Nonviolenza. Femminile plurale. 211



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 211 del 2 ottobre 2008

In questo numero:
1. Luce Fabbri come educatrice
2. Anna Bravo: Come un augurio di amore, liberta', civilta'
3. Patrizia Caporossi: Edificare la comunita'
4. Francesca Ciarallo: Se vedi non puoi far finta di nulla
5. Elena Gajani Monguzzi: Antirazzismo nonviolento
6. Jole Garuti: Semina, semina...
7. Celeste Grossi: 2 ottobre tutti i giorni
8. Luisa Morgantini: La nonviolenza e' la nostra scelta
9. Liliana Moro: Non-rassegnazione
10. Daniela Musumeci: Il conflitto come risorsa
11. Nadia Neri: La testimonianza di Etty Hillesum
12. Clara Sereni: Il paese dell'odio

1. MAESTRE. LUCE FABBRI COME EDUCATRICE

Illuminava tutto quella luce
e quella luce era Luce Fabbri
dell'anarchia memoria, storia, volto
e della nonviolenza.

Contrasto' sempre il male e sempre volle
giustizia e liberta'. Insegno' sempre
la scienza e la coscienza, e degli oppressi
sempre fu voce, e braccio, e intelligenza.

Illuminava tutto quella luce
e quella luce era Luce Fabbri.

2. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. ANNA BRAVO: COME UN AUGURIO DI AMORE,
LIBERTA', CIVILTA'
[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per questo
intervento]

Anni fa, ai margini di un convegno, ho sentito un partecipante dire che per
portare le donne nere fuori dalle cucine dei bianchi, c'era voluto Hitler,
perche' nella seconda guerra mondiale cuoche e cameriere erano andate in
fabbrica a sostituire i maschi richiamati. E un altro gli ha risposto: "si',
ma per farle sedere nella parte 'bianca' di un autobus ci e' voluto Martin
Luther King".
Ho sempre pensato che questo dialogo rappresentasse in bella sintesi due
modi di vedere le cose (e la vita delle donne); e che fosse un
riconoscimento semplice e forte del valore della nonviolenza. Accettatelo
come un augurio di amore, liberta', civilta'.

3. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. PATRIZIA CAPOROSSI: EDIFICARE LA COMUNITA'
[Ringraziamo Patrizia Caporossi (per contatti: latuffatrice at virgilio.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'inserto
culturale del "Corriere Adriatico" il 13 aprile 2008]

Edificare la comunita': questo e' il compito perenne per ogni generazione.
Mai determinata definitivamente, la societa' degli esseri umani ha sempre
bisogno del singolo come questi dell'acqua da bere. La specie umana puo'
vivere solo insieme. E fra la sua dimensione naturale e quella sociale il
rapporto non puo' che essere stretto per l'assetto vitale; da cui la
necessita' del rispetto di regole e il loro continuo esercizio.
L'umano, a differenza degli animali e anche di quelli sociali, come le api o
le formiche, possiede quelle qualita' che, per natura, "pur nascendo nudo"
(Platone) e bisognoso di tutto, si rivelano proprie, come l'intelligenza, il
linguaggio e l'elaborazione pratica, oltre la stessa psyche', per esprimere
al meglio la capacita' trasformatrice del pensiero e delle tecniche messe a
punto.
Tali doti, che sono vere virtu', nutrite anche dell'esperienza, spesso,
pero', si perdono e dis-perdono, minacciando cosi' il mantenimento della
specie stessa e, oggi, fuori da ogni dubbio, della physis planetaria.
C'e' bisogno, allora, di una costante ri-vitalizzazione, tramite un'etica
dell'educazione per condotte civili, affinche' ogni individuo, maturando e
crescendo, sappia affrontare la propria navigazione alla prova di se' e del
mondo. La polis non puo' nascere ne' ri-nascere senza condivisione, almeno
dei principi scelti a fondare le leggi costitutive. Ma quale grande piccola
difficolta'! Come apprendere la lezione della "strada sbagliata", si
chiedeva Norberto Bobbio a proposito della guerra? "Siamo una mosca nella
bottiglia a cui insegnare a uscire o pesci nella rete che credono che esista
la via d'uscita? E se la bottiglia fosse tappata? E se quando la rete sara'
aperta (e non certo dai pesci), l'uscita diventa principio della fine? Forse
noi non siamo ne' l'uno ne' l'altro. Forse la condizione umana e' altra:
sappiamo che la via d'uscita esiste, come in un labirinto, ma non sapendo
esattamente dove sia, procediamo per tentativi, per successive
approssimazioni" (da Il problema della guerra e le vie della pace).
*
La consapevolezza degli errori si esprime laddove si attribuisce senso agli
eventi e non si scambiano i fini con i mezzi e viceversa. Quando scatta la
pretesa dell'ingiustificabile a quella vergogna (shame) che spesso copre e
nasconde l'orrore dell'errore, bensi' muove da qui, come fulcro vitale, il
compito di capire che l'inter-esse e' sempre comune, in quanto unica
possibilita' di vivere il mondo con tutta la dignita' della persona come se'
e come altro; dato, quest'ultimo, inevitabile: si e' sempre se' e altri,
nello stesso tempo.
"Allora Zeus, temendo per la nostra specie, minacciata di andar tutta
distrutta, invio' Ermes perche' portasse agli uomini il pudore e la
giustizia. Debbo - chiese - distribuire giustizia e pudore come sono state
distribuite le arti? Le arti furono stabilite cosi' che uno solo che
possegga l'arte medica basta per molti profani (...); anche giustizia e
pudore debbo istituirli nel medesimo modo o a tutti? A tutti, rispose Zeus e
che tutti ne abbiano parte" (Platone, Protagora, 322d).
Ma, la vergogna (verecundia), come un ospite inatteso, puo' andare anche
oltre, perche' immediatamente smaschera la caduta e (ci) spalanca l'evidenza
della realta': cosi', esposti allo sguardo altrui, "si incrociano le
traiettorie dell'Io e del Tu" (Sartre e Simone de Beauvoir). A questa
conseguenza non ci si puo' sottrarre per una nudita' cosi' scoperta ("Il re
e' nudo!", grida la voce della purezza), da qui lo sprofondamento, ma solo
se c'e' pudore, appunto, magari col segno del rossore improvviso; altrimenti
opaca e mortale e' l'eclissi vergognosamente mimetica. E' come un gioco
delle parti che nel cuore umano vibra e che puo', forse, se coltivato con
impegno e verita', riuscire ad avvertire la bellezza trasparente
dell'autenticita' di essere e di agire personalmente insieme, sul proscenio
della storia, in una casa di vetro abitata da una giusta misura di governo.

4. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. FRANCESCA CIARALLO: SE VEDI NON PUOI FAR
FINTA DI NULLA
[Ringraziamo Francesca Ciarallo (per contatti: francescac at apg23.org) per
questo intervento]

Penso alla nonviolenza, e faccio fatica a districarmi tra tante definizioni.
Lotta? Suprema virtu' del coraggioso? Uno stile di vita per il cambiamento
sociale? Non so, sono tutte valide, credo.
Non credo di essere nonviolenta, vi aspiro piu' che altro. La violenza, i
modelli culturali e sociali nei quali viviamo, sono talmente radicati in me.
Il tentativo quotidiano di affermarsi, spesso legittimando la prevaricazione
con una supposta idea di giustizia.
Tra tante parole nelle quali rischio di perdermi alla fine la nonviolenza e'
esercizio. Esercizio continuo di una concreta pratica d'amore. Provando,
riprovando, quotidianamente. Insomma in una parola: vivendo.
E ho avuto la fortuna di incontri e persone che mi hanno permesso di
sperimentare questa vita.
La nonviolenza oggi per me e' una questione di volti, voci, odori...
sofferenze di cui a volte ho rifiutato il peso, perche' non ero in grado -
non volevo? - portarlo.
*
E' il volto di Nurit Peled, israeliana alla quale un kamikaze palestinese ha
assassinato la figlia adolescente facendosi esplodere nel centro di
Gerusalemme. Insieme a genitori israeliani e palestinesi ha fondato il
Parent's Circle, un'associazione che lotta per la pace in Palestina,
chiedendo la fine dell'occupazione israeliana. L'ultima volta che venne a
trovarci in Italia, visitando una centro di accoglienza per disabili gravi,
ci chiese di poter avere una icona di sua figlia Smadari. Ci diede la foto,
il sorriso di una bella ragazzina quindicenne dagli occhi grandi. Fu l'unica
volta che parlo' di Smadari. Nonviolenza e' perdonare chi ha assassinato tuo
figlio. E' continuare, anche dopo aver perdonato, a chiedere giustizia.
Giustizia anche e soprattutto per l'altro, quello che fin dalla nascita ti
hanno insegnato che e' il tuo nemico.
Penso ancora alla nonviolenza. E' la polvere del campo profughi di Khan
Younis, sud della Striscia di Gaza. Polvere e macerie, e odore speziato del
caffe' arabo. Il bimbo palestinese mi mostra la cicatrice di un proiettile
sulla gamba. Gli dico che deve reagire, per il suo popolo, deve studiare,
andare a scuola, crescere e credere che esista una via diversa dall'odio per
"il nemico". E lui mi guarda, mi chiede come fa ad andare a scuola se il
check point e' sempre chiuso. La mia nonviolenza da occidentale benestante -
e anche un po' colonialista, non trova risposta di fronte al suo sguardo
amaro. La mia nonviolenza fatta di studio di parole di azione diretta di
regole e strumenti... forse oggi non di delicatezza, non di fare i conti con
la realta'. Una realta' che ho avuto la fortuna di non subire sulla mia
pelle.
*
Cos'e' la nonviolenza? Ancora flashback, ricordi... la donna albanese che
vive in una casa-famiglia a Scutari, con le sue tre figlie. Ha ucciso il
marito, il loro padre, 8 colpi dalla sua pistola di poliziotto. Era
esasperata da anni di abusi ed abbrutimento, ha reagito, probabilmente
nell'unico modo che conosceva. La voce di Simone, italiano, che vive li' da
tanti anni, mi racconta che in Albania le donne a lungo hanno creduto che la
condizione di inferiorita' fosse propria, connaturata all'essere donna,
finche' l'arrivo aggressivo dell'occidente le ha messe di fronte alla loro
schiavitu', senza dar loro gli strumenti per reagire senza altri
abbrutimenti.
*
Poi ancora bambini, i bambini malarici e sieropositivi di Korogocho, di
Soweto, di Mathare, le decine di baraccopoli che cingono in una morsa i
grattacieli ed i parchi verdi del centro di Nairobi. Quelli che mangiano
dalla discarica spaghetti verdi, avanzi di cibo dei ricchi. Immagine di una
violenza sfacciata. Mi tornano alla memoria le parole di Kapuscinski, in
Ebano, "Quei ragazzi scalzi, affamati e analfabeti vantavano su di me una
superiorita' etica: la superiorita' che una storia maledetta conferisce alle
sue vittime. Loro, i neri, non avevano mai conquistato, occupato o reso
schiavo nessuno. Potevano permettersi di guardarmi dall'alto in basso. Erano
di razza nera, ma puliti. Mi facevano sentire disarmato, senza un solo
argomento valido".
*
Scavo dentro me, cerco risposte. Cos'e' la nonviolenza? Dopo tanti anni
ricordo ancora la frase di Daniele, dell'Operazione Colomba, nel delirio di
Genova: "se non sei convinto e' meglio andare a casa. Le botte fanno troppo
male quando non sei convinto. Le botte si possono prendere solo se ci credi,
allora riesci a sopportare il dolore".
Cerco di trovare un senso, una direzione al cammino, una sintesi.
La nonviolenza e' testimonianza, denuncia.
E' condivisione. Se vedi non puoi far finta di nulla. Se vivi con l'altro
non puoi non fartene carico. Solo condividendo la nonviolenza diventa una
scelta obbligata. Senza alternative, unilaterale, totale, incondizionata.

5. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. ELENA GAJANI MONGUZZI: ANTIRAZZISMO
NONVIOLENTO
[Ringraziamo Elena Gajani Monguzzi (per contatti: eleudiche at tele2.it) per
questo intervento]

Richiamando l'attenzione sul fatto che le prime lotte consapevolmente
nonviolente furono quelle guidate da Gandhi in Sudafrica per i diritti degli
immigrati indiani e considerando come nell'Italia del 2008 il razzismo e'
professato e praticato anche dalle istituzioni, in un recente intervento
Marco Palombo proponeva di dedicare il 2 ottobre - giornata della
nonviolenza - alla nonviolenza contro il razzismo. Colta l'evidente
importanza dell'appello, personalmente mi sono pero' sentita paralizzata dai
tempi e dalla mia impossibilita' ad essere efficace.
*
Non ho potuto pero' esimermi da alcune riflessioni circa l'affermazione:
"Non essere razzisti oggi significa fare qualcosa contro il razzismo, non
solo astenersi da atteggiamenti ostili".
Nell'incapacita' di elaborare proposte concrete a corto raggio mi sono
soffermata su quella che sto cercando di fare diventare una delle mie
massime di vita quotidiana: "Non si giudicano le persone; si criticano le
azioni (laddove per criticare intendo, naturalmente, analizzare per
apprendere e/o correggere)".
La trovo una condotta molto difficile. Le tentazioni discriminatorie sono ad
ogni passo, nemmeno tanto dietro l'angolo: discrimino perche' mi sento
intellettualmente superiore, perche' la situazione dell'altro non e' tale da
offrirmi i mezzi per portare avanti le azioni che ritengo valide, perche' la
discriminazione sociale che incombe su di me per forza di cose la avverto
piu' impellente, ecc. E siccome, evidentemente, questi pregiudizi, date le
circostanze attuali, e' piu' facile che mi vengano a galla di fronte a
immigrati che a concittadini (sebbene conti molti di questi ultimi tra i
miei bersagli), ecco che "fare qualcosa contro il razzismo che non sia solo
astenersi da atteggiamenti ostili" mi trova impreparata al punto da sentire
di dover essere bocciata su due fronti. Il primo e' quello della necessita'
di alzare il volume dell'antirazzismo nonviolento contro le armi razziste
delle "nostre" istituzioni. Il secondo esame in cui mi autorespingo e'
quello delle "azioni positive", perche' mi accorgo che tutto cio' che faccio
nei confronti di quelli che ritengo "diversi" da me lo avverto come
un'elargizione e siamo ancora e sempe al paternal/buon/populismo.
Sto imparando a fatica ad essere nonviolenta, quindi antirazzista eccetera e
i passi concreti non sono quelli in cui mi dico "bene, brava", ma quelli in
cui, inaspettatamente, gratuitamente, c'e' un altro di fianco a me e
interagiamo dialetticamente e ne scaturisce un tessuto a spina di pesce, in
cui l'incontrarsi a punta di due segmenti determina lo spazio perche' due
segmenti a punta piu' avanzati agiscano a loro volta da trama per altro
ancora.
*
Detto questo confesso un'altra stortura. Nonostante di fatto molte delle mie
pratiche quotidiane siano sicuramente a vantaggio di tutti (faccio l'esempio
banale del risparmio di acqua ed energia in genere), e' ancora
l'individualismo a spingermici, un individualismo magari non tanto
egocentrico quanto isolazionista, del tipo "sono coinvolta dalla
motivazione, ma non dal fine", il quale dovrebbe essere l'ospitalita' data
dal e all'ospite, due in uno.
Non mi sottraggo se vengo chiamata, ma non sono in grado di elaborare in
prima persona forme di appello.
Suppongo conti molto la frammentazione e la sfiducia generata dai
non-risultati, intendendo con tale termine non il riconoscimento pubblico di
quello che faccio, ma l'assenza di incidenza anche minima, la direi
"un'indifferenza della realta'".
Nel continuo borbottio d'acqua che bolle non si distingue nemmeno un attimo
di silenzio, di sospensione; nemmeno un usciere che tenda l'orecchio a
chiedersi se sia successo qualcosa; sembrerebbero esistere solo occhi ed
orecchie puntati e tesi verso il televisore del mondo, pronti a cogliere
sangue e spari e bombe con dei gridolini fintoscandalizzati,
semisoddisfatorii, anch'essi - i gridolini - comunque borbottii di acqua che
continua a bollire in sottofondo, nella quale qualcuno (di solito i politici
di professione) ogni tanto butta a cuocere parole sotto forma di proposte,
intese, protocolli.
Chiedo che mi si aiuti ad imparare e che mi si offrano occasioni di
tirocinio: chissa' che un giorno non sia in grado di essere da esempio e di
accompagnare il tirocinio nonviolento di qualche antirazzista...

6. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. JOLE GARUTI: SEMINA, SEMINA...
[Ringraziamo Jole Garuti (per contatti: jolgar at fastwebnet.it) per questo
intervento]

Sta per nascermi un nipotino. Sono felice, ma non riesco a dimenticare che
nascera' e crescera' in un mondo pieno di delitti e di orrori. Vorrei creare
per lui come per magia un ambiente sereno dove poter ammirare le cose belle
che la natura ci offre, i fiori, le stelle, il mare, dove vivere sempre tra
gli affetti e i sorrisi di chi lo ama, ma so che non e' possibile. E non
sarebbe neppure giusto estraniarlo dalla vita reale. Che pero' e' terribile.
*
Oggi nel mondo la violenza domina e si riproduce con una continuita' e una
forza tale come forse non e' mai accaduto in passato. Sia il terrorismo che
la lotta contro il terrorismo hanno in comune un uso tragico della violenza,
non lasciano spiragli e bloccano ogni possibilita' di soluzione razionale e
intelligente.
Dopo il famigerato 11 settembre c'e' stata una escalation di morte; in nome
della sicurezza si e' scelto di andare a uccidere in paesi lontani. Ma
invece della sicurezza sono state create le condizioni perche' il terrorismo
continuasse a esistere e si diffondesse in altri paesi. Anche le donne e i
ragazzini sono stati imbevuti talvolta di una ideologia di odio che li ha
condotti a un suicidio-omicidio di persone sconosciute, da odiare solo
perche' vestono una divisa o perche' appartengono ad una etnia diversa.
Una lotta che non accenna a finire, ma che quando trovera' una qualche
soluzione lascera' dietro di se' milioni di persone piene di rancore e di
odio.
*
E noi?
In Italia abbiamo da sempre gli omicidi di mafia, ma ci sono ora anche nuove
forme di violenza, originate da una paura molto simile a quella degli Usa.
Anche noi abbiamo paura del diverso, anche a noi la televisione e i mass
media, facendo da cassa di risonanza alle esternazioni irresponsabili di
alcuni personaggi politici, hanno fatto credere che bisogna aver paura di
coloro che arrivano da noi rischiando - e troppo spesso perdendo - la vita
in mare. Ma anche di chi e' povero, non ha lavoro e deve arrangiarsi per
sopravvivere.
Un ragazzo nero e' stato preso a sprangate e ucciso a Milano due settimane
fa perche' era entrato in un bar (e non importa se aveva o no rubato dei
biscotti), un altro ieri e' stato pestato dai vigili in una citta' del Nord
perche' essendo nero aveva suscitato per questo il sospetto che fosse uno
spacciatore. Il razzismo sta serpeggiando nelle pieghe dell'animo di molti
italiani e genera violenza. Gli extracomunitari finora hanno subito senza
ribellarsi, rassegnati e pazienti, e ci hanno dato una lezione di civilta'.
Fermiamoci e invertiamo la rotta prima che sia troppo tardi.
*
La Giornata mondiale della nonviolenza grida a voce alta il bisogno di pace.
In questa giornata tutti gli uomini e le donne si riconoscono come fratelli
e sorelle, qualunque sia il colore della pelle, la religione, la condizione
sociale. Esattamente come dice l'art. 3 della nostra bella Costituzione.
C'e' una bellissima poesia di un anonimo che Nino Caponnetto leggeva agli
studenti alla fine dei suoi incontri. Ci da' la speranza che ogni piccola
azione, ogni tentativo anche piccolo di migliorare il mondo produrra' un
risultato benefico. Ci fa sentire che possiamo farcela. La insegnero' a mio
nipote.
"Semina, semina: l'importante e' seminare / un po'... molto.. .tutto... / il
grano della speranza. / Semina il tuo sorriso, / perche' tutto splenda
intorno a te. / Semina la tua energia, la tua speranza, / per combattere e
vincere la battaglia / quando sembra perduta. / Semina il tuo coraggio, /
per risollevare quello degli altri. / Semina il tuo entusiasmo, / per
infiammare quello del tuo prossimo. / Semina i tuoi slanci generosi, i tuoi
desideri, / la tua fiducia, la tua vita. / Semina tutto cio' che c'e' di
bello in te, / le piu' piccole cose, i nonnulla. / Semina, semina e abbi
fiducia: / ogni granellino arricchira' / un piccolo angolo della terra".

7. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. CELESTE GROSSI: 2 OTTOBRE TUTTI I GIORNI
[Ringraziamo Celeste Grossi (per contatti: celgros at tin.it) per questo
intervento]

Quando lo scorso anno l'assemblea generale dell'Onu istitui' la "Giornata
internazionale della nonviolenza" - il 2 ottobre, anniversario della nascita
di Gandhi - fui piacevolmente sorpresa.
Ma subito dopo ebbi un sussulto. Vorrei che non dovessero piu' esistere il
25 novembre "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne", il 10
dicembre "Giornata della Dichiarazione universale dei diritti umani", l'8
marzo "Giornata internazionale della donna", il 21 marzo "Giornata
internazionale degli immigrati". Ho l'impressione che, al di la' delle buone
intenzioni di partenza, si rischi di favorire l'attenzione su questioni
importanti e complesse in un unico giorno dell'anno (ce ne sono 365, ma le
problematiche che meriterebbero attenzione sono ben di piu'), di mettersi il
cuore in pace per gli altri 364 giorni dell'anno e di perdere anche di vista
l'intreccio tra violenza, patriarcato, militarismo, crescita degli
armamenti, poverta', crisi biofisica del pianeta, razzismo xenofobia...
(giusto per nominare solo alcuni dei nodi che caratterizzano i nostri tempi
violenti).
E c'e' pure la possibilita' che le "giornate" si trasformino in "feste", in
feste commerciali per vendere i cioccolatini e la retorica degli spot
televisivi. Cosi' e' successo per la seconda domenica di maggio, Festa della
mamma (ce lo ha giustamente ricordato alcuni anni fa Monica Lanfranco, la
direttrice di "Marea"), che era stata istituita, nel 1870, su proposta di
Julia Ward Howe, femminista e pacifista nordamericana, come momento di
protesta contro il massacro della guerra di donne che avevano perduto i
propri figli, e da lei era stata denominata Giorno della madre.
Vorrei chiarire che mi piace festeggiare, ma mi pare che le feste, nella
nostra societa' opulenta, non siano piu' occasioni di incontro e si siano
trasformate in occasioni consumistiche, "divertimentifici" a comando,
momenti nei quali si resta comunque da soli.
Questi sono tempi violenti. E l'Onu non puo' accontentarsi di celebrare la
nonviolenza per un solo giorno ogni anno.
*
Convivere
Questi sono tempi violenti. Molto violenti per noi tutte e tutti che viviamo
di solitudini, paure, egoismi, ma ancora di piu' per donne e uomini
immigrati che vivono in un territorio ostile.
"'Sicurezza' e' diventata la parola magica che domina sulle pagine dei
quotidiani, nelle cronache dei telegiornali, nei discorsi dei politici e
degli amministratori. E a 'sicurezza' spesso si associano parole come paura,
rancore, odio per chi e' diverso da noi. Vogliamo chiuderci dentro le nostre
case, sussultare ogni volta che suona un campanello, ogni volta che uno
sconosciuto ci chiede qualcosa? Chi ci difendera' dalla violenza dei nostri
'cari' che scoppia proprio nell'intimita', nel silenzio, nell'indifferenza
dei vicini? Quante armi dovremo comprare per sentirci finalmente sicure e
sicuri? Quante telecamere si dovranno installare, quante guardie armate,
quante ronde dovranno girare per le nostre citta'? Perche' incontrare un
estraneo, uno sconosciuto, un diverso da noi, deve subito allarmarci, farci
temere, impaurire?". Cosi' hanno scritto le Donne in nero di Padova, la
scorsa primavera, quando un'ondata di razzismo ha attraversato il nostro
paese, fino alla proposta indecente di prendere le impronte ai rom e ai
sinti, bambine e bambini compresi. Per convivere dobbiamo riconoscere che
"noi" e "loro" abbiamo, delle paure, dei desideri, che solo imparando a
conoscerci e a vivere insieme come vicini e vicine di casa, di scuola, di
lavoro potremo tutte e tutti sentirci piu' sicuri e avere finalmente meno
paura.
*
Lasciate parlare le donne
Una sicurezza basata sul controllo e sulla militarizzazione delle nostre
vite e delle nostre citta' non ci rassicura, e a me sembra un'idea assai
maschile. La militarizzazione dei territori chiarisce bene come "La guerra
e' entrata nel quotidiano, eppure bisogna continuare a pensare, a pensare
alla pace, e da donne". Lo diceva molti anni fa Virginia Woolf che, nel
1938, diceva anche: "Il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non
e' di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare
nuove parole e inventare nuovi metodi. E il fine e' il medesimo: affermare
il diritto di tutti, di tutti gli uomini e di tutte le donne, a vedere
rispettati nella propria persona i grandi principi della giustizia,
dell'uguaglianza e della liberta'".
Ma vorrei concludere con le parole di un uomo, Mohandas Gandhi, dal momento
che il 2 ottobre e' l'anniversario della sua nascita: "Se la nonviolenza e'
la legge della nostra esistenza, il futuro e' delle donne".

8. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. LUISA MORGANTINI: LA NONVIOLENZA E' LA NOSTRA
SCELTA
[Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti:
luisa.morgantini at europarl.europa.eu) per questo intervento]

Assistere alle celebrazioni per la giornata internazionale dedicata alla
nonviolenza, oggi 2 ottobre, lascia un po' d'amarezza, la stessa di altre
ricorrenze simili, e penso alla giornata contro la pena di morte, a quella
contro la fame del mondo e ad altre.
Amarezza perche' si decide di celebrare in un giorno quello che
quotidianamente viene smentito da governi, istituzioni internazionali,
individui singoli, con violazioni della legalita', connivenze, occupazioni,
corsa agli armamenti, violenze, morte e distruzione.
Ma c'e' sempre la speranza che la nonviolenza attiva cresca, e celebrarla
oggi, al di la' della commemorazione della nascita di Gandhi, conferisce un
giusto e dovuto tributo alle pratiche di pace, che anche se minoritarie
nell'arroganza di questo mondo, esistono, costano fatica, impegno,
preparazione, ma sono straordinarie e mi auguro che possano anche
contribuire a fare cultura.
*
La nonviolenza richiede un forte cambiamento personale, una riconciliazione
con se stessi e con gli altri: rappresenta la rivoluzione, il livello piu'
alto dell'umanita'.
Per questo saro' per sempre grata ai grandissimi esempi, che in tutti questi
anni di resistenza pacifica e lotta nonviolenta ho praticato con la rete
internazionale delle donne in nero contro la guerra e la violenza, dalla
Serbia alla Bosnia, alla Colombia, in Africa, in Asia, e ai movimenti
nonviolenti per diritti e giustizia nella Palestina occupata e in Israele.
Ragazzi e ragazze, uomini e donne, che portano sulle spalle piu' di 40 anni
di occupazione militare israeliana, 60 anni di Nakba, e giorno dopo giorno
continuano ad assistere al furto delle terre degli avi da parte dei coloni
israeliani sotto gli occhi dell'inerte comunita' internazionale.
L'esasperazione e la frustrazione a Bil'in come a Nil'in, due dei villaggi
palestinesi negli ultimi anni simbolo della resistenza nonviolenta contro
l'arbitraria e impunita confisca delle terre inglobate dal muro israeliano
di annessione e apartheid, sono state trasformate in determinazione e
ostinazione. Lasciando cadere nel nulla il ricorso cieco e controproducente
alla violenza ma continuando a resistere con forza settimana dopo settimana,
le manifestazioni organizzate dai comitati popolari dei due villaggi sono
diventate contagiose attirando attivisti e attiviste israeliani e da tutto
il mondo, che condividono con i palestinesi le loro richieste di pace e
giustizia, il senso di soffocamento da gas lacrimogeni lanciati dai soldati
israeliani e anche le lacrime quando a morire sono i bambini, come Ahmed, 9
anni, di Nil'in, ucciso da un proiettile di un soldato israeliano lo scorso
luglio.
Nonostante la fatica, la sofferenza, le frustrazioni, sono queste le
testimonianze di pratiche di nonviolenza da cui dovremmo imparare per ridare
senso e significato alla parola pace: Bil'in e Nil'in ma anche altre
organizzazioni come i Combattenti per la pace - ex soldati israeliani ed ex
militanti palestinesi uniti nel rifiuto di ogni violenza e nella richiesta
di diritti per tutte e tutti - o come il Forum dei Parents Circle - che
riunisce centinaia di famiglie israeliane e palestinesi che hanno perso un
caro a causa del conflitto ma che cercano insieme di superare il dolore e
trasformarlo in ponti e non muri -; da queste realta' bisognerebbe ripartire
per distruggere lo stereotipo del nemico e riconquistare la fiducia nella
giustizia e nella pace.
Ed anche qui in Italia, si continua con i "No dal Molin" per non perdere
sovranita' e rifiutare la militarizzazione del territorio.
La nonviolenza e' la nostra scelta.

9. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. LILIANA MORO: NON-RASSEGNAZIONE
[Ringraziamo Liliana Moro (per contatti: lilianamoro at tiscali.it) per questo
intervento]

Mai come in questi giorni il tema della nonviolenza risulta di tragica
attualita', in quanto la violenza si sta facendo sempre piu' pervasiva non
in lontane aree di conflitto, ma nelle citta' italiane.
Oggi, primo ottobre, alcuni quotidiani ci propongono l'immagine del volto di
un ragazzo deturpato da evidenti segni di violenza subita "in virtu'" del
colore della sua pelle, ad opera di esponenti della polizia locale di una
ricca e ordinata citta' del nord, Parma. Pochi giorni fa un altro ragazzo,
anche lui con un volto dai lineamenti dolci e quasi infantili, ha subito
sorte ben peggiore, ucciso un sabato sera per lo stesso motivo nella grande
Milano (quella che una volta aveva il cuore in mano).
*
Il tema della nonviolenza si era imposto all'attenzione generale in
corrispondenza dello scoppio dei conflitti nella penisola balcanica, prima,
e nel Medio Oriente, poi. Le grandi mobilitazioni dell'opinione pubblica
italiana in favore della pace potevano essere considerate frutto di
solidarieta' umana dovuta ai popoli coinvolti in situazioni tragiche lontane
dalla nostra quotidianita'.
Ormai e' chiaro che, invece, la questione ci riguarda direttamente, si pone
nelle nostre citta' e anche nelle nostre case, dove la violenza sulle donne
e' talmente abituale da risultare invisibile e difficile da ammettere
perfino da parte di chi la subisce. La prima forma di nonviolenza e' forse
la non-rassegnazione?

10. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. DANIELA MUSUMECI: IL CONFLITTO COME RISORSA
[Ringraziamo Daniela Musumeci (per contatti: danielamusumeci at alice.it) per
questo intervento]

Da anni trovo un forte sostegno, per il mio lavoro di insegnante di
filosofia e storia nei licei classici di Palermo, nell'amicizia e nella
guida preziosa di Amico e Chiara Dolci. Grazie ai corsi di aggiornamento
svolti con loro e ai laboratori esperienziali in classe, sono piu' volte
riuscita ad affrontare e risolvere situazioni dolorose di scarsa
comunicazione proponendo la maieutica reciproca suggerita e praticata da
Danilo Dolci, le cui poesie hanno accompagnato tanta parte del mio cammino
spirituale e politico.
La struttura maieutica di Danilo Dolci puo' essere fertilissima per la
soluzione nonviolenta di un conflitto. La nonviolenza infatti e' l'arte di
pensare e condurre un buon conflitto per la trasformazione di se stessi e
della societa'. E la maieutica - socraticamente, l'arte di aiutare ciascuna
e ciascuno a partorire se stessa e se stesso - secondo Dolci e' sempre
reciproca. Certo non esistono regole assolute, ma consigli utili per
l'assunzione di un atteggiamento aperto, critico e creativo, si'. Queste
sono le suggestioni che sono nate dalle nostre esperienze; potrebbero
sembrare ovvie, invece richiedono un profondo lavoro su se stessi, tanto che
alla fine ci si trova cambiati. E la relazione che si scopre nel piccolo
cerchio diventa estendibile ad ambiti sempre piu' larghi di conflittualita'
e creativita'...
- Sedere in circolo;
- Dare tempo e darsi tempo;
- Mettersi d'accordo sull'uso delle parole per evitare equivoci e malintesi;
- Nominare senza reticenze la questione in ballo, il nodo del contendere;
- Stabilire il fine - nonviolento - che il gruppo intende raggiungere con
l'incontro e i mezzi di cui vuole dotarsi, coerenti con quel fine e dunque
altrettanto nonviolenti;
- Prestare attenzione a (e correggere) tutte le espressioni di violenza,
anche non verbale, che tendono a sfuggirci;
- Interrogarsi sull'origine dell'aggressivita' in noi che ci porta alla
violenza e che spesso nasce da una frustrazione;
- Prestare attenzione alle barriere immaginarie, ossia ai pregiudizi, alle
difficolta' fittizie che inventiamo come alibi per rinunciare alla soluzione
del conflitto;
- Mettersi in gioco in prima persona, disponibili al mutamento;
- Ascoltarsi reciprocamente con rispetto;
- Riconoscere che ragione e torto non stanno mai da una parte sola e che
c'e' reciproca responsabilita' nel conflitto cosi' come nel perdono;
- Cercare innanzi tutto il proprio errore;
- Cercare di capire le ragioni dell'altra e dell'altro;
- Fare ciascuna e ciascuno un passo indietro per trovare una mediazione;
- Cercare una terza soluzione, oltre le due confliggenti, creativa e diversa
da quelle gia' note, ma che tenga conto di tutte le esigenze affiorate;
- Per trovarla, partire da quello che funziona bene anziche' da quello che
non funziona;
- Con-vertire l'a-vversario (ossia volgersi insieme dalla stessa parte,
verso il futuro, anziche' guardarsi con ostilita'), ben sapendo che la
conversione come la maieutica e' sempre reciproca.

11. OGNI GIORNO LA NONVIOLENZA. NADIA NERI: LA TESTIMONIANZA DI ETTY
HILLESUM
[Ringraziamo Nadia Neri (per contatti: nadianeri at hotmail.com) per questo
intervento]

Oggi parlare di nonviolenza e' molto problematico e puo' pericolosamente
sembrare, soprattutto ai giovani, un'utopia di pochi idealisti. Quanti ci
spiegano cosa e' realmente la nonviolenza attiva? Credo che bisogna osare e
dire che il cambiamento autentico non puo' limitarsi al "fuori" ma deve
partire da un lavoro interiore, da un mutamento delle nostre coscienze.
Oggi piu' che mai puo' aiutarci l'esemplarita' della testimonianza di Etty
Hillesum, meditiamo sulle sue parole, sulle sue scelte di vita, la sua voce
viene da una situazione estrema e in modi storicamente molto diversi noi
siamo o stiamo per trovarci in una situazione estrema.
Tra le tante significative citazioni, vi riporto questa, in perfetta
sintonia con il 2 ottobre: "Assenza d'odio non significa di per se' assenza
di un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo.
Ma perche' dovremmo sempre scegliere la strada piu' corta e a buon mercato?
Laggiu' ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge
al mondo lo renda ancora piu' inospitale. E credo anche, forse ingenuamente
ma ostinatamente, che questa terra potrebbe ridiventare un po' piu'
abitabile solo grazie a quell'amore di cui l'ebreo Paolo scrisse ai abitanti
di Corinto nel tredicesimo capitolo della sua prima lettera".

12. RIFLESSIONE. CLARA SERENI: IL PAESE DELL'ODIO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del primo ottobre 2008 col titolo "Fascismi. Il
Paese dell'odio"]

Ieri e' successo a Parma, a Emmanuel Bonsu, picchiato da sette vigili urbani
per un sospetto, e nel verbale invece del suo nome hanno scritto "negro". E'
successo nei giorni scorsi a Milano, a Castelvolturno, a Monza, a Cosenza,
ancora a Parma, e in tanti luoghi di cui non abbiamo notizia. E' successo
che gli invisibili - disabili, neri, prostitute, lavoratori in nero di ogni
etnia - li vediamo in cronaca, picchiati espulsi uccisi. Ma questo non e' un
Paese razzista, ci dicono e ci diciamo.
Proviamo a partire da lontano, forse puo' aiutarci a capire. Nei campi di
sterminio nazifascisti furono soppressi circa 13 milioni (milioni!) di
persone.
Tredici milioni vuol dire un pezzo non irrilevante di popolazione mondiale:
ci vogliono Austria e Danimarca sommate insieme, per arrivare a questo
numero, o due terzi dei cittadini australiani. Sei milioni circa erano
ebrei. Sette milioni circa erano antifascisti e antinazisti, zingari e
disabili, omosessuali e comunisti, e perfino coppie di gemelli, un'eccezione
della natura particolarmente cara a Mengele, il mostruoso dottor Morte.
Tredici milioni di "diversi" per scelta o per destino, accomunati
dall'essere considerati meno di niente, un agglomerato di rifiuti,
un'immondizia da eliminare, in quanto tali da riciclare per le loro parti
preziose: l'oro delle protesi dentarie per farne lingotti, o i grassi umani
per farne sapone, tanto per fare qualche esempio. Come le lattine
d'alluminio, come il vetro, come la carta. Intorno a quei 13 milioni, un
numero cosi' grande da essere quasi inconcepibile, un'Europa cieca e muta.
Ad oggi, e malgrado ogni negazionismo, il nucleo piu' integrale di razzismo
e' questo: le persone diventano meno di niente. I diversi prima diventano
invisibili, inesistenti, privi di diritti, e solo dopo vengono in un modo o
nell'altro (ce ne sono tanti!) eliminati, in un sogno folle ma frequente di
omogeneita' sociale.
Sono partita da lontano, ma tutto questo ci riguarda: oggi, e non solo per
la memoria che qualcuno di noi ancora ne porta. Per alcuni (pochi) decenni
l'integrazione delle e fra le diversita' e' stata il leit-motiv dei
movimenti piu' avanzati: dalla scuola alla psichiatria, dalla religiosita'
piu' avanzata all'emigrazione italiana all'estero. Numeri solo un po' meno
milionari anche qui, ma sembrava normale, ed era possibile. "Diverso e'
bello", si diceva, pur con la coscienza delle difficolta'. Si diceva
"integrazione" per significare che senza questo o quel pezzo, questa o
quella diversita', il corpo sociale non e' intero, e' deprivato.
Mi chiedo dove i saperi legati a tutte queste esperienze siano andati a
finire. Certo negli insegnanti di sostegno disperati e disperate che (come
nella lettera a Cancrini pubblicata di recente su queste pagine) vedono
svanire il lavoro di tanti anni grazie alla sbrigativa ministra Gelmini.
Certo nei timori di tanti psichiatri, utenti, famigliari, cooperative e
associazioni che aspettano con grande preoccupazione i provvedimenti
annunciati da Berlusconi nel programma elettorale in tema di trattamenti
sanitari obbligatori, questione che porta con se' idee sulla riforma della
180 che non possono che spaventare, tanto piu' se in coppia con la
privatizzazione della salute minacciata in questi giorni. Certo non
dimenticano gli appartenenti a tante confessioni, che ancora e ostinatamente
cercano l'incontro e il dialogo con l'Altro ma sono ridotti in piccoli
gruppi, la cui voce e' difficile far sentire. Ne' dimenticano molteplici
strutture della Chiesa cattolica, che su piu' fronti ha dato conto delle
proprie ansie e preoccupazioni. Non dimenticano le operatrici e gli
operatori di strada, siano quelli coinvolti nell'assistenza alle prostitute,
siano quelli che provano a portare a scuola chi e' risucchiato dalle mafie.
Ma il Paese, l'Italia nel suo complesso, ciascuno di noi "normali", cosa
ricorda? E, soprattutto, cosa "vede"? Da ogni parte arrivano richieste
perche' chi e' scomodo diventi anche invisibile: le prostitute non devono
piu' farsi vedere per strada, i disabili se non vanno a scuola e' meglio, i
matti risultano pericolosi come i magistrati e viceversa, i migranti hanno
il dovere di farci vivere meglio e non il diritto di affacciarsi ai diritti,
le preghiere dei musulmani vanno bene purche' non ingombrino, e via
cancellando.
Tutto questo, tutto insieme, e' razzismo. E alberga in ciascuno di noi,
anche se ci piacerebbe credere che non e' cosi'. Ogni volta in cui ci sembra
che il singolo problema - disabilita' o Islam, colore della pelle o follia -
non ci riguardi, e che dunque possiamo tacere, non opporci, non scendere in
strada, rinunciare, quella che avanza e' l'idea che si possano tagliar via
singoli pezzi di societa' senza che questo sia una perdita per tutti. Il
silenzio uccide l'integrazione, uccide gli invisibili, e ci uccide anche
dentro.
Cosi' come, quando c'e' un vuoto, qualcosa interviene sempre a riempirlo,
cosi' nel vuoto di gesti e di parole maturano altri gesti, altre parole.
Qualche anno fa, ho studiato gli archivi dell'Ufficio per la difesa della
razza istituito dal fascismo. Era in gran parte un tremendo elenco di
piccole denunce: il tale aveva, in spregio della legge allora vigente, una
domestica non ebrea, un altro aveva una radio, strumento anch'esso proibito.
Piccole cose, nel piccolo mondo ottuso che dava vita e vigore al fascismo.
Piccole e grandi invidie, piccole e grandi paure, piccole e grandi
delazioni, il frutto velenoso di egoismi ristretti ha aperto la strada allo
sterminio, maturato grazie ad una irresponsabilita' e ad un silenzio
collettivi. Irresponsabilita' e silenzio piu' gravi in altre parti d'Europa
ma che hanno largamente riguardato anche degli italiani, con troppa
facilita' e continuita' messisi al sicuro sotto la coperta calda degli
"italiani brava gente".
Credo che gli italiani siano tuttora, in larga misura, brava gente. Gente
con il cuore in mano, soprattutto se il portafoglio e' ben custodito. Ma la
smemoratezza diffusa a larghe mani, il portafoglio mai come ora in pericolo,
i rischi reali e quelli artatamente innescati, il disfacimento progressivo
dei legami di solidarieta', la precarieta' di una politica incapace di
tenere insieme tutti i fili senza farli aggrovigliare, mi fa temere che
sempre piu' siamo e saremo come le famose tre scimmiette: non vedere, non
sentire, non parlare, lasciando che qualcun altro se ne occupi, e che gli
invisibili affondino nel loro mare (e non solo in senso figurato, come
sappiamo). Convinti di salvarci aggrappandoci a privilegi che ci sembrano
garantiti e ci fanno sentire al riparo: la cittadinanza, il colore della
pelle, la cultura, le disponibilita' economiche. Ma nessuno e' garantito per
sempre, quando i pezzi vanno via senza posa: nel silenzio sempre piu' cupo
alla fine - come scriveva Brecht - entrero' fra gli invisibili anche io,
anche tu, e non ci sara' piu' nessuno a gridare.
Per ricominciare a vedere gli invisibili con occhio partecipe, fuori dal
silenzio, per non essere razzisti nel nostro fondo, c'e' bisogno di un
grande salto culturale, di quelli difficili. C'e' bisogno che ciascuno
riparta da se', dalle proprie personali scimmiette. Perche', come diceva don
Milani, "mi riguarda" e' il contrario di "me ne frego": concetto da tenere a
mente, in questi tempi di fascismo rinascente. Quando si tende a dimenticare
che i problemi li abbiamo tutti, ma uscirne ciascuno per proprio conto e'
egoismo sterile, mentre uscirne tutte e tutti insieme e politica. Quella con
la "p" maiuscola.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 211 del 2 ottobre 2008

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