La domenica della nonviolenza. 184



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 184 del 5 ottobre 2008

In questo numero:
1. In un giorno di festa i vicentini
2. Oggi a Vicenza si vota
3. Ogni giorno la nonviolenza
4. Raffaele Mantegazza: Educazione e nonviolenza
5. Enrico Peyretti: Gandhi, la politica come cura delle creature
6. Vittorio Possenti: Principio-persona e nonviolenza
7. Salvo Vaccaro: L'impensabile
8. Mao Valpiana: Il 2 ottobre e oltre
9. Riletture: Adriana Cavarero, Orrorismo
10. Riletture: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne
disarmanti
11. Riletture: Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne
12. Riletture: Vandana Shiva, Il bene comune della Terra

1. EDITORIALE. IN UN GIORNO DI FESTA I VICENTINI

In un giorno di festa i vicentini
potranno dire una parola vera.
Oggi e' quel giorno e prima che sia sera
quella parola oltre quei confini

giunta sara' ed orientera' i cammini
di quante e quanti alla signora nera
non vogliono di vite un'altra schiera
siano immolate e appese poi agli uncini

dei macellai in divisa e dei signori
che dalla guerra traggono profitti.
Si opponga il voto ai lutti ed ai dolori

sia il voto voce di tutti gli afflitti
che anelano la pace e i suoi splendori.
Sia il voto si' alla vita e si' ai diritti.

2. INIZIATIVE. OGGI A VICENZA SI VOTA

Oggi a Vicenza si vota.
Si svolge in forma autogestita la consultazione popolare con la quale il
Comune ha chiesto ai cittadini di esprimere la loro opinione sul quesito:
"E' Lei favorevole alla adozione da parte del consiglio comunale di Vicenza,
nella sua funzione di organo di indirizzo politico-amministrativo, di una
deliberazione per l'avvio del procedimento di acquisizione al patrimonio
comunale, previa sdemanializzazione, dell'area aeroportuale 'Dal Molin' -
ove e' prevista la realizzazione di una base militare statunitense - da
destinare ad usi di interesse collettivo salvaguardando l'integrita'
ambientale del sito?".
I cittadini di Vicenza, che hanno gia' ricevuto a domicilio le schede, con
esse e con un documento di identita' possono votare nei centri di raccolta
predisposti appositamente in prossimita' degli edifici in cui abitualmente
si esercita il diritto di voto.
*
Si vota a Vicenza, ma non solo per Vicenza.
Si vota per affermare il diritto alla pace, il diritto alla democrazia, il
diritto al rispetto della vita umana.
*
Ai vicentini rivolgiamo una preghiera: votino, votino si'. Votino si' alla
pace, si' alla democrazia, si' alla legalita' costituzionale, si' ai diritti
umani di tutti gli esseri umani.
Votino anche per noi.
*
Ai non vicentini che hanno amici, parenti, colleghi, conoscenti a Vicenza:
facciano loro una telefonata per invitarli ad andare a votare, a votare si'.
*
I non vicentini che non hanno rapporti con persone di Vicenza possono
comunque far circolare la notizia che oggi a Vicenza si vota. E possono
contribuire in altri modi ancora, come segnalato nel sito www.nodalmolin.it
Diamo una possibilita' alla pace.
*
Per ulteriori informazioni (e per ulteriori opportunita' di contribuire
all'iniziativa): www.nodalmolin.it e www.dalmolin5ottobre.it

3. MATERIALI. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA

Nel proseguire la pubblicazione degli interventi ricevuti in occasione della
Giornata internazionale della nonviolenza che si e' celebrata il 2 ottobre,
ancora una volta ringraziamo tutte le persone che ci hano inviato loro
contributi. Altri ne appariranno nei prossimi giorni.

4. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. RAFFAELE MANTEGAZZA: EDUCAZIONE E NONVIOLENZA
[Ringraziamo Raffaele Mantegazza (per contatti:
raffaele.mantegazza at unimib.it) per questo intervento]

Soprattutto alla fine del XX secolo, un secolo caratterizzato dallo
scatenamento della violenza  politica e religiosa, si e' sentita l'esigenza
di una riflessione profonda e non estemporanea sul rapporto tra politica e
violenza. La violenza viene trattata non solo come una possibile risposta
adattiva del soggetto all'ambiente, come gli etologi sottolineano, ma anche
come  stortura strutturale di un sistema che su di essa si appoggia per
poter vivere e perpetuarsi: per questo il paradigma nonviolento si
caratterizza fin da subito come critica al capitalismo e al suo sistematico
uso della violenza; e' questo aspetto di denuncia precisa e circostanziata a
differenziare l'approccio nonviolento da qualsiasi approccio irenistico o
conciliatorio: non si tratta di eliminare la violenza con un atto di buona
volonta' ma di studiarne e criticarne l'insinuazione nelle pieghe del
soggetto anche al disotto della sua consapevolezza e soprattutto in ambito
educativo.
Cio' significa che e' essenziale al pensiero nonviolento l'aspetto della
critica, dello smascheramento, dello sguardo fisso sulla negativita'
presente, sul male operante qui e ora e sulla denuncia delle responsabilita'
individuali e collettive, anche quelle che coinvolgono  direttamente o meno
chi si oppone allo status quo; non si tratta di una colpevolizzazione fine a
se stessa, perche' sono le strutture di violenza ad essere denunciate,
quelle strutture che sostengono i gesti individuali, che certo non sono
ignorati ma rimessi al loro posto nella cornice piu' ampia del sistema: ogni
tendenza autoassolutoria e' bandita ma lo e' anche ogni facile
pacificazione. Per poter praticare la nonviolenza non basta opporsi
astrattamente all'idea di violenza: occorre sapere di volta in volta a che
cosa ci si oppone, per evitare di combattere battaglie di retroguardia. La
nonviolenza e' conoscenza del nemico e suo smascheramento.
Conoscere l'avversario e le sue armi significa anche riconoscere
l'ineludibilita' del conflitto: le conciliazioni irenistiche sono viste con
sospetto dal paradigma nonviolento perche' si e' ben consapevoli del fatto
che il conflitto e' una realta' strutturale propria dell'essere umano. Altro
e' dunque il conflitto, altra la sua risoluzione violenta, e in un certo
senso piu' che il conflitto e' l'assenza di conflitto a preoccupare in una
determinata realta' sociale: la nonviolenza fa affiorare i conflitti sedati
o addirittura li provoca superando l'annacquamento proprio di contesti
socioeconomici che vogliono far credere di avere definitivamente raggiunta
la conciliazione definitiva. Chi abbia frequentato il pensiero di Gandhi sa
quanto la sua specificita' stesse proprio nel far affiorare i conflitti e
nell'opporsi con tenacia a ogni tentativo di insabbiarli.
*
E' tipica del paradigma nonviolento l'attenzione esplicita alla correlazione
tra mezzi e fini, una attenzione che ha profonde ricadute sul pensiero
pedagogico: non e' infatti possibile educare alla nonviolenza utilizzando
gli stessi strumenti e le stesse strutture che realizzano  un'educazione
all'odio, alla guerra, alla sottomissione, al dominio; l'attenzione e' qui
rivolta dunque alla forme, alle strutture, alle metodologie dell'educazione.
Questo significa che dal punto di vista della politica dell'educazione non
e' possibile dire che un atto educativo e' in se' buono, almeno se con "in
se'" ci si riferisce a una scala di valori eterni trascendente. Ma se con
quell'"in se'" intendiamo da un lato i rapporti reciproci tra le parti
costituenti l'atto educativo (la forma dell'atto educativo, la composizione
delle sue parti in un tutto, le modalita' con la quale spazi, tempi,
oggetti, linguaggi ecc. si rapportano vicendevolmente) e dall'altro le
complesse relazioni tra educazione e totalita' storico-sociale dobbiamo
rispondere positivamente: e' allora possibile un giudizio di valore su una
scelta educativa, su una metodologia, su un dispositivo pedagogico purche'
alla base del giudizio di valore vi sia una presa di posizione critica sulla
totalita' storico-sociale che fa da sfondo all'atto educativo; il che
equivale a dire che il giudizio di valore sul singolo atto educativo non
puo' prescindere, con buona pace dei sostenitori della neutralita' delle
tecniche, da un giudizio politico.
Per questo siamo molto critici nei confronti dei pensatori che riducono la
nonviolenza a un arsenale di tecniche: certamente la tecnica e la tattica
dell'azione nonviolenta sono fondamentali, cosi' come l'educazione alla
conoscenza e allo sviluppo delle modalita' oppositive: ma svincolare le
tecniche nonviolente da un giudizio complessivo e politico sull'assetto
socioeconomico rischia di snaturarle; il boicottaggio e' un'ottima tecnica
nonviolenta ma occorre ricordare che boicottare le merci vendute dai
commercianti di origine ebraica fu uno dei primi gesti che avrebbero portato
alla Shoa'.
*
La nonviolenza smaschera allora la pretesa neutralita' dei gesti e delle
opzioni perche' si permea letteralmente di politica: vuole riportare alla
politica quel campo che e' stato invaso dalla violenza, anche dalla violenza
della presunta neutralita', del non prendere posizione, dell'ignavia.
Qui sta la forza della promozione di gesti esemplari e concreti, tipica
della nonviolenza: l'educazione nonviolenta, in particolare rivolta ai
giovani, mostra la radicalita' di gesti quali il boicottaggio, il commercio
equo e solidale, l'obiezione di coscienza, l'obiezione alle spese militari,
gesti di rottura che sono anche parte del progetto formativo nonviolento, ne
costituiscono elementi essenziali perche' ribaltano la violenza del sistema
contro il sistema stesso senza aggiungerne di propria; attenzione: questo
non significa che i risultati dell'opposizione non abbiano anche un versante
violento ma si tratta di una violenza appunto rimpallata contro
l'aggressore, una violenza non omicida, e che permette all'aggressore di
ritornare sui propri passi, di rivedere le proprie premesse, di redimersi.
Ma per una seria educazione alla politica e' vitale la chiarezza sui limiti
dell'approccio nonviolento. Occorre un esercizio di realismo: non ci si puo'
illudere che la lotta per la liberazione dal dominio possa essere
esclusivamente nonviolenta; almeno in situazioni di oppressione e di
conflitto acuto il problema della violenza non si puo' risolvere con una
parola d'ordine: in ambiti di oppressione acuta e di deprivazione di ogni
diritto la resistenza violenta e armata non puo' assolutamente essere
esclusa a priori. Questo non significa che essa sia auspicabile e per certi
versi nemmeno buona: ma di fronte a processi di liquidazione totale di
individui, gruppi umani, popoli, a volte non e' letteralmente data
alternativa. E cosi' in situazioni nelle quali le ferite della memoria sono
ancora troppo brucianti, il paradigma nonviolento non puo' essere proposto a
priori: per questo nel 1945 non si poteva chiedere ai parenti delle vittime
di Marzabotto un gesto di pieta', per questo occorreva bombardare le linee
ferroviarie che portavano ad Auschwitz, per questo la polemica sulla guerra
giusta deve riconoscere che la guerra di liberazione dal nazifascismo era
una guerra giusta anche se non e' giusto che uomini e donne siano costretti
a prendere le armi per potersi liberare. La nonviolenza porta al risveglio
delle coscienze e all'acquisizione di una mentalita' oppositiva: in
determinate condizioni essa non puo' sottovalutare la violenza implicita nel
risveglio, soprattutto nel risveglio traumatico degli schiavi che si credono
liberi.

5. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. ENRICO PEYRETTI: GANDHI, LA POLITICA COME
CURA DELLE CREATURE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questo suo articolo pubblicato su "Confronti" quaderno
"Un'altra terra e' possibile", n. 9, settembre 2008]

Gandhi non conobbe i rischi ambientali che corriamo noi oggi, ma ebbe tutta
la sensibilita' e la preveggenza per darci avvisi e indicazioni essenziali e
preziose, preventive, quasi profetiche. Scrive che e' la sua devozione alla
Verita' che lo ha condotto alla politica; per lui la Verita' e' Dio, e Dio
e' l'unita' profonda di tutte le cose, dunque "per vedere faccia a faccia
l'universale e onnipresente Spirito della Verita' si deve essere in grado di
amare il piu' infimo degli esseri creati come se stessi" (Gandhi 1996, p.
31). Questo essere infimo e' l'uomo piu' oppresso e sofferente, come il
tiranno violento, come il piu' piccolo degli animali e delle cose del mondo.
Percio' non si puo' uccidere e distruggere nulla senza contraddire la legge
della vita. Ma Gandhi non condivide lo scrupolo dei giainisti che evitano
anche di schiacciare senza volerlo una formica. Egli ammette che, come ci
sono casi tragici estremi in cui e' persino doveroso uccidere un uomo che
sta per uccidere altri, se davvero non c'e' un altro modo di fermarlo, cosi'
a maggior ragione ci si puo' difendere da animali dannosi uccidendoli. La
sua nonviolenza non e' un astratto assolutismo morale, ma il massimo impegno
a ridurre al minimo possibile la violenza insita nella vita, sviluppando
l'amore per tutti gli esseri e precisi metodi alternativi di gestire i
conflitti personali e politici, escludendo del tutto l'istituzione della
violenza che e' la guerra.
Gandhi e' certamente un grande spirito religioso, ma altrettanto e' uno
scienziato e sperimentatore che ha rivoluzionato le tecniche del conflitto
trasformandolo da distruttivo a costruttivo. Questo suo contributo si
estende anche al rapporto degli umani con la natura, che, nell'eta' moderna,
si e' svolto in modi aggressivi, di esaustiva rapina, arrivata oggi a
livelli drammatici. Nel 1908, durante il viaggio di ritorno da Londra al Sud
Africa, Gandhi scrisse un libretto, Hind Swaraj (Autogoverno dell'India)
(1). La ricorrenza centenaria e' l'occasione per leggere o rileggere questo
scritto, che a tutta prima risulta a noi cosi' sconcertante che si e'
tentati di respingerlo. E' una critica radicale della civilta' occidentale.
L'indipendenza e l'autogoverno dell'India a cui pensa Gandhi, piu'
dell'indipendenza politica, e' il recupero del modo di lavorare, di abitare
la terra, di vivere, proprio della civilta' e spiritualita' indiana
tradizionale, grande nel mondo: "La civilta' e' quel modello di condotta che
indica all'uomo il cammino del dovere". Al contrario, quello occidentale e'
"un sistema competitivo che corrode la vita" (p. 57).
La critica all'Occidente consiste in due punti principali (Salio 2000):
primo, l'idea di crescita economica quantitativa senza limite, che e' di per
se' distruttiva e anche autodistruttiva, tanto che, dice Gandhi, basta
aspettare per vedere crollare questo sistema; secondo, il modello umano di
homo oeconomicus, che produce non solo ingiustizie atroci, grandi ricchezze
e grandi miserie, ma riduce e amputa le dimensioni proprie dell'essere
umano. Le critiche di Gandhi al Parlamento inglese, ai politici, ai
giornali, alle ferrovie, a tribunali e avvocati, alla medicina e agli
ospedali, all'urbanesimo, al militarismo, al primato del commercio,
all'immoralita', alla irreligione, hanno anche alcune punte che riconosciamo
eccessive. Gandhi stesso, che ha scoperto studiando a Londra le proprie
radici indiane, fara' uso di alcune delle tecniche sviluppate in Occidente.
Ma il senso della sua critica non e' sui particolari quanto sui caratteri di
fondo accennati, sui quali ci conviene meditare oggi piu' di allora. Gandhi
non e' contro le macchine, ma contro il macchinismo. Egli offre le premesse
fondamentali all'ecologia profonda (cfr Naess).
Il fine della politica per Gandhi e' vivere insieme, nella giustizia e nella
semplicita' volontaria, nel dominio delle passioni, nel seguire la verita',
nel coraggio che resiste alle violenze senza imitarle. La sua politica e'
soprattutto un concreto programma costruttivo, che egli propone gia' in Hind
Swaraj e sviluppa sempre negli anni. Giuliano Pontara sostiene che non e'
tanto l'astensione dalla violenza quanto questo sforzo costruttivo la vera
essenza della nonviolenza gandhiana. Sono punti precisi di impegno contro i
mali propri dell'India (matrimoni precoci, condizione della donna, divisione
in caste, alcolismo, dipendenza produttiva dall'Inghilterra, educazione,
igiene, ecc.), su cui Gandhi misura la capacita' dell'India di
autogovernarsi. Civilta' umana e economia di giustizia vanno insieme in
questo programma, che continua nei filoni gandhiani tuttora vivi nella
societa' indiana, per lo piu' lontana dal sogno del Mahatma.
Le linee di economia ecologica gandhiana si possono raccogliere in alcune
parole chiave: swadeshi, autosufficienza locale; lavoro per il pane, manuale
e personale; non-possesso e non-attaccamento; uguaglianza e
non-sfruttamento; amministrazione fiduciaria (terza via tra la proprieta'
privata e quella statale); satyagraha, alternativa alla lotta di classe
violenta (Salio 2001).
Mi pare che l'idea di Gandhi sia che il meglio e' conservare con amore e
cura lo stato naturale della vita, sperimentato dalla saggezza delle
generazioni. Egli vede nelle aggiunte artificiali soprattutto i pericoli,
che esigono il massimo controllo, non sempre bastevole. Esagerato lui, o
esagerato lo sviluppismo successivo? Egli ha vissuto fino a vedere
l'atomica, nel 1945, esito delle idee e delle pratiche violente, e ha
sperato che quel massimo di violenza facesse rinsavire l'umanita', per amore
e rispetto della vita.
*
Note
1. Il libretto e' pubblicato col titolo italiano Civilta' occidentale e
rinascita dell'India, nelle Edizioni del Movimento Nonviolento, 1984
(richiedibile a: redazione at nonviolenti.org).
*
Bibliografia
- Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, 1996.
- Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in
un'eta' di terrorismo, Unicopli, 2006.
- Arne Naess, Ecosofia. Ecologia, societa' e stili di vita, Red, 1994.
- Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e
il XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, 2006.
- Nanni Salio, Elementi di economia nonviolenta, Edizioni del Movimento
Nonviolento, 2001.
- Nanni Salio, Tratti dell'economia nonviolenta gandhiana, in Gandhi,
Economia gandhiana e sviluppo sostenibile, Edizioni Seb, Centro Studi Sereno
Regis, 2000 (richiedibile a: info at serenoregis.org).

6. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. VITTORIO POSSENTI: PRINCIPIO-PERSONA E
NONVIOLENZA
[Ringraziamo Vittorio Possenti (per contatti: vittorio.possenti at tin.it) per
questo intervento ricavato da un un capitolo del suo libro Il
Principio-persona, Armando, Roma 2006]

1) Il compito della filosofia nel momento attuale consisterebbe nel
disarmare la ragione armata. La nonviolenza agevola tale cammino.
*
2) Il filosofo personalista puo' sperare, anzi ha lo stretto dovere di
farlo, ma non puo' sapere se il principio-persona si estendera' su scala
planetaria oltre il mondo storico-spirituale in cui prese vita e slancio.
Solo una filosofia profetica della storia potrebbe saperlo, ma una tale
filosofia non esiste perche' occorrerebbe andare oltre i poteri della sola
ragione. Anche le filosofie ottimistiche del costante progresso verso il
meglio hanno fatto il loro tempo, o comunque non conosciamo se abbiano
ragione. Se pero' accadra' che il principio-persona raggiunga concreta
estensione mondiale - tale obiettivo e' forse il massimo che la liberta'
dell'uomo possa porsi -, dovranno prendere slancio nuove concezioni di lotta
politica e una nuova riflessione sui mezzi pesanti o carnali e sui mezzi
poveri e nonviolenti di azione. In essi rientrano il dialogo, la trattativa
collaborante, la ricerca della comunicazione umana, la mitezza, la
non-collaborazione con l'avversario oppressore, il rifiuto di ricorrere alla
violenza nelle sue varie forme, la preghiera.
Nell'area del metodo nonviolento di lotta politica spicca in specie la
nonviolenza attiva, distinta da quella in cui si opera una mera resistenza
passiva che non conduce lontano. La nonviolenza attiva e' una forma d'azione
che dista infinitamente dalla scelta dell'inazione, dal quietismo passivo di
chi si ritrae. La nonviolenza attiva, seguita secondo l'ispirazione di
Gandhi, di Lanza del Vasto, di Capitini, di Martin Luther King e' una strada
aperta verso il futuro capace d'interpellare i forti e i superbi, e forse di
piegare i malintenzionati. Questa strada sta lentamente passando
dall'irrisione, di cui la nonviolenza e' stata fatta segno dai cosiddetti
realisti e benpensanti, ad un maggiore livello critico d'elaborazione e
all'applicazione concreta. Si tratta di una necessita' assoluta che va oltre
la buona volonta' dei singoli. Il XX secolo e' cominciato con un processo di
rapida globalizzazione della violenza che e' sfociato in due guerre mondiali
e l'invenzione e costruzione in massa di armi termonucleari con le quali e'
possibile cancellare l'intero genere umano. Il nuovo millennio si e' aperto
con processi di guerre, terrorismi, estese globalizzazioni tutt'altro che
prive di violenza.
*
3) Sulla nonviolenza Gandhi medito', agi', scrisse lungo tutta la vita. "Non
pretendo di essere perfetto. Ma pretendo di essere un appassionato
ricercatore della Verita', la quale non e' altro che un sinonimo di Dio. E'
nel corso di tale ricerca che ho scoperto la nonviolenza. La diffusione di
essa e' la missione della mia vita. Non ho altri interessi nella vita che lo
svolgimento di questa missione... E' inutile che io ripeta ancora una volta
che la nonviolenza del forte e' la forza piu' grande che esista al mondo...
Per questo nostro mondo tormentato non vi e' alcuna speranza di salvezza se
non nella stretta e diritta via della nonviolenza. E' possibile che milioni
di persone come me non riusciranno a dimostrare tale verita' nel corso della
loro vita, ma il fallimento sara' loro, non della legge eterna" (1).
Queste espressioni indirizzano ad approfondire i nessi tra persona e
nonviolenza. Se il personalismo del Novecento e' stato una feconda ripresa e
rinnovamento di un perenne nucleo di realta', la nonviolenza gandhiana
rimane una scoperta essenziale che ha aperto nuovi campi all'azione. Una
conferma dell'omologia tra principio-persona e nonviolenza si trae dal fatto
che spesso furono gli autori personalisti ad avvertire l'importanza della
lezione di Gandhi. Il personalismo francese, forse piu' di quello italiano
talvolta tinto di accademia, colse con Massignon, Maritain, Mounier e
successivamente Ricoeur l'altezza della testimonianza del saggio indiano
(2).
*
4) La nonviolenza non e' sotto mentite spoglie una nuova forma di buonismo
razionalistico, che si aspetta il trionfo definitivo della verita' e del
bene perche' appunto sono la verita' e il bene. Il termine gandhiano di
Satyagraha significa "forza della verita'", non sua vittoria. Vi sono
numerose tecniche nonviolente che possono essere messe in pratica da persone
di buona volonta', ma un'effettiva fiducia storico-pratica nel metodo della
nonviolenza richiede l'accettazione della legge dell'amore e in certo modo
la fede in un governo divino del mondo: Gandhi e Maritain si sono espressi
in merito. Tratteggiando le caratteristiche e le condizioni del successo
della nonviolenza Gandhi osserva: "1) La nonviolenza e' la legge della razza
umana ed e' infinitamente piu' grande e piu' potente della forza bruta. 2)
Essa non puo' essere di alcun aiuto a chi non possiede una fede profonda nel
Dio dell'Amore... 5) La nonviolenza e' un potere che puo' essere posseduto
in egual misura da tutti - bambini, ragazzi, ragazze, e uomini e donne
adulti - posto che essi abbiano una fede profonda nel Dio dell'Amore e che
quindi possiedano un ugual amore per tutto il genere umano" (3). Secondo
Maritain l'uomo politico "deve vivere di speranza. E' possibile vivere di
speranza senza vivere di fede? ...Io non credo che in politica gli uomini
possano sfuggire alla tentazione del machiavellismo se non credono
all'esistenza di un governo supremo e propriamente divino dell'universo e
della storia" (4).
La nonviolenza del Satyagraha e' la nonviolenza dei forti, di coloro che in
sommo grado sono capaci di sopportare, e cio' la diversifica senza ombra di
dubbio dalla debolezza dei codardi o dei rinunciatari. Il nonviolento
pratica al massimo grado la virtu' di fortezza il cui atto fondamentale
consiste nel sopportare piu' che nell'attaccare: "in sustinendo tristia
maxime aliqui fortes dicuntur", osserva l'Aquinate riprendendo un detto di
Aristotele (5). E' veramente forte colui che governa se stesso sopportando
ogni male e la tristezza senza perdere l'orientamento verso il bene e la
speranza. Illustrando il senso del Satyagraha, Gandhi spiego' che "pazienza
significa disposizione a soffrire"; e il suo metodo consiste nella difesa
della verita' attuata non infliggendo sofferenze all'avversario ma a se
stessi.
*
5) La nonviolenza in certo modo si colloca piu' in alto del pacifismo, se
questo si limita a ripudiare la guerra quale forma piu' macroscopica e
ripugnante di violenza. In senso proprio il pacifista manifesta avversione
alla guerra e scelta per la pace, mentre il nonviolento e' sensibile a tutte
le forme di violenza, tra cui certo quella politica ma anche quelle di tipo
strutturale-economico e culturale (intendo con questo termine le forme di
violenza ed oppressione che sono depositate in idee e costumi tramandati e
che possono incorporare disprezzo per l'altro). Il nonviolento rifiuta
l'amoralita' della politica e il dualismo tra etica pubblica e privata, ed
e' convinto dell'omogeneita' tra mezzi e fini, ossia che mezzi impuri
producono un fine impuro. Inoltre la nonviolenza non e' una mera teoria ma
prassi che cerca di mettere a punto metodi e tecniche efficaci di lotta
nonviolenta: da quelli impiegati dalle classi lavoratrici nella lotta tra
capitale e lavoro, a quelli praticati nella lotta per l'indipendenza di un
popolo o per l'affermazione di fondamentali diritti umani.
La nonviolenza cerca di spegnere la fiamma dell'odio e della violenza in
radice. Essa vuole assorbire nell'amore e con l'amore il colpo della
violenza, vuole evitare che si propaghi in un'ininterrotta dialettica di
colpo, reazione e nuovo colpo, dove la regola rimane quella del "mors tua
vita mea". Alla domanda se solo il polemos stia alle radici dell'essere e
dell'uomo, la nonviolenza risponde che non e' cosi', che tale posizione e'
falsa, e che comunque occorre  limitare il polemos con i mezzi dell'amore e
della liberta'. La nonviolenza non e' utopia ma profezia, a partire
dall'idea che nessuna logica necessitaria che obblighi alla violenza e
all'odio e' inscritta nell'essere: mentre l'utopista disegna a tavolino
rapporti e perfezioni meramente pensate, il profeta si attiva qui ed ora per
agire.
Il nonviolento rifiuta la disperata logica di Nietzsche secondo cui la
volonta' di potenza sta alla base della vita e della realta', un assunto che
continua ad avvelenare tante vite e tanti pensieri, poiche' volonta' di
potenza e volonta' di violenza confinano pericolosamente. Assumere che anche
la persona sia volonta' di potenza e nient'altro, e' una posizione
antipersonalista disastrosa, che squalifica la nonviolenza. La questione
della nonviolenza e' piu' ampia di quella della risposta ad un ingiusto
aggressore od oppressore, e si estende a tanti campi della vita. Nella vita
il primo movimento e' l'amore per l'altro: all'inizio l'altro sono io, che
vengo accolto e amato entrando nell'essere con la nascita, e che cosi'
divengo capace di amare. Amo, ergo sum. "Noi sappiamo di essere passati
dalla morte alla vita perche' amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella
morte... Chi non ama non ha conosciuto Dio, perche' Dio e' amore" (1
Giovanni 3,14, 4,8).
*
6) La nonviolenza agisce sugli strumenti, le istituzioni, gli uomini,
cercando un'omogeneita' tra fine e mezzi: se lo scopo e' la pace essa non
puo' che essere opera di mezzi pacifici. La nonviolenza come pedagogia
dell'umanita' si spende affinche' gli uomini si convertano ad uno stile di
vita nonviolento e mite.
Dopo la seconda guerra mondiale sono aumentate le riflessioni, le ricerche,
le pratiche per mettere a punto e sperimentare tecniche nonviolente di
difesa e resistenza che vanno dalla disobbedienza civile al rifiuto di
collaborare e simili. Una vastissima letteratura e' disponibile, di cui in
nota segnalo solo alcuni pochi titoli (6). Si e' cominciata a stendere una
storia della nonviolenza, "che e' anche la storia delle lotte contro la
violenza degli 'uomini irragionevoli'. E' sorprendente che questa storia non
abbia maggiormente attirato l'attenzione degli uomini 'ragionevoli' che
raccomandano e giustificano la violenza" (7). Tale storia  avvalora una
fondata persuasione di Aldo Capitini: "Esistono vittorie senza violenza"
(8).
In genere i "realisti" nutrono molti dubbi sull'efficacia della resistenza
nonviolenta, in specie di fronte ad un avversario pronto a colpire
duramente, come e' stato il nazismo. Eppure anche nei loro confronti alcuni
risultati vennero raggiunti. "La storia degli ebrei danesi e' una storia sui
generis, e il comportamento della popolazione e del governo danese non trova
riscontro in nessun altro paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o
neutrale e indipendente che fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere
lezioni obbligatorie in tutte le universita' ove vi sia una facolta' di
scienze politiche, per dare un'idea della potenza enorme della nonviolenza e
della resistenza passiva, anche se l'avversario e' violento e dispone di
mezzi infinitamente superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano
di 'comprensione per la questione ebraica', e anzi si puo' dire che la
maggioranza dei paesi europei fossero contrari alle soluzioni 'radicali' e
'finali'. Come la Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si
rivelarono quasi immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni
che si trovavano sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere
apertamente cio' che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini
della Germania e svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei
con un tour de force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica
antisemita in quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i
danesi. Quando i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre
il distintivo giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a
portarlo, e i ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento
antisemita avrebbe provocato le loro immediate dimissioniî (9). I nazisti
desistettero.
*
7) Nutro stima e consonanza per la prospettiva nonviolenta, e mi auguro che
essa possa penetrare sempre piu' in profondita' nei rapporti tra gli uomini
e nei gruppi politici, mettendo a fuoco e raffinando le tecniche di positiva
azione nonviolenta. Non penso pero' che sia possibile eliminare
completamente l'uso della forza e della sanzione nei rapporti sociali e
politici. Conseguentemente reputo necessario muovere verso il monopolio
mondiale dell'uso della forza accentrato in poteri pubblici planetari
rappresentativi, come antidoto alla guerra internazionale. Come gia'
evidenziato nelle pagine precedenti, non si tratta dell'obiettivo politico
piu' alto, che sta nella costituzione di una societa' grande quanto il mondo
abitata dalla giustizia e dal mutuo riconoscimento, ma di uno scopo
necessario per estirpare la mala pianta della guerra. Cio' non toglie
minimamente che mille e mille azioni nonviolente siano valide e
raccomandabili tanto nell'attuale situazione di anarchia internazionale
quanto nella sperata futura situazione di una societa' mondiale.
Sulla nonviolenza possono valere le sensate riflessioni di Bobbio: "Non mi
considero un nonviolento militante, ma ho acquistato la certezza assoluta
che o gli uomini riusciranno a risolvere i loro conflitti senza ricorrere
alla violenza, in particolare a quella violenza collettiva e organizzata che
e' la guerra, sia esterna sia interna, o la violenza li cancellera' dalla
faccia della terra... Certamente l'uomo non puo' rinunciare a combattere
contro l'oppressione, a lottare per la liberta', per la giustizia, per
l'indipendenza. Ma e' possibile, e sara' anche producente e concludente,
combattere con altri mezzi che non siano quelli tradizionali della violenza
individuale e collettiva? Questo e' il problema" (10). Senza nutrire
illusioni sulla possibilita' di estirpare completamente la mala pianta della
violenza dalla storia dell'uomo, all'interrogativo bobbiano sembra possibile
rispondere in modo parzialmente positivo, se l'umanita' perverra' ad una
forma d'organizzazione politica meno primitiva dell'attuale.
*
Note
1. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. 250
e p. 332. Nello stesso testo leggiamo: "Sebbene io non possa sostenere di
essere un cristiano nel senso confessionale del termine, l'esempio delle
sofferenze di Gesu' e' un fattore fondamentale della mia fede incrollabile
nella nonviolenza che regola tutte le mie azioni mondane e temporali", pp.
244-45.
2. Fin dal 1927 Maritain in Il primato dello spirituale scrive: "L'esempio
di Gandhi e' quello adatto a farci vergognare" (OC, Ed. Universitaires,
Fribourg - Ed. Saint-Paul, Paris, vol. III, p. 871). Nella conferenza
"L'idea di pace e il pacifismo", tenuta nello stesso anno a Berlino, Scheler
tributo' un alto omaggio alla "grande guida rivoluzionaria indiana Mahatma
Gandhi" e al suo metodo della non-resistenza e non-opposizione alla
violenza. La conferenza e' pubblicata con pari titolo dalle edizioni Medusa,
Milano 2004; la parte su Gandhi e' alla p. 71.
3. Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 10s.
4. "La fine del machiavellismo", in Per una politica piu' umana,
Morcelliana, Brescia 1968, p. 140s.
5. Cfr. S. Th., II II, q. 123, a. 6.
6. J. Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia. Milano 2000; Id. La
trasformazione nonviolenta dei conflitti. Il metodo Transcend, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 2000; G. Pontara, Guerre, disobbedienza civile,
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; E. Peyretti, Esperimenti
con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini editore, Rimini 2005.
Su La Pira e la pace cfr. V. Possenti, "Il compito della pace fra
responsabilita' della politica e forze della grazia", Ricerche di Storia
Sociale e Religiosa, n. 66, 2004, pp. 7-28. In Italia vi e' bisogno di un
Istituto nazionale di ricerca sulla pace e i conflitti, sul modello degli
istituti dei paesi del nord Europa (come il Sipri svedese). Da noi la peace
research e' ancora poco sviluppata con poche iniziative e pochissimi
finanziamenti. Occorre anche un servizio civile con corpi civili di pace,
capaci di intervento nonviolento in zone di conflitto. L'Italia ha gia' uno
strumento legislativo adeguato a questo compito, il servizio civile
volontario, dove i volontari potrebbero sperimentare forme di difesa non
armata e nonviolenta.
7. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Edizioni Plus, Pisa 2004, p. 297.
8. Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, Antologia degli scritti a
cura di Mario Martini, Edizioni Ets, Pisa 2004, p. 136.
9. Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 1964, p. 177.
10. Il problema della guerra e le vie della pace, p. 26s.

7. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. SALVO VACCARO: L'IMPENSABILE
[Ringraziamo Salvo Vaccaro (per contatti: salvovaccaro at yahoo.com) per questo
intervento in forma di lettera]

Mi inviti a scrivere quattro righe su cio' che oggi e' diventato
l'impensabile, ossia un orizzonte di vita in comune in cui la violenza sia
espunta dalle pratiche simboliche che quotidianamente intrecciano il tessuto
delle societa'.
Non e' sarcasmo suggerire che la giornata internazionale dovrebbe essere
dedicata a incentivare la riflessione collettiva sulla... violenza, come
"memento" perenne di cui felicemente fare a meno per gli altri 364 giorni
dell'anno. Cosi', invece, ahime', e' esattamente l'opposto!
Il limite di pensabilita' della nonviolenza e' dato, probabilmente,
dall'equivoco di tradurre la forza del negativo non come evocazione di una
affermazione potente, ossia il perno della nonviolenza, bensi' come residuo
che vive di luce riflessa. Cosi' la nonviolenza viene anestetizzata, perche'
ridotta moralisticamente a cerotto postumo, ad auspicio nostalgico, a favola
bella da narrare al riparo dei pericoli notturni.
Chi sperimenta la violenza ogni ora come minaccia incombente e imminente
alla propria unica vita, e' fatalmente attratto in questa trappola del
pensiero per orientarsi verso la controviolenza, legittima ma altrettanto
fatale di cio' che vorrebbe contrastare ma non cancellare. Qui non e' in
discussione la "vexata quaestio" del suo innervamento antropico, perche' la
natura parla con il linguaggio, tutto politico, della cultura umana, nonche'
delle sue istituzioni, in quanto tale e astrattamente reversibile rispetto
alla pretesa ineluttabilita' del fondo indisponibile naturale.
Solo che tale natura reversibile e' stata catturata da una potenza di
significato che la declina nel senso della Forza, del Potere, questo si'
intrinsecamente violento.
Il cerchio si chiude inesorabile sugli uomini e sulle donne di questa
sventurata terra, che hanno subito l'oblio di un mondo che potrebbe essere
diverso da come e' se solo si spezzasse l'incantesimo dell'identita',
anch'essa tutta politica sebbene filosoficamente espressa, tra reale e
naturale.
Accrescere la distanza tra essere e divenire, tra unita' e pluralita', tra
vita rappresentata e vita vitale, tra arche' e an-arche', e' il sentiero
impervio e faticoso che puo' informare l'interrogazione intorno alla
nonviolenza come criterio pratico di organizzazione societaria. O almeno e'
questo il sentiero che ho intrapreso gia' da diverso tempo.

8. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. MAO VALPIANA: IL 2 OTTOBRE E OLTRE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212,
e-mail: mao at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo
intervento]

L'Assemblea generale dell'Onu ha deciso di celebrare la Giornata
internazionale della nonviolenza il 2 ottobre, anniversario della nascita di
Gandhi, ispiratore dei movimenti per la pace, i diritti e le liberta' civili
di tutto il mondo. In una risoluzione approvata dai 192
Stati membri dell'Onu, su proposta del governo Indiano, l'Assemblea invita
tutti i paesi, organizzazioni e individui a commemorare questo giorno ogni
anno per "promuovere una cultura della pace, della tolleranza, della
comprensione e della nonviolenza".
In questa occasione si svolgono molte iniziative anche in varie citta'
italiane.
*
Celebrare la giornata internazionale della nonviolenza, in occasione
dell'anniversario della nascita di Mohandas K. Gandhi, e' cosa buona e
giusta.
E' infatti con Gandhi che nasce la nonviolenza moderna. Certo, essa e'
sempre esistita, e' "antica come le montagne", ma prima del Mahatma era
sempre stata intesa come via personale alla salvezza, come codice
individuale, come precetto valido per l'individuo. E' solo con la
straordinaria esperienza gandhiana, prima in Sudafrica e poi in India, che
la nonviolenza diventa politica, strumento collettivo di liberazione.
La nonviolenza e' stata la vera, grande, unica, rivoluzione del XX secolo.
Le ideologie del Novecento si sono frantumate alla prova della storia, sono
state sepolte nelle tragedie dei campi di sterminio e nei gulag, sono morte
nei massacri della prima e della seconda guerra mondiale.
Solo la nonviolenza resta ad indicare una nuova via. La nonviolenza e' un
mezzo e un fine, e' uno strumento per risolvere i conflitti che la vita ci
presenta, a livello individuale e sociale (poverta', discriminazioni,
esclusioni, ecc.); la violenza mira a sconfiggere o eliminare l'avversario,
la nonviolenza vuole far emergere la verita' e offrire una via d'uscita per
tutti; preferisce convincere piuttosto che vincere. Non c'e' un nemico da
criminalizzare, ma un avversario da conquistare.
*
Oggi la vita stessa del pianeta e' a rischio. Crisi ecologica e crisi
bellica rendono il futuro incerto.
Dobbiamo rovesciare il motto "se vuoi la pace prepara la guerra" nel suo
giusto verso: "se vuoi la pace prepara la pace", a partire dal ripudio della
guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
Dobbiamo invertire la rotta, se siamo ancora in tempo.
Il Rapporto 2008 dell'Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma ci
ricorda che la spesa militare mondiale non conosce crisi e nel 2007 e' stata
pari a 1.339 miliardi di dollari, il 2,5% del Prodotto nazionale lordo del
pianeta. Ben 202 dollari a testa per ogni abitante della Terra. L'incremento
in termini reali rispetto al 2006 e' del 6% e del 45% rispetto al 1998,
l'anno prima della caduta del muro di Berlino. L'Italia si conferma
all'ottavo posto assoluto con 33,1 miliardi (erano 29,9 nel 2006).
Quella del disarmo, della riduzione drastica delle spese militari a
vantaggio degli investimenti contro la poverta' e la fame, e' la priorita'
assoluta. Senza questo impegno, la giornata della nonviolenza sarebbe pura e
inutile retorica.
*
Celebriamo la giornata della nonviolenza con l'imperativo assoluto di
rifiutare ogni guerra e gli strumenti che la rendono possibile.
Invitiamo anche l'amministrazione comunale di Verona, che tutti ci
rappresenta, ad un impegno attivo per "promuovere una cultura della pace,
della tolleranza, della comprensione e della nonviolenza".

9. RILETTURE. ADRIANA CAVARERO: ORRORISMO
Adriana Cavarero, Orrorismo. Ovvero della violenza sull'inerme, Feltrinelli,
Milano 2007, pp. 176, euro 14. Un libro che fa bene.

10. RILETTURE. MONICA LANFRANCO, MARIA G. DI RIENZO (A CURA DI): DONNE
DISARMANTI
Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti. Storie e
testimonianze su nonviolenza e femminismi, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2003, pp. 288, euro 13. Un libro che fa bene.

11. RILETTURE. GIOVANNA PROVIDENTI (A CURA DI): LA NONVIOLENZA DELLE DONNE
Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne, "Quaderni
Satyagraha" - Libreria editrice fiorentina, Pisa-Firenze 2006, pp. 288, euro
16. Un libro che fa bene.

12. RILETTURE. VANDANA SHIVA: IL BENE COMUNE DELLA TERRA
Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, pp.
216, euro 14. Un libro che fa bene.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 184 del 5 ottobre 2008

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