' anni nella stessa strada di qualcuno il cui padre, il cui zio o nonno ha torturato e ucciso il padre suo, il nonno o lo zio, e di incontrarlo continuamente al bar, in piazza o al supermercato: il tutto nel silenzio generale. A questo proposito mi ha colpito che, nel corso di una presentazione di Cuore di ghiaccio in una piccola citta' di provincia, mi si sia avvicinata una vecchia signora per dirmi: "Lei e' coraggiosa". Coraggiosa perche'?, mi sono chiesta e poi ho pensato a quel clima di silenzio appunto, che non e' riuscito a cancellare le memorie di sangue, generando nuovo rancore e nuove paure. * - Isabella Bossi Fedrigotti: La tanto lodata transizione, dunque, non e' servita... - Almudena Grandes: Troppo lodata, in effetti. Ce l'hanno invidiata perche' il passaggio dalla dittatura alla democrazia e' stato incruento e ne siamo stati contenti anche noi, ma non basta una transizione dolce a estinguere, a far dimenticare le efferatezze commesse. I lutti, dell'una e dell'altra parte, non sono mai stati elaborati. Anche per questo ho scritto Cuore di ghiaccio, che avevo in mente da molto tempo, tant'e' vero che se ne trovano piccole anticipazioni in vari altri miei libri precedenti. * - Isabella Bossi Fedrigotti: E la sua famiglia da che parte stava? - Almudena Grandes: I Grandes de Espana? Un po' da ogni parte, come succede nelle grandi famiglie, grandi nel senso che in tutte le generazioni, tranne che nella mia, c'erano otto, nove, dieci fratelli e allora e' normale che ce ne siano stati di questi e di quelli. A volte anche l'uno contro l'altro, con il risultato, devastante per una famiglia, che uno si e' poi trovato tra i vincitori e l'altro tra gli sconfitti. I miei genitori, come molti della loro generazione, di politica non parlavano e il passato per loro era chiuso sotto chiave da qualche parte. Erano conservatori, ma non troppo, religiosi ma non troppo, erano brava gente. 6. LIBRI. VALERIA GENNERO INTERVISTA ALEXIS WRIGHT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 settembre 2008 col titolo "La saga di Alexis Wright. Anni di lotte aborigene su sfondo romanzesco" e il sommario "Incontro con la scrittrice aborigena, che nel suo I cacciatori di stelle - uscito da Rizzoli - ha raccontato, con un pizzico di realismo magico, la storia della resistenza combattuta dai popoli del Golfo di Carpentaria contro gli abusi ambientali del governo australiano"] "Il serpente ancestrale, creatura piu' vasta delle nubi tempestose, scese dalle stelle gravido della sua immensita' creatrice. Si muoveva con grazia, a vederlo con gli occhi di un uccello che levatosi alto nel cielo avesse scorto in basso la pelle umida del rettile brillare alla luce di un sole antico, molto tempo prima che l'uomo fosse una creatura in grado di pensare". I primi paragrafi de I cacciatori di stelle - appena pubblicato da Rizzoli nella traduzione di Andrea Sirotti e G. L. Staffilano (2008, pp. 550, euro 21,50) - ci introducono senza esitazione in una cornice temporale che trascende le contingenze della storia umana. Il sole antico che illumina il golfo di Carpentaria, nell'Australia settentrionale, e' testimone di un mondo moderno lacerato dal conflitto tra la popolazione aborigena e il mondo dei colonizzatori bianchi. Lo scontro di civilta' e' pero' solo uno dei temi di questa saga, che alterna cronaca sociale e squarci soprannaturali, comicita' e desolazione, in una combinazione originale accolta con analogo entusiasmo dalla critica e dal pubblico. L'autrice e' Alexis Wright, che grazie a questo romanzo e' diventata la prima scrittrice aborigena ad aver ricevuto il piu' prestigioso premio letterario australiano - il Miles Franklin Award del 2007, ed e' stata in Italia in questi giorni, ospite della rassegna "Torino Spiritualita'". * - Valeria Gennero: Lei ha raccontato che inizialmente I cacciatori di stelle doveva essere un saggio: cosa le ha fatto cambiare idea e trasformarlo in un romanzo? - Alexis Wright: Sono sempre piu' convinta che le opere di finzione siano il modo migliore per dire la verita' senza compromessi. Volevo raccontare la storia di un decennio di lotte delle popolazioni aborigene del Golfo di Carpentaria - nel nord dell'Australia - contro il tentativo di modificare il sistema che limita l'accesso alle terre degli aborigeni e contro l'apertura di una miniera di zinco nella zona del Golfo. Il romanzo, infatti, e' dedicato proprio ai due uomini che hanno coordinato e ispirato la resistenza a queste sopraffazioni da parte del governo. In quegli anni io vivevo ad Alice Springs e facevo la spola tra il nord e l'Australia centrale per cercare sostegno in altre organizzazioni indigene che potessero aiutarci con risorse di tipo legale, scientifico ed economico. Dovevamo combattere la compagnia mineraria dimostrando l'impatto ambientale dei nuovi scavi, i danni all'ecosistema marino, alle popolazioni che vivevano di pesca. Inoltre avevamo bisogno di antropologi e storici per difendere i nostri luoghi sacri. Fu un periodo molto faticoso e si concluse con una sconfitta su tutta la linea. Alla fine anche tra molti di noi cominciarono a prevalere la stanchezza e la rassegnazione: e' difficile dover combattere costantemente e su ogni argomento. Quando mi proposero di scrivere la storia di quanto era successo, mi sono resa conto che mi sentivo troppo coinvolta emotivamente. Mi sembrava impossibile raccontare l'enormita' degli abusi che erano stati commessi senza rischiare una denuncia. E poi ho anche pensato che un resoconto giornalistico sarebbe stato interessante solo per un pubblico accademico, mentre io speravo di poter comunicare con piu' persone. * - Valeria Gennero: Dunque, scrivere e' stato un modo di elaborare la rabbia? - Alexis Wright: Non e' solo una questione di rabbia. E' stato un altro modo per continuare ad essere fedele a me stessa e agli ideali della mia gente. Ho impiegato due anni a liberarmi dalle sensazioni dolorose legate al fallimento dei nostri sforzi. E poi gradualmente la storia ha cominciato a farsi strada dentro di me, all'inizio con i personaggi di Norm Phantom e di suo figlio Will. Il primo e' convinto che sara' la terra a prendersi cura di noi, e cosi' non si preoccupa del colonialismo, lo considera una trasformazione provvisoria, impercettibile rispetto alla tradizione millenaria della Legge Aborigena, che, a differenza di quelle dei bianchi, e' una legge che non muta. Suo figlio Will invece diventa un attivista, ha fiducia nello spirito della terra ma crede che sia necessario aiutarlo, prendere posizione. La cosa difficile e' stata trovare una voce per raccontare le storie di oggi insieme a quelle della tradizione epica orale. Noi siamo un popolo di narratori, siamo il frutto delle storie che ci hanno formato. * - Valeria Gennero: Quali crede che siano le storie sulle quali si e' costruita la sua formazione? - Alexis Wright: I miei ricordi d'infanzia piu' vividi sono legati alle storie che mi raccontava mia nonna. La sua famiglia era stata cacciata dalla zona del Golfo negli anni '30, quando gli allevatori bianchi avevano occupato i territori aborigeni costringendo le popolazioni indigene a trasferirsi a sud nelle periferie delle aree urbane. Io sono nata a Cloncurry, nel Queensland. Mio padre era un mandriano bianco, ma e' morto quando avevo cinque anni, cosi' sono cresciuta con mia madre e mia nonna, immersa nella comunita' Waanyi. Mia nonna era una grande narratrice e mi ha consegnato un patrimonio di storie aborigene che mi hanno aiutata a capire chi ero. E' stato naturale per me cominciare molto presto a lavorare come attivista per cercare di fermare il genocidio della mia gente che si stava verificando come conseguenza delle politiche economiche del governo. * - Valeria Gennero: Lei ha frequentato una scuola elementare cattolica. Che peso ha avuto nella sua formazione l'incontro con i modelli religiosi e culturali introdotti dal colonialismo? - Alexis Wright: Quando ho cominciato a frequentare le assemblee delle comunita' aborigene ero molto giovane ma sono diventata quasi subito la persona incaricata di verbalizzare le discussioni e le decisioni collettive. Ogni parola era importante, e tutti insistevano che nei resoconti io conservassi l'espressione "precisa", corretta. Solo piu' tardi ho capito che mi stavano insegnando ad ascoltare. Il governo australiano non ha mai ascoltato gli aborigeni: ha preso la parola a nome nostro, ha fatto delle scelte che secondo loro sarebbero andate a nostro vantaggio anche se noi non eravamo d'accordo. Nessuno ha mai tenuto conto del nostro punto di vista. La nostra invece e' una cultura basata sull'ascolto. Anche la terra ci racconta delle storie, e' come una immensa cattedrale piena di luoghi sacri. Questa convinzione fa si' che molte delle cerimonie e dei rituali aborigeni consistano in un atteggiamento di cura e rispetto nei confronti dell'ambiente, che dovrebbero interessare tutta la cultura australiana, invece continuano a essere mortificati. * - Valeria Gennero: Quand'e' che ha cominciato ad affiancare la scrittura creativa alla militanza politica? - Alexis Wright: Ormai scrivo da quasi vent'anni. E' stata una conseguenza naturale del mio lavoro di ricerca e di studio per i diritti territoriali degli aborigeni. Mi sono resa conto molto presto che era importante poter contare su conoscenze approfondite per dare il contributo di cui la mia comunita' aveva bisogno. E' una lotta durissima, richiede ogni risorsa, ogni pensiero. Quando una multinazionale mineraria bussa alla tua porta perche' vuole costruire in un luogo sacro, devi trovare gli argomenti per cercare di far valere le tue ragioni. Scrivere per me e' un modo di dare voce a una prospettiva che gli australiani bianchi non sono abituati a sentire, che spesso non vogliono sentire. Un modo di far sapere che ci sono altri modi di guardare la storia di questa nazione, al di fuori delle mitologie anglosassoni. * - Valeria Gennero: Ha l'impressione che le cose possano cambiare per il meglio con il nuovo governo laburista di Kevin Rudd? - Alexis Wright: Rudd ha fatto un gesto simbolico importantissimo nel febbraio di quest'anno, quando ha chiesto scusa alle popolazioni indigene australiane per i crimini commessi dal governo bianco nel corso di piu' di cent'anni. E' stato un momento emotivamente molto coinvolgente. Pero' in seguito non e' successo nulla di davvero significativo. E' stato comunque un grande passo avanti dopo che i dieci anni di governo di John Howard avevano riportato la situazione degli aborigeni indietro di mezzo secolo. Di nuovo si parlava di misure restrittive allo scopo di "impedire che gli indigeni nuocessero a loro stessi". Non e' stato fatto nessun tentativo di accordare anche alla legge aborigena una forma di dignita'. Al contrario, l'unica prospettiva offerta era quella dell'assimilazione. Ancora una volta il valore di modelli di relazione e di spiritualita' diversi da quelli dominanti veniva negato, rimosso, mentre gli aborigeni venivano descritti dai media come violenti, incapaci di prendersi cura di loro stessi, bisognosi di una guida esterna. E questo generava nelle nostre comunita' risentimento, rassegnazione, e altra violenza, in un circolo vizioso. * - Valeria Gennero: Oltre ad aver accumulato riconoscimenti critici I cacciatori di stelle e' diventato un bestseller e ha avuto ampi riscontri mediatici. Pensa che questo possa essere l'indizio di una nuova attenzione nei confronti del contributo aborigeno alla cultura australiana? - Alexis Wright: Il successo del romanzo e' andato al di la' di ogni mia aspettativa. Gli autori aborigeni sono poco considerati in Australia e anche trovare un editore mi e' costato mesi di tentativi e rifiuti. Prima che il romanzo ottenesse il Miles Franklin le vendite non erano state significative. C'e' un interesse ancora molto scarso nei confronti di culture differenti da quella dominante. Per molto tempo gli australiani non si sono resi conto che differenza non vuol dire solo divisione e conflitto, differenza e uguaglianza sono fondamentali per vivere in modo armonico. Credo pero' che la forza della letteratura stia proprio nella sua capacita' di presentare punti di vista sul mondo che altrimenti ci rimarrebbero sconosciuti. Per questo nel romanzo ho voluto raccontare le storie antichissime della tradizione aborigena: quelle storie sono come delle mappe mentali che descrivono la nostra filosofia di vita. Il colonialismo non e' l'inizio della storia e non e' l'unica storia che e' possibile raccontare. E' importante non dimenticarlo. * - Valeria Gennero: La sua combinazione di realismo magico, tradizione popolare e romanzo sociale sembra avere pochi precedenti in Australia. Quali sono gli artisti che l'hanno influenzata maggiormente dal punto di vista stilistico? - Alexis Wright: All'interno della produzione letteraria australiana non sono riuscita a trovare la voce che cercavo. Mi hanno invece aiutata molto gli scrittori che, come me, si sono trovati a ereditare una tradizione culturale antica eppure assoggettata e svalutata, e hanno dovuto lottare con la presenza delle potenze coloniali sulle loro terre. Penso alla letteratura irlandese, segnata dalla lotta contro il dominio inglese. Ho una grande ammirazione per Seamus Heaney e ho scelto una sua poesia come epigrafe per I cacciatori di stelle. E poi gli autori iberoamericani, come Carlos Fuentes e, ovviamente, Gabriel Garcia Marquez. Forse pero' il libro che mi ha colpita maggiormente e' stato Texaco di Patrick Chamoiseau, un romanzo sulla cultura creola in Martinica. Ricordo ancora l'emozione che ho provato quando l'ho letto: non riuscivo a smetterle di parlarne, tanto che ancora adesso lo consiglio a tutti. * Postilla biobibliografica: La militanza per la nazione aborigena Waanyi Alexis Wright e' una scrittrice aborigena cresciuta a Cloncurry, Queensland, nell'Australia nord-orientale. Il padre, di origine irlandese, mori' quando Alexis aveva cinque anni e da quel momento la sua vita si e' svolta interamente nella nazione aborigena Waanyi, a cui appartenevano la madre e la nonna. Il lavoro di attivista per il diritto all'autodeterminazioni dei popoli indigeni l'ha coinvolta a tempo pieno per molti anni. E' stata tra gli organizzatori di due importanti Congressi costituzionali indigeni, a Tennant Creek e a Wattie Creek, dove nel 1998 si tenne il Congresso di Kalkaringi e mille delegati aborigeni si incontrarono per definire una politica unitaria e dare vita al progetto delle Nazioni aborigene unificate dell'Australia centrale. Nel 1997 Wright ha pubblicato il suo primo romanzo, Plains of Promise, e il saggio Grog War, un'analisi politica della diffusione dell'alcolismo tra gli aborigeni. Inoltre ha curato l'antologia Take Power, per celebrare il XX anniversario della legge che permetteva agli aborigeni del Territorio del Nord di reclamare i propri diritti territoriali ancestrali. Carpentaria e' il titolo originale dei Cacciatori di stelle: dopo un inizio in sordina il romanzo ha ricevuto tutti i piu' importanti riconoscimenti critici australiani del 2007. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 213 del 9 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 603
- Next by Date: Minime. 604
- Previous by thread: Minime. 603
- Next by thread: Minime. 604
- Indice: