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Minime. 600
- Subject: Minime. 600
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 6 Oct 2008 00:50:43 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 600 del 6 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Per Marco Bemporad 2. Lilia Sebastiani: Francesco e la Crociata 3. Benedetto Vertecchi: Celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. LUTTI. PEPPE SINI: PER MARCO BEMPORAD [E' morto Marco Bemporad, che per me e' stato, piu' che un amico e un compagno, un fratello] Un messaggero giunge al contrafforte: Compagni, reco adesso due notizie. E' triste l'una, e' quella della morte di Marco Bemporad che alle ingiustizie sempre si oppose, e tra i forti il piu' forte combatter volle tutte le nequizie e tutte raddrizzar le cose storte e contrastare tutte le malizie. L'altra notizia che vi reco ancora e' lieta questa, e fatevi coraggio: che Marco fino all'ultima sua ora e' stato un uomo buono, e il suo viaggio servi' l'umanita', e ognor l'onora. Gli renda ogni persona buona omaggio. 2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. LILIA SEBASTIANI: FRANCESCO E LA CROCIATA [Ringraziamo Lilia Sebastiani (per contatti: lilia.sebastiani at tiscali.it) per averci messo a disposizione come contributo per la Giornata della nonviolenza questa riflessione su Francesco e la Crociata, tratta da una relazione che tenne ad Assisi il 4 ottobre 2004] Durante la non lunga vita di Francesco, 45 anni, hanno luogo tre Crociate: la terza, la quarta e la quinta. La terza crociata (1187), durante la quale lo stesso Federico Barbarossa muore annegando nel fiume Salef in Cilicia, non puo' certo coinvolgerlo molto - il futuro Santo ha solo sei anni -, ma e' importante per determinare il clima ideale degli anni della sua formazione. La quarta crociata, benche' finita in nulla, anzi in effetti una non-crociata, comincia a toccare significativamente la vita di Francesco. Nel 1204-1205, quando diversi gruppi di armati partono da diversi luoghi d'Italia per convergere verso la Puglia da cui partono le navi che vanno oltremare, non e' ancora compiuto in Francesco quel processo di cambiamento interiore ed esteriore che di solito chiamiamo la sua "conversione"; non ha ancora compreso su quale via il Signore lo stia chiamando, ma la crisi e' in atto. Sta cercando se stesso. Senza aver ben chiaro quello che vuole essere, sa bene che cosa non vuole essere: non sara' mai un mercante di stoffe come suo padre. E siccome in quel tempo un nobile di Assisi di nome Gentile sta arruolando delle truppe per la Crociata, Francesco, rimuginando sogni cavallereschi alquanto nebulosi, ha in animo di aggregarsi alla spedizione. Avviene pero' qualcosa che gli fa cambiare idea. Mentre si trova a Spoleto (cosi' racconta, in modo piu' o meno attendibile, la Legenda Trium Sociorum; all'episodio accenna anche il Celano nella Vita Prima, ma piu' vagamente), ha un'esperienza interiore - che sia visione o sogno o altro - in cui una voce celeste gli domanda: "Francesco, chi e' piu' grande, il padrone o il servo?". Al che lui, pronto, risponde: "Il padrone, Signore!". (Notiamo tra parentesi il sapore cosi' medievale e gerarchico di questo aneddoto: forse a noi piacerebbe di piu' se Francesco rispondesse al Signore che padrone e servo hanno la stessissima importanza, ma non si puo' poi pretendere troppo da un giovanotto invasato da ideali cavallereschi, all'alba del secolo XIII). E la Voce dal cielo replica: "Allora perche' vuoi seguire il servo, mentre puoi seguire il Re?". Certo e' che, in seguito all'esperienza di Spoleto, Francesco mette risolutamente da parte ogni idea di farsi cavaliere e/o crociato, e comincia invece a restaurare con le sue mani una piccola chiesa fatiscente nella campagna di Assisi, San Damiano; di li' a poco avviene l'incontro con il lebbroso, e questo incontro viene ricordato in seguito - da Francesco stesso nel Testamento del 1226 - come l'evento decisivo, catalizzatore della sua conversione. * Nel 1215 il Concilio Lateranense IV decide ufficialmente l'organizzazione di una nuova crociata, la quinta, che pero' non ha inizio subito. Intanto il papa si da' molto da fare per sensibilizzare in proposito tutto il mondo cristiano: si raccolgono offerte; viene bandita un'indulgenza legata al passaggio oltremare; emissari papali viaggiano per tutta Europa in missione di pace, cioe' incaricati di ricucire o almeno far accantonare discordie piu' e meno gravi tra diversi potentati cristiani, allo scopo di concentrare tutto l'impegno e tutte le risorse sull'impresa che si prepara. In questa cosiddetta "missione di pace" - dallo spirito assai poco pacifico, peraltro, visto che in effetti e' al servizio della guerra - si distingue in modo speciale il cardinale Ugolino di Ostia, protettore dell'ordine dei Minori, piu' tardi papa con il nome di Gregorio IX. Chi si arruola ha la remissione immediata di tutti i peccati commessi. E' noto anzi che, fin dalla predicazione della prima crociata, l'eventuale morte in battaglia di un crociato veniva equiparata al martirio: pertanto assicurava l'ingresso immediato in paradiso, qualunque azione fosse stata compiuta prima. Poteva capitare, anzi capitava sovente, che qualcuno, dopo aver fatto il voto solenne di arruolarsi, ci ripensasse: o perche' preso dalla paura, o perche' scopriva di non poter lasciare per un periodo di tempo indeterminato la propria famiglia e gli affari, o perche' ammalato. Il papa prevede anche questa eventualita', e cosi' stabilisce che potra' lucrare l'indulgenza non solo chi andra' personalmente a combattere in Terra Santa, ma anche chi ci mandera' un altro in sua vece, cioe' si impegnera' a pagare tutte le spese per un crociato: infatti, tra cavalli, armi, viaggio terrestre e/o marittimo, mantenimento completo del crociato stesso e di almeno uno scudiero per tutto il tempo anche lungo che la spedizione poteva richiedere, si trattava di un discreto sacrificio economico. Tutto cio' non sara' forse molto edificante; ma, oltre ad essere storico, e' necessario per avere un'idea del clima spirituale in cui Francesco si forma, dell'aria che respira, e anche, poi, dei caratteri cosi' originali e liberi della sua santita'. * La prima crociata, quantunque bandita da Urbano II, era stata in realta' ispirata e voluta da Gregorio VII, e puo' leggersi anche come un momento del conflitto tra papato e impero. Nella propaganda di quella Crociata e delle successive, domina l'idea dell'Islam (peraltro non ancora chiamato cosi', i termini adoperati sono altri: Saraceni, Musulmani, Infedeli...) come l'Altro per eccellenza, il Diverso, il Nemico. I musulmani venivano indicati con termini apertamente oltraggiosi: gente "turpe", "degenere", "serva dei demoni"... Ne' va dimenticato che Bernardo di Chiaravalle, nel suo panegirico dei Templari, aveva detto che uccidere in battaglia un infedele non e' da considerarsi homicidium, cioe' uccisione di un essere umano, ma al piu' malicidium, ovvero uccisione del malvagio (o del Male: a piacere). Non e' il caso di scandalizzarsi di queste cose, che erano nello spirito del tempo, anche se non puo' non turbarci un po' il fatto che dalla chiesa sia oggi venerato come santo chi le diceva. C'e' dunque nell'aria l'idea del passaggio oltremare; Francesco, uomo di pace e di poverta', ma anche di temperamento cavalleresco e avventuroso, non poteva restare del tutto immune dal fascino di questo ideale che e' insieme di fede e di avventura, dall'aspirazione a fare qualcosa di grande per Cristo. * Una cosa singolare e' che, mentre negli scritti di questo periodo (documenti papali, atti della curia romana, decisioni conciliari, senza parlare poi delle prediche ecc.), ricorre spessissimo, anzi continuamente, in modo quasi ossessivo la parola "Gerusalemme", come una specie di droga ideologica e teologica nella propaganda cristiana, Francesco non nomina mai Gerusalemme nei suoi scritti, benche' tanto sensibile a tutto quanto concerne la vita terrena di Gesu' e soprattutto la sua passione e la sua morte. Fin dai primi tempi della scelta radicale per Cristo, egli aveva avuto l'idea di andare nelle terre degli infedeli. Non certo a combattere, nemmeno in primo luogo a predicare; a testimoniare. Le fonti, e' vero, dicono di solito "a predicare", ma cio' non e' esatto ne' rispondente allo stile autentico di Francesco. Nel progetto francescano la predicazione non e' cosi' centrale come generalmente si crede. Che significa testimoniare Cristo? Non puo' significare imporre la fede cristiana sgarbatamente, o comunque da una posizione di forza militare o ideologica, oltretutto a gente che si trova in casa sua e che non ha alcuna intenzione di convertirsi. Testimoniare Cristo significa rendere visibile, irradiante, comunicativa la logica di Cristo: la pace, la poverta', la condivisione, l'essere fratelli. Soprattutto significa rigettare l'idea dell'altro come diverso e nemico; mentre tutta la logica della Crociata si fonda sulla contrapposizione violenta all'infedele e sulla demonizzazione dell'alterita'. * Ci raccontano i suoi principali biografi, cioe' Tommaso da Celano e Bonaventura, che Francesco gia' sei anni dopo la sua conversione, cioe' nel 1212, compie un primo tentativo di raggiungere le terre degli infedeli. Si imbarca, ma la nave su cui egli si trova viene respinta dai venti avversi sulle coste della Dalmazia, e non ci sono altre partenze in tutto quell'anno. Francesco prova ancora a persuadere certi marinai di Ancona a prenderlo con loro, ma nonostante un miracolo di moltiplicazione del cibo, che attesta il favore divino, deve per il momento rinunciare. L'anno successivo compie un nuovo tentativo, pero' cambiando percorso. Da poco ha avuto luogo la battaglia di Las Navas de Tolosa (luglio 1212), un episodio della Reconquista della penisola iberica, in cui i cristiani di Spagna hanno riportato un'importante vittoria sui saraceni. Francesco decide dunque di raggiungere le terre musulmane per via di terra, attraversando la Spagna e di li' passando in Marocco (le terre del Miramolino, dicono le fonti: lo spagnolo "Miramolinos" era l'adattamento di Muhammad ibn-Muwahiri). Nemmeno questo tentativo va a buon fine: in Spagna, a mezza strada, Francesco si ammala gravemente ed e' costretto a desistere. * Intanto fervono i preparativi per la nuova Crociata. Nel 1216 muore Innocenzo III e al suo posto viene eletto l'anziano Cencio Savelli, con il nome di Onorio III: nonostante il suo carattere mite, assai diverso da quello del predecessore, e' risoluto a portare avanti l'impegno per la spedizione oltremare. Nel 1217 nel capitolo di Pentecoste (in cui si riunivano di solito tutti i francescani e si prendevano le decisioni importanti per l'Ordine, anche per quelli che oggi sarebbero chiamati i suoi piani pastorali) viene deciso l'invio di frati tra gli "infedeli". In quest'epoca sotto la denominazione di "infedeli" si intendono in senso lato tutti quelli che non sono cristiani: pagani, ebrei e musulmani; data l'atmosfera del tempo, pero', e' evidente che si guarda soprattutto ai musulmani. La quinta crociata avra' la sua base in Egitto. Nel 1218 partono finalmente i crociati per la vagheggiata spedizione. Arrivano a Damietta, sul delta del Nilo, e l'assediano. Infatti il sultano d'Egitto era per cosi' dire il capo, il punto di riferimento per tutti i potentati musulmani, quindi anche per i musulmani che occupavano la Terra Santa. Nel 1219, mentre e' in corso l'assedio di Damietta, Francesco si imbarca il 24 giugno con undici compagni, tra i quali erano Pietro Cattani e Illuminato da Rieti, quest'ultimo scelto per la sua conoscenza della realta' musulmana: infatti era gia' stato "in partibus infidelium" e parlava un po' la lingua araba. Dopo alcune settimane, in agosto, raggiungono l'accampamento crociato presso Damietta. L'assedio va per le lunghe. Il sultano al-Malek al-Kamil, che aveva piu' saggezza ed equilibrio di tutto l'esercito crociato e dei suoi capi assieme, vedendo le notevoli difficolta' che incontravano gli assedianti, ma anche i grandi rischi a cui era esposto il suo popolo e tutte le sofferenze di un assedio prolungato, aveva proposto una tregua e offerto di cedere per sempre ai cristiani la citta' di Gerusalemme, a patto che desistessero dall'assedio di Damietta. Il capo laico della spedizione, Giovanni di Brienne, era incline ad accettare la generosa proposta; ma ne fu impedito dalla strenua opposizione del legato pontificio (cardinale Pelagio Galvan, vescovo di Albano, un benedettino portoghese che rappresentava l'ala piu' oltranzista e piu' filo-crociata all'interno della Curia). Decisione grave e densa di conseguenze. * Francesco arriva mentre la situazione e' ferma. Necessariamente, come cristiano in paese straniero e in guerra, deve appoggiarsi ai cristiani - dunque all'esercito. Non abbiamo notizie precise sulle sue reazioni interiori. Notiamo tra parentesi che Francesco, cosi' come non nomina Gerusalemme, ne' allora ne' mai parla delle Crociate nei suoi scritti; semmai proprio questo silenzio e' rivelatore, in un'epoca in cui il mondo cristiano quasi non parlava d'altro. Nel mese di settembre chiede di allontanarsi dall'esercito per recarsi dal sultano, in forma privata e sotto la propria esclusiva responsabilita', solo con un compagno (frate Illuminato). Il cardinale Pelagio e' contrarissimo, anche perche' di Francesco si fida poco, ma alla fine deve cedere dinanzi alla sua fermezza, e soprattutto dinanzi alla considerazione che il tentativo risultera' di gloria per la parte cristiana se coronato da successo, e d'altra parte imputabile al solo Francesco in caso di esito negativo. Francesco e Illuminato si recano dunque dal sultano. Qui le fonti, allo scopo evidente di eroizzare l'episodio, aggiungono particolari drammatici: Francesco e il suo compagno, presi dalle guardie saracene, vengono imprigionati, maltrattati ecc. Non accadde nulla di tutto questo. Tra le regole dell'agiografia eroica (epica quasi) vi e' la necessita' del nemico; e, per far rifulgere la virtu' dell'eroe in tutto il suo splendore, e' indispensabile che il nemico sia "cattivo". Invece al-Malek al-Kamil era un personaggio veramente di alto profilo, sapiente e buono, molto colto e di notevole spiritualita'. Con una religiosita' profonda e per di piu' sinceramente aperto - come diremmo oggi, ma come in quel tempo nessuno si sognava di dire e nemmeno di pensare - al dialogo interreligioso. Senza avere alcuna intenzione di convertirsi, amava tuttavia parlare di religione con chi pensasse diversamente da lui. Inoltre aveva una specie di direttore spirituale, un mistico e studioso seguace del sufismo, che si chiamava Faqr-ed-Din Muhammad ben-Ibrahim Farisi. Tra i mistici dell'Islam - soprattutto i sufi - e i mistici cristiani vi sono diversi punti di contatto, sia quanto alla visione spirituale sia quanto allo stile espressivo; i mistici in genere presentano somiglianze notevoli nelle religioni abramitiche, cosa che non si puo' dire dei teologi e dei legislatori. Da fonti islamiche, conosciute solo dopo il 1950, si sa che il sultano consulto' parecchio questo suo direttore spirituale e consigliere sull'affare del Raheb el-Kebir ("il grande monaco", come Francesco viene chiamato nell'Islam). Come vanno le cose con il sultano? Dobbiamo rifarci a quanto dicono le fonti francescane, in questo purtroppo assai poco attendibili. L'unico che abbia potuto riferire qualcosa in proposito, oltre a Francesco stesso, era Illuminato, il suo compagno; ma quello che Illuminato da Rieti puo' aver detto e' stato assai interpretato, manipolato, travisato dai biografi di Francesco, mossi da intenti che certo non erano in primo luogo di tipo biografico-documentario. Il Sultano dunque viene presentato in alcune fonti come persona buona e disponibile a recepire l'Evangelo, mentre in altre sembra crudele e superbo, proprio l'Infedele-tipo..., anche se un certo suo rispettoso interesse per il Grande Monaco emerge comunque da tutte le fonti. Questa idea del Sultano "superbo" entra anche nella Legenda Maior di Bonaventura, e attraverso Bonaventura influira' poi anche su Dante, che accenna a questo episodio della vita di Francesco nel canto XI del Paradiso. Sono nove versi assai conosciuti e, a ben pensarci, abbastanza strani soprattutto sintatticamente: "E poi che per la sete del martiro ne la presenza del Soldan superba predico' Cristo e li altri che 'l seguiro, e per trovare a conversione acerba troppo la gente, e per non stare indarno, reddissi al frutto de l'italica erba, sul crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno". (Par., XI, 100-108). Si tratta di un unico periodo complesso, convergente sull'episodio delle Stimmate. Il viaggio in Egitto e il ritorno dall'Egitto in Italia sono resi molto rapidamente da Dante per mezzo di due proposizioni subordinate (ognuna delle quali occupa esattamente una terzina), allo scopo di concentrare tutta l'attenzione su cio' che accadde alla Verna. Rispetto al ritmo veloce e un po' convulso delle due proposizioni temporali, l'ultima terzina sembra allargare maestosamente il ritmo, la tensione si placa. Mentre viene sottolineato il fatto delle Stimmate e soprattutto il suo significato simbolico, si sorvola - non senza una punta di imbarazzo, forse - sull'esito del viaggio in Egitto e sulle ragioni del ritorno in Italia. Proprio per la sua brevita' e reticenza, l'accenno di Dante ci offre l'occasione di gettare uno sguardo su un momento che le Fonti narrano in modo ampio, anche dispersivo talvolta, ma non sempre attendibile. Innanzitutto, e' indispensabile tornare su una domanda non cosi' ingenua come sembra: ma perche' Francesco era andato in Egitto? Che cosa voleva fare? Le risposte di tipo "ufficiale / edificante" nel Medio Evo potevano essere solo due, insieme o separate secondo i casi. La prima: ci va per predicare Cristo ai musulmani, affinche' si convertano. La seconda e' appunto quella che Dante, seguendo san Bonaventura e il Celano, chiama "la sete del martiro". In entrambi i casi, se cosi' fosse, dovremmo concludere che la missione di Francesco falli'. Non risulta infatti che nemmeno mezzo musulmano si sia convertito in seguito alla sua venuta, ne' d'altra parte si puo' dire che l'accoglienza da lui trovata in partibus infidelium sia ostile, per cui non vi era nemmeno da sperare il martirio, ammesso che la sua aspirazione fosse questa. * Gia' durante la vita terrena di Francesco affiora tra i suoi seguaci e sostenitori piu' accesi la tendenza a presentarlo come un alter Christus. E cio' non e' neppure scorretto, perche' in effetti Francesco non sceglie di essere uomo di chiesa (sappiamo che, pur professando in teoria grande rispetto per i preti, rifiuto' sempre l'ordinazione) e nemmeno di "farsi frate" nel senso che questo termine potrebbe avere oggi: dopotutto, i frati e' lui a inventarli... Non vuole entrare in un ordine religioso, e nemmeno fondare un altro ordine, all'inizio. La sua scelta originaria e' semplice e radicale: seguire povero il Cristo povero, niente di piu' e niente di meno. Il movimento francescano, prima di diventare un Ordine numeroso e potente, con i suoi conventi e possedimenti, le sue costituzioni, i suoi teologi, i suoi cardinali, i suoi privilegi e via dicendo, e' una piccola elite evangelica laicale: un gruppetto di uomini che vogliono vivere secondo l'esempio di Cristo senza nulla possedere, avendo come unica Regola e forma di vita il Vangelo. E' scelta di poverta' nel senso piu' radicale, piu' bello del termine: non solo quindi non aver denaro - o perlomeno il fatto di non avere denaro non e' finalizzato al gusto di star male, ma all'essere liberi dalle cose, a non dipendere da nulla. La scelta di altissima poverta' e' anche scelta di altissima liberta'. La poverta', soprattutto in una societa' come quella medievale, non significa solo rinunciare ai beni della terra. E comunque questa non sarebbe una novita' esclusiva di Francesco. (Molti asceti, prima dei suoi tempi e durante e dopo, vivevano in condizioni materiali austere e rigorosissime, talvolta piu' delle sue). La scelta di poverta' e' per Francesco soprattutto scelta di mettersi dalla parte di coloro che, oltre a non avere, non possono, non sanno, non contano. (In questo senso la sua scelta della poverta' implica anche un certo rifiuto della cultura). * Francesco non ha mai ricercato il martirio, ma solo la condivisione e la testimonianza. Si reca dunque dal Sultano e parlano insieme, probabilmente piu' volte, forse a lungo. Si trattiene circa due settimane presso al-Malek al-Kamil. A raccontarcelo, come dicevamo, e' Tommaso da Celano nella Vita prima; Bonaventura nella Legenda Maior riprende il Celano, con alcune aggiunte che accentuano l'imitazione di Cristo e la sete di martirio. Bonaventura ad esempio parla dell'incontro, durante il viaggio, con due pecorelle, dal che Francesco ne deduce, e lo confida al suo compagno, che essi dovranno andare "come pecore in mezzo ai lupi". Altra aggiunta bonaventuriana: Francesco, alla presenza del Sultano, chiede di sottoporsi all'ordalia: egli entrera' nel fuoco, lo stesso fara' uno dei "preti" del Sultano, chi riuscira' a stare nel fuoco senza bruciarsi dimostrera' di essere nel giusto. Il Sultano rifiuta, per ottime ragioni, di procedere a questa scenografica dimostrazione. Ma vi e' qualcosa di vero in tutto cio'? Personalmente non lo crederei: tali prodezze un po' esibizionistiche non sono nello stile di Francesco, anche perche' appaiono molto vicine a cio' che nella Scrittura si chiama "tentare Dio". Ad ogni modo questo fuoco dell'ordalia, anche se non e' mai stato acceso, ha lasciato varie tracce piu' e meno riconoscibili nella tradizione francescana, anche nel passo dei Fioretti che e' stato letto all'inizio di questo incontro (l'episodio della meretrice che, volendo indurre il Santo in peccato, viene da lui invitata ad accomodarsi su un letto di carboni ardenti, cosa che egli stesso fa senza riceverne nessun danno...). Di solito gli studiosi di Francesco respingono la tradizione dell'ordalia come storicamente improbabile; alcuni la recuperano almeno come idea, come offerta senza seguito, ricordando che tempo addietro, a Medina, un altro sultano aveva effettivamente invitato i cristiani a sottoporsi alla prova del fuoco, ma i cristiani di Medina avevano rifiutato. Certo e' che l'ordalia non ha luogo. Il Sultano, pur non mostrando intenzione di convertirsi, tratta molto bene Francesco, lo ascolta volentieri, lo apprezza. Forse gli offre anche doni preziosi, come raccontano le Fonti (allora si faceva normalmente per onorare gli ospiti), e Francesco li rifiuta: non gia' perche' senta il Sultano non disposto alla retta fede - come piuttosto malevolmente interpretano i suoi biografi -, ma semplicemente per fedelta' alla sua scelta di vita che gli impedisce di possedere qualsiasi cosa, tanto piu' se preziosa. Tuttavia alcuni semplici oggetti provenienti dall'Oriente sono ancora oggi conservati al Sacro Convento di Assisi, e forse sono doni fatti a Francesco in quella circostanza. * Lasciato Al-Kamil, Francesco fa ritorno all'accampamento cristiano. Nel novembre 1219 i crociati riescono finalmente a conquistare Damietta e la sottopongono a un feroce e indiscriminato massacro. E' una brutta pagina di storia, un episodio assai poco cristiano nella storia del cristianesimo. Il Sultano e i suoi dignitari devono lasciare precipitosamente la citta': vi faranno ritorno solo alcuni anni piu' tardi. E Francesco? I primi biografi, senza riferimenti alla caduta di Damietta, dicono che ritorna in Italia, rendendosi conto che li', in Egitto, non vi era piu' molto da fare (niente conversioni e niente martirio, insomma). Si tratta di una lettura carente e palesemente imbarazzata, anche se oggi non siamo in grado di ricostruire i motivi in modo attendibile. Si intuisce tuttavia che i motivi erano almeno due. Uno piu' esterno: Francesco aveva notizie non rassicuranti sulle strade che, in Europa, il suo Ordine stava prendendo. Uno piu' interno e "locale": non gli piaceva quanto poteva osservare giorno per giorno nell'accampamento crociato. Questo che forse da lontano era solo un dubbio, una perplessita', da vicino pote' diventare disapprovazione senza mezzi termini e lacerante sofferenza. Le Fonti non tramandano nulla apertis verbis a questo proposito, ma forse si puo' ricavare qualcosa combinando alcune briciole di ricordi presi qua e la' e leggendoli tra le righe. E' chiaro comunque che una simile operazione, oltre che non molto ortodossa, e' esposta a rischi notevolissimi di arbitrarieta'; cio' che puo' eventualmente emergerne e' solo un'ipotesi. Nella Vita Seconda di san Francesco, Tommaso da Celano racconta una storia che potrebbe essere molto interessante per noi, ma a patto di modificarne ampiamente la prospettiva. In breve: Francesco, mentre e' nel campo crociato, viene a sapere che l'esercito si prepara ad attaccare. Confida allora a un compagno, forse Illuminato da Rieti, di sapere con certezza dal Signore che quella battaglia non si deve fare, e il dubbio che lo travaglia: parlare, affrontando il rischio di esser creduto pazzo, oppure tacere? Il suo compagno lo incoraggia ad agire secondo coscienza, cioe' a parlare; e allora Francesco parla, supplica i crociati - o i loro capi - di rinunciare a combattere, perche' il Signore non vuole. I crociati - o i loro capi - ovviamente non gli danno retta, combattono e hanno la peggio. Tommaso da Celano trae da questo episodio una morale utilitaria: guai a capi e sovrani se non si rimettono al volere di Dio (leggi: degli uomini di Chiesa) per le loro scelte anche politico-militari. Dalla sua presentazione risulterebbe dunque che Francesco era contrario a "quella" particolare battaglia di quel giorno, non alla spedizione militare nel suo insieme. Ma e' ben possibile che questo episodio, forse senza che il Celano ne sia del tutto consapevole, adombri una diversa realta'. Forse Francesco non parlava di una pugna in particolare, ma proprio del bellum, della expeditio; forse ha compreso che tutta intera la faccenda e' contro la volonta' di Dio e cerca di manifestarlo ai suoi compagni di fede; ma questi, a partire dal cardinale Pelagio, rifiutano di prendere in considerazione le sue parole. E Francesco, gia' piu' che perplesso sulla crociata, comincia a soffrire molto. Non tanto per se stesso, nel sentirsi inascoltato, ma perche' la sua coscienza di cristiano e' lacerata. Come osare questa lettura, quando e' probabilissimo che lo stesso Tommaso da Celano lamenterebbe di essere stato travisato? Troviamo intanto una dimostrazione indiretta, non risolutiva ma interessante, in un'altra cronaca francescana abbastanza tardiva, la cosiddetta Storia di Eraclio, risalente alla seconda meta' del Trecento: "Frate Francesco (...) venne all'esercito che assediava Damiata e vi compi' molto bene, rimanendo fino alla presa della citta'. Ma poi, vedendo che il male e il peccato cominciavano a crescere fra la gente dell'accampamento, ne fu grandemente amareggiato. Per questo parti' di li' e si fermo' molto tempo in Siria; poi fece ritorno al suo paese". Anche se qui si esprime in termini vaghi e generali qualcosa che probabilmente era molto piu' specifico (disapprovazione per la Crociata? Dolore e scandalo per il comportamento dell'esercito quando Damietta fu presa?), e' pur sempre illuminante per noi. Che vuol dire che male e peccato cominciassero a crescere tra la gente dell'accampamento cristiano? Solo che i crociati si stavano "comportando male" individualmente? Forse e' proprio la scoperta, non ignorabile, che uccidere dei fratelli credendo di dar gloria a Dio e' una tragica ed empia stoltezza. * Torna ad Assisi, compiendo un giro molto lungo e soffrendo perche' da diversi segni comprende che il suo Ordine sta prendendo vie troppo difformi dall'ideale originario. Nel Capitolo di Pentecoste del 1221 (conosciuto nella storia francescana come "Capitolo delle Stuoie", perche' i frati convenuti da ogni parte dormivano in terra su giacigli di canne) viene approvata la prima vera Regola dei frati minori, detta Regola non bollata, perche' dal papa riceve solo un'approvazione orale. Come vedremo, nel capitolo 16 di tale Regola si riflette (pur se non e' mai nominata) l'esperienza compiuta da Francesco in terra musulmana. Il cap. 16 della Regola non bollata e' illuminante per comprendere il modo in cui Francesco concepisce la presenza dei frati minori tra gli infedeli. "Capitolo XVI: Di coloro che vanno tra i Saraceni e altri infedeli (FF 42-45) "Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt 10,16). Percio' quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedra' che essi sono idonei a essere mandati; infatti dovra' rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avra' proceduto senza discrezione. I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo e' che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1 Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. L'altro modo e' che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perche' credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati e si facciano cristiani, poiche', se uno non rinascera' per acqua e Spirito Santo non potra' entrare nel regno di Dio (Gv 3,5). Queste ed altre cose che piaceranno al Signore possono dire ad essi e ad altri; poiche' dice il Signore nel Vangelo: Chi mi riconoscera' davanti agli uomini, Io lo riconoscero' davanti al Padre mio che e' nei cieli Mt 10,32); e: Chiunque si vergognera' di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognera' di lui, quando tornera' nella gloria sua e del Padre e degli angeli (Lc 9,26). E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesu' Cristo, e per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiche' dice il Signore: Colui che perdera' l'anima sua per causa mia la salvera' per la vita eterna (Mc 8,35; Lc 9,24). Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perche' di essi e' il regno dei cieli (Mt 5,10). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi (Gv 15,20). Se poi vi perseguitano in una citta', fuggite in un'altra (Mt 10,23 Mt 5,11-12; Lc 6,22-23 Lc 12,4). Guardatevi di non turbarvi (Mt 24,6). Con la vostra pazienza salverete le vostre anime (Mt 24,6; Lc 21,19). E chi perseverera sino alla fine, questi sara' salvo (Mt 10,22)". Un aspetto che colpisce immediatamente, e puo' sorprendere chi non abbia familiarita' con gli scritti francescani, e' l'abbondanza di citazioni. E veramente tutta la Regola non bollata si presenta come un collage di citazioni evangeliche. Francesco e i suoi collaboratori piu' stretti condensano nella Regola non bollata il succo dell'esperienza compiuta negli anni precedenti. Fra Cesario da Spira viene incaricato da Francesco di trovare le citazioni evangeliche ad hoc per ogni punto della Regola. * "Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe...". L'invito a essere "come serpenti" non va letto come invito a usare l'astuzia ignobile, bensi' l'intelligenza. "Percio' quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedra' che essi sono idonei a essere mandati; infatti dovra' rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avra' proceduto senza discrezione". E' un passo molto importante, soprattutto per la severita' strana, quasi minacciosa, che lascia trasparire a proposito del ministro e dei suoi doveri. Tanto piu' significativo se si tiene conto della grandissima importanza che Francesco, in tutti gli altri casi, attribuisce all'obbedienza: egli afferma sempre che il frate deve obbedire in tutti i casi ai superiori, e piu' l'obbedienza e' gravosa, piu' l'ordine e' dissennato, tanto maggiore e' il merito... invece qui e' detto esplicitamente che l'invio tra gli infedeli e' mosso da Dio ("per divina ispirazione") e i frati hanno il diritto-dovere di seguire questa ispirazione, e il ministro deve lasciarli andare, a patto che siano idonei. Certo la scelta di andare in missione non deve essere frutto del capriccio o di puro spirito di avventura; inoltre i frati che si propongono per andare in missione devono essere "idonei", anche nel senso di possedere un minimo di robustezza fisica e psichica, perche' andare tra i Saraceni non e' uno scherzo e tutti i viaggi sono difficili in quest'epoca. Ricordiamo che negli ordini religiosi prima di Francesco il superiore veniva chiamato "abate", cioe' padre, o "priore", cioe' primo; nell'ordine dei minori il superiore viene chiamato minister (parola che ha la stessa radice di minus), cioe' "servo". Guai dunque se il ministro rifiutera' per ragioni spurie - politica ecclesiastica, utilita' dell'Ordine, preferenze della Curia... -; di questo dovra' rispondere a Dio. * Viene poi il passo piu' significativo ai fini del nostro tema: si tratta qui di cio' che i frati dovranno fare trovandosi nelle terre degli infedeli. "... I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo e' che non facciano liti o dispute, ma siano sottomessi ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro modo e' che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio...". Nei loro rapporti con gli infedeli i frati avranno due strade da percorrere. La prima via sorprende ancora oggi, e figuriamoci come doveva sorprendere i contemporanei di Francesco in quell'epoca satura di ideologia della Crociata: devono essere sottomessi agli infedeli. Sottomessi! Cerchiamo di non interpretare in maniera servile questa sottomissione. Anche nella Lettera agli Efesini si raccomanda ai credenti di essere "sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (Ef 5,21). Essere sottomessi vuol dire atteggiamento di fraternita' e di servizio nei confronti di tutti. Vi e' una specificazione: il divieto di fare liti o dispute. Ma quali liti o dispute avrebbero potuto fare i frati, comunque, se non in materia religiosa? Qui non si parla certo di litigi banali, bensi' di controversie e polemiche sulla fede. Dunque Francesco vuole che i suoi frati rifiutino lo stile apologetico. E nel Medioevo la chiesa nel trattare con gli infedeli puo' concepire solo la logica della spada o, appunto, lo stile apologetico. Questo, malgrado il termine, non significa propriamente "difensivo", bensi' aggressivo: significa in sostanza dimostrare all'altro che e' ingannato e ingannatore, folle, empio, peccatore e promesso alla dannazione eterna, se non si ravvede in fretta, e cosi' tutti quelli che la pensano come lui. Predicare agli infedeli affinche' si convertano, in questi tempi, significa troppo spesso andare nelle loro citta' (talvolta perfino nelle moschee, cosa che urta ancor piu' i loro sentimenti) e cominciare a insultarli: per noi e' ormai chiaro che si trattava di una testimonianza antievangelica, un po' meno grave di quella dei crociati solo in quanto non faceva scorrere sangue, ma interiormente della stessa natura. Lo stile apologetico esiste ancora oggi; rispetto ai tempi della crociata, forse, si e' appresa una maggiore civilta' di modi, una certa compostezza quantomeno stilistica... Francesco proibisce ai suoi frati questa contrapposizione violenta inevitabilmente priva di carita' oltre che di umilta'. Il secondo modo - il secondo, comunque, e non il primo - e' annunciare la parola di Dio; pero' solo "quando vedranno che piace al Signore" e nei modi che il Signore vuole. Per noi sarebbe istintivo pensare che i frati, se vanno in terra d'infedeli, ci vadano a predicare. Non e' cosi'. La predicazione, contrariamente a cio' che si crede di solito, non ha questa importanza centrale nel programma di Francesco. I frati possono anche predicare, ma anche no; e comunque al primo posto vi e' la testimonianza di vita, l'esserci e l'essere sottomessi a tutti nello spirito di Cristo. * Che cosa significa propriamente annunziare la parola di Dio? In altri passi delle Fonti, di questa stessa Regola del 1221, e anche del suo Testamento, Francesco dice qualcosa che getta una luce completamente nuova anche sul fatto di annunciare la parola di Dio. La parola di Dio rivelata a lui sul principio della sua scelta di vita, risulta sconvolgente per quant'e' semplice: gli viene fatto comprendere che dovunque vada dovra' portare il saluto di pace: Il Signore ti dia pace. Il saluto caratteristico dei frati minori, e qui ad Assisi lo si vede riportato in ogni angolo, e' "Pax et bonum". Non un semplice saluto, ovviamente; quasi un sacramentale. Il frate minore, portando nel mondo questa formula, si impegna a realizzare nella sua vita e nel mondo cio' che le parole significano. Pax et bonum vuole rendere il senso dell'ebraico shalom, salaam in lingua araba. Un'altra parentesi ora si rende necessaria per il nostro argomento. "Pace e bene": la pace "e'" bene, certamente, e perche' allora non dire "Pace" tout court? Forse perche' nelle nostre lingue occidentali e nel nostro pensiero occidentale la parola "pace" e' stata immiserita in un modo insopportabile, quasi ridotta all'impotenza. Nei vocabolari le definizioni della parola, piu' o meno ben espresse, sono sempre e comunque definizioni in negativo: la pace e' sempre la non-guerra. Ma quando un termine dev'essere definito per mezzo della negazione del suo opposto, vuol dire che e' il piu' debole dei due, il meno significativo. Finche' dunque continueremo a definire la pace come la situazione di non-guerra, o la conclusione di una guerra o lo spazio fra due guerre, vorra' dire che l'intimo del nostro cuore e' ancora assoggettato alla logica della guerra. I Romani chiamavano pace (la famosa pax romana!) la situazione in cui i nemici erano o sembravano assoggettati definitivamente, nell'impossibilita' di ribellarsi. Questa non e' pace, perche' la pace non puo' prescindere dalla giustizia e dal rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona. Francesco quindi sente d'istinto di non poter dire solo pax, perche' la parola e' stata svuotata, disseccata, sfigurata e non esprimerebbe abbastanza. Percio' ricorre all'endiadi pax et bonum, che quantomeno intensifica il messaggio. Insomma la predicazione, secondo Francesco, si identifichera' con la testimonianza vissuta della pace. Alla luce di tutta intera la Regola non bollata e di tutti gli altri piu' importanti scritti francescani, si potrebbe scoprire che vi e' anche qualcosa di piu': la scoperta di cio' che Dio e lo Spirito operano nei non cristiani. E' molto probabile che in questa intuizione di Francesco, inaudita o quasi ai tempi suoi, avesse gran parte l'esperienza da lui compiuta in Egitto nel 1219. 3. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. BENEDETTO VERTECCHI: CELEBRARE LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Benedetto Vertecchi (per contatti: vertecch at uniroma3.it) per questo intervento] Cari amici del Centro di ricerca per la pace, trovo il vostro messaggio di ritorno da un viaggio (di lavoro) in Canada. Desidero, anche se con ritardo, aggiungermi a quanti si sono uniti a voi per celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza. Cordiali saluti, Benedetto Vertecchi 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 600 del 6 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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