Minime. 600



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 600 del 6 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Per Marco Bemporad
2. Lilia Sebastiani: Francesco e la Crociata
3. Benedetto Vertecchi: Celebrare la Giornata internazionale della
nonviolenza
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. LUTTI. PEPPE SINI: PER MARCO BEMPORAD
[E' morto Marco Bemporad, che per me e' stato, piu' che un amico e un
compagno, un fratello]

Un messaggero giunge al contrafforte:
Compagni, reco adesso due notizie.
E' triste l'una, e' quella della morte
di Marco Bemporad che alle ingiustizie

sempre si oppose, e tra i forti il piu' forte
combatter volle tutte le nequizie
e tutte raddrizzar le cose storte
e contrastare tutte le malizie.

L'altra notizia che vi reco ancora
e' lieta questa, e fatevi coraggio:
che Marco fino all'ultima sua ora

e' stato un uomo buono, e il suo viaggio
servi' l'umanita', e ognor l'onora.
Gli renda ogni persona buona omaggio.

2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. LILIA SEBASTIANI: FRANCESCO E LA CROCIATA
[Ringraziamo Lilia Sebastiani (per contatti: lilia.sebastiani at tiscali.it)
per averci messo a disposizione come contributo per la Giornata della
nonviolenza questa riflessione su Francesco e la Crociata, tratta da una
relazione che tenne ad Assisi il 4 ottobre 2004]

Durante la non lunga vita di Francesco, 45 anni, hanno luogo tre Crociate:
la terza, la quarta e la quinta. La terza crociata (1187), durante la quale
lo stesso Federico Barbarossa muore annegando nel fiume Salef in Cilicia,
non puo' certo coinvolgerlo molto - il futuro Santo ha solo sei anni -, ma
e' importante per determinare il clima ideale degli anni della sua
formazione.
La quarta crociata, benche' finita in nulla, anzi in effetti una
non-crociata, comincia a toccare significativamente la vita di Francesco.
Nel 1204-1205, quando diversi gruppi di armati partono da diversi luoghi
d'Italia per convergere verso la Puglia da cui partono le navi che vanno
oltremare, non e' ancora compiuto in Francesco quel processo di cambiamento
interiore ed esteriore che di solito chiamiamo la sua "conversione"; non ha
ancora compreso su quale via il Signore lo stia chiamando, ma la crisi e' in
atto. Sta cercando se stesso. Senza aver ben chiaro quello che vuole essere,
sa bene che cosa non vuole essere: non sara' mai un mercante di stoffe come
suo padre. E siccome in quel tempo un nobile di Assisi di nome Gentile sta
arruolando delle truppe per la Crociata, Francesco, rimuginando sogni
cavallereschi alquanto nebulosi, ha in animo di aggregarsi alla spedizione.
Avviene pero' qualcosa che gli fa cambiare idea.
Mentre si trova a Spoleto (cosi' racconta, in modo piu' o meno attendibile,
la Legenda Trium Sociorum; all'episodio accenna  anche il Celano nella Vita
Prima, ma piu' vagamente), ha un'esperienza interiore - che sia visione o
sogno o altro - in cui una voce celeste gli domanda: "Francesco, chi e' piu'
grande, il padrone o il servo?". Al che lui, pronto, risponde: "Il padrone,
Signore!". (Notiamo tra parentesi il sapore cosi' medievale e gerarchico di
questo aneddoto: forse a noi piacerebbe di piu' se Francesco rispondesse al
Signore che padrone e servo hanno la stessissima importanza, ma non si puo'
poi pretendere troppo da un giovanotto invasato da ideali cavallereschi,
all'alba del secolo XIII). E la Voce dal cielo replica: "Allora perche' vuoi
seguire il servo, mentre puoi seguire il Re?".
Certo e' che, in seguito all'esperienza di Spoleto, Francesco mette
risolutamente da parte ogni idea di farsi cavaliere e/o crociato, e comincia
invece a restaurare con le sue mani una piccola chiesa fatiscente nella
campagna di Assisi, San Damiano; di li' a poco avviene l'incontro con il
lebbroso, e questo incontro viene ricordato in seguito - da Francesco stesso
nel Testamento del 1226 - come l'evento decisivo, catalizzatore della sua
conversione.
*
Nel 1215 il Concilio Lateranense IV decide ufficialmente l'organizzazione di
una nuova crociata, la quinta, che pero' non ha inizio subito. Intanto il
papa si da' molto da fare per sensibilizzare in proposito tutto il mondo
cristiano: si raccolgono offerte; viene bandita un'indulgenza legata al
passaggio oltremare; emissari papali viaggiano per tutta Europa in missione
di pace, cioe' incaricati di ricucire o almeno far accantonare discordie
piu' e meno gravi tra diversi potentati cristiani, allo scopo di concentrare
tutto l'impegno e tutte le risorse sull'impresa che si prepara.
In questa cosiddetta "missione di pace" - dallo spirito assai poco pacifico,
peraltro, visto che in effetti e' al servizio della guerra - si distingue in
modo speciale il cardinale Ugolino di Ostia, protettore dell'ordine dei
Minori, piu' tardi papa con il nome di Gregorio IX.
Chi si arruola ha la remissione immediata di tutti i peccati commessi. E'
noto anzi che, fin dalla predicazione della prima crociata, l'eventuale
morte in battaglia di un crociato veniva equiparata al martirio: pertanto
assicurava l'ingresso immediato in paradiso, qualunque azione fosse stata
compiuta prima.
Poteva capitare, anzi capitava sovente, che qualcuno, dopo aver fatto il
voto solenne di arruolarsi, ci ripensasse: o perche' preso dalla paura, o
perche' scopriva di non poter lasciare per un periodo di tempo indeterminato
la propria famiglia e gli affari, o perche' ammalato. Il papa prevede anche
questa eventualita', e cosi' stabilisce che potra' lucrare l'indulgenza non
solo chi andra' personalmente a combattere in Terra Santa, ma anche chi ci
mandera' un altro in sua vece, cioe' si impegnera' a pagare tutte le spese
per un crociato: infatti, tra cavalli, armi, viaggio terrestre e/o
marittimo, mantenimento completo del crociato stesso e di almeno uno
scudiero per tutto il tempo anche lungo che la spedizione poteva richiedere,
si trattava di un discreto sacrificio economico.
Tutto cio' non sara' forse molto edificante; ma, oltre ad essere storico, e'
necessario per avere un'idea del clima spirituale in cui Francesco si forma,
dell'aria che respira, e anche, poi, dei caratteri cosi' originali e liberi
della sua santita'.
*
La prima crociata, quantunque bandita da Urbano II, era stata in realta'
ispirata e voluta da Gregorio VII, e puo' leggersi anche come un momento del
conflitto tra papato e impero.
Nella propaganda di quella Crociata e delle successive, domina l'idea
dell'Islam (peraltro non ancora chiamato cosi', i termini adoperati sono
altri: Saraceni, Musulmani, Infedeli...) come l'Altro per eccellenza, il
Diverso, il Nemico.
I musulmani venivano indicati con termini apertamente oltraggiosi: gente
"turpe", "degenere", "serva dei demoni"...
Ne' va dimenticato che Bernardo di Chiaravalle, nel suo panegirico dei
Templari, aveva detto che uccidere in battaglia un infedele non e' da
considerarsi homicidium, cioe' uccisione di un essere umano, ma al piu'
malicidium, ovvero uccisione del malvagio (o del Male: a piacere). Non e' il
caso di scandalizzarsi di queste cose, che erano nello spirito del tempo,
anche se non puo' non turbarci un po' il fatto che dalla chiesa sia oggi
venerato come santo chi le diceva.
C'e' dunque nell'aria l'idea del passaggio oltremare; Francesco, uomo di
pace e di poverta', ma anche di temperamento cavalleresco e avventuroso, non
poteva restare del tutto immune dal fascino di questo ideale che e' insieme
di fede e di avventura, dall'aspirazione a fare qualcosa di grande per
Cristo.
*
Una cosa singolare e' che, mentre negli scritti di questo periodo (documenti
papali, atti della curia romana, decisioni conciliari, senza parlare poi
delle prediche ecc.), ricorre spessissimo, anzi continuamente, in modo quasi
ossessivo la parola "Gerusalemme", come una specie di droga ideologica e
teologica nella propaganda cristiana, Francesco non nomina mai Gerusalemme
nei suoi scritti, benche' tanto sensibile a tutto quanto concerne la vita
terrena di Gesu' e soprattutto la sua passione e la sua morte.
Fin dai primi tempi della scelta radicale per Cristo, egli aveva avuto
l'idea di andare nelle terre degli infedeli. Non certo a combattere, nemmeno
in primo luogo a predicare; a testimoniare. Le fonti, e' vero, dicono di
solito "a predicare", ma cio' non e' esatto ne' rispondente allo stile
autentico di Francesco. Nel progetto francescano la predicazione non e'
cosi' centrale come generalmente si crede.
Che significa testimoniare Cristo? Non puo' significare imporre la fede
cristiana sgarbatamente, o comunque da una posizione di forza militare o
ideologica, oltretutto a gente che si trova in casa sua e che non ha alcuna
intenzione di convertirsi.
Testimoniare Cristo significa rendere visibile, irradiante, comunicativa la
logica di Cristo: la pace, la poverta', la condivisione, l'essere fratelli.
Soprattutto significa rigettare l'idea dell'altro come diverso e nemico;
mentre tutta la logica della Crociata si fonda sulla contrapposizione
violenta all'infedele e sulla demonizzazione dell'alterita'.
*
Ci raccontano i suoi principali biografi, cioe' Tommaso da Celano e
Bonaventura, che Francesco gia' sei anni dopo la sua conversione, cioe' nel
1212, compie un primo tentativo di raggiungere le terre degli infedeli. Si
imbarca, ma la nave su cui egli si trova viene respinta dai venti avversi
sulle coste della Dalmazia, e non ci sono altre partenze in tutto
quell'anno. Francesco prova ancora a persuadere certi marinai di Ancona a
prenderlo con loro, ma nonostante un miracolo di moltiplicazione del cibo,
che attesta il favore divino, deve per il momento rinunciare.
L'anno successivo compie un nuovo tentativo, pero' cambiando percorso. Da
poco ha avuto luogo la battaglia di Las Navas de Tolosa (luglio 1212), un
episodio della Reconquista della penisola iberica, in cui i cristiani di
Spagna hanno riportato un'importante vittoria sui saraceni. Francesco decide
dunque di raggiungere le terre musulmane per via di terra, attraversando la
Spagna e di li' passando in Marocco (le terre del Miramolino, dicono le
fonti: lo spagnolo "Miramolinos" era l'adattamento di Muhammad
ibn-Muwahiri). Nemmeno questo tentativo va a buon fine: in Spagna, a mezza
strada, Francesco si ammala gravemente ed e' costretto a desistere.
*
Intanto fervono i preparativi per la nuova Crociata. Nel 1216 muore
Innocenzo III e al suo posto viene eletto l'anziano Cencio Savelli, con il
nome di Onorio III: nonostante il suo carattere mite, assai diverso da
quello del predecessore, e' risoluto a portare avanti l'impegno per la
spedizione oltremare.
Nel 1217 nel capitolo di Pentecoste (in cui si riunivano di solito tutti i
francescani e si prendevano le decisioni importanti per l'Ordine, anche per
quelli che oggi sarebbero chiamati i suoi piani pastorali) viene deciso
l'invio di frati tra gli "infedeli".
In quest'epoca sotto la denominazione di "infedeli" si intendono in senso
lato tutti quelli che non sono cristiani: pagani, ebrei e musulmani; data
l'atmosfera del tempo, pero', e' evidente che si guarda soprattutto ai
musulmani.
La quinta crociata avra' la sua base in Egitto. Nel 1218 partono finalmente
i crociati per la vagheggiata spedizione. Arrivano a Damietta, sul delta del
Nilo, e l'assediano. Infatti il sultano d'Egitto era per cosi' dire il capo,
il punto di riferimento per tutti i potentati musulmani, quindi anche per i
musulmani che occupavano la Terra Santa. Nel 1219, mentre e' in corso
l'assedio di Damietta, Francesco si imbarca il 24 giugno con undici
compagni, tra i quali erano Pietro Cattani e Illuminato da Rieti,
quest'ultimo scelto per la sua conoscenza della realta' musulmana: infatti
era gia' stato "in partibus infidelium" e parlava un po' la lingua araba.
Dopo alcune settimane, in agosto, raggiungono l'accampamento crociato presso
Damietta.
L'assedio va per le lunghe. Il sultano al-Malek al-Kamil, che aveva piu'
saggezza ed equilibrio di tutto l'esercito crociato e dei suoi capi assieme,
vedendo le notevoli difficolta' che incontravano gli assedianti, ma anche i
grandi rischi a cui era esposto il suo popolo e tutte le sofferenze di un
assedio prolungato, aveva proposto una tregua e offerto di cedere per sempre
ai cristiani la citta' di Gerusalemme, a patto che desistessero dall'assedio
di Damietta.
Il capo laico della spedizione, Giovanni di Brienne, era incline ad
accettare la generosa proposta; ma ne fu impedito dalla strenua opposizione
del legato pontificio (cardinale Pelagio Galvan, vescovo di Albano, un
benedettino portoghese che rappresentava l'ala piu' oltranzista e piu'
filo-crociata all'interno della Curia). Decisione grave e densa di
conseguenze.
*
Francesco arriva mentre la situazione e' ferma. Necessariamente, come
cristiano in paese straniero e in guerra, deve appoggiarsi ai cristiani -
dunque all'esercito. Non abbiamo notizie precise sulle sue reazioni
interiori.
Notiamo tra parentesi che Francesco, cosi' come non nomina Gerusalemme, ne'
allora ne' mai parla delle Crociate nei suoi scritti; semmai proprio questo
silenzio e' rivelatore, in un'epoca in cui il mondo cristiano quasi non
parlava d'altro.
Nel mese di settembre chiede di allontanarsi dall'esercito per recarsi dal
sultano, in forma privata e sotto la propria esclusiva responsabilita', solo
con un compagno (frate Illuminato). Il cardinale Pelagio e' contrarissimo,
anche perche' di Francesco si fida poco, ma alla fine deve cedere dinanzi
alla sua fermezza, e soprattutto dinanzi alla considerazione che il
tentativo risultera' di gloria per la parte cristiana se coronato da
successo, e d'altra parte imputabile al solo Francesco in caso di esito
negativo.
Francesco e Illuminato si recano dunque dal sultano.
Qui le fonti, allo scopo evidente di eroizzare l'episodio, aggiungono
particolari drammatici: Francesco e il suo compagno, presi dalle guardie
saracene, vengono imprigionati, maltrattati ecc. Non accadde nulla di tutto
questo. Tra le regole dell'agiografia eroica (epica quasi) vi e' la
necessita' del nemico; e, per far rifulgere la virtu' dell'eroe in tutto il
suo splendore, e' indispensabile che il nemico sia "cattivo".
Invece al-Malek al-Kamil era un personaggio veramente di alto profilo,
sapiente e buono, molto colto e di notevole spiritualita'. Con una
religiosita' profonda e per di piu' sinceramente aperto - come diremmo oggi,
ma come in quel tempo nessuno si sognava di dire e nemmeno di pensare - al
dialogo interreligioso.
Senza avere alcuna intenzione di convertirsi, amava tuttavia parlare di
religione con chi pensasse diversamente da lui. Inoltre aveva una specie di
direttore spirituale, un mistico e studioso seguace del sufismo, che si
chiamava Faqr-ed-Din Muhammad ben-Ibrahim Farisi. Tra i mistici dell'Islam -
soprattutto i sufi - e i mistici cristiani vi sono diversi punti di
contatto, sia quanto alla visione spirituale sia quanto allo stile
espressivo; i mistici in genere presentano somiglianze notevoli nelle
religioni abramitiche, cosa che non si puo' dire dei teologi e dei
legislatori.
Da fonti islamiche, conosciute solo dopo il 1950, si sa che il sultano
consulto' parecchio questo suo direttore spirituale e consigliere
sull'affare del Raheb el-Kebir ("il grande monaco", come Francesco viene
chiamato nell'Islam).
Come vanno le cose con il sultano? Dobbiamo rifarci a quanto dicono le fonti
francescane, in questo purtroppo assai poco attendibili. L'unico che abbia
potuto riferire qualcosa in proposito, oltre a Francesco stesso, era
Illuminato, il suo compagno; ma quello che Illuminato da Rieti puo' aver
detto e' stato assai interpretato, manipolato, travisato dai biografi di
Francesco, mossi da intenti che certo non erano in primo luogo di tipo
biografico-documentario.
Il Sultano dunque viene presentato in alcune fonti come persona buona e
disponibile a recepire l'Evangelo, mentre in altre sembra crudele e superbo,
proprio l'Infedele-tipo..., anche se un certo suo rispettoso interesse per
il Grande Monaco emerge comunque da tutte le fonti. Questa idea del Sultano
"superbo" entra anche nella Legenda Maior di Bonaventura, e attraverso
Bonaventura influira' poi anche su Dante, che accenna a questo episodio
della vita di Francesco nel canto XI del Paradiso.
Sono nove versi assai conosciuti e, a ben pensarci, abbastanza strani
soprattutto sintatticamente:
"E poi che per la sete del martiro
ne la presenza del Soldan superba
predico' Cristo e li altri che 'l seguiro,
e per trovare a conversione acerba
troppo la gente, e per non stare indarno,
reddissi al frutto de l'italica erba,
sul crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno".
(Par., XI, 100-108).
Si tratta di un unico periodo complesso, convergente sull'episodio delle
Stimmate. Il viaggio in Egitto e il ritorno dall'Egitto in Italia sono resi
molto rapidamente da Dante per mezzo di due proposizioni subordinate (ognuna
delle quali occupa esattamente una terzina), allo scopo di concentrare tutta
l'attenzione su cio' che accadde alla Verna.
Rispetto al ritmo veloce e un po' convulso delle due proposizioni temporali,
l'ultima terzina sembra allargare maestosamente il ritmo, la tensione si
placa. Mentre viene sottolineato il fatto delle Stimmate e soprattutto il
suo significato simbolico, si sorvola - non senza una punta di imbarazzo,
forse - sull'esito del viaggio in Egitto e sulle ragioni del ritorno in
Italia.
Proprio per la sua brevita' e reticenza, l'accenno di Dante ci offre
l'occasione di gettare uno sguardo su un momento che le Fonti narrano in
modo ampio, anche dispersivo talvolta, ma non sempre attendibile.
Innanzitutto, e' indispensabile tornare su una domanda non cosi' ingenua
come sembra: ma perche' Francesco era andato in Egitto? Che cosa voleva
fare? Le risposte di tipo "ufficiale / edificante" nel Medio Evo potevano
essere solo due, insieme o separate secondo i casi. La prima: ci va per
predicare Cristo ai musulmani, affinche' si convertano. La seconda e'
appunto quella che Dante, seguendo san Bonaventura e il Celano, chiama "la
sete del martiro". In entrambi i casi, se cosi' fosse, dovremmo concludere
che la missione di Francesco falli'. Non risulta infatti che nemmeno mezzo
musulmano si sia convertito in seguito alla sua venuta, ne' d'altra parte si
puo' dire che l'accoglienza da lui trovata in partibus infidelium sia
ostile, per cui non vi era nemmeno da sperare il martirio, ammesso che la
sua aspirazione fosse questa.
*
Gia' durante la vita terrena di Francesco affiora tra i suoi seguaci e
sostenitori piu' accesi la tendenza a presentarlo come un alter Christus. E
cio' non e' neppure scorretto, perche' in effetti Francesco non sceglie di
essere uomo di chiesa (sappiamo che, pur professando in teoria grande
rispetto per i preti, rifiuto' sempre l'ordinazione) e nemmeno di "farsi
frate" nel senso che questo termine potrebbe avere oggi: dopotutto, i frati
e' lui a inventarli... Non vuole entrare in un ordine religioso, e nemmeno
fondare un altro ordine, all'inizio. La sua scelta originaria e' semplice e
radicale: seguire povero il Cristo povero, niente di piu' e niente di meno.
Il movimento francescano, prima di diventare un Ordine numeroso e potente,
con i suoi conventi e possedimenti, le sue costituzioni, i suoi teologi, i
suoi cardinali, i suoi privilegi e via dicendo, e' una piccola elite
evangelica laicale: un gruppetto di uomini che vogliono vivere secondo
l'esempio di Cristo senza nulla possedere, avendo come unica Regola e forma
di vita il Vangelo. E' scelta di poverta' nel senso piu' radicale, piu'
bello del termine: non solo quindi non aver denaro - o perlomeno il fatto di
non avere denaro non e' finalizzato al gusto di star male, ma all'essere
liberi dalle cose, a non dipendere da nulla. La scelta di altissima poverta'
e' anche scelta di altissima liberta'.
La poverta', soprattutto in una societa' come quella medievale, non
significa solo rinunciare ai beni della terra. E comunque questa non sarebbe
una novita' esclusiva di Francesco. (Molti asceti, prima dei suoi tempi e
durante e dopo, vivevano in condizioni materiali austere e rigorosissime,
talvolta piu' delle sue). La scelta di poverta' e' per Francesco soprattutto
scelta di mettersi dalla parte di coloro che, oltre a non avere, non
possono, non sanno, non contano. (In questo senso la sua scelta della
poverta' implica anche un certo rifiuto della cultura).
*
Francesco non ha mai ricercato il martirio, ma solo la condivisione e la
testimonianza.
Si reca dunque dal Sultano e parlano insieme, probabilmente piu' volte,
forse a lungo. Si trattiene circa due settimane presso al-Malek al-Kamil. A
raccontarcelo, come dicevamo, e' Tommaso da Celano nella Vita prima;
Bonaventura nella Legenda Maior riprende il Celano, con alcune aggiunte che
accentuano l'imitazione di Cristo e la sete di martirio. Bonaventura ad
esempio parla dell'incontro, durante il viaggio, con due pecorelle, dal che
Francesco ne deduce, e lo confida al suo compagno, che essi dovranno andare
"come pecore in mezzo ai lupi".
Altra aggiunta bonaventuriana: Francesco, alla presenza del Sultano, chiede
di sottoporsi all'ordalia: egli entrera' nel fuoco, lo stesso fara' uno dei
"preti" del Sultano, chi riuscira' a stare nel fuoco senza bruciarsi
dimostrera' di essere nel giusto. Il Sultano rifiuta, per ottime ragioni, di
procedere a questa scenografica dimostrazione. Ma vi e' qualcosa di vero in
tutto cio'?
Personalmente non lo crederei: tali prodezze un po' esibizionistiche non
sono nello stile di Francesco, anche perche' appaiono molto vicine a cio'
che nella Scrittura si chiama "tentare Dio". Ad ogni modo questo fuoco
dell'ordalia, anche se non e' mai stato acceso, ha lasciato varie tracce
piu' e meno riconoscibili nella tradizione francescana, anche nel passo dei
Fioretti che e' stato letto all'inizio di questo incontro (l'episodio della
meretrice che, volendo indurre il Santo in peccato, viene da lui invitata ad
accomodarsi su un letto di carboni ardenti, cosa che egli stesso fa senza
riceverne nessun danno...).
Di solito gli studiosi di Francesco respingono la tradizione dell'ordalia
come storicamente improbabile; alcuni la recuperano almeno come idea, come
offerta senza seguito, ricordando che tempo addietro, a Medina, un altro
sultano aveva effettivamente invitato i cristiani a sottoporsi alla prova
del fuoco, ma i cristiani di Medina avevano rifiutato.
Certo e' che l'ordalia non ha luogo. Il Sultano, pur non mostrando
intenzione di convertirsi, tratta molto bene Francesco, lo ascolta
volentieri, lo apprezza. Forse gli offre anche doni preziosi, come
raccontano le Fonti (allora si faceva normalmente per onorare gli ospiti), e
Francesco li rifiuta: non gia' perche' senta il Sultano non disposto alla
retta fede - come piuttosto malevolmente interpretano i suoi biografi -, ma
semplicemente per fedelta' alla sua scelta di vita che gli impedisce di
possedere qualsiasi cosa, tanto piu' se preziosa. Tuttavia alcuni semplici
oggetti provenienti dall'Oriente sono ancora oggi conservati al Sacro
Convento di Assisi, e forse sono doni fatti a Francesco in quella
circostanza.
*
Lasciato Al-Kamil, Francesco fa ritorno all'accampamento cristiano. Nel
novembre 1219 i crociati riescono finalmente a conquistare Damietta e la
sottopongono a un feroce e indiscriminato massacro. E' una brutta pagina di
storia, un episodio assai poco cristiano nella storia del cristianesimo. Il
Sultano e i suoi dignitari devono lasciare precipitosamente la citta': vi
faranno ritorno solo alcuni anni piu' tardi.
E Francesco? I primi biografi, senza riferimenti alla caduta di Damietta,
dicono che ritorna in Italia, rendendosi conto che li', in Egitto, non vi
era piu' molto da fare (niente conversioni e niente martirio, insomma). Si
tratta di una lettura carente e palesemente imbarazzata, anche se oggi non
siamo in grado di ricostruire i motivi in modo attendibile.
Si intuisce tuttavia che i motivi erano almeno due. Uno piu' esterno:
Francesco aveva notizie non rassicuranti sulle strade che, in Europa, il suo
Ordine stava prendendo. Uno piu' interno e "locale": non gli piaceva quanto
poteva osservare giorno per giorno nell'accampamento crociato. Questo che
forse da lontano era solo un dubbio, una perplessita', da vicino pote'
diventare disapprovazione senza mezzi termini e lacerante sofferenza.
Le Fonti non tramandano nulla apertis verbis a questo proposito, ma forse si
puo' ricavare qualcosa combinando alcune briciole di ricordi presi qua e la'
e leggendoli tra le righe. E' chiaro comunque che una simile operazione,
oltre che non molto ortodossa, e' esposta a rischi notevolissimi di
arbitrarieta'; cio' che puo' eventualmente emergerne e' solo un'ipotesi.
Nella Vita Seconda di san Francesco, Tommaso da Celano racconta una storia
che potrebbe essere molto interessante per noi, ma a patto di modificarne
ampiamente la prospettiva. In breve: Francesco, mentre e' nel campo
crociato, viene a sapere che l'esercito si prepara ad attaccare. Confida
allora a un compagno, forse Illuminato da Rieti, di sapere con certezza dal
Signore che quella battaglia non si deve fare, e il dubbio che lo travaglia:
parlare, affrontando il rischio di esser creduto pazzo, oppure tacere? Il
suo compagno lo incoraggia ad agire secondo coscienza, cioe' a parlare; e
allora Francesco parla, supplica i crociati - o i loro capi - di rinunciare
a combattere, perche' il Signore non vuole. I crociati - o i loro capi -
ovviamente non gli danno retta, combattono e hanno la peggio. Tommaso da
Celano trae da questo episodio una morale utilitaria: guai a capi e sovrani
se non si rimettono al volere di Dio (leggi: degli uomini di Chiesa) per le
loro scelte anche politico-militari.
Dalla sua presentazione risulterebbe dunque che Francesco era contrario a
"quella" particolare battaglia di quel giorno, non alla spedizione militare
nel suo insieme. Ma e' ben possibile che questo episodio, forse senza che il
Celano ne sia del tutto consapevole, adombri una diversa realta'. Forse
Francesco non parlava di una pugna in particolare, ma proprio del bellum,
della expeditio; forse ha compreso che tutta intera la faccenda e' contro la
volonta' di Dio e cerca di manifestarlo ai suoi compagni di fede; ma questi,
a partire dal cardinale Pelagio, rifiutano di prendere in considerazione le
sue parole. E Francesco, gia' piu' che perplesso sulla crociata, comincia a
soffrire molto. Non tanto per se stesso, nel sentirsi inascoltato, ma
perche' la sua coscienza di cristiano e' lacerata.
Come osare questa lettura, quando e' probabilissimo che lo stesso Tommaso da
Celano lamenterebbe di essere stato travisato? Troviamo intanto una
dimostrazione indiretta, non risolutiva ma interessante, in un'altra cronaca
francescana abbastanza tardiva, la cosiddetta Storia di Eraclio, risalente
alla seconda meta' del Trecento: "Frate Francesco (...) venne all'esercito
che assediava Damiata e vi compi' molto bene, rimanendo fino alla presa
della citta'. Ma poi, vedendo che il male e il peccato cominciavano a
crescere fra la gente dell'accampamento, ne fu grandemente amareggiato. Per
questo parti' di li' e si fermo' molto tempo in Siria; poi fece ritorno al
suo paese".
Anche se qui si esprime in termini vaghi e generali qualcosa che
probabilmente era molto piu' specifico (disapprovazione per la Crociata?
Dolore e scandalo per il comportamento dell'esercito quando Damietta fu
presa?), e' pur sempre illuminante per noi.
Che vuol dire che male e peccato cominciassero a crescere tra la gente
dell'accampamento cristiano? Solo che i crociati si stavano "comportando
male" individualmente? Forse e' proprio la scoperta, non ignorabile, che
uccidere dei fratelli credendo di dar gloria a Dio e' una tragica ed empia
stoltezza.
*
Torna ad Assisi, compiendo un giro molto lungo e soffrendo perche' da
diversi segni comprende che il suo Ordine sta prendendo vie troppo difformi
dall'ideale originario. Nel Capitolo di Pentecoste del 1221 (conosciuto
nella storia francescana come "Capitolo delle Stuoie", perche' i frati
convenuti da ogni parte dormivano in terra su giacigli di canne) viene
approvata la prima vera Regola dei frati minori, detta Regola non bollata,
perche' dal papa riceve solo un'approvazione orale. Come vedremo, nel
capitolo 16 di tale Regola si riflette (pur se non e' mai nominata)
l'esperienza compiuta da Francesco in terra musulmana. Il cap. 16 della
Regola non bollata e' illuminante per comprendere il modo in cui Francesco
concepisce la presenza dei frati minori tra gli infedeli.
"Capitolo XVI: Di coloro che vanno tra i Saraceni e altri infedeli (FF
42-45)
"Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate
dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt 10,16). Percio'
quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e
altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il
ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedra' che essi sono
idonei a essere mandati; infatti dovra' rendere ragione al Signore, se in
queste come in altre cose avra' proceduto senza discrezione. I frati poi che
vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a
loro in due modi. Un modo e' che non facciano liti o dispute, ma siano
soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1 Pt 2,13) e confessino di
essere cristiani. L'altro modo e' che, quando vedranno che piace al Signore,
annunzino la parola di Dio perche' credano in Dio onnipotente Padre e Figlio
e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e
Salvatore, e siano battezzati e si facciano cristiani, poiche', se uno non
rinascera' per acqua e Spirito Santo non potra' entrare nel regno di Dio (Gv
3,5). Queste ed altre cose che piaceranno al Signore possono dire ad essi e
ad altri; poiche' dice il Signore nel Vangelo: Chi mi riconoscera' davanti
agli uomini, Io lo riconoscero' davanti al Padre mio che e' nei cieli Mt
10,32); e: Chiunque si vergognera' di me e delle mie parole, il Figlio
dell'uomo si vergognera' di lui, quando tornera' nella gloria sua e del
Padre e degli angeli (Lc 9,26). E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino
che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesu'
Cristo, e per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che
invisibili, poiche' dice il Signore: Colui che perdera' l'anima sua per
causa mia la salvera' per la vita eterna (Mc 8,35; Lc 9,24). Beati quelli
che sono perseguitati a causa della giustizia, perche' di essi e' il regno
dei cieli (Mt 5,10). Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi (Gv
15,20). Se poi vi perseguitano in una citta', fuggite in un'altra (Mt 10,23
Mt 5,11-12; Lc 6,22-23 Lc 12,4). Guardatevi di non turbarvi (Mt 24,6). Con
la vostra pazienza salverete le vostre anime (Mt 24,6; Lc 21,19). E chi
perseverera sino alla fine, questi sara' salvo (Mt 10,22)".
Un aspetto che colpisce immediatamente, e puo' sorprendere chi non abbia
familiarita' con gli scritti francescani, e' l'abbondanza di citazioni. E
veramente tutta la Regola non bollata si presenta come un collage di
citazioni evangeliche.
Francesco e i suoi collaboratori piu' stretti condensano nella Regola non
bollata il succo dell'esperienza compiuta negli anni precedenti. Fra Cesario
da Spira viene incaricato da Francesco di trovare le citazioni evangeliche
ad hoc per ogni punto della Regola.
*
"Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate
dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe...". L'invito a essere
"come serpenti" non va letto come invito a usare l'astuzia ignobile, bensi'
l'intelligenza.
"Percio' quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i
Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo.
Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedra' che essi
sono idonei a essere mandati; infatti dovra' rendere ragione al Signore, se
in queste come in altre cose avra' proceduto senza discrezione".
E' un passo molto importante, soprattutto per la severita' strana, quasi
minacciosa, che lascia trasparire a proposito del ministro e dei suoi
doveri.
Tanto piu' significativo se si tiene conto della grandissima importanza che
Francesco, in tutti gli altri casi, attribuisce all'obbedienza: egli afferma
sempre che il frate deve obbedire in tutti i casi ai superiori, e piu'
l'obbedienza e' gravosa, piu' l'ordine e' dissennato, tanto maggiore e' il
merito... invece qui e' detto esplicitamente che l'invio tra gli infedeli e'
mosso da Dio ("per divina ispirazione") e i frati hanno il diritto-dovere di
seguire questa ispirazione, e il ministro deve lasciarli andare, a patto che
siano idonei.
Certo la scelta di andare in missione non deve essere frutto del capriccio o
di puro spirito di avventura; inoltre i frati che si propongono per andare
in missione devono essere "idonei", anche nel senso di possedere un minimo
di robustezza fisica e psichica, perche' andare tra i Saraceni non e' uno
scherzo e tutti i viaggi sono difficili in quest'epoca.
Ricordiamo che negli ordini religiosi prima di Francesco il superiore veniva
chiamato "abate", cioe' padre, o "priore", cioe' primo; nell'ordine dei
minori il superiore viene chiamato minister (parola che ha la stessa radice
di minus), cioe' "servo". Guai dunque se il ministro rifiutera' per ragioni
spurie - politica ecclesiastica, utilita' dell'Ordine, preferenze della
Curia... -; di questo dovra' rispondere a Dio.
*
Viene poi il passo piu' significativo ai fini del nostro tema: si tratta qui
di cio' che i frati dovranno fare trovandosi nelle terre degli infedeli.
"... I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordinare i rapporti
spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo e' che non facciano liti o
dispute, ma siano sottomessi ad ogni creatura umana per amore di Dio e
confessino di essere cristiani. L'altro modo e' che, quando vedranno che
piace al Signore, annunzino la parola di Dio...".
Nei loro rapporti con gli infedeli i frati avranno due strade da percorrere.
La prima via sorprende ancora oggi, e figuriamoci come doveva sorprendere i
contemporanei di Francesco in quell'epoca satura di ideologia della
Crociata: devono essere sottomessi agli infedeli.
Sottomessi! Cerchiamo di non interpretare in maniera servile questa
sottomissione. Anche nella Lettera agli Efesini si raccomanda ai credenti di
essere "sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (Ef 5,21).
Essere sottomessi vuol dire atteggiamento di fraternita' e di servizio nei
confronti di tutti.
Vi e' una specificazione: il divieto di fare liti o dispute.
Ma quali liti o dispute avrebbero potuto fare i frati, comunque, se non in
materia religiosa? Qui non si parla certo di litigi banali, bensi' di
controversie e polemiche sulla fede. Dunque Francesco vuole che i suoi frati
rifiutino lo stile apologetico. E nel Medioevo la chiesa nel trattare con
gli infedeli puo' concepire solo la logica della spada o, appunto, lo stile
apologetico. Questo, malgrado il termine, non significa propriamente
"difensivo", bensi' aggressivo: significa in sostanza dimostrare all'altro
che e' ingannato e ingannatore, folle, empio, peccatore e promesso alla
dannazione eterna, se non si ravvede in fretta, e cosi' tutti quelli che la
pensano come lui. Predicare agli infedeli affinche' si convertano, in questi
tempi, significa troppo spesso andare nelle loro citta' (talvolta perfino
nelle moschee, cosa che urta ancor piu' i loro sentimenti) e cominciare a
insultarli: per noi e' ormai chiaro che si trattava di una testimonianza
antievangelica, un po' meno grave di quella dei crociati solo in quanto non
faceva scorrere sangue, ma interiormente della stessa natura.
Lo stile apologetico esiste ancora oggi; rispetto ai tempi della crociata,
forse, si e' appresa una maggiore civilta' di modi, una certa compostezza
quantomeno stilistica...
Francesco proibisce ai suoi frati questa contrapposizione violenta
inevitabilmente priva di carita' oltre che di umilta'.
Il secondo modo - il secondo, comunque, e non il primo - e' annunciare la
parola di Dio; pero' solo "quando vedranno che piace al Signore" e nei modi
che il Signore vuole.
Per noi sarebbe istintivo pensare che i frati, se vanno in terra d'infedeli,
ci vadano a predicare. Non e' cosi'. La predicazione, contrariamente a cio'
che si crede di solito, non ha questa importanza centrale nel programma di
Francesco. I frati possono anche predicare, ma anche no; e comunque al primo
posto vi e' la testimonianza di vita, l'esserci e l'essere sottomessi a
tutti nello spirito di Cristo.
*
Che cosa significa propriamente annunziare la parola di Dio? In altri passi
delle Fonti, di questa stessa Regola del 1221, e anche del suo Testamento,
Francesco dice qualcosa che getta una luce completamente nuova anche sul
fatto di annunciare la parola di Dio. La parola di Dio rivelata a lui sul
principio della sua scelta di vita, risulta sconvolgente per quant'e'
semplice: gli viene fatto comprendere che dovunque vada dovra' portare il
saluto di pace: Il Signore ti dia pace.
Il saluto caratteristico dei frati minori, e qui ad Assisi lo si vede
riportato in ogni angolo, e' "Pax et bonum". Non un semplice saluto,
ovviamente; quasi un sacramentale. Il frate minore, portando nel mondo
questa formula, si impegna a realizzare nella sua vita e nel mondo cio' che
le parole significano. Pax et bonum vuole rendere il senso dell'ebraico
shalom, salaam in lingua araba.
Un'altra parentesi ora si rende necessaria per il nostro argomento. "Pace e
bene": la pace "e'" bene, certamente, e perche' allora non dire "Pace" tout
court? Forse perche' nelle nostre lingue occidentali e nel nostro pensiero
occidentale la parola "pace" e' stata immiserita in un modo insopportabile,
quasi ridotta all'impotenza.
Nei vocabolari le definizioni della parola, piu' o meno ben espresse, sono
sempre e comunque definizioni in negativo: la pace e' sempre la non-guerra.
Ma quando un termine dev'essere definito per mezzo della negazione del suo
opposto, vuol dire che e' il piu' debole dei due, il meno significativo.
Finche' dunque continueremo a definire la pace come la situazione di
non-guerra, o la conclusione di una guerra o lo spazio fra due guerre,
vorra' dire che l'intimo del nostro cuore e' ancora assoggettato alla logica
della guerra. I Romani chiamavano pace (la famosa pax romana!) la situazione
in cui i nemici erano o sembravano assoggettati definitivamente,
nell'impossibilita' di ribellarsi. Questa non e' pace, perche' la pace non
puo' prescindere dalla giustizia e dal rispetto dei diritti fondamentali di
ogni persona.
Francesco quindi sente d'istinto di non poter dire solo pax, perche' la
parola e' stata svuotata, disseccata, sfigurata e non esprimerebbe
abbastanza. Percio' ricorre all'endiadi pax et bonum, che quantomeno
intensifica il messaggio.
Insomma la predicazione, secondo Francesco, si identifichera' con la
testimonianza vissuta della pace. Alla luce di tutta intera la Regola non
bollata e di tutti gli altri piu' importanti scritti francescani, si
potrebbe scoprire che vi e' anche qualcosa di piu': la scoperta di cio' che
Dio e lo Spirito operano nei non cristiani.
E' molto probabile che in questa intuizione di Francesco, inaudita o quasi
ai tempi suoi, avesse gran parte l'esperienza da lui compiuta in Egitto nel
1219.

3. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. BENEDETTO VERTECCHI: CELEBRARE LA GIORNATA
INTERNAZIONALE DELLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Benedetto Vertecchi (per contatti: vertecch at uniroma3.it) per
questo intervento]

Cari amici del Centro di ricerca per la pace,
trovo il vostro messaggio di ritorno da un viaggio (di lavoro) in Canada.
Desidero, anche se con ritardo, aggiungermi a quanti si sono uniti a voi per
celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza.
Cordiali saluti,
Benedetto Vertecchi

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 600 del 6 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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