Nonviolenza. Femminile plurale. 212



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 212 del 6 ottobre 2008

In questo numero:
1. Merete Amann Gainotti: Scritti sulla pace di Jean Piaget e Maria
Montessori
2. Tiziana Plebani: La piera bianca
3. Marina Forti: Sostenibile
4. Valeria Vigano': Paura
5. Stella Morra: Esperienze spirituali tra affetto e ragione
6. Irene Bignardi presenta "La mia casa e' lontana" di Dawn Powell
7. Isabella Bossi Fedrigotti presenta "Le 51 parole dell'amore" di Fatema
Mernissi

1. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. MERETE AMANN GAINOTTI: SCRITTI SULLA PACE DI
JEAN PIAGET E MARIA MONTESSORI
[Ringraziamo Merete Amann Gainotti (per contatti: amann at uniroma3.it) per
averci messo a disposizione come contributo per la Giornata della
nonviolenza il seguente testo]

Il periodo storico tra la prima e la seconda guerra mondiale e' un momento
di forte destabilizzazione del continente europeo. Tra il 1922 e il 1936, si
contano in Europa ben 15 regimi dittatoriali: nel 1922 si assiste alla
marcia su Roma di Mussolini; nel giugno 1923 vi e' un colpo di stato
militare in Bulgaria; nel settembre 1923 la Spagna subisce la dittatura
militare del generale Primo de Rivera; nel gennaio 1925 Ahmed Zogou prende
il potere in Albania; nel maggio 1926 vi e' un colpo di stato militare del
generale Pilsudski in Polonia e un altro colpo di stato militare in
Portogallo; nel 1927 Stalin diventa capo incontrastato in Urss e nel 1933
Hitler prende il potere in Germania; nell'agosto del 1936 vi e' un colpo di
stato del generale Metaxas in Grecia e nel settembre dello stesso anno il
generale Franco diventa "caudillo" dello stato spagnolo; senza dimenticare i
conflitti a livello mondiale come quelli in corso in Cina e il regime
militarista instauratosi in Giappone.
In un contesto europeo ed internazionale cosi' conflittuale, la giovane
"Societe' des Nations", fondata nel 1920, con sede a Ginevra (che diventera'
l'Onu dopo la seconda guerra mondiale), chiede al Bureau International de
l'Education (Bie), con sede anch'esso a Ginevra, e di cui Jean Piaget aveva
assunto la direzione nel 1928, di organizzare e di promuovere dei Corsi di
formazione destinati agli insegnanti di ogni ordine e grado (dai maestri
elementari ai docenti universitari), ai funzionari e agli ispettori dei
ministeri dell'istruzione pubblica, sul tema: "Come fare conoscere La
Societe' des Nations e sviluppare lo spirito di cooperazione
internazionale".
In risposta a tale richiesta, Jean Piaget, nella sua veste di direttore del
Bie, fece personalmente, e in seguito pubblico', una serie di conferenze,
ben note agli addetti ai lavori di lingua francese, ma non tradotte in
italiano. In quegli scritti, prendendo spunto dalle sue recenti ricerche
pubblicate nel volume Il giudizio morale nel fanciullo (1932), Piaget
illustra il ruolo della scuola nel promuovere la comprensione tra gli
individui; spiega i meccanismi psicologici della giustizia, della
solidarieta', dell'altruismo e della cooperazione e denuncia gli errori
educativi responsabili del nazionalismo e del razzismo. Insiste sul ruolo
fondamentale dell'interazione sociale, della libera discussione e della
ricerca obiettiva della verita' per lo sviluppo dell'intelligenza e del
giudizio morale autonomo. Argomenta contro il nazionalismo, il fanatismo e
l'intolleranza a favore della cooperazione, della solidarieta' tra le
persone, le generazioni, e tra i gruppi sociali e le nazioni.
La contrapposizione tra egocentrismo e decentramento dal proprio punto di
vista, costituisce il fondamento teorico utilizzato per interpretare gli
atti educativi, che verranno giudicati positivamente se consentono il
decentramento dal proprio punto di vista, e negativamente se, al contrario,
rafforzano le posizioni egocentriche ed etnocentriche. A livello strategico,
Piaget attribuisce alla scuola - ma ad una scuola rinnovata grazie ad una
piu' efficace conoscenza della psicologia infantile - un ruolo
insostituibile per aiutare i bambini a liberarsi dal loro egocentrismo
spontaneo.
Ad esempio, nello scritto del 1932 "Les difficultes psychologiques de
l'education internazionale", Piaget suggerisce che il primo compito di un
educatore, per promuovere l'educazione internazionale, sia di aiutare i
bambini ad acquisire un metodo e degli strumenti che consentano loro di
riflettere in maniera autonoma. Tale metodo dovrebbe consistere
nell'aiutarli a liberarsi, da una parte, dall'egocentrismo intellettuale e
morale, e dall'altra parte, dalle costrizioni e condizionamenti sociali:
"Bisogna anche considerare le costrizioni che subiamo dal passato, dalle
tradizioni, da tutto il gruppo sociale a cui apparteniamo. Non sappiamo
pensare liberamente, non sappiamo elaborare la nostra morale in autonomia"
(Piaget, 1932, p. 64).
Agli inizi degli anni '30 Jean Piaget aveva raggiunto una grande notorieta',
e per tale motivo fu invitato a partecipare al II Congresso Internazionale
Montessori del 1932 a Nizza, il primo dedicato ai problemi della pace. In
quell'occasione gli venne offerta l'opportunita' di ricoprire la presidenza
dell'Associazione Montessori Svizzera. Piaget partecipo' anche al Congresso
Internazionale Montessori tenutosi a Roma nel 1934 ed e' lecito pensare che
in tale occasione i due grandi studiosi si siano incontrati e si siano forse
parlati, anche se non esistono testimonianze al riguardo, ne' da parte di
Maria Montessori, ne' da parte di Jean Piaget (Amann Gainotti, 2004).
Puo' essere interessante, per il lettore italiano, essere a conoscenza della
convergenza di interessi di Maria Montessori e di Jean Piaget sul tema della
pace, anche se questa problematica viene affrontata da presupposti assai
diversi nei due autori. Non e' questo il luogo per uno studio comparativo
degli scritti di Piaget e di Montessori sulla pace. Ci limitiamo in questa
sede, come contributo d'interesse storico, a fornire un elenco cronologico
dei principali scritti dell'uno e dell'altra sul tema della pace.
Da rilevare che il ciclo di conferenze e di scritti di Piaget si chiude, nel
1934, con un intervento dal tono pessimista, "E' possibile una educazione
per la pace?", nel quale vengono espressi i dubbi di Piaget sul reale potere
dell'educazione per migliorare la convivenza tra individui, considerando il
progressivo affermarsi dei regimi totalitari in Europa.
Maria Montessori invece, che inizialmente aveva cercato di dialogare con il
governo fascista e con Mussolini (Tornar, 2005), finisce col lasciare
l'Italia nel 1934, ritenendo che i principi di ordine, disciplina ed
ubbidienza, propri dell'ideologia fascista, fossero incompatibili con le
idee che sottendevano il suo progetto educativo e pedagogico. Vi fara'
ritorno nel 1946, in seguito ad un invito del governo italiano, e
promuovera' la riorganizzazione dell'Opera Montessori e delle scuole
montessoriane.
*
Scritti sulla pace di Jean Piaget e di Maria Montessori
a) Scritti di Jean Piaget:
1918: La biologie et la guerre. Feuille centrale de la Societe' suisse de
Zofingue, n. 58, pp. 374-380.
1930a: Le developpement de l'esprit de solidarite' chez l'enfant. Comment
faire connaitre la Societe' des Nations et developper l'esprit de
cooperation internationale, Publications du Bureau international
d'Education, n. 8, pp. 52-55.
1930b: La notion de justice chez l'enfant. Comment faire connaitre la
Societe' des Nations et developper l'esprit de cooperation internationale,
Publications du Bureau international d'Education, n. 8, pp. 55-57.
1931a: L'esprit de solidarite' chez l'enfant et la collaboration
internationale. Recueil pedagogique, Geneve, n. 2, pp. 11-27.
1931b: Introduction psychologique a' l'education internationale. Comment
faire connaitre la Societe' des Nations et developper l'esprit de
cooperation internationale. Geneve, Pubblications du Bureau international
d'Education, n. 9, pp. 56-68.
1932: Les difficultes psychologiques de l'education internationale. Comment
faire connaitre la Societe' des Nations et developper l'esprit de
cooperation internationale. Geneve, Pubblications du Bureau international
d'Education, n. 10, pp. 57-76.
1934 Une education pour la paix est-elle possible? Bullettin de
l'enseignement de la Societe' des Nations, Geneve, n. 1, pp. 17-23.
1944: L'education de la liberte'. L'ecole bernoise, Berne, n. 77, pp.
297-299.
1951: Le developpement, chez l'enfant, de l'idee de patrie et de relations
avec l'etranger. Bullettin international des sciences sociales, Paris, pp.
605-621.
b) Scritti di Maria Montessori:
1932: La pace e l'educazione (prima edizione in tedesco). Edizione italiana:
La pace e l'educazione: educazione alla guerra o educazione alla pace? 1970,
Milano, Dante Alighieri.
1946: Education for a new world (prima edizione indiana). Edizione italiana:
Educazione per un mondo nuovo, 1970, Milano, Garzanti.
1947: Educate for peace! in: Montessori magazine: a quarterly journal for
teachers, parents and social workers (India), The Association Montessori
Internationale: vol. 1 n. 4. pp. 4-10.
1950a: La solidarieta' umana, in: Italiani nel mondo, Roma: (novembre 1950)
pp. 8-10.
1950a: La solidarieta' umana nel tempo e nello spazio, in: la formazione
dell'uomo nella ricostruzione mondiale: atti del VIII Congresso
Internazionale Montessori. Roma Ente Opera Montessori, pp. 195-205.
1950c: L'unita' del mondo attraverso il bambino, in: la formazione dell'uomo
nella ricostruzione mondiale: atti del VIII Congresso Internazionale
Montessori. Roma Ente Opera Montessori pp. 528-537.
1950d: Educazione e pace, seconda edizione (prima edizione 1949), Milano,
Garzanti.
1952: Freedom, in: Ami monthly letter - Association Montessori
Internazionale. Poi pubblicato in: Il Quaderno Montessori, 6 (1989), n. 22,
p. 83.
1954: Educhiamo alla pace le nostre creature, in: Madre, Brescia, ottobre
1954.
1956: L'enfant dans la reconstruction du monde, in: Association Montessori
de France, Paris, (mai 1956), n. 16, pp. 1-9.
*
Bibliografia
Merete Amann Gainotti, Appunti per una indagine sui rapporti intercorsi tra
Jean Piaget e Maria Montessori, in: C. Tornar (a cura di), Linee di ricerca
sulla pedagogia di Maria Montessori, Centro di Studi Montessoriani, Annuario
2004, pp. 123-139, Franco Angeli, Milano 2005.

2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. TIZIANA PLEBANI: LA PIERA BIANCA
[Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: tiplebani at libero.it) per averci
messo a disposizione come contributo per la Giornata della nonviolenza
questo suo testo in forma narrativa dal titolo "Bianco nero rosso. Vita di
citta'"]

Il treno sbuffa e cigolando entra in stazione. Il portellone automatico si
spalanca e scendo. Annuso l'aria e mi distendo pronta a infilarmi nell'abito
da casa che e' la mia citta'. Cammino lungo i binari ad ogni passo
allontanandomi da un'altra citta' e da una piacevole parentesi. Scivolando
tra viaggiatori e valigie esco dalla stazione. La luce calda del tardo
pomeriggio mi accoglie bonaria: c'e' un via vai tranquillo e rilassato nel
piazzale di Santa Lucia e il cielo terso di meta' giugno restituisce a
Venezia i suoi colori piu' belli.
Scendo i gradini con lentezza, ancora in bilico tra il rimanere aggrappata
ai giorni trascorsi altrove e il dare loro un definito addio. Un convegno
riuscito, una relazione apprezzata, nuovi stimoli e idee. Sorrido, sto bene
nella mia vita, sto bene nella mia pelle, e' tutto a posto - mi dico. Inizio
a salire il ponte degli Scalzi, facendomi largo a fatica tra ambulanti e
turisti in posa per le fotografie ricordo: il solito noioso calvario cui
sono abituata, ma nulla stasera puo' guastare il mio buonumore, sto bene
nella mia vita, sto bene nella mia pelle, sto bene nella mia citta'. I miei
cari e alcuni amici mi attendono, raccontero' con brio i giorni passati,
brindando al rientro con un bicchiere di vino. seduti a un tavolo
all'aperto.
Ai piedi del ponte un poliziotto e' fermo a ispezionare la mercanzia di un
"vu compra'" ammassata in fretta e in furia in un grande lenzuolo che
ingombra il selciato. Li sorpasso, scavalco borse sparse e occhiali, ed
imbocco la stretta calle che si apre giusto ai piedi del ponte e che in
fondo gira brusca a sinistra, formando un angolo di novanta gradi. La scena,
mercanzia, "vu compra'", poliziotto, e' gia' sfumata alle mie spalle. Avanzo
ancora riaggrappandomi ai piacevoli pensieri che mi affollano la mente,
quando mi sento impalpabilmente spostata da una corrente d'aria, un flusso
circoscritto ma potente che mi fa ondeggiare verso il muro della calle.
Punto l'obiettivo dei miei occhi in avanti, vedo le spalle, la schiena, le
gambe di un giovane uomo di colore. Corre velocissimo, e' una saetta. Non lo
vedo piu'.
Un'altra corrente d'aria, ma stavolta non mi sposta. Sono all'erta, ormai.
Divisa blu che corre e che scompare nel nulla, anche se con una falcata piu'
corta. Faccio uno piu' uno: e' un inseguimento. A Venezia! nelle calli
strette. Cosa mi succede? Ritorno da un convegno accademico e sono
proiettata in uno scenario cinematografico.
Eccomi arrivata al punto in cui la calle piega repentinamente a sinistra e
accede a un piccolo ponte con balaustre in ferro. Mi giro e vedo. Mi giro e
lo vedo.
No, non sono in un film. Il giovane dalla pelle d'ebano, grande e lungo
un'infinita', giace disteso sul ponte; dal viso schiacciato sui gradini esce
un fiotto di sangue. Mi avvicino con spavento. Recupero in un attimo in
borsa i fazzoletti di carta, che non ho mai, cerco di asciugargli il sangue.
Ha la bocca spaccata, tra il sangue della gengiva brillano denti bianchi
d'avorio: i miei fazzoletti si riempiono di rosso, lui e' nero come il nero,
e' grande e spaventato. Il braccio gli fa male, forse e' rotto.
A Venezia non basta saper correre.
Non basta il tuo passo da pantera, in un'altra citta' l'avresti seminato, il
bianco in divisa. Ma sei a Venezia. Sei straniero, nessuno te l'ha detto.
Come potevi sapere che a Venezia si corre diversamente, che i ponti sono
infidi, che la piera bianca tradisce. E' un segreto che i veneziani
succhiano con il latte della mamma: non fidarti della piera bianca! Se
sbrissa su la piera bianca.
Il bianco dei gradini, marmo o pietra d'Istria, lucido per il continuo
passaggio, suda per l'umidita', o per l'acqua di risacca; bagnato perche'
hanno abbeverato i gerani di sopra, diviene un piano sdrucciolevole: il
passo e' incontrollabile, un attimo di incertezza e si plana a terra con
fragore.
Quando tutte le altre citta' erigevano mura, Venezia se ne stava senza
bastioni e torrette, difesa solo dall'acqua. C'era bisogno di una barriera e
i furbi Veneziani hanno seminato la citta' di piera bianca, che sta li'
ancora in agguato, pronta a far scivolare il nemico, il foresto.
Il sangue scorre ancora sulla piera bianca, e' arrivato qualcuno da un
negozio con un po' di ghiaccio. Le mie salviette sono tutte rosse, la mia
mano bianca e' macchiata di rosso, il ragazzo singhiozza, chiamo l'ambulanza
con il cellulare e gli spiego che non si deve preoccupare. Non parla, gli
occhi bianchi e rossi sono spalancati. Improvvisamente mi assale una paura,
e se non avesse il permesso di soggiorno? se il pronto soccorso veneziano lo
ingoiasse e lo rinviasse nell'Africa piu' profonda? E se il mio gesto
pietoso si tramutasse in una trappola?
Il poliziotto, giovane pure lui, e' alle mie spalle, in disparte. Mi giro,
lo guardo ora per la prima volta, gli domando: Ma perche' rincorrerlo tra le
calli, come fosse un ladro, un delinquente? E' forse una caccia? Come un
animale braccato, disteso, ferito, sospinto in un territorio sconosciuto,
pieno di insidie sconosciute, si e' schiantato sulla piera bianca.
Il giovane in divisa si stringe nelle spalle, non sa rispondere, si accorge
forse ora di non sapere nemmeno lui bene il perche'.
Attendo il motoscafo dell'ambulanza, gli pulisco ancora il sangue. Siamo
rimasti ora in tre sul ponte, l'uomo nero, la donna bianca e il poliziotto,
tre categorie dello spirito.
Ci unisce il rosso del sangue e la piera bianca.
L'ambulanza acquea accosta e lo caricano e mi assicurano, sotto le mie
pressanti domande, che l'assistenza medica non si interessa della sua
cittadinanza; torna indietro anche il giovane in divisa. Resto sola. Il
motoscafo andandosene alza un'onda che lava la piera bianca, un rivoletto
d'acqua salsa misto a sangue scorre verso il selciato della calle.
Salgo i gradini del ponte e scendo, riprendo a camminare. L'abito vecchio
della mia citta' mi sta male, niente va piu' bene, tutto stride. Ho
assistito a un bracconaggio in una foresta urbana mentre credevo di vivere
in una citta' ordinata e civile. Non sto piu' bene nella mia vita, non sto
piu' bene nella mia pelle, non sto piu' bene nella mia citta'.
Arrivo a un altro ponte e d'istinto mi fermo a osservare la piera bianca
degli scalini, a scrutarne le macchie, a immaginare altri suoi misfatti. Ma
forse tu, piera bianca, non hai colpa: tu sei stata messa li' a fermare un
turco con la scimitarra, un predone del mare, un todesco armato di schioppo;
che ne sai ora dei veri nemici delle citta', quelli che fanno scivolare
sottilmente la paura tra la gente, quelli che rendono sdrucciolevole la
nostra vita, assai piu' di te.
Ne sai poco o nulla come colui che stasera hai fermato.

3. MONDO. MARINA FORTI: SOSTENIBILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 settembre 2008 col titolo "I pesci di
Jambudwip"]

Cosa vuole dire "sostenibile", cos'e' una "economia sostenibile"? Se lo
chiede l'ecologa indiana Sunita Narain, direttore del quindicinale "Down to
Earth". Nel suo ultimo editoriale, Narain cita alcuni casi trattati dalla
Corte suprema indiana.
Primo: i pescatori di Jambudwip, microscopico villaggio nella baia del
Bengala, citati a giudizio da un gruppo per la protezione della natura.
Jambudwip e' una piccolissima isola con un minuscolo porto naturale nel
delta del Gange, zona di mangrovie; i pescatori dei villaggi vicini, che di
solito escono in mare aperto per parecchi giorni di seguito, usavano
fermarsi la' al ritorno per far seccare il pesce al sole e poi andare a
venderlo sulla terraferma. In un'economia povera, senza frigoriferi per
stoccare cio' che pescano, e' l'unica alternativa. Il punto e' che le
mangrovie e il loro habitat sono protette, e il gruppo ambientalista ha
fatto causa ai pescatori accusandoli di occupazione abusiva. Il caso e'
arrivato alla Corte suprema, che ha uno speciale comitato di consiglieri
incaricati di dare pareri su tutto cio' che riguarda foreste e protezione
della natura. La sentenza e' stata che essiccare il pesce era un'attivita'
"non forestale", dunque vietata nella zona protetta. Nel loro ricorso, i
pescatori hanno fatto notare che loro occupavano un piccolo territorio a
Jambudwip, e che la loro pratica e' perfettamente "sostenibile": reti fatte
a mano in modo tale da prendere solo pesci adulti, lasciando quelli piccoli;
essiccazione naturale al sole, sulla spiaggia. Argomentavano che e' proprio
interesse dei pescatori salvaguardare le mangrovie, che forniscono al pesce
l'habitat per riprodursi (in effetti le immagini scattate dai satelliti
hanno confermato, nell'aula del tribunale supremo, che l'isola di Jambudwip
conserva la sua copertura verde). Loro del resto pagano per comprare dal
dipartimento forestale il permesso di spingersi sull'isola, e in aula hanno
proposto di usare parte di quelle tasse per creare piani di gestione
sistenibile delle mangrovie. "Eppure, il comitato consultivo ha detto no. La
corte si e' adeguata. In un colpo di penna, la sopravvivenza di oltre
diecimila persone che si guadagnano da vivere pescando, seccando,
trasportando e vendendo pesce e' finita", scrive Narain, che si chiede: "E'
stata una vittoria per la conservazione?".
La Corte, accusa l'editorialista di "Down to Earth", ha avuto ben altro
atteggiamento nel caso di un grande gruppo industriale, Sterlite Industries,
sussidiaria dell'azienda mineraria londinese Vedanta, che difendeva il suo
progetto di aprire una miniera in 700 ettari di foresta pluviale, ricca e
biodiversa, nella regione nord-orientale del Chattisghar. Questa volta il
comitato consultivo e la corte hanno accordato un compromesso: l'azienda
puo' occupare la foresta, pagando pero' il valore degli alberi che saranno
tagliati e aggiungendo una somma per finanziare un "piano di gestione della
fauna selvatica". Ovviamente, nota indignata Narain, "l'azienda e'
autorizzata a condurre solo attivita' minerarie 'sostenibili'. Nessuno si e'
chiesto come possa essere sostenibile scoperchiare una montagna e scaricare
tre tonnellate di scarti per ogni tonnellata di bauxite estratta, in una
zona di grandi piogge".
La morale della favola, si potrebbe concludere, e' che c'e' chi ha potere e
chi non ne ha: le grandi industrie pagano soldi e tagliano foreste, i
pescatori non hanno soldi e sono cacciati via anche se non facevano alcun
male alla foresta.

4. RIFLESSIONE. VALERIA VIGANO': PAURA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 24 settembre 2008 col titolo "Quando vince la
paura"]

Nel dilagante senso di insicurezza profonda che si respira nell'aria,
pesante incerta inquinata aria del mondo, avanzato e libero che
pretenderebbe di essere, si nutrono a vicenda due paure. Una paura reale,
concreta, connessa alla socialita' e alla sopravvivenza, e una paura piu'
strisciante che tocca il significato dell'essere e della sua individualita'.
La contaminazione tra le due paure e' costante, particelle si incontrano, si
influenzano, si mescolano fino a produrre una paura ancora maggiore, che
esplode nell'immaginario.
Nell'immaginario la paura si deforma ogni volta che la si pensa, prende
nuove vie per riprodursi, escogita nuovi sbocchi per deflagrare in un
istinto di difesa: per proteggere il presente, per assicurare il futuro. Ma
non si protegge cosi' il presente che muta alla velocita' della luce e non
si protegge il futuro che si allontana, come l'orizzonte al quale non si
arriva mai. Cosi', con la paura si screditano entrambi. Presente e futuro.
La paura di perdere il lavoro, o di non trovarlo affatto, di non avere
identita' sociale, di cio' che e' sconosciuto e diverso, la paura di non
essere omologato e quindi vivere la solitudine, sono altre facce dell'enorme
incertezza che ci pervade. Cerchiamo risposte certe e fisse in un flipper
dove la pallina e' talmente rapida da non essere mai in un punto
determinato. La vediamo solo quando rallenta, e ci spaventa perche' da li'
non sappiamo dove rimbalzera'. I pulsanti del flipper sembrano non
rispondere ai comandi. La paura diventa panico. Il panico sociale aggrega
rabbiosamente e produce il nemico, il panico personale impedisce la
realizzazione di se' e devasta l'anima.
Ma non e' tutto teorico. L'insicurezza colpisce in concreto, si tramuta in
violenza, odio, frustrazione, avvilimento, depressione. Nascono trincee da
cui sparare, baratri neri in cui sprofondare a seconda della scelta di
colpire l'altro o se stessi. Accade continuamente in ogni eta', fino ad
assumere tratti di un'eterna incompiutezza adolescenziale. Si risponde a
istinto, sembrerebbe una faccenda di bisogni tornati primari. Si difende
senza scrupoli il territorio in modo egoistico, si respingono gli
sconosciuti, ci si porta con se' un'arma. Non ci sono piu' la liberta' di
scelta, l'attuazione di un'idea e della propria identita'. Perche' ogni cosa
viene canalizzata dal mercato.
Sta qui la praticita' della questione paura-insicurezza-incertezza. E' il
sistema economico che guida i nostri sentimenti. Se un laureato a trent'anni
deve provare il vuoto di prospettive in un call center o nei famigerati
contratti a progetto, la stagnazione tronca entusiasmi, volonta' e
competenza, inghiotte il futuro. Nel vuoto che crea le giovani menti
annaspano senza appiglio, rimangono sole o finiscono in gruppi per essere
qualcosa, qualsivoglia cosa senza mai essere niente. Se un cinquantenne
diventa un numero in esubero, e la sua vita azzerata nella disperazione,
ogni ombra che incontra gli fara' terrore. La paura attanaglia nelle regole
sociali e economiche: devi essere efficiente, alla moda, comunicativo,
ambizioso, piuttosto cinico. Non devi mostrare incertezze, sfiducia in te,
tristezza. Altrimenti sei fuori, out, espulso. Per l'angoscia di esserlo,
che prende quando non si e' all'altezza delle aspettative, si va in terapia
una volta alla settimana, che sommate alla fine riescono a reintrodurre i
comportamenti conformisticamente consoni che il dolore aveva fatto
dimenticare. Anche le pasticche, oltre i consigli di qualcuno (disgregato
come te) che dovrebbe aiutarti, seduto al di la' della scrivania con il tuo
cervello in mano, servono. Al mercato ritorniamo. Le pasticche, le gocce,
una che tira su, l'altra che tira un po' giu', le altre ancora che fanno
dormire. Sono diventate pane quotidiano per una moltitudine, e bilanci da
record esponenziali per chi ha scelto di investire nella farmacopea
psichica.
C'e' sempre chi ci guadagna dalla paura. Ci guadagnano la politica che ci
controlla dall'alto, l'economia che ci controlla dal basso. E' brutto
sentire la terra che frana sotto i piedi, e il vedersi derubati e impauriti,
e uscire di senno e ammazzare chi ci spaventa. O ammazzarsi nel caso ci
spaventassimo di noi stessi. I matti, chiamiamoli per una volta sola cosi',
finiscono nella malattia perche' la paura della malattia e' pur sempre
preferibile alla paura di vivere.

5. LIBRI. STELLA MORRA: ESPERIENZE SPIRITUALI TRA AFFETTO E RAGIONE
[Dal mensile "Letture" n. 650, ottobre 2008 col titolo "Esperienze
spirituali tra affetto e ragione"]

"A mo' di immagine, partiro' dall'esperienza di certi monaci dei primi tempi
della Chiesa, nel III e IV secolo. Di notte essi stavano in piedi, nella
posizione dell'attesa. Si ergevano li', all'aperto, diritti come alberi, con
le mani alzate verso il cielo, rivolti verso il luogo dell'orizzonte da cui
doveva venire il sole del mattino. Tutta la notte il loro corpo abitato dal
desiderio attendeva il levar del giorno. Era la loro preghiera. Non avevano
parole. Che bisogno c'era di parole? La loro parola era il loro stesso corpo
in travaglio e in attesa. Questa fatica del desiderio era la loro preghiera
silenziosa. Erano la', semplicemente. E quando al mattino i primi raggi del
sole raggiungevano la palma delle loro mani, essi potevano fermarsi e
riposare. Il sole era giunto. C'e' nell'esperienza spirituale quest'attesa
di cui e' impossibile dire se sia piu' particolarmente corporale e
spirituale, se sia piu' specificamente concettuale o affettiva. Sara' per
noi una tentazione costante il voler identificare Dio con qualcosa di
affettivo oppure di piu' razionale, di piu' fisico oppure di piu' cerebrale.
L'attesa concerne il nostro essere intero. E cio' che ci giunge e'
precisamente il raggio che illuminando la palma delle nostre mani e
cambiando a poco a poco il paesaggio, ci annuncia che il sole viene, altro
da cio' che la notte ci permette di conoscere" (Michel De Certeau).
*
Mai senza l'altro
E' davvero difficile indagare quella che normalmente chiamiamo "esperienza
spirituale": comprendere l'intreccio di personale e collettivo, di corporeo
e spirituale, di razionale ed emotivo, unico per ciascuno e costante
nell'esperienza credente, e' gia' un'impresa. Ma poi scriverne, spiegarlo ad
altri... Mille rischi sono in agguato, troppo sentimentalismo, troppa
non-dicibilita', troppa razionalizzazione, troppa eccezionalita'... tutto
sembra troppo.
Ci avventuriamo dunque con un certo timore a presentare dei libri che girano
intorno a questa questione, o, meglio, a queste questioni, al plurale: un
mondo dai confini incerti, ma di cui tutti abbiamo grande sete in tempi che
ci offrono eccessiva aridita' e un rischio di opacita' nella fede che
potrebbe rischiare di spegnerla.
Cominciamo con un libro bellissimo e difficile (Marcello Neri, Gesu'.
Affetti e corporeita' di Dio. Il cuore e la fede, Cittadella, 2007, pp. 192,
euro 16,50) che ci radica nel giusto fondamento in questa ricerca: non si
tratta per noi, infatti, di indagare vaghi e generici moti dell'anima,
quanto piuttosto di guardare al modo in cui Dio stesso in Gesu' ha abitato
la complessita' dell'essere persone di carne, di cuore e di cervello e il
modo in cui i credenti hanno letto e vissuto questo nei secoli. Il libro di
Marcello Neri cerca la dimensione sensibile e affettiva, estetica,
dell'evento fondatore cristiano, rivisitando (con grande fondatezza storica
e critica) la devozione al Sacro Cuore. Si parla di toccare, di sapere del
cuore, di devozione, di riparazione, si cerca oltre alla razionalita'
originaria del Logos cristiano anche la sua altrettanto originaria
sensualita'. Si mostra una sensibilita' alla bellezza che non si guadagna
d'incanto nel giorno beato della visione, ma piuttosto ha da essere
coltivata giorno dopo giorno nello spessore del corpo e grazie ai suoi
stessi sensi.
*
Dall'ateismo al mistico
Il secondo libro di cui vorremmo parlare si presenta come un testo piu'
austero e di studio (Gerda Walther, Fenomenologia della mistica, traduzione
di Lucia Parrilli Fina, Glossa, 2008, pp. 282, euro 32) e ci offre per la
prima volta tradotta in italiano un'opera (la cui prima edizione tedesca e'
del 1923) che ben esprime il fermento e l'inquietudine circa il divino, ma
insieme il rigore filosofico e metodologico tipici degli anni '20 in
Germania. L'autrice ha detto che questo libro viene dalla ricerca della
verita' e della realta' del divino, inizialmente messo tra parentesi da lei,
giovane studentessa di filosofia atea professa, che pur non avendo ricevuto
un'educazione religiosa si convinse, attraverso il suo vissuto personale,
che proprio qui stessero la realta' piu' alta e la verita' ultima. Cosi'
dalla sponda dell'ateismo e' passata allo sconfinato universo della mistica.
L'edizione italiana ci offre, oltre al testo vero e proprio, un'ampia
introduzione che consente di godere appieno della profondita' che viene
offerta dalla riflessione della filosofa tedesca.
*
Niente di straordinario
Il terzo libro di cui vorremmo parlare e' il primo tomo del primo volume
(che comprendera' un altro tomo) della pubblicazione dell'opera omnia
(volumi previsti 13 + 2) di un autore noto in Italia, Raimon Panikkar
(Mistica pienezza di vita, vol. I/1, a cura di Milena Carrara Pavan, Jaca
Book, 2008, pp. 382, euro 45). Figlio di una cattolica e di un indu',
spagnolo quanto indiano, uomo sospeso tra Occidente e Oriente, Panikkar si
e' occupato davvero molto della ricerca di quel "fondo dell'anima" che
attiene a tutte le culture e questo volume mostra compiutamente la sua
ricerca. Con un metodo e uno stile radicalmente diverso dal libro di cui
abbiamo parlato subito prima, tenta pero' la stessa impresa: mostrare che
l'esperienza mistica non e' un privilegio di alcuni, ma piuttosto la
struttura fondamentale di ogni vita umana, abbandonare l'idea di una mistica
come fenomeno piu' o meno straordinario, speciale, patologico, paranormale o
sovrannaturale, e cercare piuttosto di reintegrare la mistica nell'essere
stesso dell'uomo, creatura mistica quanto razionale e corporale. Gia' da
questo primo tomo si puo' intuire quale ricchezza sara' poter disporre
dell'opera completa di questo autore, intorno a tutte le tematiche che lo
hanno impegnato coprendo un'ampia gamma di interessi e di problemi.
*
Irruzione nella storia
Il libro successivo che vorremmo presentare si colloca nella stessa logica,
di studio della mistica come fenomeno non straordinario, ma e' attento
soprattutto alle condizioni storiche, sociali e culturali del suo sorgere
nella forma classica del XVI e XVII secolo (Michel De Certeau, Fabula
Mistica. XVI-XVII secolo, traduzione e cura di Silvano Facioni, Jaca Book,
2008, pp. 432, euro 34). Si tratta di una nuova edizione, ritradotta e con
nuovi contributi di introduzione, di un'opera davvero illuminante e preziosa
che era esaurita da tempo (anche se la nuova traduzione solleva qualche
perplessita', a dire la verita', e non si capisce perche' non si e' voluta
mantenere la assai buona traduzione precedente, trattandosi di un autore
davvero difficile da rendere in un'altra lingua). E' un saggio che tiene
insieme il rigore della ricerca e una resa quasi poetica per mostrarci come
la parola mistica irrompe nella storia come un'esperienza di marginalita',
di esclusione e di rinuncia, quasi inseguita dall'"assenza" che tenta di
esprimere, l'assenza che ci segna come un desiderio. Tutto un corteo
luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti, oscilla fatalmente tra
obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, saperi istituiti e nuovi ordini
del conoscere, e le loro voci dimenticate ritrovano vita in quest'opera e
tracciano strade per perdersi, come ci dice De Certeau stesso.
*
Mistica del quotidiano
Alla fine di questo percorso di libri rigorosi e ardui, vogliamo cambiare
registro, segnalando un piccolo volume (Antonietta Potente, Qualcuno
continua a gridare. Per una mistica politica, La meridiana, 2008, pp. 96,
euro 13) che fa una teologia mistica e della mistica vivendo, perche' sogna
un altro mondo possibile e sente in se stesso le presenze e le assenze, fa
una teologia della mistica solidale e complice, una mistica politica che
vuole tessere un legame tra la vita quotidiana e il mistero piu' profondo
della realta'.
Forse abbiamo percorso solo i confini piu' esterni dell'universo che
costituisce il nodo complesso dell'esperienza spirituale, ma in questo
ambito ogni strada e' sempre solo un inizio e cio' che sembra una meta e'
sempre un'altra soglia da attraversare.

6. LIBRI. IRENE BIGNARDI PRESENTA "LA MIA CASA E' LONTANA" DI DAWN POWELL
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 20 settembre 2008 col titolo "Con la
forza di una voce bambina"]

Dawn Powell, agli occhi della schiera di ammiratori che si e' conquistata
recentemente in Italia grazie alla traduzione dei suoi libri, e' la
scrittrice di raffinata ed elegante sapienza di Un tempo per nascere, di
Cafe' Julien, una voce che racconta con malinconico humour e una
straordinaria capacita' di ritrarre gente e luoghi il mondo alcolico, bello
e un po' dannato della New York intellettuale anni '40.
Con un salto indietro nello spazio e nel tempo questo pezzo di autobiografia
in forma di romanzo - uno, e il piu' eccentrico, dei quindici libri di Dawn
Powell, ristampato in America dopo un silenzio di sessant'anni nel 1995 e
recuperato adesso da noi - ci porta invece ai primi del secolo, in Ohio e
dintorni, in un'America profonda e povera, a scoprire quella che e' stata la
vera infanzia di Dawn Powell, cosi' diversa, cosi' lontana dall'immagine
sofisticata che abbiamo della scrittrice.
Una "autobiografia" in terza persona, questo La mia casa e' lontana, visto
che questo pezzo di infanzia e' raccontato attraverso la voce della piccola
Marcia Willard. Una bambina intelligente, curiosa e infelice che assomiglia
alla vera Dawn piccola, figlia di mezzo di una famiglia altrettanto
sgangherata di quella che viene descritta nel romanzo, anche lei
precocemente in fuga, grazie al suo talento, dal povero e disordinato mondo
della sua infanzia.
Cio' che accomuna questa cronaca familiare ai libri di Dawn Powell che
conosciamo e' la qualita' della scrittura, che qui, in questo romanzo di
formazione, assume il punto di vista e il tono di una bambina, e poi
ragazzina, con la naturalezza e la spontaneita' di una voce autentica.
E' un libro ovviamente scritto per adulti, ma con la capacita' di comunicare
e di far sentire in tutta la sua forza una voce infantile. Marcia e' la
figlia di mezzo, tra la sorellina piu' grande Lena e la piu' piccola
Florrie, di una coppia disordinata ma felice: una madre poetica e gentile
che sa cantare e giocare, un padre commesso viaggiatore bello, seducente e
incasinato quanto mai, che costringe la famiglia a continui traslochi. E
quando la bella mamma muore, comincia per le tre ragazzine una continua
transumanza da una casa di amici a una casa di parenti, nel caos perenne
delle loro piccole vite e nella poverta'. Finche' il babbo, che alterna
nostalgia a una allegra dissipazione, si risposa con una donna gretta e
violenta che rende la vita delle tre ragazzine un inferno.
Potrebbe essere un'ennesima storia di infanzie violate. E' proprio il tono
di voce, invece, a fare la differenza, e' la caparbia resistenza opposta da
Marcia, che parla in terza persona ma dal suo personalissimo angolo di
visuale, con lucida freddezza, con la paura di non avere sentimenti, con un
compresso nodo emotivo che, in questa lotta per la sopravvivenza fisica e
morale, la rende aspra, taciturna, diversa. Con un'unica via d'uscita - che
in un primo momento le viene scippata dalla sorella maggiore, Lena: la fuga.
Una fuga che ci fu, anche nella vita di Dawn, alla stessa eta' di quella di
Marcia. La fuga e, nel libro, la passione per la recitazione e la lettura.
Quando La mia casa e' lontana e' stato ripubblicato negli Stati Uniti, lo
hanno paragonato ad altri grandi classici sull'infanzia, come David
Copperfield, Quel che sapeva Masie, Claudine a' l'ecole. Giudizio
lusinghiero, ma paragone ingannevole. La potenza di questo libro sta nello
sguardo sul mondo di Marcia, nel suo tono di voce, nell'identificazione con
l'infanzia, nel ritorno al passato di una grande scrittrice sofisticata che
svela le radici della sua arte.

7. LIBRI. ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI PRESENTA "LE 51 PAROLE DELL'AMORE" DI
FATEMA MERNISSI
[Dal "Corriere della sera" del primo ottobre 2008 col titolo "Se Oriente e
Occidente rifiutano l'amore" e il sottotitolo "I sentimenti visti da una
donna islamica"]

Fatema Mernissi, Le 51 parole dell'amore, Giunti, Firenze 2008, pp. 245,
euro 12,50.
*
Ha l'occhio soprattutto rivolto al passato, la scrittrice marocchina Fatema
Mernissi, quando racconta dell'amore nel mondo islamico. Ne Le 51 parole
dell'amore (ripubblicato in questi giorni con una nuova introduzione)
ripercorre infatti la grande tradizione araba antica dei poeti, dei
letterati, dei filosofi che cantarono passione e seduzione con estrema
liberta'. L'amore narrato, insomma, come una specie di paradiso terrestre,
dove le donne non erano affatto sottomesse, bensi' ascoltate e rispettate
quando non anche obbedite, dove i matrimoni combinati non erano affatto la
regola, dove si parlava di innamoramento non come di una cosa buona al
massimo per gli adolescenti, ma un prezioso miracolo da gridare ai quattro
venti.
Ed e' questo cio' che la Mernissi in particolare rimpiange, l'antico piacere
di parlare pubblicamente dei sentimenti, oggi quasi completamente perduto,
in verita' non soltanto nel mondo arabo: nel pudico - o cinico - rifiuto del
discorso amoroso Oriente e Occidente sono piu' o meno alla pari.
Di cio' che nel rapporto tra i sessi succede oggi nell'Islam, l'autrice
parla invece assai meno e se anche e' ovvio che le infauste notizie
riportate dalla cronaca mostrano soltanto un aspetto della questione,
nell'insieme la situazione - soprattutto in alcuni Paesi - non sembra cosi'
rosea come potrebbero far immaginare i liberi scritti della tradizione.
Scritti che, peraltro, non trovano molti corrispettivi nell'antica
letteratura occidentale segnata com'era dalla sessuofobia cristiana: del
resto non e' un caso che le Mille e una notte andassero in scena a Bagdad e
non a Roma o a Parigi.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 212 del 6 ottobre 2008

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